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Con chi avevano avuto da fare i comunisti?

L’unificazione degli Eisenachiani e dei Lassalliani era stata caratterizzata da Marx, nella sua lettera a Bracke, tra l’altro nel modo seguente: «Noi sappiamo quanto il solo fatto dell’unificazione sia gradito ai lavoratori, ma essi sono in grave errore, se credono di non aver pagato assai caro questo successo momentaneo» (v. pag. 639).

Béla Kun citava questa proposizione di Marx nella sua lettera ad Ignazio Bogár. In ogni caso è purtroppo vero, che la classe lavoratrice realmente comprò ad as-sai caro prezzo l’unificazione; egli errava solo in quanto riteneva che il fatto dell’unificazione avrebbe acconten-tato gli operai. No, mille volte no. Giacchè l’unificazio-ne era avvenuta solo sulla carta, ma l’unificazio-nella massa conti-nuò a dominare completa la diffidenza. Diffidenza, non contro la unificazione, contro la restaurazione dell’unità del movimento operaio, ma contro i dirigenti socialde-mocratici. La massa li aborriva, non aveva in loro alcu-na fiducia. Essa aveva istintivamente la sensazione che coloro, i quali con la loro politica anteriore alla rivolu-zione d’ottobre, ma specialmente dopo questa per

quat-9 La citazione si trova a pagina 7quat-9 di questa edizione digitale Manu-zio.

Con chi avevano avuto da fare i comunisti?

L’unificazione degli Eisenachiani e dei Lassalliani era stata caratterizzata da Marx, nella sua lettera a Bracke, tra l’altro nel modo seguente: «Noi sappiamo quanto il solo fatto dell’unificazione sia gradito ai lavoratori, ma essi sono in grave errore, se credono di non aver pagato assai caro questo successo momentaneo» (v. pag. 639).

Béla Kun citava questa proposizione di Marx nella sua lettera ad Ignazio Bogár. In ogni caso è purtroppo vero, che la classe lavoratrice realmente comprò ad as-sai caro prezzo l’unificazione; egli errava solo in quanto riteneva che il fatto dell’unificazione avrebbe acconten-tato gli operai. No, mille volte no. Giacchè l’unificazio-ne era avvenuta solo sulla carta, ma l’unificazio-nella massa conti-nuò a dominare completa la diffidenza. Diffidenza, non contro la unificazione, contro la restaurazione dell’unità del movimento operaio, ma contro i dirigenti socialde-mocratici. La massa li aborriva, non aveva in loro alcu-na fiducia. Essa aveva istintivamente la sensazione che coloro, i quali con la loro politica anteriore alla rivolu-zione d’ottobre, ma specialmente dopo questa per

quat-9 La citazione si trova a pagina 7quat-9 di questa edizione digitale Manu-zio.

tro mesi e mezzo avevano combattuto a morte la rivolu-zione proletaria, non avevano potuto acquistare spiriti rivoluzionarî in una notte. Ed essa non si sbagliava! Tut-tavia vi si rassegnò, vedendo che non v’era altra scelta.

La piattaforma di Béla Kun non prevedeva la fusione dei partito socialdemocratico col comunista, ma solo la restaurazione dell’unità del movimento operaio. Quando egli la scrisse, non pensava di compilare un programma di governo, ma una piattaforma – com’egli diceva –

«per la chiarificazione delle nostre proprie vedute e di quelle dei nostri benevoli avversarî», e concretamente proponeva in primo luogo una conferenza comune degli elementi rivoluzionarî per discutere la piattaforma.

Quando fu scritta la piattaforma, la scissione del par-tito era già un fatto compiuto, ma l’unità del movimento operaio non era ancor restaurata. Questo non è un giuo-co di parole, giacchè nè Béla Kun nè alcun altro nel par-tito comunista pensava, che si potesse creare l’unità del movimento operaio in certo modo mediante la fusione dei due partiti. Per un rivoluzionario un tal tipo di solu-zione era inconcepibile. Là i metodi legalitari, la via co-stituzionale e i mezzi parlamentari, qui la lotta di classe senza quartiere, metodi rivoluzionarî, la dittatura del proletariato: tra queste due direttive non esiste punto d’incontro, nessun confronto, un’unità è impossibile.

