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Comunicazione Storia

Internazionale

Ivanna Rosi, LE MASCHERE DI CHATEAUBRIAND. LIBERTÀ E VINCOLI DELL'AUTORAPPRESENTAZIO-NE, pp. 321, € 24, Le Lettere, Firenze 2010

Il titolo di questa monografia riecheggia un ambiguo apprezzamento sull'autore delle

Memorie d'oltretomba di cui si fece

portavo-ce il malevolo Sainte-Beuve: "Chateaubriand è forse il solo scrittore dei nostri tempi che abbia saputo celarsi costantemente dietro una maschera, senza che tale ipocrisia nuo-cesse alla sua dignità". La metafora della maschera, però, carica di valenze negative per i detrattori ottocenteschi del grande me-morialista, ha tutt'altro significato nel panora-ma critico odierno. Le panora-maschere cui si riferi-sce Ivanna Rosi non sono strumenti di dissi-mulazione, dietro i quali permanga un io sempre uguale a se stesso e deciso a mo-strarsi agli altri nella luce più favorevole, ma forme successive che l'io dello scrittore va assumendo nel tempo, a seconda delle cir-costanze storiche che lo coinvolgono e dei generi letterari con cui si confronta. È un io proteiforme che spesso si rivela per tracce e indizi, o attraverso una retorica fitta di dene-gazioni; le sue passioni più profonde affiora-no lungo direttrici oblique, o attraverso sottili formazioni di compromesso, in quest'ottica, la figura di René, con le sue pulsioni ince-stuose e autodistruttive, svela un profilo ben diverso dalla banale icona della vulgata ro-mantica e si collega strettamente ad altre, successive rappresentazioni dell'io dello scrittore, che ne prolungano l'inquieta dispe-razione e la sete di libertà. Quanto ai

Mémoi-res d'outre-tombe, Rosi chiarisce una volta

per tutte che sarebbe inutile cercarvi una di-retta, roussoviana effusione dell'io: l'io vi è

disegni di Franco Matticchio

stri maggiori. Utilizzando lo strumento della lettura ravvicinata dei testi, mette infatti in lu-ce l'estrema diversità del romanzo franlu-cese del XIX secolo, la ricchezza inesauribile di un vasto paesaggio narrativo. Procede attra-verso l'analisi di ricorrenti costellazioni for-mali: è mediante l'organizzazione del rac-conto, ad esempio, che Chateaubriand esprime la solitudine dell'io romantico, men-tre è grazie alla scelta di immagini privile-giate che Madame de Staél arriva a raccon-tarci il modo in cui i protagonisti di Corinne vengono "espropriati del loro essere" dalle convenienze sociali. Tra i pregi fondamenta-li di questo studio c'è il perfetto equifondamenta-librio tra la riflessione sulle grandi tendenze del ge-nere e la disamina puntuale delle singole opere. Da un lato, il lettore è istradato a un'interpretazione d'insieme del realismo, "modalità dello sguardo" adeguata alle "nuove empiricità" (lavoro, produzione, ric-chezza) che dominano la scena del mondo moderno; dall'altro, il critico gli apre una via d'accesso alle specificità di ogni romanzo affrontato. Un ruolo centrale riveste il tratta-mento del tempo: dalla dialettica di finitezza e immortalità in Chateaubriand, alla realtà in divenire di Stendhal, qui giustamente con-trapposta al "tempo sferico del già accadu-to" tipico della Commedia umana. Costanti i riferimenti al Novecento, secolo d'elezione di Agosti; ed è un elemento di fascino addi-zionale di questo ricco panorama la segreta presenza delle predilezioni dell'autore, che si tradiscono nella lettura di Balzac attraver-so lo sguardo di Proust e nel rinvenimento in Chateaubriand di echi anticipati di Blanchot. (M.B.)

