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Gli ostacoli alla Comunità Energetica: fattori regionali, internazionali e possibili interconnessioni tra politiche energetiche esterne e irrisolte question

regionali

Sommario: Paragrafo 1).Introduzione alle criticità dell’area quali fattori ostativi di positive logiche cooperative.

Paragrafo 2). La questione kosovara come punto dirimente per una possibile stagione di cooperazione regionale. Paragrafo 3). Lo status del Kosovo nell’ambito regionale: possibile ostacolo alla cooperazione? Paragrafo 4). Corridoi

energetici, politiche di presenza nell’area e influenze di attori internazionali: la Russia. Paragrafo 5). Corridoi

energetici, politiche di presenza nell’area e influenze di attori internazionali: gli U.S.A. Paragrafo 6). Corridoi

energetici, politiche di presenza nell’area e influenze di attori internazionali: l’ Unione Europea. Paragrafo 7).

Cooperazione e egoismo irrazionale: vantaggi assoluti e relativi sul percorso dei nuovi corridoi energetici.

Paragrafo 1).Introduzione alle criticità dell’area quali fattori ostativi di positive logiche

cooperative.

La presente sezione si occuperà di esaminare la problematica relativa agli ostacoli possibili al radicarsi della Comunità Energetica, ostacoli che paiono essere sia di natura tecnica che politica, anche con implicazioni internazionali.

Rispetto alle politiche energetiche internazionali, nell’area balcanica convergono questioni relative alla sicurezza energetica e agli interessi di Europa, U.S.A. e Russia, infatti, e forse questo fattore potrebbe costituire una possibile condizione di impedimento allo sviluppo di una politica energetica regionale coerente, indipendente e unitaria per le pressioni che questi “grandi poteri” esercitano sull'area e sulle situazioni più critiche ivi esistenti.

Difatti, accanto ma in continuità con le questioni di natura internazionale, la situazione regionale non appare del tutto risolta per l’esistenza di punti ancora in bilico successivamente al processo non del tutto compiuto di frammentazione delle unità statuali preesistenti e alcuni attori esterni potrebbero utilizzare questi spazi conflittuali per inserirsi nel contesto con l’effetto di modificare e, forse, dirigere le dinamiche dell’area.

Tra tutti emerge il problema legato alla indipendenza, proclamata unilateralmente, del Kosovo dalla Serbia e il diverso atteggiamento che i Paesi dell’area hanno avuto sulla questione e sull’attuale stato dei rapporti con la nuova entità.

Gli attriti che tale punto ha provocato sembrano, come oltre verrà argomentato, costituire i più importanti nodi da sciogliere per una efficace cooperazione ed integrazione regionale, posto che risulta difficile la cooperazione tra entità che neanche si riconoscono.

Infatti, é fuor di dubbio che tale criticità, al fine di una stabilizzazione dell’area, non può rimanere perennemente irrisolta e che dunque si deve procedere al consolidamento della situazione per avere una certezza istituzionale e politica che possa favorire la stessa cooperazione.

In questo complesso ambito, al fine di valutare la situazione attuale, risulta altresì interessante andare ad esaminare le logiche di azione dei diversi paesi dell’area per verificare se questi si muovono secondo dinamiche che R.O. Keohane definisce cooperative o se preferiscano altre tipologie di approcci.

L’autore appena citato, nel suo scritto “After Hegemony: Cooperation and Discord in the

World Political Economy”178 definisce la cooperazione quale quella situazione in cui le politiche seguite da un governo sono valutate dai partners di quel paese come un fattore che semplifica la realizzazione degli obiettivi posti dalle politiche, a seguito di un processo di coordinamento strategico, per cui il successo colto da un partner é un tassello fondamentale per il raggiungimento di un proprio risultato: per l’effetto, é consequenziale favorire e supportare lo sforzo altrui secondo una logica per cui tutti quelli che partecipano ad un progetto risultano vincenti non raggiungere un obiettivo comune.

Tuttavia, pur se é vero che un interesse comune esiste, spesso però non sono così spontanei ed automatici i meccanismi della cooperazione.

Tutto ciò verrebbe acuito nella situazione balcanica nella quale un autore come D. Rousseau179 ritrova specificità che rendono ancora più difficile questo meccanismo cooperativo.