Queste due direttive non son compatibili in un’unica or-ganizzazione. Non solo le differenze di principio, ma ancor più i metodi di azione, derivanti dalle premesse teoretiche, son talmente divergenti da doversi necessa-tro mesi e mezzo avevano combattuto a morte la rivolu-zione proletaria, non avevano potuto acquistare spiriti rivoluzionarî in una notte. Ed essa non si sbagliava! Tut-tavia vi si rassegnò, vedendo che non v’era altra scelta.

La piattaforma di Béla Kun non prevedeva la fusione dei partito socialdemocratico col comunista, ma solo la restaurazione dell’unità del movimento operaio. Quando egli la scrisse, non pensava di compilare un programma di governo, ma una piattaforma – com’egli diceva –

«per la chiarificazione delle nostre proprie vedute e di quelle dei nostri benevoli avversarî», e concretamente proponeva in primo luogo una conferenza comune degli elementi rivoluzionarî per discutere la piattaforma.

Quando fu scritta la piattaforma, la scissione del par-tito era già un fatto compiuto, ma l’unità del movimento operaio non era ancor restaurata. Questo non è un giuo-co di parole, giacchè nè Béla Kun nè alcun altro nel par-tito comunista pensava, che si potesse creare l’unità del movimento operaio in certo modo mediante la fusione dei due partiti. Per un rivoluzionario un tal tipo di solu-zione era inconcepibile. Là i metodi legalitari, la via co-stituzionale e i mezzi parlamentari, qui la lotta di classe senza quartiere, metodi rivoluzionarî, la dittatura del proletariato: tra queste due direttive non esiste punto d’incontro, nessun confronto, un’unità è impossibile.

Queste due direttive non son compatibili in un’unica or-ganizzazione. Non solo le differenze di principio, ma ancor più i metodi di azione, derivanti dalle premesse teoretiche, son talmente divergenti da doversi

necessa-riamente separare gli uni dagli altri. Pure e semplici di-vergenze teoretiche non escludono che si possa collabo-rare temporaneamente in una stessa organizzazione, ma le diversità nell’azione non permettono ai rivoluzionarî tal collaborazione senza rinunziare all’azione stessa. I comunisti non potevano proporsi il còmpito di spingere a sinistra il partito socialdemocratico, operando dall’interno del partito stesso, ma al contrario dovevano staccarne gli elementi di sinistra, organizzare gli ele-menti rivoluzionarî, per poter isolare i riformisti, i parti-giani della democrazia. Non spingere i riformisti verso sinistra, ma verso destra, e costringerli a trarre tutte le conseguenze della legalità fino alla repressione armata del movimento operaio: questa è la via per la selezione degli elementi rivoluzionarî e per la loro unione in un partito rivoluzionario. Quanto più recisamente, quanto più aspramente si compie questo processo, tanto più profonda e completa è la separazione tra le due tenden-ze, tanto più rapidamente e in più gran numero gli ele-menti rivoluzionarî si separano dall’ala destra, e cresce e s’ingrossa l’ala sinistra. E così, nella lotta, insieme con l’educazione e la preparazione del proletariato alla rivo-luzione, il proletariato stesso crea l’unità del movimento proletario, separando e purificando gli elementi proletarî dagli intrusi elementi semiproletarî inclini alla pace ci-vile. Se il proletariato ha respinto da sè tali elementi, può esser capace di sfruttare le situazioni rivoluzionarie, e di partecipare alla rivoluzione internazionale.