alcuni. Molti i temi: l'incontro con l'altro, ad esempio, che ne genera la definizione, la necessità di incasellarlo in un gruppo preci-so al fine di differenziarlo dai cittadini del mondo occidentale. La contaminazione spa-venta, come già suggerito da Shakespeare nel suo Titus Andronlcus, oggetto di uno dei saggi. Il presente e il futuro, tuttavia, sono il frutto della commistione tra gli ex colonizza-ti e gli ex colonizzatori, e così troviamo, ad esempio, un'Ariel femmina capostipite di una discendenza creola. E ricorrono termini quali transculturazione, ibridismo, ma anche schizofrenia e split personality. La collatta-nea propone altri spunti di riflessione, come la querelle sulla giustezza di certe appro-priazioni shakespeariane: viene citato Ago-stino Lombardo, secondo cui qualunque rivi-sitazione non deve mai escludere l'originale bensì sostanziarsene, mentre, in contrasto, ma solo apparente, afferma l'attrice e scrittrice Ann-Marie MacDonald che "ogni nuovo approccio non può che giovare a Shakespeare". Insomma, tutto dipende da come ci si appropria di Shakespeare. Se da un lato, quindi, il testo suscita la curiosità verso pregevoli, nuove creazioni artistiche, dall'altro ci ri-manda all'originale, al canone dal quale tutto parte. Non da ultimo, troviamo ottimo materiale di rifles-sione sul teatro come efficacissimo strumento quasi terapeutico per comprendere se stessi e, restando

nel campo del postcoloniale, ri-trovare le proprie radici. Su altre interessanti dilatazioni dei contenuti raggua-glia l'introduzione di Masolino D'Amico.

M A R I A C O D U R I

POSTCOLONIAL SHAKESPEARE, a cura di Masolino D'Amico e Simona Corso, pp. 271, €34, Edizioni

di Storia e Letteratura, Roma 2010

Gli atti di un convegno (Roma 2007) for-mano questa collettanea che ben s'inserisce nella bibliografia esistente e che, nel nome di William Shakespeare, offre una ricca va-rietà di spunti per una riflessione sulla lette-ratura e sugli studi postcoloniali. Vengono esaminate riletture o risemantizzazioni di opere shakespeariane, trasposizioni cine-matografiche, balletti, opere teatrali e di nar-rativa alla cui origine c'è il lavoro del dram-maturgo inglese. Importanti i nomi proposti: J. M. Coetzee, Derek Walcott, Giorgio Man-ganelli, Marina Warner, per citarne soltanto

Giovanni Piazza, FLLMOSOFIA. I GRANDI INTER-ROGATIVI DELLA FILOSOFIA IN 8 FILM HOLLYWOO-DIANI, pp. 172, €16, Perdisa, Ozzano dell'Emilia

(Bo) 2009

Che al cinema non si vada solo per puro svago, per estraniarsi dalle quotidiane incom-benze, è nota consuetudine per molti. Un po' meno quando si tratta di pellicole della frivola Hollywood, che pure ha partorito indubitabili capolavori, da Casablanca a Matrix, da The

Truman Show a Biade Runner. Giovanni

Piaz-za, insegnante di filosofia e autore di saggi su Ricoeur, Pareyson e Baricco, ne analizza otto, gli altri sono Nodo alla gola, Ricomincio da

capo, Minority Report e V per vendetta, per

ri-leggerli in chiave filosofica o, meglio, per ten-tare di dare un ordine alle riflessioni che na-scono spontanee dopo la fruizione di un'ope-ra d'arte e che il pensiero filosofico tende a strutturare in sistemi di valori e idee che aspi-rano all'unità e all'universalità. L'intento di Piazza prosegue peraltro il filone di studi av-viato da Julio Cabrera con il volume Da

