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Le concessioni di lavori, di servizi e le altre esperienze partenariali nel quadro giuridico dei contratti pubblici.

2.1. La concessione di lavori tra passato, presente e futuro nel contesto giuridico italiano.

I rapporti tra la pubblica autorità e i soggetti privati fin dai tempi dell’età postunitaria venivano instaurati non soltanto mediante i rapporti giuridici di tipo contrattuale bensì, come ricordato nel capitolo precedente, attraverso provvedimenti amministrativi anche di tipo concessorio. L’istituto della concessione amministrativa è così assurta ben presto ad oggetto specifico di riflessione, unitamente all’autorizzazione, da parte della scienza giuspubblicistica254, impegnata nell’elaborazione di un teoria generale dell’atto

amministrativo. Tali elaborazioni dottrinali si inserivano all’interno di un contesto storico-culturale dominato dal modello giuridico di Stato liberale, e pertanto facevano leva sull’azione di un potere pubblico, che attraverso un proprio provvedimento determinava un effetto in senso estensivo, in capo al soggetto destinatario del medesimo, delle prerogative, ovvero della sfera giuridica soggettiva. In quest’ottica mentre l’autorizzazione si poneva quale provvedimento che rimuoveva un limite giuridico all’esercizio di un diritto, rientrante nel novero delle possibilità di accesso da parte del soggetto destinatario privato ab origine, la concessione veniva a porsi quale provvedimento che trasferiva o costituiva ex

novo un diritto o una facoltà in capo al soggetto destinatario privato, che

quest’ultimo non aveva nel novero delle possibilità di accesso, in quanto rappresentava una prerogativa di cui era titolare in via esclusiva lo Stato. In verità l’opera di riqualificazione in senso pubblicistico della concessione, ma più in generale delle relazioni tra potere pubblico e soggetti privati è un portato degli ultimi decenni del XIX secolo perché fino a quel periodo tale relazione era improntata ad un modello contrattuale, retto dalle norme del diritto privato255. La

254 O. Ranelletti, Teoria generale delle autorizzazioni e concessioni amministrative, pt. I, cit.

255 Si vedano M. D’Alberti, Le concessioni amministrative, cit., 3 ss. secondo cui nel periodo

immediatamente postunitario «(…) fino agli anni ottanta, in dottrina le qualificazioni dei rapporti amministrativi compaiono quasi esclusivamente negli scritti originati dall’opera delle corti o

svolta pubblicistica cominciava dunque ad affermarsi negli anni ’80 e ’90 del XIX secolo in Italia. Si trattava di un passaggio perlopiù graduale, che potrebbe definirsi in termini convenzionali come progressiva “pubblicizzazione dei rapporti amministrativi”256. Nella dottrina e nella giurisprudenza in tale periodo storico

