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3.1. La Pubblica amministrazione tra capacità di diritto privato mediante moduli societari e principio di funzionalizzazione dell’attività amministrativa.

Il riconoscimento della piena e legittima capacità di diritto privato delle amministrazioni pubbliche operato prima dalla giurisprudenza450 e poi consacrato

dal legislatore all’art. 1 comma 1-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241 (introdotto dalla novella del 2005451), non esclude l’esistenza di limiti presenti all’estensione di

tale autonomia in termini negoziali, i quali sono emanazione in senso lato del principio di funzionalizzazione452 elemento indefettibile ed immanente all’attività

amministrativa. Tali limiti sono stati talvolta prospettati dalla giurisprudenza amministrativa, valorizzando un profilo di specialità che strutturalmente

450 Cons. St., sez. V, 14 dicembre 1988, n. 818 che ha evidenziato con riferimento alla costituzione

di una società per azioni a partecipazione comunale deputata al servizio di trasporto pubblico come «la capacità negoziale dei Comuni ha carattere generale e può essere circoscritta o esclusa solo in forza di specifiche disposizioni e non anche per quelle attività di competenza comunale per le quali la legge indica i relativi sistemi di gestione». Al fine peraltro di legittimare tale capacità anche con riguardo al ricorso di contratti atipici la giurisprudenza del Cons. St., sez. VI, 4 dicembre 2001, n. 6073 ha confermato l’esclusione in astratto «di una limitazione di carattere generale all’autonomia contrattuale dell’amministrazione» confermata dal «sempre maggiore utilizzo di strumenti privatistici al fine della realizzazione di bisogni generali di rilievo pubblicistico». In tale senso si veda anche Cons. St., Ad. plen., 18 giugno 2002, n. 6.

451 Cfr. l. 11 febbraio 2005, n. 15, che ha introdotto il nuovo comma 1-bis all’art. 1 introducendo il

principio generale secondo cui l’amministrazione pubblica agisce secondo il diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente, nell’adozione di atti di natura non autoritativa. Come emerge anche dal dibattito parlamentare (Cfr. la relazione presentata dalla I Commissione della Camera dei Deputati una volta concluso l’esame in sede referente A.C. 3890-A), questa opzione mira al superamento del dogma che storicamente attribuiva all’amministrazione il dovere di agire esclusivamente mediante poteri autoritativi e atti unilaterali; in tal senso, la norma si inquadra nelle moderne tendenze finalizzate a preferire un modello paritario e non gerarchico nei rapporti tra i cittadini e le amministrazioni. La disposizione è stata più volte riformulata nel corso dell’esame parlamentare, oscillando tra la mera possibilità che l’amministrazione utilizzi, per il perseguimento dei propri fini istituzionali di cura dell’interesse pubblico, gli strumenti del diritto pubblico o quelli del diritto privato, e un più esplicito favor verso il ricorso in via generale agli strumenti del diritto privato. La formulazione finale, pur chiarendo che resta escluso il ricorso alle norme del diritto privato per gli atti di natura autoritativa e per quelli per i quali la legge stabilisce diversamente, opta in favore dell’utilizzo di tali norme in tutti gli altri casi.

452 Si veda tra tutti F. Benvenuti, Appunti di diritto amministrativo. Parte Generale, Padova, 1996;

M. Dugato, Atipicità e funzionalizzazione nell’attività amministrativa per contratti, cit.,;E. Bruti Liberati, Consenso e funzione nei contratti di diritto privato, Milano, 1996; S. Civitarese, S.

caratterizzerebbe la capacità negoziale delle pubbliche amministrazioni in relazione a quella riconosciuta ai soggetti privati453. In ogni caso, la giurisprudenza

di legittimità ha continuato a richiamare nelle propri pronunce che, tanto i soggetti pubblici, quanto i soggetti privati detengono la medesima capacità giuridica e dunque «la p.a. può porre in essere contratti di diritto privato in assenza di specifici divieti»454. A conferma di ciò, si possono riscontrare taluni orientamenti

giurisprudenziali che, a contrario tenderebbero a stabilire limitazioni alla capacità di diritto pubblico dei soggetti pubblici in taluni materie.455 Il tema dell’estensione

della capacità giuridica in termini di autonomia negoziale ha riguardato non tanto e non solo l’ambito dei contratti tipici456, bensì anche quello dei contratti

innominati, misti457 ed atipici. Questi ultimi, in particolare, secondo autorevole

dottrina, troverebbero nella funzionalizzazione dell’attività negoziale pubblica il proprio presupposto logico, segnalando la sussistenza di un nesso inscindibile tra vaglio circa la meritevolezza degli interessi perseguiti mediante lo strumento contrattuale ed il principio di funzionalizzazione dell’attività amministrativa458. La

Matteucci, Contributo allo studio del principio contrattuale nell’attività amministrativa, Torino, 1997.