Ari-stotele a Spielberg. Capire la filosofia attra-verso i film (Bruno Mondadori, 2000). I film

prescelti, di cui vengono forniti i dati essen-ziali e un breve riassunto della trama, sono esaminati a partire da un'accurata lettura dei dialoghi salienti e delle scene che meglio met-tono in luce i grandi temi della filosofia: l'etica, l'angoscia della morte, il senso dell'esistenza, i rapporti di potere, il ruolo dell'individuo nel-l'universo, la libertà. La lettura risulta partico-larmente avvincente. I due assassini di Nodo

alla gola di Hitchcock sono i fallaci interpreti

dell'oltre-uomo di Nietzsche, il set creato per Truman è una versione mediatica del migliore dei mondi possibili del Dio di Leibniz, l'Inghil-terra del futuro di V per vendetta è una radi-calizzazione della dottrina politica di Hobbes. Ma la guida alla lettura è anche un invito alla razionalità, dopo averla completata forse riu-sciremo a trattenere le lacrime quando Rick si separa definitivamente da lisa nelle improba-bili nebbie dell'aeroporto di Casablanca. Ora sappiamo che il bel gesto di lasciarla partire con il legittimo marito non è frutto del senti-mentalismo, che impropriamente gli attribui-sce il capitano Renault, ma dell'adesione alla legge morale di kantiana memoria.

L'INDICE

I H L D E I LIBRI D E L M E S E | B |

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SPP.ING StyLE

Nicole Oresme, CONTRO LA DIVINAZIONE. CONSIGLI ANTIASTROLOGICI AL RE DI FRAN-CIA (1356), a cura di Stefano Rapisarda, pp.

288, €27,50, Carocci, Roma 2010

La divinazione, tanto praticata nel mondo antico quanto vietata nel me-dioevo, in particolare al principe e agli altri esponenti del governo del mondo cristiano, riceve nuovo impulso dall'arri-vo sulla scena culturale del Secretum

secretorum pseudo-aristotelico, nella

prima metà del XIII secolo, che invece la raccomanda, in particolare per l'attività politica. Da questo momento, astrologia, fisiognomica, chiromanzia e altre prati-che divinatorie

diven-tano parte della forma-zione culturale del so-vrano. Nicole Oresme, ecclesiastico e filosofo francese (morto nel 1382), traduttore di Aristotele e autore del

Livre de divinacions,

si colloca dalla parte opposta e per questo (come osserva il cura-tore all'inizio di un'in-troduzione molto infor-mata) va a occupare un posto di rilievo nel-la storia del razionali-smo occidentale. Alla corte di Carlo V di

Francia, dove opera Oresme, la divina-zione è come altrove molto quotata, ma la sua analisi ha soprattutto valenze po-litiche: se infatti non è il primo a criticare l'astrologia, lo è certamente nel respin-gerne l'utilità nell'azione di governo del re (se ne possono "salvare" solo gli aspetti intellettuali o ricreativi). La pole-mica di Oresme non ha avuto successo, almeno a giudicare dagli oroscopi che hanno continuato a fiorire: la sua poste-rità resterà dunque accademica e filoso-fica. Accanto a quello scientifico, un se-condo, non trascurabile primato: Ore-sme si serve largamente del francese, facendo passare contenuti complessi, della filosofia e della scienza, in una lin-gua che aveva conosciuto soltanto le riuscite della poesia e dei romanzi, per noi grandissime, ma non così alte agli occhi dei filosofi di allora.

W A L T E R M E L I G A

ma biblico, così originale all'interno dell'An-tico Testamento, conosce durante il me-dioevo una fortuna crescente, tanto da es-sere utilizzato come grande codice da cui i poeti in volgare attingono espressioni e im-magini, conferendo un accento mistico al rapporto tra amante e amata nella lirica amorosa. Tale successo è confermato an-che dalla ricca tradizione di volgarizzamen-ti e commentari in lingua d'o/7, in versi e in prosa, discussi in questo saggio che rac-coglie i momenti più significativi per una storia della lettura del Cantico. Si rintraccia così la presenza di una tensione dialettica già nell'esegesi più antica tra un'interpreta-zione letterale e una allegorico-spirituale,

che lungo i secoli matu-ra fino a far acquisire al libro la fisionomia di un esercizio di ermeneutica spirituale, un'ars amandi