iniziava così ad affermarsi un diritto di derivazione pubblica atto a regolare i rapporti tra l’amministrazione pubblica ed i cittadini, ovvero il diritto amministrativo. Tale svolta è stata compendiata sapientemente dall’elaborazione dottrinale di Ranelletti che affermava appunto la preponderanza del momento pubblico nell’istituto della concessione, in ossequio ad un’idea di Stato che fondava le relazioni giuridiche con la società esclusivamente sull’unilateralità e sull’imperatività. Tra le diverse angolature dalle quali si vuole approcciare l’analisi della concessione, ciò che rileva in modo significativo non è appena il momento pubblico, bensì il momento privato, ovvero il tema dell’intervento della volontà del soggetto privato nell’ambito della definizione del provvedimento amministrativo. Nell’impostazione sostenuta da Ranelletti l’atto di concessione si configurava esaurendosi soltanto nel provvedimento amministrativo, funzionalizzato alla cura di pubblici interessi emanato da un soggetto dotato di autoritatività e in via unilaterale, confinando il ruolo del soggetto privato ad un duplice riconoscimento: da un lato quello dell’atto di concessione e dall’altro quello di una dichiarazione di volontà rilasciata da tale soggetto, ovvero il concessionario, avente natura privatistica. Tale approccio giuridico d’inquadramento, aveva subito storicamente plurime rivisitazioni, scostamenti, e accesi dibattiti in sede sia dottrinale sia giurisprudenziale, anche a causa dell’attenzione crescente, che nel tempo aveva guadagnato il tema del contratto di diritto pubblico, del quale, tuttavia, non è possibile dare conto esaustivamente in questa sede di trattazione, se non segnalando che anche in Italia agli albori del XIX secolo, veniva avanzata una proposta incentrata anch’essa sul duplice momento pubblicistico e privatistico e declinata nel settore delle concessioni, collegati con essa (…). Nell’opera dei giudici in materia di rapporti amministrativi hanno ampia diffusione, fino agli anni ottanta, le qualificazione privatistiche e contrattualistiche. (…) Le qualificazioni giuridiche concernenti le «concessioni amministrative» seguono le regole generali del tempo: la giurisprudenza configura le concessioni come atti aventi natura contrattuale»; Id., voce Concessioni amministrative, cit., 1 ss. per il quale soltanto alla fine del XIX secolo si andava affermando un modello di relazione pubblicistico del rapporto pubblico-privato con conseguenti ripercussioni sul piano ricostruttivo nell’inquadramento dell’istituto concessorio. Si veda, infine anche B. Mameli, voce Concessioni amministrative, cit., 111 ss. In dottrina per l’impostazione originaria in chiave privatistica si veda A. Bonomi, Contratti amministrativi, in Dig. It., Torino, 1898-1900, VIII, 422 ss; G. Giorgi, La dottrina delle persone giuridiche, Firenze, 1890.

proprio in un ottica di favor alla teoria del contratto di diritto pubblico. Secondo tale tesi dottrinale sostenuta in particolare da Ugo Forti257, la categoria concettuale

del contratto di diritto pubblico deve applicarsi a taluni tipi di concessioni amministrative. Successivamente quest’ultima categoria veniva ripresa da Aldo M. Sandulli258 nella propria elaborazione teorica e dottrinale che affermava

l’esistenza di contratti di diritto pubblico, tra quelli conclusi dall’amministrazione pubblica, soggetti alle norme del diritto privato. Infatti, i rapporti dedotti nel rapporto concessorio sarebbero disciplinati dal un lato attraverso il contratto, mediante il quale l’amministrazione pubblica assume l’obbligo verso la controparte privata vincolando la propria volontà discrezionale e dall’altro mediante il provvedimento che rappresenta il momento esecutivo del contratto di diritto pubblico259. La natura di derivazione pubblicistica del contratto trae

fondamento dall’origine delle obbligazioni assunte dalla parte pubblica e da quella privata, che nel caso della concessioni constano per la prima nell’esercizio di potere pubblico e per la seconda nella gestione di un servizio. Quest’ultima tesi, tuttavia, che comunque qualificava la concessione quale atto sostanzialmente unilaterale, non aveva riscontrato successo sia in dottrina260, ma soprattutto in

257 U. Forti, Natura giuridica delle concessioni amministrative, in Giur. it., 1900, IV, 369 ss., poi in

Id., Studi di diritto pubblico, Roma, 1937, I, 360 ss; M.S. Giannini, Lezioni di diritto

amministrativo, Milano, 1950, 350; P. Virga, Contratto di diritto pubblico (teoria generale), in Enc. dir., Milano, 1961, 979 ss.; M. Ramajoli, Concessioni di pubblico servizio e diritto comunitario, in Dir. amm., 1993, 563; G. Pericu, Il rapporto di concessione di pubblico servizio,

in G. Pericu, A. Romano, V. Spagnuolo Vigorita (a cura di), La concessione di pubblico servizio, Milano, 1995, 104.