In realtà, a ben vedere, i temi fin ora descritti singolarmente non devono essere considerati a sé stanti ma assolutamente interdipendenti e trasversali, poiché come già accennato e come si evidenzierà nei prossimi paragrafi, le strategie e gli interessi internazionali si riversano ed utilizzano quali strumenti di intervento le questioni irrisolte nel’area, cosi come, proprio la presenza di politiche e progetti di natura internazionale porta ogni singolo paese a cercare di posizionarsi al meglio nel processo di attrazione dei flussi di investimento a scapito degli altri vicini i quali, anziché partners di un progetto cooperativo comune, arriverebbero ad essere avvertiti come

competitors.

178

R.O.Keohane “After Hegemony: Cooperation and Discord in the World Political Economy” in “Toward

Cooperation in Post-Cold Southeastern Europe? University of Ottawa. 179

D. Rousseau “Relative or Absolute gains: beliefs and behavior in International Politics” University of Pennsylvania, Philadelfia 1999

119 Tutto ciò deve essere valutato se si vuole verificare il contesto in cui la Comunità Energetica é chiamata ad operare tenendo ulteriormente conto di aspetti propriamente legati alla stessa genesi del Trattato e alle modalità di costituzione del progetto comunitario.

Infatti, non si può negare che il Trattato propone in un’ area specifica quale quella balcanica un modello importato da una esperienza diversa quale quella europea: dunque, tale impostazione potrebbe scontare un possibile difetto originario dato dal fatto che, seppur condivisa successivamente, l’iniziativa non é partita direttamente dai firmatari ma é stato il frutto di un percorso etero-guidato dalla Commissione Europea e che, probabilmente, ha visto il motivo più grande di adesione nell’ adeguarsi alle richieste dell’Unione in vista della possibile integrazione piuttosto che da un sincero intento cooperativo.

A ciò deve aggiungersi un tratto più complessivo della politica estera ed energetica dell’Unione che sconta una difficoltà di coordinamento tra i Paesi membri dovuta al fatto che le relazioni bilaterali in ambito energetico tra i singoli paesi membri e i paesi fornitori o di transito in situazioni passate, sono sfociate in frammentazione del mercato intero dell’Unione con conseguenze negative sull’efficacia delle strategia esterna della UE.

In ultimo, tra i temi da trattare in quest’ambito, deve darsi conto della crisi di governance che le istituzioni dell’Unione hanno mostrato nell’ambito della crisi economica e finanziaria del 2011: se il modello istituzionale che si pone a matrice di quello da stabilirsi nella Comunità energetica attraversa fasi di necessario rinnovamento si dovrà valutarne gli effetti susseguenti.

Quindi, nonostante il progetto di Comunità possa apparire molto interessante, e con delle prospettive di efficace impatto sulle problematiche dell’area, sussistono svariati elementi che possono minarne l’ulteriore sviluppo e, dunque, la concreta realizzazione degli obiettivi posti.

Sembra evidente allora la presenza di un ordine duplice di problemi, distinguibili nella metodologia della esposizioni ma intimamente connessi perché parte di una stessa dinamica complessiva dell’area.

Infatti, se il primo ambito può essere circoscritto alle questioni relative ai nodi interni alla regione e alle relazioni tra i paesi dell’area, il secondo relativo alle politiche energetiche che altri attori esterni stanno perseguendo non può essere distinto dall’approfondimento delle interazioni e interferenze che tali politiche riversano nell’area.

Si tratterà allora di esaminare, nell’ordine, una serie di probabili criticità sulla via del conseguimento degli obiettivi della Comunità Energetica e più in generale sulla propensione cooperativa dei paesi dell’area balcanica:

 il problema dello status del Kosovo le implicazioni a livello di relazioni intraregionali;

 gli interessi internazionali sull’area e le interazioni con le questioni regionali;  comportamenti dei Paesi dell’area in una prospettiva competitiva o cooperativa;

 l’Unione Europea, la sua crisi e gli effetti sulla Comunità Energetica.

Paragrafo 2). La questione kosovara come punto dirimente per una possibile stagione di

cooperazione regionale

Il problema del Kosovo risulta davvero centrale nel’economia del discorso sulla possibile stabilizzazione dell’area e rappresenta, poiché non universalmente appianata la questione relativa al suo status definitivo, un ostacolo eccezionale al corretto instaurarsi di dinamiche di cooperazione in un abito regionale tra paesi che devono riconoscersi l’un l’altro con la propria autonomia, identità ed integrità territoriale.