La piattaforma era rivolta appunto a tal fine, e voleva riamente separare gli uni dagli altri. Pure e semplici di-vergenze teoretiche non escludono che si possa collabo-rare temporaneamente in una stessa organizzazione, ma le diversità nell’azione non permettono ai rivoluzionarî tal collaborazione senza rinunziare all’azione stessa. I comunisti non potevano proporsi il còmpito di spingere a sinistra il partito socialdemocratico, operando dall’interno del partito stesso, ma al contrario dovevano staccarne gli elementi di sinistra, organizzare gli ele-menti rivoluzionarî, per poter isolare i riformisti, i parti-giani della democrazia. Non spingere i riformisti verso sinistra, ma verso destra, e costringerli a trarre tutte le conseguenze della legalità fino alla repressione armata del movimento operaio: questa è la via per la selezione degli elementi rivoluzionarî e per la loro unione in un partito rivoluzionario. Quanto più recisamente, quanto più aspramente si compie questo processo, tanto più profonda e completa è la separazione tra le due tenden-ze, tanto più rapidamente e in più gran numero gli ele-menti rivoluzionarî si separano dall’ala destra, e cresce e s’ingrossa l’ala sinistra. E così, nella lotta, insieme con l’educazione e la preparazione del proletariato alla rivo-luzione, il proletariato stesso crea l’unità del movimento proletario, separando e purificando gli elementi proletarî dagli intrusi elementi semiproletarî inclini alla pace ci-vile. Se il proletariato ha respinto da sè tali elementi, può esser capace di sfruttare le situazioni rivoluzionarie, e di partecipare alla rivoluzione internazionale.

La piattaforma era rivolta appunto a tal fine, e voleva

accelerare e abbreviare questo cammino di unificazione del movimento proletario. Anche la proposta di confe-renza comune degli elementi rivoluzionarî per discutere la piattaforma doveva aver lo stesso scopo. E tuttavia non si doveva giungere a ciò! La scissione degli ele-menti rivoluzionarî dall’ala riformista, dal partito social-democratico, dopo la presentazione della piattaforma – senza che questa fosse stata neppur pubblicata e discus-sa – procedette a passi giganteschi. La direzione del par-tito socialdemocratico ne fu atterrita. La situazione per essa era questa: rimaner condottieri senza soldati! Gia-como Weltner, uno dei capi del partito socialdemocrati-co, espose così questa situazione in un articolo, pubbli-cato dopo la caduta della dittatura ungherese dei Consi-gli, il 10 agosto 1919, nella Arbeiter Zeitung di Vienna, col titolo «Come avvenne»: «L’opinione delle masse pa-ralizzò l’unità della dirigenza del partito socialdemocra-tico. Tutto contribuì a far sì che già prima del 21 marzo la situazione fosse diventata insostenibile. I lavoratori siderurgici e metallurgici, i lavoratori del libro e il gros-so dei lavoratori di molti altri sindacati, e inoltre la mag-gior parte della forza armata, avevano fatto apertamente adesione ai comunisti. Noi dunque dovevamo scegliere tra la guerra civile, l’unificazione, o il ritirarci completa-mente».

Dopocchè fu offerta ai comunisti l’accettazione del loro programma senza riserva, non poteva essere respin-ta l’unificazione. Un rifiuto sarebbe riuscito inintelligi-bile alle masse. Al massimo si sarebbe potuta respingere accelerare e abbreviare questo cammino di unificazione del movimento proletario. Anche la proposta di confe-renza comune degli elementi rivoluzionarî per discutere la piattaforma doveva aver lo stesso scopo. E tuttavia non si doveva giungere a ciò! La scissione degli ele-menti rivoluzionarî dall’ala riformista, dal partito social-democratico, dopo la presentazione della piattaforma – senza che questa fosse stata neppur pubblicata e discus-sa – procedette a passi giganteschi. La direzione del par-tito socialdemocratico ne fu atterrita. La situazione per essa era questa: rimaner condottieri senza soldati! Gia-como Weltner, uno dei capi del partito socialdemocrati-co, espose così questa situazione in un articolo, pubbli-cato dopo la caduta della dittatura ungherese dei Consi-gli, il 10 agosto 1919, nella Arbeiter Zeitung di Vienna, col titolo «Come avvenne»: «L’opinione delle masse pa-ralizzò l’unità della dirigenza del partito socialdemocra-tico. Tutto contribuì a far sì che già prima del 21 marzo la situazione fosse diventata insostenibile. I lavoratori siderurgici e metallurgici, i lavoratori del libro e il gros-so dei lavoratori di molti altri sindacati, e inoltre la mag-gior parte della forza armata, avevano fatto apertamente adesione ai comunisti. Noi dunque dovevamo scegliere tra la guerra civile, l’unificazione, o il ritirarci completa-mente».