258 A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1984, 585.

259 Cosi M. D’Alberti, Le concessioni amministrative, cit., 135 ss. che sottolinea come «(…) la

soluzione fortiana del contratto di diritto pubblico è frutto di un compromesso con la tradizione dottrinale, indubbiamente anche nel suo ambito si rinvengono elementi d’innovazione sostanziale. Assai significativa la distinzione in due fasi del rapporto cui da luogo il contratto di diritto pubblico: la prima di conclusione, che è tipicamente contrattuale e riguarda esclusivamente le parti; la seconda di esecuzione che presenta profili imperativi e unilaterali, e tocca sia le parti sia i terzi. Nelle «concessioni di pubblico servizio» il concessionario e l’amministrazione concludono un contratto un contratto col quale si obbligano, rispettivamente, il concessionario a svolgere un servizio pubblico e l’amministrazione ad emanare gli atti necessari a che quel servizio possa essere impiantato ed esercitato. Quando la pubblica amministrazione emana tali atti (…) allora si hanno altrettanti veri e propri atti d’impero, che sono in sostanza l’esecuzione del contratto e rilevano per le parti e per i terzi».

260 Si vedano E. Silvestri, voce Concessione amministrativa, in Enc. dir., vol. VIII, Milano, 1961

374 ss; F. Gullo, Provvedimento e contratto nelle concessioni amministrative, Padova, 1965; M. D’Alberti, Le concessioni amministrative, cit., 306 ss; Per un orientamento che unificava i momenti del provvedimento e della convenzione, in cui il profilo di quest’ultima converge all’interno di un provvedimento determinato però convenzionalmente tra le parti si vedano F. Roversi Monaco, Apertura dei lavori del convegno, in Id., (a cura di), Le concessioni di servizi, Atti della giornata di studio organizzata dall’Università di Bologna, Scuola di Specializzazione in Studi sull’Amministrazione Pubblica, in collaborazione con ANIG, Roma, 3 dicembre 1987, Rimini, 1987; A. Pioggia, La concessione di pubblico servizio come provvedimento a contenuto

giurisprudenza261, impegnata nella risoluzione di controversie che assumevano

rilevanza non appena sul piano giuridico bensì anche su quello economico, e che sul tema dei beni pubblici iniziava ad abbandonare questa impostazione per accostarsi al modello della concessione-contratto. Con ciò affermando che il procedimento che conduce all’adozione della concessione è formato da due momenti distinti, uno pubblicistico consistente in un atto di sovranità ad opera dell’amministrazione pubblica ed uno privatistico-contrattuale atto a disciplinare gli aspetti di carattere patrimoniale. Anche sul piano dottrinale, si giungeva ormai all’abbandono della teoria dogmatica elaborata in maniera autorevole da Ranelletti, trovando maggiore rispondenza negli orientamenti emersi in sede giurisprudenziale, elaborando così a sua volta una dogmatica relativa agli atti negoziali dell’amministrazione pubblica e del rapporto tra l’atto amministrativo ed il contratto, fondata sulla categoria della concessione-contratto formata da un atto amministrativo unilaterale dotato d’imperatività ed un atto di natura negoziale, un contratto stipulato tra la pubblica amministrazione ed il soggetto privato concessionario. La dottrina aveva negato per parte sua la presenza di un provvedimento amministrativo all’interno del negozio in materia di concessione di beni e servizi pubblici, valorizzando il momento della contrattazione tra l’amministrazione pubblica ed il soggetto privato e riconducendo così le concessioni alla sfera eminentemente contrattuale262. Facendo riferimento ad un

esplicito richiamo di fonte pattizia nell’ambito delle scelte di carattere amministrativo, una parte della dottrina presentava la categoria delle convenzioni 586 ss; Per altri orientamenti che si oppongono ad un’ipotesi ricostruttiva della concessione, in termini provvedimentali e autoritativi si vedano R. Cavallo Perin, La struttura della concessione di

servizio pubblico locale, Torino, 1998, 92 ss; G. Greco, Le concessioni di pubblici servizi tra provvedimento e contratto, in Dir. amm., 1999, 381 ss; Id., Accordi amministrativi tra provvedimento e contratto, Torino, 2003, 9 ss;