Che tale punto sia particolarmente centrale é testimoniato dal fatto stesso che molti autori tra cui Ylber Hysa180 considerano addirittura le principali dinamiche dell’area che hanno portato al processo di disgregazione jugoslavo principiare dalla rivolta che nel 1981 vide protagonisti gli studenti kosovari che rivendicavano la identità statuale del Kosovo in seno alla repubblica federale181. Come noto la protesta, poi soffocata nel sangue, si estese fino a coinvolgere una larga parte della popolazione che trovò il modo di denunciare, assieme alla rivendicazione identitaria, anche le pessime condizioni di vita e di prospettiva economica in cui l’allora provincia jugoslava versava182.

In seguito, secondo le ricostruzioni storiche citate, proprio la politica che Slobodan Milošević perseguì con il fine di revocare in maniera autoritaria l’autonomia del Kosovo mise in allarme le altre Repubbliche federate, creando i presupposti di tensione per avrebbero poi portato allo scontro militare e alla dissoluzione dell’esperienza jugoslava.

180

Ylber Hysa, "Kosovo: a permanent international protectorate?", p. 288 in The UN Role in Promoting Democracy:

Between Ideals and Reality, eds. Edward Newman, Roland Rich (United Nations University Press, 2004) 181

In realtà il Kosovo rappresenta un punto problematico da ben prima degli episodi del 1981: la storiografia riporta che i conflitti tra le diverse etnie dell’area si registrano già dal diciottesimo secolo, per quanto la coesistenza serbo-albanese, e i relativi scontri nella regione, fossero di data ancora più antica. Sul punto si rinvia a D. Bataković “Kosovo

Chronicles” Plato Books, Belgrado 1992 e N. Malcom, “Kosovo: a Short History” Macmilan, London, 1998. Più di

recente, durante l’epoca di Tito, il Kosovo ottenne concessioni relative alla sua autonomia a cavallo tra gli anni sessanta e settanta e già allora gli apparati del partito comunista, referenti della entità serba, mostrarono il loro dissenso rispetto a tale scelta attraverso la redazione di un report chiamato “libro blu” in cui, nel 1976, chiedevano a Tito di rivedere tale politica di concessioni. Nel 1985 un documento redatto da alcuni intellettuali serbi guidati dal nazionalista D. Cosić e conosciuto come “memorandum” metteva sotto accusa le autorità jugoslave che avrebbero favorito gli albanesi del Kosovo a scapito dei serbi che in 200.000 avevano dovuto lasciare la regione. Tito inoltre era spesso accusato di non aver voluto far rientrare molti serbi sfollati dal Kosovo una volta conclusa la Seconda Guerra Mondiale, favorendo così gli albanesi. Come visto il tema è sempre stato presente e dibatto. Sulla storia delle relazioni con il Kosovo nel periodo successivo al 1945 si rinvia a J. Krulic “Storia della Jugoslavia dal 1945 ai nostri giorni” Bompiani, 1999.

182

121 Nell’area, la situazione attuale del Kosovo, diventa ancora più centrale se si consideri quanto é stato già detto in chiusura del precedente capitolo sul tema degli Stati deboli e dell’impatto che queste realtà hanno sulla regione nella sua totalità, dal punto di vista della ricostruzione delle strutture politiche democratiche che coniughino l’autonomia dei processi con le prospettive di modernizzazione e sull’effetto negativo che uno stato in bilico apporta ai vicini.

Tuttavia, in questo caso, il dibattito storico registra una diversa valutazione tra chi ritiene di poter affermare che il Kosovo rappresenti una questione sui generis e che impegna la comunità internazionale in maniera specifica e chi contesta questa impostazione.

Janusz Bugajski segnala che, dal suo punto di vista, “...Kosova is neither a weak state nor a

failed state but an aspiring state heavily dependent on international actors...”183

Si tratta di una situazione del tutto peculiare, anche considerando lo status giuridico di tale entità che di fatto si trova sotto in controllo della comunità internazionale e che potrebbe essere definita una situazione di “soft sovereignity”184, intendendosi con questa espressione una situazione caratterizzata da un parziale controllo del territorio e da una debolezza istituzionale significativa.