453 Cons. St., sez. V, 13 novembre 2002, n. 6281, per il quale «al di fuori dei limiti seganti dalle

norme dell’ordinamento di settore che fissano le regole che le amministrazioni devono seguire nel contratto non vi è (…) capacità di agire di diritto privato, che possa essere utilmente esercitata dall’amministrazione». In altre pronunce quali ad esempio Cons. St., sez. v, 1 marzo 2010, n. 1156 è stato affermato che la capacità di diritto privato per i soggetti pubblici «sussiste solo quando sia esercitata conformemente alle procedure definite dal legislatore per il perseguimento di finalità di pubblico interesse». Infine anche la Cass., civ., Sez. Un., 16 aprile 2009, n. 8987 ha messo in luce che «benché la p.a., nel suo operare negoziale, si trovi su un piano paritetico a quello dei privati, ciò non significa che vi sia una piena ed assoluta equiparazione della sua posizione a quella del privato, poiché l’Amministrazione è comunque portatrice di un interesse pubblico cui il suo agire deve in ogni caso ispirarsi».

454 Così Cass., civ., Sez. Un., 12 maggio 2008, n. 11656.

455 Così TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 17 maggio 2016, n. 1204 secondo cui «un bene immobile

appartenente al patrimonio disponibile del Comune può essere assegnato in godimento a terzi solo attraverso negozi di diritto privato, e non già tramite un provvedimento amministrativo di concessione».

456 Cons. St., sez. III, 11 maggio 1999, n. 596 secondo cui non potrebbe negarsi alle persone

giuridiche siano esse pubbliche o private «la possibilità di avvalersi di tutti i contratti disciplinati dal codice civile»

457 Cons. St., sez. VI, 4 dicembre 2001, n. 6073 che pur asserendo per le amministrazioni pubbliche

il dovere di «(…) operare nei limiti consentiti dalla legge, alcuna disposizione vieta alla stesse di operare anche con contratti atipici».

458 In questo senso M. Dugato, Atipicità e funzionalizzazione nell’attività amministrativa per

contratti, cit., 39 ss. ad avviso del quale la funzionalizzazione è da intendersi quale nesso

inscindibile tra ente pubblico e finalità anch’esse parimenti pubbliche, le quali preesistono all’ente stesso e che sono da riferirsi all’ente e non agli strumenti. Da ciò discenderebbe l’irrilevanza della natura pubblica o privata degli strumenti in rapporto alla funzionalizzazione dell’attività posta in essere dall’amministrazione pubblica. Pertanto la funzionalizzazione che investe l’attività dei poteri amministrativi «(…) non viene intaccata in alcun modo dall’utilizzo dei modelli privatistici in luogo del tradizionale strumento provvedimentale. Se poi si considera che essa non costituisce che una manifestazione del principio di legalità (legalità-indirizzo), ne discende, in maniera del tutto logica e naturale, che è proprio la legalità-indirizzo a non subire alcun intervento invasivo per

libertà negoziale dei soggetti pubblici è stata conculcata negli ultimi anni, mediante l’apposizione di limiti normativi riferiti alla possibilità di stipulare contratti passivi459, all’obbligo di avvalersi nell’acquisizione di beni e servizi delle

centrali di committenza di acquisto460. Infine, gli interventi del legislatore, almeno

fino all’emanazione del Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica, d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, che ha riformato organicamente l’intera materia, sono stati caratterizzati perlopiù dal divieto di intraprendere iniziative economiche, segnatamente nella forma di acquisizione di partecipazione o conto dell’adozione dei moduli civilistici d’azione. Si è parlato di minimum pubblicistico, per descrivere il fenomeno». E’ da sottolineare come vi sia stata negli anni una riduzione dell’area dell’atipicità assoluta per via dell’intervento del legislatore che ha normato alcune fattispecie negoziali atipiche come ha osservato M. Dugato, I contratti misti come contratti atipici, in F. Mastragostino (a cura di), Tipicità e atipicità nei contratti pubblici, Bologna, 2007, 71 secondo il quale la riduzione dell’area dell’atipicità intesa in senso assoluto è dovuta alla tendenza manifestata nell’ambito dei contratti pubblici da un lato ad introdurre elementi di atipicità all’interno dei contratti tipici e dall’altro a rendere tipici mediante interventi legislativi la disciplina di contratti atipici. Sul tema dell’atipicità nell’attività contrattuale dell’amministrazione pubblica si veda anche R. Di Pace, Partenariato pubblico-privato e contratti atipici, cit.