261 Cfr. Cass. 12 gennaio 1910, in Riv. dir. comm., 1910, 248. La Suprema Corte, pronunciandosi in

ordine ad una controversia relativa alla concessione di un’area demaniale marittima per uso industriale, in cui il soggetto concessionario aveva violato i limiti di costruzione fissati dalla concessione, sosteneva che nella concessione coesistono due negozi giuridici che pur essendo distinti sono congiunti. Il negozio unilaterale si realizzava con il negozio consensuale, il contratto, ma in alcuni casi quest’ultimo poteva anche mancare. Il consenso del soggetto concessionario rappresentava la condizione che consente al provvedimento amministrativo unilaterale di perseguire il proprio scopo. Nell’atto consensuale risiede invece l’accordo tra le parti in ordine al regolamento circa le modalità di attuazione e di svolgimento della concessione. La sentenza della Suprema Corte non attua ancora una completa cesura esplicita con l’impostazione pubblicistica perché il negozio giuridico concessorio mantiene ancora un profilo di diritto pubblico. Per l’esame di tale giurisprudenza e per una ricostruzione esaustiva sul tema si veda anche M. D’Alberti, Le

concessioni amministrative, cit., 187 ss.

262 Si veda M. D’Alberti, Le concessioni amministrative, cit., 301 che asserisce come «(…) sul

piano dogmatico, può sostenersi che in tutti i casi elencati è il contratto che costituisce e regola il rapporto concessorio; non esiste giuridicamente un provvedimento unilaterale di concessione;».

pubblicistiche263, una terza via tra il modello provvedimentale e quello contrattuale.

In dottrina si valorizzava il profilo organizzativo della concessione, avente quale oggetto il conferimento di un ufficio elaborando la categoria del contratto ad oggetto pubblico, sotto forma di convenzioni sostitutive264. Altra parte della

dottrina, invece, aveva sostenuto l’identificazione tra l’istituto della concessione e l’atto amministrativo, negando tuttavia che lo stesso fosse dotato del carattere della tipicità e rilevando che la concessione potesse divenire oggetto di contratto, anche se l’atto permaneva sotto l’egida del diritto amministrativo265. Riprendendo

la nozione di concessione amministrativa, essa trova, infatti, duplice declinazione nella sua accezione traslativa e costitutiva. Nel primo caso il diritto o la facoltà sorgevano ab origine in capo al soggetto concedente e mediante la concessione si verifica il trasferimento dei medesimi in capo al soggetto concessionario, mentre nel secondo caso i diritti o le facoltà tramite la concessione vengono ex novo create in capo al concessionario. E’ corretto pertanto affermare che dal momento che ogni provvedimento amministrativo, è dotato intrinsecamente di un effetto innovativo nel contesto dell’ordinamento in cui viene ad esistenza e quindi i provvedimenti determinano una modificazione dell’assetto dei rapporti giuridici tra i soggetti dell’ordinamento medesimo, allora anche le concessioni siano esse traslative o costitutive mantengono un effetto di tipo accrescitivo. Ciò presupponendo che, l’effetto accrescitivo attenga alla tipologia degli effetti giuridici lato sensu che è in grado di produrre il potere amministrativo e non alle innovazioni all’interno dell’ordinamento che riguardano ciascuna fattispecie provvedimentale266. In ogni caso un tratto unificante delle concessioni risiede nella

capacità di accrescimento della sfera soggettiva dei soggetti destinatari di detti provvedimenti ai quali viene riconosciuta una situazione di privilegio267. Le

concessioni pertengono alla sfera pubblicistica declinando i propri effetti in materi di beni pubblici, lavori pubblici, servizi pubblici, denaro pubblico e altri settori sottratti alle norme di diritto comune per quanto riguarda le norme di circolazione e quindi indisponibili mediante atti di volontà negoziale. La concessione di lavori, per lungo tempo, è stata oggetto in dottrina ed in giurisprudenza di interpretazione

