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3. La comunicazione e i rapporti tra medico e paziente

3.1. Comunicare la verità

Un altro aspetto fondamentale per l’ottenimento di un buon rapporto di fiducia tra curante e malato, ma anche per la migliore riuscita terapeutica, riguarda la comunicazione della verità da parte del medico.

Innanzitutto la conoscenza della propria condizione clinica è un diritto del paziente e per il medico è un dovere sia a livello deontologico che umano. Inoltre dire la verità significa anche dimostrare rispetto per il malato e ridurre quella distanza che inevitabilmente si presenta tra i due soggetti.

Una comunicazione chiara, sincera e completa è necessaria per far sì che il paziente si possa fidare del curante e che accetti senza resistenze le scelte da lui adottate:

84 M. G. Ruperto, G. Ferrari, L’evoluzione del rapporto medico-paziente, in La comunicazione della salute. Un manuale, cit. p.112.

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l’essere coinvolti attivamente nel processo terapeutico aiuta a migliorare la collaborazione tra i due soggetti, indispensabile per ottenere buoni risultati. È chiaro inoltre che la comunicazione della verità riguardo alla propria condizione è fondamentale per il paziente anche per poter decidere consapevolmente quale percorso intraprendere. Pertanto, dovere del medico sarà quello di offrirgli un quadro dettagliato sulla sua situazione: fargli capire le cause, le possibili conseguenze ed anche le eventuali alternative terapeutiche. Il professionista sanitario, allo stesso tempo, dovrà cercare di adottare un linguaggio semplice e conciso, facendo attenzione a non urtare la sua sensibilità già messa a dura prova.

Quella sulla comunicazione della verità è comunque una questione molto dibattuta. È naturale infatti chiedersi se sia sempre necessario dire proprio tutto al malato. La risposta, in linea generale, è sì, ma sono riconosciute almeno due eventualità in cui è possibile omettere alcune informazioni riguardo la condizione clinica del paziente.

Il primo caso è quello in cui il soggetto in cura richiede esplicitamente al medico di non essere informato. Quest’ultimo dovrà quindi rispettarne la volontà anche se ciò vorrà dire assumersi tutta la responsabilità decisionale.

Il secondo caso, viene definito “privilegio terapeutico”: è il caso in cui il medico, valutando la situazione psicologica del paziente, comprende che la comunicazione di verità infauste sarebbe causa di depressione per il malato e comprometterebbe la riuscita migliore della cura. In altre parole quindi, “mentire può essere doveroso, se si assume il bene del paziente come compito etico primario.” 85

A questo secondo caso, possiamo tuttavia fare una precisazione. Comunicare la verità al malato non corrisponde al semplice dovere di informare: questo infatti può essere causa di ulteriori sofferenze per il paziente nel caso venga fatto nei modi e tempi sbagliati. Il medico, nel momento della comunicazione della verità al malato, dovrebbe piuttosto rassicurare il paziente, facendogli capire che sarà

85 M. Reichlin, Il dovere di verità verso il malato, in La comunicazione della salute. Un manuale,

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disponibile a prendersi cura di lui e che ci sarà sempre la speranza di riuscire a combattere la malattia.

Questo è quanto viene affermato anche dal Codice di deontologia medica italiano:

«[…] Il medico dovrà comunicare con il soggetto tenendo conto delle sue capacità di comprensione, alfine di promuoverne la massima partecipazione alle scelte decisionali e l’adesione alle proposte diagnostico terapeutiche. […] Le informazioni riguardanti prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona, devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza. »86

È importante dunque valutare accuratamente le modalità appropriate per mettere al corrente il malato riguardo le sue infelici condizioni. Ad esempio, nei casi in cui il paziente sembra essere una persona particolarmente sensibile, è opportuno adottare una comunicazione progressiva, che faccia accettare la verità al malato a poco a poco. In questo modo il paziente non ne sarà totalmente traumatizzato, al contrario sarà in grado di riconoscere il suo stato e di decidere in maniera consapevole cosa sarà meglio per lui, soprattutto nelle ultime fasi di vita.

Comunicare la verità è un dovere per chiunque, sia a livello umano che professionale, ma il medico più di ogni altra figura professionale è chiamato a rispondervi con maggiore responsabilità. Dire la verità resta comunque un compito particolarmente difficile: le pressioni emotive cui il medico è soggetto, possono diventare insostenibili, tanto da rendere comprensibile, ma non giustificabile, la ragione per cui spesso i curanti abbiano difficoltà a relazionarsi con sincerità con il paziente, soprattutto se quest’ultimo è affetto da una malattia inguaribile.

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Tali ragioni tuttavia, non devono fungere da pretesto: il medico ha determinati doveri a cui deve rispondere non solo in ragione della deontologia professionale, ma anche della legislazione del suo ambito lavorativo.

«A tal proposito è opportuno richiamare all’attenzione l’esistenza di una specifica responsabilità derivante dal non ottemperare agli obblighi di informazione codificati dalla legge. Le conseguenze derivanti da un’informazione incompleta o parziale, qualora pongano in essere un danno concreto al paziente, costituiranno un valido appiglio per qualsiasi azione legale nei confronti del medico, sia essa di tipo civile o penale.»87

Quanto detto non deve, tuttavia, creare malintesi: la decisione di dire la verità non deve essere presa solo sulla base di un obbligo normativo, ma anche e soprattutto sull’idea del carattere libero e fiduciario della relazione curante-malato, aspetto assolutamente necessario perché vi siano buone probabilità di riuscita terapeutica contro la malattia.

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