459 Il caso più emblematico riguarda le spese relative a sponsorizzazioni veniva espressamente

vietato ai sensi dell’art. 6 comma 9 d.l. 31 maggio 2010, n. 78 convertito in l. 30 luglio 2010, n. 122 per le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato così come redatto dall’ISTAT a decorrere dal 2011. Un altro esempio eloquente nel senso predetto è relativo alla previsione del divieto ai sensi dell’art. 3 comma 17 del d.l. 25 settembre 2001, n. 351 convertito in l. 23 novembre 2001, n. 410, per gli enti pubblici di rendersi acquirenti di beni immobili in via di dismissione da parte di società di cartolarizzazione all’uopo costituite per fini di valorizzazione de patrimonio immobiliare pubblico. Coerente con tale previsione è anche la norma di cui all’art. 12 comma 1 d.l. 6 luglio 2011, n. 98 convertito in l. 15 luglio 2011, n. 111 e s.m.i. che imponeva a partire dal 2012 la verifica, relativamente le amministrazioni pubbliche inserite nell’elenco ISTAT, con alcune eccezioni, del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica cui risultava subordinata la stipulazione di acquisto e vendita di immobili. La successiva previsione di cui al comma 1-quater imponeva agli enti locali il divieto i ricorrere alla stipulazione di contratti di compravendita per l’acquisizione di immobili né di locazione passiva con alcune eccezioni. Altre previsioni riguardavano il divieto espresso per spese finalizzare all’acquisto o al leasing di autovetture di cui all’art. 1 comma 143 l. 24 dicembre 2012, n. 228 e per contratti di collaborazione organizzare dal committente inizialmente previsto all’art. 2 coma 4 d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 e poi abrogato per quanto riguarda le amministrazioni pubbliche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 25 maggio 2017, n. 75 emanato in attuazione della l. 7 agosto 2015, n. 124.

460 Da ultimo si vedano art. 1 commi da 420 a 423 della l. 11 dicembre 2016, n. 232 c.d. Legge di

Stabilità 2017 che riguardano la disciplina circa l’obbligo, a carico delle pubbliche amministrazioni, di procedere ad acquisizioni di beni e di servizi in forma centralizzata. In particolare la novella di cui al comma 421 integra la disciplina sull'obbligo (introdotto dall’art. 1 comma 449 della l. 27 dicembre 2006, n. 296) di ricorrere a Consip S.p.A. o ad altri soggetti aggregatori (iscritti nell'apposito elenco) per le acquisizioni di beni e servizi, posto a carico delle amministrazioni statali centrali e periferiche (ad esclusione degli istituti e scuole di ogni ordine e grado, delle istituzioni educative e delle istituzioni universitarie) nonché delle regioni, degli altri enti territoriali e locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale. Come ha opportunamente chiarito F. Cortese, L’ambito soggettivo di applicazione, in F. Mastragostino (a cura di), Diritto

dei contratti pubblici, Torino, 2017, 85 il percorso di affermazione di CONSIP quale soggetto

aggregatore della domanda pubblica «(…) non è stato lineare, dal momento che il ruolo della CONSIP ha conosciuto fasi di più intenso successo, seguite da fasi di vera e propria crisi, superate, da ultimo, da un momento di ritrovata primazia, specialmente in coincidenza con quelle che si potrebbero definire come le recenti “riforme della crisi”. E’ necessario evidenziare, ad ogni modo, che questa assenza di traiettorie chiare e costanti è sempre stata determinata dalle oscillazioni contingenti delle più diverse esigenze di contenimento della spesa pubblica».