Dopocchè fu offerta ai comunisti l’accettazione del loro programma senza riserva, non poteva essere respin-ta l’unificazione. Un rifiuto sarebbe riuscito inintelligi-bile alle masse. Al massimo si sarebbe potuta respingere

la direzione del partito socialdemocratico – cosa che sa-rebbe riuscita anche simpatica a gran parte delle masse – ma ciò avrebbe avuto assai scarso significato. Come in ogni movimento operaio, anche in quello ungherese s’era sviluppata una burocrazia di partito, che in grazia della peculiarità del movimento operaio ungherese – qui non esistevano organizzazioni di partito, e i sindacati fungevano a un tempo da organizzazioni di partito – si confondeva completamente con la burocrazia dei sinda-cati. Una soluzione adeguata sarebbe stata quella di escludere dall’unificazione, oltre alla direzione del par-tito e alla burocrazia del parpar-tito, anche la burocrazia dei sindacati. Ma ciò sarebbe stato inattuabile per ragioni tecniche. Secondo il modo di vedere ungherese, è ugual-mente impossibile conservare ancora come funzionarî dei sindacati gli esclusi dal partito. Questo sarebbe stato dovere delle masse, dei membri dei sindacati, ma prima ancora dell’unificazione. Nel momento dell’unificazio-ne era ormai troppo tardi. La burocrazia del partito e dei sindacati sentiva, sapeva che la massa voleva toglierla di mezzo. Ma ciò essi non volevano, ciò vollero appunto prevenire, e a tale scopo sfruttarono il momento psicolo-gico creato dalla nota presentata a nome dell’Intesa dal tenente colonnello Vix. Come dice Weltner, essi doveva-no scegliere tra l’unificazione e la completa ritirata (pro-babilmente anzi la completa cacciata). Ed essi scelsero l’unificazione, appunto perchè non volevano tirarsi in disparte, appunto perchè questo volevano evitare.

La crisi di Governo provocata dalla nota del tenente la direzione del partito socialdemocratico – cosa che sa-rebbe riuscita anche simpatica a gran parte delle masse – ma ciò avrebbe avuto assai scarso significato. Come in ogni movimento operaio, anche in quello ungherese s’era sviluppata una burocrazia di partito, che in grazia della peculiarità del movimento operaio ungherese – qui non esistevano organizzazioni di partito, e i sindacati fungevano a un tempo da organizzazioni di partito – si confondeva completamente con la burocrazia dei sinda-cati. Una soluzione adeguata sarebbe stata quella di escludere dall’unificazione, oltre alla direzione del par-tito e alla burocrazia del parpar-tito, anche la burocrazia dei sindacati. Ma ciò sarebbe stato inattuabile per ragioni tecniche. Secondo il modo di vedere ungherese, è ugual-mente impossibile conservare ancora come funzionarî dei sindacati gli esclusi dal partito. Questo sarebbe stato dovere delle masse, dei membri dei sindacati, ma prima ancora dell’unificazione. Nel momento dell’unificazio-ne era ormai troppo tardi. La burocrazia del partito e dei sindacati sentiva, sapeva che la massa voleva toglierla di mezzo. Ma ciò essi non volevano, ciò vollero appunto prevenire, e a tale scopo sfruttarono il momento psicolo-gico creato dalla nota presentata a nome dell’Intesa dal tenente colonnello Vix. Come dice Weltner, essi doveva-no scegliere tra l’unificazione e la completa ritirata (pro-babilmente anzi la completa cacciata). Ed essi scelsero l’unificazione, appunto perchè non volevano tirarsi in disparte, appunto perchè questo volevano evitare.