Deum. Di qui la

produ-zione in volgare, che va a costituire una tradizio-ne esegetica con tratti specifici: dal poemetto

Ouant li solleiz,

passan-do per le traduzioni dei

Sermones super Canti-ca di san Bernardo, fino

ad alcune importanti pa-rafrasi duecentesche, si delinea una centralità ideologica e tematica del cuers amoureus. Ta-le "cardiocentrismo", riformulando l'atten-zione agostiniana all'intelligenza, alla me-moria e alla volontà nel dinamismo amoro-so, conduce a una riscrittura del Cantico nei termini di un sempre più evidente carat-tere d'introspezione e autocoscienza, tipico della modernità.

M A U R O BADAS

Gioia Paradisi. LA PAROLA E L'AMORE. STUDI SUL CANTICO DEI CANTICI NELLA TRADIZIONE FRANCESE MEDIEVALE, pp. 221, € 24,50,

Ca-rocci, Roma 2009

È nota l'interpretazione del Cantico dei

Cantici, specie in ambito cisterciense,

co-me allegoria dell'amore umano autentico, espressione del desiderio che porta l'anima del cristiano a unirsi a Dio o a Cristo. Il

poe-tutta probabilità concepito in parallelo a quello di genere antitetico - di offrire nuove prospettive alla poesia amorosa. L'introdu-zione permette di inserire Rustico, attraver-so i legami con Brunetto e altri poeti coevi, nel pieno del clima poetico precedente al-lo Stilnovo, e di mostrare la fortuna succes-siva della sua raccolta, fino a Petrarca. Si instaura così significativamente una linea che dal Rustico cortese conduce all'apice di perfezione stilistica e di modernità lirica della nostra poesia dei primi secoli.

(M.B.)

Rustico Filippi, SONETTI AMOROSI E TENZO-NE, a cura di Silvia Buzzetti Gallarati, pp. 276,

À 28,20, Carocci, Roma 2009

L'originale esperienza poetica di Rustico Filippi, attivo nella seconda parte del XIII secolo, si muove sul versante della produ-zione comica (segnando l'esordio, con Cecco Angiolieri, della produzione realisti-co-giocosa del Duecento) e su quello op-posto dei versi d'amore, con apprezzabili capacità espressive, parzialmente distac-candosi dalla produzione cortese proven-zale e siciliana. La nuova edizione critica dei sonetti amorosi e della tenzone di Filip-pi con Bondie Dietaiuti restituisce il dovuto rilievo a tale aspetto della produzione del poeta fiorentino (la cui parte satirica e gio-cosa è già stata oggetto del lavoro della stessa curatrice Silvia Buzzetti Gallarati in un volume apparso pochi anni fa nella stessa collana). Il più antico poeta "bifron-te" della nostra letteratura delle origini può essere apprezzato nel suo tentativo - con

GESTA BERENGARII. SCONTRO PER IL REGNO NELL'ITALIA DEL X SECOLO, a cura di France-sco Stella, introd. di Giuseppe Albertoni, pp.

Vili-159, € 15, Pacini, Pisa 2009

I Gesta Berengarii sono il miglior pro-dotto poetico dell'Italia del X secolo. Cele-brano Berengario I, dall'elezione a re d'I-talia (887) fino all'incoronazione a impera-tore (915). I primi due libri narrano le guer-re contro Guido da Spoleto; il terzo, la di-scesa di Arnolfo di Carinzia in Italia (893-894) e la vittoria sullo stesso Guido (ma l'episodio saliente è la morte di Lamberto, figlio di Guido, che consente a Berengario di restare padrone dell'Italia; Lamberto cade da cavallo e si spezza il collo: l'at-mosfera di pathos elegiaco mostra la bra-vura del poeta); il quarto chiude l'opera: Berengario è imperator et sacerdos (gra-zie all'unzione sacrale). Come già in Pao-lo Diacono (Historia Langobardorum), gli anni "difficili" sono taciuti, e anche la mor-te di Berengario. Modello è l'epos virgilia-no (Berengario e Guido attualizzazioni di Enea e di Turno), ma l'Anonimo è un uo-mo di consumate letture: llias Latina, Sta-zio, PrudenSta-zio, Sedulio, forse Claudiano innescano complessi giochi di sponda. L'intento celebrativo istruisce la stesura del poema, che si abbassa fino all'adula-zione cortigiana: le vittorie di Berengario sono trionfi; le sconfitte, omesse. Non c'è fedeltà storica nel poeta, lontano dal rigo-re di un Poeta Saxo: tuttavia, siamo di fronte a un prodotto letterario, non a un documento storiografico.