costituzione ex novo di società o altri strumenti di diritto privato461, che esponevano

le amministrazioni pubbliche sul piano finanziario, gravando sull’indebitamento pubblico e determinando parimenti l’accollo dei relativi rischi. In definitiva, l’atteggiamento mantenuto dal legislatore in questo frangente, volto principalmente a sottoporre a stringenti controlli l’esercizio della capacità di diritto privato dell’amministrazione pubblica, ha rivelato in modo innegabile che il legislatore stesso si fosse preoccupato «(…) non già della compatibilità astratta di un determinato negozio con il fine dell’ente e con l’interesse pubblico, ma essenzialmente dell’esigenza di contenere e razionalizzare la spesa pubblica: il problema dell’autonomia negoziale è divenuto, quindi, strumento e veicolo per contenere (e controllare) i flussi finanziari in uscita e in entrata delle

461 Fino all’approvazione della c.d. Legge di Stabilità 2014 (l. 27 dicembre 2013, n. 147), che, ha

abrogato gran parte delle disposizioni volte, in qualche modo, a impedire la costituzione e/o la partecipazione degli enti locali a società, i vincoli alla costituzione di nuova società o all’acquisizione di partecipazioni societarie erano alquanto stingenti. Inizialmente con l’art. 3 comma 27 della l. 24 dicembre 2007, n. 244, si prevedeva che le pubbliche amministrazioni potessero costituire o mantenere partecipazioni in società, aventi ad oggetto la produzione di beni e servizi, solo se strettamente necessarie al perseguimento delle proprie finalità istituzionali ovvero se impiegate nella produzione di servizi di interesse generale. Successivamente con il d.l. 31 maggio 2010, n. 78 all’art. 14 comma 32 si disponeva che i comuni aventi popolazione inferiore a 30.000 abitanti non potessero costituire società con l’obbligo aggiuntivo di cedere le partecipazione detenute salvo il caso di società con i conti in equilibrio negli ultimi tre anni di esercizio e l’obbligo per i Comuni aventi popolazione compresa tra 30.0000 e 50.0000 abitanti di mantenere soltanto la partecipazione in una società. Infine il divieto stabilito all’art. 6 comma 19 del d.l. 78/2010 (ora abrogato dall’art. 29 del d.lgs. 16 giugno 2017, n. 100 Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica) cosi come modificato dalla l. 28 dicembre 2015, n. 208 c.d. Legge di Stabilità 2016 di effettuare aumenti di capitali, trasferimenti straordinari, aperture di credito, né rilasciare garanzie a favore delle società partecipate non quotate che avessero utilizzato per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che avessero utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali. A seguito dell’emanazione della c.d. Legge di Stabilità 2014 (art. 1 comma 561) sono state abrogate le predetta norma di cui all’art. 14 comma 32 del d.l. n. 78/2010, insieme ad altre disposizioni quali l’art. 4 d.l. 6 luglio 2012, n. 95, dichiarata costituzionalmente illegittima dalla sentenza n. 229/2013 della Consulta, e che prevedeva l’obbligo, per gli enti locali, di dismissione le società strumentali che nell’anno precedente avessero registrato almeno il 90% del fatturato a favore della pubblica amministrazione e l’art. 9 d.l. n. 95/2012, limitatamente ai commi dall’1 al 7, già in parte superate dalla sentenza della Corte costituzionale n. 296/2013, che imponevano (anche) agli enti locali la soppressione, l’accorpamento o la riduzione dei relativi oneri finanziari in misura non inferiore al 20% di enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica e che stabilivano il divieto (anche) per gli enti locali di costituirne di nuovi. In questo quadro la c.d. Legge di Stabilità 2014 imponeva alle società pubbliche di concorrere “alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, perseguendo la sana gestione dei servizi secondo criteri di economicità ed efficienza” (art. 1, comma 553). Erano previste misure specifiche per gli organismi societari finalizzate al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica (art. 1 commi 551, 552), venivano fissati criteri per la dismissione obbligatoria, liquidazione e/o scioglimento di quelle con i bilanci in perdita (art. 1 commi 554, 555), infine venivano introdotte disposizioni in materia di mobilità del personale delle società (art. 1 commi da 563 a 568-ter). Fermo restando il quadro descritto, la l. 23 dicembre 2014, n. 190 c.d. Legge di Stabilità 2015 aveva poi introdotto all’art. 1 commi da 611 a 614 un processo di razionalizzazione delle società e delle partecipazioni societarie dirette o indirette da parte delle amministrazioni locali.