La crisi di Governo provocata dalla nota del tenente

colonnello Vix e la proposta, fatta dal presidente Káro-lyi con l’approvazione dei partiti borghesi, che il partito socialdemocratico dovesse assumere l’incarico di gover-nare, gli procurò l’atmosfera opportuna per potersi cava-re di impiccio. Per loro, rivoluzione o pace civile eran cose secondarie, ciò che importava era solo poter rima-nere alla testa del movimento operaio. Giustamente – disse Buchinger10 – «Il passo di fondersi coi comunisti sulla base del loro programma integrale fu intrapreso senza la minima convinzione».

Tuttavia non v’era da scegliere. Rifiutare avrebbe vo-luto dire rinunziare alla dittatura del proletariato, alla as-sunzione del potere da parte del proletariato. Ma non si poteva scherzare con la massa, che aveva preso molto sul serio la rivoluzione e la dittatura del proletariato.

Però accanto a questo lato oscuro della instaurazione della dittatura del proletariato v’erano anche condizioni favorevoli. L’Esercito Rosso della Russia stava sulla li-nea Tarnopol-Kamenecz Podolsk, cioè ad una distanza di circa 200 chilometri dai confini ungheresi. Erano molto favorevoli le possibilità di un congiungimento coi Russi, della creazione di un fronte bolscevico unitario.

La rivoluzione proletaria prometteva allora di sviluppar-si rapidamente. Le continue lotte degli Spartachiani in Germania e il vivo movimento comunista in Ceco-Slo-vacchia e nell’Austria tedesca permettevano di sperare che le truppe proletarie d’altri paesi sarebbero presto

ve-10 EMANUELE BUCHINGER (Budapest), Il terribile esempio ungherese, nell’Arbeiter Zeitung di Vienna del 18 agosto 1919. (Nota d. A.).

colonnello Vix e la proposta, fatta dal presidente Káro-lyi con l’approvazione dei partiti borghesi, che il partito socialdemocratico dovesse assumere l’incarico di gover-nare, gli procurò l’atmosfera opportuna per potersi cava-re di impiccio. Per loro, rivoluzione o pace civile eran cose secondarie, ciò che importava era solo poter rima-nere alla testa del movimento operaio. Giustamente – disse Buchinger10 – «Il passo di fondersi coi comunisti sulla base del loro programma integrale fu intrapreso senza la minima convinzione».

Tuttavia non v’era da scegliere. Rifiutare avrebbe vo-luto dire rinunziare alla dittatura del proletariato, alla as-sunzione del potere da parte del proletariato. Ma non si poteva scherzare con la massa, che aveva preso molto sul serio la rivoluzione e la dittatura del proletariato.

Però accanto a questo lato oscuro della instaurazione della dittatura del proletariato v’erano anche condizioni favorevoli. L’Esercito Rosso della Russia stava sulla li-nea Tarnopol-Kamenecz Podolsk, cioè ad una distanza di circa 200 chilometri dai confini ungheresi. Erano molto favorevoli le possibilità di un congiungimento coi Russi, della creazione di un fronte bolscevico unitario.