263 Si veda tra tutti G. Falcon, Le convenzioni pubblicistiche, Milano, 1984.

264 Si veda tra tutti M.S. Giannini, Diritto pubblico dell’economia, cit.

265 Cfr. D. Sorace, C. Marzuoli, voce Concessioni amministrative, in D. disc. pubbl., vol. III, 1989,

292.

alla stregua di un istituto traslativo di pubblici poteri, ovvero quale provvedimento amministrativo attraverso cui l’amministrazione pubblica poteva trasferire a soggetti privati un proprio diritto, o una propria facoltà, un proprio potere, o ancora costituire a favore di altri un proprio diritto, una propria facoltà, un proprio potere che in tale modo subivano una limitazione per l’amministrazione medesima268.

Nell’ordinamento interno, attraverso la l. 24 giugno 1929, n. 1137 la concessione di lavori pubblici veniva codificata nella sua duplice accezione, quella di sola costruzione269 e quella di costruzione e gestione, ma in realtà già

nella legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F (legge sui lavori pubblici) erano presenti norme in materia sia pure circoscritte alla concessione di costruzione ed esercizio nel settore del trasporto ferroviario. La prima individuava il provvedimento amministrativo mediante il quale l’amministrazione pubblica affidava ad un operatore economico privato il compito di costruzione di un’opera pubblica, entro un termine stabilito e verso un corrispettivo pattuito. La seconda, concerneva il provvedimento con cui la pubblica amministrazione, non solo affidava ad un soggetto privato il compito di costruzione dell’opera pubblica, bensì anche il compito di gestire quest’ultima per un determinato periodo di tempo al termine del quale l’opera diventava di proprietà dell’amministrazione medesima. La concessione di sola costruzione, che storicamente ha avuto vita breve nell’ordinamento interno, per via della difficoltà all’inquadramento rispetto all’appalto di opere pubbliche, reso possibile grazie alla distinzione operata dal Consiglio di Stato in sede consultiva270 poi abbandonato dallo stesso in sede

267 Si veda A. Romano, I soggetti e le situazioni giuridiche soggettive nel diritto amministrativo, in

L. Mazzarolli, G. Pericu, A. Romano, F.A. Roversi Monaco e F.G. Scoca (a cura di), Diritto

amministrativo, vol. I, Bologna, 2005, 204.

268 Sull’evoluzione della nozione di concessione di lavori pubblici nell’ordinamento italiano si

vedano tra gli altri F. Pellizer, Le concessioni di opera pubblica, Padova, 1990; R. Gallo,

Caratteristiche delle concessioni di lavori pubblici, in AA.VV. Il codice dei contratti pubblici, commento al d. l. 12 aprile 2006, n. 163 Napoli, 2007, 522 ss; C. Corsi, Le concessioni di lavori e di servizi, in M. P. Chiti (a cura di) Il partenariato pubblico privato. Concessioni. Finanza di progetto. Società miste. Fondazioni, Napoli, 2009; A. Bargone, P. S. Richter, Manuale del diritto del lavori pubblici. La riforma e i procedimento di attuazione, Milano, 2001; R. Caranta, Concessione di opere e di servizi, in Enc. dir., agg. V, 2001, 240 ss.

269 Si veda in tema F. Pellizer, Le concessioni di sola costruzione tra pubblico e privato, in Foro

amm., 1985, 1533 ss; G. Falzea, La concessione e le concessioni di sola costruzione di opere pubbliche, in Dir. econ., 1989, 501 ss; E. Casetta, Pubblico e privato nelle concessioni e nei contratti della pubblica amministrazione, in ivi., 1992, 275 ss.