(F.M.C.)

Eginardo. TRASLAZIONE E MIRACOLI DEI SAN-TI MARCELLINO E PIETRO, a cura di Francesco

Stella, pp. Vili-190, € 16, Pacini, Pisa 2009

Eginardo, l'"anti-Svetonio nato" (Vinay), il biografo di Carlo Magno; ma, oltre alla Vita

Karoli, c'è anche la Translatio sanctorum martyrum Marcellini et Petri. I secoli Vili e

IX esprimono le prime forme di culto delle reliquie: alle spalle," l'antropologia del cor-po glorioso del De laude sanctorum di Vit-tricio, e il Liber Arcuiti di Adamnano e il De

locis sanctis di Beda; davanti, il De

pigno-ribus sanctorum di Gilberto di Nogent; a

metà, la Translatio. È il resoconto di un fur-to "devofur-to", con tanfur-to di esumazione, sot-trazione e spostamento di resti. "Culto", qui, non vale solo "venerazione", ma anche "traffico" di traslazioni (autorizzate e non). L'affabulazione è brillante, piacevolissima; il ritmo incalzante, quasi novellistico; il lati-no semplice, di taglio popolare. Movente: a Michelstadt, Eginardo ha una basilica; de-ve dedicarla; gli occorrono delle reliquie. A corte c'è un diacono romano; gli promette quanto desiderato. I Franchi giungono a Roma, forzano gli avelli, rubano le ossa dei martiri, rincasano. Varcate le Alpi, il dileguo diventa processione. Poi, una serie di vi-sioni costringe Eginardo a rinunciare: le re-liquie vanno a Mullheim sul Meno. Nulla si sa dei santi: tutto è furto e viaggio; nelle

translationes contano solo corpo e

miraco-li (ma Eginardo scriverà una Passio Christi

martyrum Marcellini et Petri).

(F.M.C.)

SALUTZD'AMOR. EDIZIONE CRITICA DEL CORPUS

OCCITANICO, a cura di Francesca Gambino,

in-trod. e nota ai testi di Speranza Cernilo, pp. 834, € 64, Salerno Roma 2009

Accanto alla dominante lirica che è la ca-ratteristica saliente della poesia medievale in lingua d'oc resta poco spazio per altri ge-neri, sacrificati (non sappiamo quanto) ap-punto dalla fortuna, nella tradizione mano-scritta e probabilmente già nella ricezione contemporanea, di quella. Nel non molto che ci è giunto, il salut d'amor si presenta con caratteri di genere abbastanza precisi e con la presunzione di un certo successo di pubblico, visto il numero (ventisette, da que-sta raccolta) di testi che vi si raccolgono. Pienamente all'interno del mondo cortese e della costruzione tutta provenzale della

Un'amor, il salut è un componimento nel

quale l'io poetico amante invia un messag-gio alla dama amata, dove, accanto alla ri-chiesta d'amore, trovano posto la lode della dama, le sofferenze dell'amante, il ricordo di un incontro, qualche osservazione di mora-le cortese. Si tratta di temi largamente psenti nelle canzoni, ma declinati con tratti re-torici e stilistici specifici (il carattere epistola-re, che porta con sé altri elementi "discorsi-vi") e motivi propri (come appunto il "salu-to"), suggeriti dall'epistolografia mediolatina e dalla tradizione "eroica" ovidiana. il carat-tere discorsivo è poi accentuato dalla forma metrica prevalente, tipicamente narrativa, del distico di ottosillabi (che doveva produr-re una diffusione produr-recitata e senza musica, come nei romanzi), anche se non mancano testi "di confine" in forma strofica. Il risultato è un po' stucchevole, soprattutto nel con-fronto con i prodotti migliori del "grande canto" lirico, ma non mancano qualità lette-rarie, a partire da quelle tipicamente medie-vali della comunicazione argomentata.