La rivoluzione proletaria prometteva allora di sviluppar-si rapidamente. Le continue lotte degli Spartachiani in Germania e il vivo movimento comunista in Ceco-Slo-vacchia e nell’Austria tedesca permettevano di sperare che le truppe proletarie d’altri paesi sarebbero presto

ve-10 EMANUELE BUCHINGER (Budapest), Il terribile esempio ungherese, nell’Arbeiter Zeitung di Vienna del 18 agosto 1919. (Nota d. A.).

nute in aiuto del proletariato ungherese. Data questa si-tuazione, le circostanze sfavorevoli dovevan passare in seconda linea. Nella lettera a Ignazio Bogár diceva Béla Kun: «Chi attuerà in Ungheria la dittatura del proletaria-to? Questa questione, tanto agitata da alcuni, è per me in certo modo di second’ordine. Io credo che in nessun caso ciò dipenda da persone, ma sia affare delle masse stesse del proletariato; e saranno alla testa coloro che sa-ranno posti alla testa dalla loro convinzione e, aggiungo, dal loro coraggio. Io posso qui, dal carcere, dire tran-quillamente, che a me non importa d’esser tra i primi nella divisione, ma vorrei soltanto trovarmi nella prima linea avanzata del proletariato combattente in Ungheria, come ho già fatto in Russia. La azione, il fatto è la prova del fuoco del rivoluzionario».

Davanti agli occhi dei comunisti si librava la causa della rivoluzione, la causa della rivoluzione mondiale.

Al proletariato ungherese si offriva l’opportunità di af-ferrarla, e quindi di promuovere e ravvivare la rivolu-zione mondiale; era suo dovere rivoluzionario quello di rafforzare il proletariato degli altri paesi nella sua rivo-luzione, di svegliarlo, di incitarlo. Che a un tempo si in-trufolassero nella direzione del moto anche coloro dai quali l’intiera massa si era proprio allora staccata, non può essere per una rivoluzione la sola circostanza deci-siva, sebbene però non secondaria. Se a qualcuno im-porta soltanto, «di essere tra i primi nella divisione, sen-za esser messo alla testa del proletariato combattente dalla sua convinzione e dal suo coraggio», costui prima nute in aiuto del proletariato ungherese. Data questa si-tuazione, le circostanze sfavorevoli dovevan passare in seconda linea. Nella lettera a Ignazio Bogár diceva Béla Kun: «Chi attuerà in Ungheria la dittatura del proletaria-to? Questa questione, tanto agitata da alcuni, è per me in certo modo di second’ordine. Io credo che in nessun caso ciò dipenda da persone, ma sia affare delle masse stesse del proletariato; e saranno alla testa coloro che sa-ranno posti alla testa dalla loro convinzione e, aggiungo, dal loro coraggio. Io posso qui, dal carcere, dire tran-quillamente, che a me non importa d’esser tra i primi nella divisione, ma vorrei soltanto trovarmi nella prima

Al proletariato ungherese si offriva l’opportunità di af-ferrarla, e quindi di promuovere e ravvivare la rivolu-zione mondiale; era suo dovere rivoluzionario quello di rafforzare il proletariato degli altri paesi nella sua rivo-luzione, di svegliarlo, di incitarlo. Che a un tempo si in-trufolassero nella direzione del moto anche coloro dai quali l’intiera massa si era proprio allora staccata, non può essere per una rivoluzione la sola circostanza deci-siva, sebbene però non secondaria. Se a qualcuno im-porta soltanto, «di essere tra i primi nella divisione, sen-za esser messo alla testa del proletariato combattente dalla sua convinzione e dal suo coraggio», costui prima nute in aiuto del proletariato ungherese. Data questa si-tuazione, le circostanze sfavorevoli dovevan passare in seconda linea. Nella lettera a Ignazio Bogár diceva Béla Kun: «Chi attuerà in Ungheria la dittatura del proletaria-to? Questa questione, tanto agitata da alcuni, è per me in certo modo di second’ordine. Io credo che in nessun caso ciò dipenda da persone, ma sia affare delle masse stesse del proletariato; e saranno alla testa coloro che sa-ranno posti alla testa dalla loro convinzione e, aggiungo, dal loro coraggio. Io posso qui, dal carcere, dire tran-quillamente, che a me non importa d’esser tra i primi nella divisione, ma vorrei soltanto trovarmi nella prima