270 Cfr. Cons. St., sez. III, 30 novembre 1982, n. 703, in Arch. Giur. op. pubbl., 1984, 1129 ss. che

interveniva per distinguere la nozione di concessione di solo costruzione e quella di costruzione e gestione, separando le rispettive discipline giuridiche.

giurisdizionale271, veniva attraverso la l. 8 agosto 1977, n. 584 equiparata quanto a

regime giuridico, in particolare a livello procedimentale, alla disciplina vigente in materia di appalto. L’influenza del diritto europeo è stata evidente in particolare nell’impulso diretto ad assoggettare progressivamente alla norme in materia di concorrenza, le concessioni di lavori per assicurare il rispetto della libertà di stabilimento e di libertà di circolazione dei servizi di cui rispettivamente agli artt. 49 e 56 del Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).

Se, infatti, l’art. 3 della direttiva 71/305/CEE c.d. prima direttiva lavori, recepita con la l. 8 agosto 1977, n. 584 escludeva espressamente dall’applicazione delle disposizioni comunitarie i contratti di concessione, la direttiva 89/440/CEE del 18 luglio 1989 c.d. seconda direttiva lavori prendeva in considerazione le concessioni di lavori pubblici, applicando ad esse determinate norme in materia di pubblicità chiarendo la nozione di contratto di appalto riformulata al fine di ricomprendere anche il riferimento all’esecuzione con ogni mezzo di un opera che rispondesse alle esigenze dell’amministrazione aggiudicatrice e quindi annoverando anche le concessioni di sola costruzione all’interno della nozione medesima. Per trovare esplicita menzione e definizione in ambito europeo però, la concessione di lavori pubblici ha dovuto attendere l’emanazione della direttiva 93/37/CE in materia di coordinamento delle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture. Detta direttiva all’art 1 lett d) definisce la concessione come un contratto che presenta le stesse caratteristiche dell’appalto di lavori pubblici, «(…) ad eccezione del fatto che la controprestazione dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo». Le direttive 93/37/CE e 93/38/CE sono state recepite dal legislatore nella l. 11 febbraio 1994, n. 109 legge quadro in materia di lavori pubblici, c.d. Legge Merloni che rappresentava un primo compiuto tentativo di disciplina organica della materia concernente le concessioni di lavori pubblici. La direttiva 2004/18/CE in materia di appalti pubblici, servizi e forniture riproduceva di fatto all’art. 1 comma 3 la definizione di concessione di lavori in precedenza fornita dalla legge quadro sui lavori pubblici specificando che l’elemento contrattuale che differenzia il contratto di concessione di lavori dall’appalto consiste nel fatto che «(…) il corrispettivo dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un

prezzo». Da ultimo, attraverso, la direttiva 2014/23/UE per la prima volta si fornisce una disciplina a livello giuridico per le concessione, in modo autonomo e distinto rispetto alla materia degli appalti, prospettando all’art. 5 una nozione di concessione, in una cornice decisamente rinnovata in sede europea e maggiormente dinamica rispetto a quelle più statiche conosciute dal diritto nazionale di matrice tradizionale costitutive o traslative. Il genus della concessione che emerge dalla direttiva 23 è identificato dal concetto di rischio operativo, che nel diritto interno trova quali species corrispettive i contratti di PPP e quelli di concessione, a seconda della tipologia di rischio che viene assunto dal soggetto privato.

Il legislatore italiano aveva disciplinato in modo più restrittivo la concessione di costruzione e gestione rispetto a quanto richiesto dal diritto europeo ricomprendendo, di fatto, la disciplina di quest’ultima all’interno della normativa concernente gli appalti. In un primo tempo, infatti, il legislatore medesimo, nel recepimento della direttiva 89/440/CEE che poi veniva trasposta nella direttiva 93/37/CE, non si era limitato a riprodurre la nozione di concessione di lavori, ma

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