(W.M.)

Pietro Alfonsi, "DISCIPLINA CLERICALIS". SAPIENZA ORIENTALE E SCUOLA DELLE NOVELLE, a cura di Cristia-no Leone, pp. XCIV-187, € 28, SalerCristia-no Editrice, Roma 2010

Moshe Sephardt - forse rabbino di Huesca (Aragona) o forse no, poi Pietro Alfonsi perché battezzato nel giorno di san Pietro (e Paolo) e perché ne fu padrino Alfonso I il Battagliero - è uno di quei meravigliosi crocevia di cultu-re che solo la pangea medievale riesce a esprimecultu-re. La Spa-gna del XII secolo è frontiera ed è faglia: un luogo d'in-contro (e di sd'in-contro) fra Oriente e Occidente, dove tradu-zione e passaggio di saperi non sono sporadica emorragia, ma flusso costante.

Pietro Alfonsi sta dentro questa misura d'interscambio (alla base della stessa Rinascita del XII secolo) poiché concentra in sé, mirabilmente, mondo ebraico, islamico e latino; e il suo frutto più sapido, la Disciplina clericalis (pur maturato, probabilmente, lontano da quei

permeabi-li confini, al palpermeabi-lido sole dell'Inghilterra di Enrico I), è il prodotto di questa somma interna. E'importanza della

Disciplina è quella di essere una soglia. Eredita via islam

intrecci fabulatori distanti e li converte alla forma latina: di lì la narrativa orientale irrompe nel sistema circolato-rio dell'Europa cristiana, veicolata anche da attualizzazio-ni quali le Fables Pierre Aufors o lo Chastoiement d'un

pére à son fils (XII-XIII secolo); giungerà così a dare

in-chiostro alla penna di un Chaucher, Boccaccio, Sacchetti e oltre. Disciplina clericalis vorrebbe dire "istruzione del letterato" (clericus,). Tuttavia, non siamo di fronte alle

Institutiones di Cassiodoro o al Franco et Saxo di

Alcui-no di York, ma a una sorta di florilegio sapienziale com-posto da trentaquattro racconti esemplari indipendenti

(fra cui anche favole di animali), di provenienza eteroge-nea (araba, greca, persiana o indù), preceduti o seguiti da massime e proverbi, che ne sono il condensato aforistico. Il taglio, dunque, è più "educativo" (nel senso morale e fi-losofico del termine) che non "istruttivo"; lo dimostra lo

stesso espediente narrativo utilizzato dall'autore per com-porre in unità la variegata teoria di excerpta, di cui è ma-teriato il testo: il dialogo fra un soggetto anziano e uno più giovane, topos orientale necessario per la trasmissio-ne del sapere (inteso come esperienza).

Il medioevo di Pietro Alfonsi non progredisce per par-ricidio (Eco), bensì mediante accordi cooperativi, di devo-zione filiale, con il padre. In ogni caso, si tratta di leitmo-tiv e non di una vera cornice, poiché senex et puer ap-partengono al loro excerptum, mutano al mutare del rac-conto, entrano ed escono dal testo senza mai incontrarsi (Enoc e il figlio, Socrate e i discepoli, Balaam e l'uomo co-mune, Aristotele e Alessandro ecc.). La Disciplina

cleri-calis ebbe uno straordinario successo: fu per l'Occidente

un magazzino di maschere, temi e situazioni riciclabili, le

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