Se in realtà sia corretto parlare del Kosovo quale un caso del tutto nuovo nel panorama del diritto e della politica internazionale lo chiede Adam Bacler185 in un suo contributo nel quale paragona il caso in esame con quelli di Abkhazia e Sud Ossezia per verificare la correttezza di tale affermazione che rappresenta il casus su cui le diplomazie mondiali ancora dibattono.

Di fatti l’attenzione internazionale dopo la dichiarazione di indipendenza di Pristina si é anche concentrata su questo punto, tanto che il premier russo Putin si espresse sul punto bollando l’accaduto come un precedente terribile186 capace di sovvertire l’ordine internazionale.

Che lo si ritenga o no un precedente specifico, non si può negare che il Kosovo rappresenti per le sue peculiarità un caso distinto e più problematico da un punto di vista giuridico e diplomatico rispetto alle altre problematiche partorite dai processi disgregativi jugoslavi e di transizione propri dell’area, visto che é ancor oggi oggetto di una missione internazionale open-

ended, operativa anche dopo la dichiarazione di indipendenza.

183

Janusz Bugajski, “Kosova: the core of the Balkans”, in Building Stability in Weak States - The Western Balkans, 4th Workshop of the Study Group "Crisis Management in South East Europe", Tirana, 10-11 Nov. 2001, ed. 2002.

184

B. Vankovska “Macedonia in limbo: Between Regional (In)stability and Euro-integration” in Kosovo: Independence, status, perspective” edited by D. Janjić and Ylber Hysa, Longo editore 2011

185

Nel caso specifico, l’autore A.Bacler conclude con il negare che il caso del Kosovo possa ritenersi un episodio sui

generis o un precedente specifico da invocarsi in altri casi con i quali questo sembra avere punti in comune: dunque, la

particolarità del caso kosovaro non dovrebbe essere richiamato soggettivamente dai diversi attori internazionali a proprio uso e consumo secondo le convenienze del momento: A.Bacler “Kosovo, Abkhazia and South Ossetia-Cases

Studies-Similarities and Differences” in “Kosovo: Independence, status, perspective” edited by D. Janjić and Ylber

Hysa, Longo editore 2011

186

Il Primo Ministro affermò testualmente che “The independence of Kosovo is a terrible precedent. In effect, it breaks

up the entire system of international relations, a system that has taken not even decades but centuries to evolve" . Le

dichiarazioni sono state rese a latere del summit informale della Comunità degli Stati Indipendenti tenutosi a Mosca il 22 febbraio 2008.

Inoltre, considerato quanto detto e posto che ad oggi non si é ancora trovata una pacifica e condivisa valutazione e posizione rispetto al riconoscimento dello status del Kosovo, questo appare trovarsi in una situazione ancora più sensibile rispetto alle altre aree critiche pur presenti ancora nell’area balcanica.

Di fatti, il Kosovo nel processo di ricostruzione istituzionale e civile presentava e presenta difficoltà forse più accentuate rispetto ad altri ambiti in cui pure la Comunità internazionale ha inteso intervenire.

Dopo gli episodi di apartheid e poi di epurazione etnica registratisi fino alla fine degli anni Novanta e al successivo intervento militare della Nato a seguito del mancato accordo che si tentava a Rambouillet, i problemi da affrontare potevano essere riportati in tre dimensioni poiché le nuove politiche avrebbero dovuto comprendere almeno tre aspetti problematici di transizione.

Infatti si sarebbe dovuto intervenire, sotto il profilo istituzionale, verso un modello liberale e democratico, da un punto di vista della società civile per superare le diffidenze diffuse dai processi di segregazione e di esclusione della etnia albanese dalle strutture di governo ed evitare una nuova apartheid nei confronti della minoranza serba, dal punto di vista dell’atteggiamento della collettività per superare il periodo del conflitto e creare un atteggiamento di appartenenza di tipo civico in sostituzione dell’identificazione etnica.

Tutto ciò si sarebbe dovuto fare considerando che il presupposto stesso di queste politiche ovvero l’autonomia del Kosovo e il suo status internazionale non ė stato mai riconosciuto da alcuni stati regionali tra cui la Serbia che ancora intende il territorio di Pristina come una sua provincia.

Il compito di assicurare un percorso che eliminasse ogni eventualità di nuove violenze fu assunto dalla Missione delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK), in concomitanza con la missione militare della NATO già autorizzata dal mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con la risoluzione 1244 del 1999.

La priorità assoluta era quella di creare garanzie nella capacità di autogoverno all’interno di un quadro democratico, per cui si evitò di affrontare subito il nodo dell’indipendenza, al fine di scongiurare la nascita di uno Stato debole destinato ad entrare rapidamente in crisi, mettendo così in grave pericolo le relazioni tra le varie etnie della regione ed il processo di lotta contro le variegate reti criminali dell’area tutta: per l’effetto il punto principale delle politiche internazionali per il Kosovo era concretizzato dalla dottrina detta dello “Standard before Satus”187 con la quale si voleva

187 Gli Standard per il Kosovo sono stati proposti dal Rappresentante del Segretario generale delle Nazioni Unite Harry Holkeri e dal Primo Ministro kosovaro Bajram Rexhepi nel dicembre 2003 con l’assenso delle istituzioni provvisorie del Kosovo di autogoverno e dell'UNMIK: successivamente sono stati approvati dal Consiglio di sicurezza dell'ONU. Come detto gli standards erano intesi come obiettivi minimi da raggiungere come precondizione dell’apertura dei colloqui sulla indipendenza del Kosovo: principalmente i temi riguardavano la necessità di dotarsi di istituzioni

123 rimandare la decisione sullo status al momento in cui si fossero raggiunti quegli standard di buon governo e di “sustainable multi-ethnicity” che avrebbero permesso di discutere con oggettività la questione.

L’intento era dunque quello di focalizzare l’attenzione sull'evoluzione di una società multiforme e multi-etnica da ottenersi attraverso la partecipazione popolare e diffusa articolata in una vasta gamma di gruppi civici e organizzazioni in modo da migliorare il tasso di fiducia e senso civico nel processo di riforma e nella legittimità del sistema politico.

Alla base di questi sviluppi, apparivano necessari cambiamenti significativi nella cultura politica del Kosovo che aveva vissuto decenni di difficile convivenza e di scontro aperto.

Era inoltre necessario evitare che il Kosovo diventasse una specie di protettorato permanente con strutture amministrative dipendenti dalle istituzioni internazionali e scarsamente legittimate all’interno, ma allo stesso tempo bisognava evitare che accelerazioni che avrebbero potuto facilmente far ricadere l’area in una situazione di conflitto e di piena instabilità188 ovvero avrebbero potuto aprire la strada a soluzioni autoritarie e a pericolose connessioni con il mondo criminale. L’intervento internazionale appariva necessario fino ad una pacificazione che avrebbe determinato un nuovo status quo.

Tuttavia, la dottrina mostrò la sua fallacia davvero subito con gli scontri del marzo 2004 che riaprirono di fatto la ferita mai del tutto sanata e che portarono la Comunità internazionale a rimeditare l’approccio al tema dello status del Kosovo.

L’inviato speciale della Nazioni Unite in Kosovo, ambasciatore Kai Eide, infatti nel suo rapporto189 sulla situazione metteva in luce come la teoria dello standard before status stava di fatto rinviando una questione da affrontare senza dilazioni posto che altrimenti la situazione sarebbe degenerato con conseguenze negative su tutte le componenti sia politiche sia etniche del Kosovo.

L’inviato concludeva suggerendo una visione più ampia della soluzione che doveva essere necessariamente rinvenuta in un complessivo processo di integrazione nella sfera europea.

Tra l’altro, il punto sollevato da ultimo e che poi nella concretezza non si realizzerà, é un aspetto che molti commentatori, tra cui D. Janjić190, rimproverano a chi ha condotto le trattative per la risoluzione dell’empasse diplomatica: infatti, secondo il citato autore, si sarebbe dovuto offrire democratiche funzionanti, garantire lo stato di diritto e libertà di movimento, ritorno dei rifugiati, tutela dell' economia, della proprietà e del patrimonio culturale, il dialogo con Belgrado.

Tali obbiettivi furono inseriti nel Kosovo Standards Implementation Plan (KSIP) in cui si descrivono le azioni concrete che devono essere prese al fine di giungere a tali obiettivi.

188

Janusz Bugajski, “Kosova: the core of the Balkans”, in Building Stability in Weak States - The Western Balkans, 4th