amministrazioni pubbliche»462. A corroborare tale ratio legis, di stampo perlopiù

economicistico, è intervenuto il Consiglio di Stato463 che, riprendendo un dictum

della Corte Costituzionale del 1995, ha valorizzato il nesso inscindibile che permane tra attività contrattuale e valutazione di compatibilità, sia in termini patrimoniali sia finanziari in quanto la prima risulta incidente tanto nella definizione della consistenza patrimoniale quanto nella generazione di flussi finanziari attivi e passivi idonei ad alterare il profilo gestionale. Le limitazioni in ordine alla disciplina delle modalità e delle finalità di utilizzo prevalentemente riferite al negozio societario464, apposte dal legislatore hanno vulnerato la capacità

negoziale delle amministrazioni pubbliche, ponendo al vaglio dell’obbligo di tutela della concorrenza e di rispetto dei vincoli di finanza pubblica465, il principio

di libertà d’iniziativa economica sancito all’art. 41 Cost. A conferma di questo

trend legislativo dettato più da esigenze contingenti di contenimento della spesa

nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica, militano alcune previsioni tendenti non solo a comprimere l’autonomia negoziale delle pubbliche amministrazioni, bensì anche la quella delle società a partecipazione pubblica, che rimangono formalmente soggetti privatistici466. A tutela della concorrenza era stata prevista,

462 Così A. Moliterni, Amministrazione consensuale e diritto privato, cit., 120.

463 Cons. St., sez. III, 23 gennaio 2014, n. 344 che, riprendendo Corte Cost. 28 luglio 1995, n. 416,

si è espresso in tema di spesa sanitaria sancendo che il rapporto tra autonomia negoziale dell’amministrazione pubblica e limiti alle disponibilità finanziarie è retto dal «(…) principio della programmazione della spesa, allo scopo del suo contenimento e razionalizzazione, sicché l’autonomia negoziale non può che essere correlata alle disponibilità finanziarie e non può prescindere dalla limitatezza delle risorse e dalle esigenze di risanamento del bilancio nazionale».

464 Le limitazioni di ordine legislativo riguardavano talvolta anche altri strumenti privatistici come

nel caso della previsione di cui all’art. 9 comma 6 d.l. n. 95/2012 (successivamente abrogato dall’art. 1 comma 562, lett. a), l. n. 147/2013) secondo cui era «fatto divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’art. 188, della Costituzione». Invero una previsione che legittimava la possibilità di costituire fondazioni di diritto privato speciale era stata riservata alle Università, in base all’art. 59 comma 3 l. 23 dicembre 2000, n. 388, recepita a livello regolamentare nell’art. 2 del d.P.R.. 24 maggio 2001, n. 254, per il perseguimento di attività strumentali e di supporto alla ricerca per il miglioramento dell’acquisizione di beni e servizi.

465 Il d.lgs. 16 giugno 2017, n. 100 all’art. 1 comma 2 specifica che le norme in esso contenute «(…)

sono applicate avendo riguardo all’efficiente gestione delle partecipazioni pubbliche, alla tutela e alla promozione della concorrenza e del mercato, nonché alla razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica».

466 I vincoli normativi sull’autonomia in termini organizzativi e di gestione del personale delle

società a partecipazione pubblica sono previsti rispettivamente agli artt. 6 e 19 del d.lgs. 16 giugno 2017, n. 100 Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica. I vincoli erano stati apposti non solo alle società pubbliche in senso lato, bensì anche alle società in house sul presupposto richiamato dalla Corte Cost. n. 326/2008, che soggetti che operino in regime privilegiato, ovvero in affidamento diretto, possano alterare gli equilibri concorrenziali del mercato. Sul punto si veda S. Valaguzza, L’attività d’impresa degli enti pubblici, in Riv. it. dir.

pubbl. com., 2014, 83 ss. la quale ha affermato che «l’intento del legisaltore non è quello di

invece, la previsione per determinate società pubbliche, quelle strumentali, di operare in mercati ed aree territoriali predeterminate ovvero esclusivamente a favore degli enti pubblici controllanti e partecipanti467. Una parte della dottrina468

aveva letto, nell’orientamento restrittivo adottato dal legislatore verso la possibilità per i soggetti pubblici di avvalersi dello strumento societario, una conferma indiretta di un divieto generale in ordine alla libertà d’iniziativa economica per gli stessi enti pubblici e quindi della sussistenza di una capacità di di società o nuovi enti, ma piuttosto quello di separare gli ambiti in cui il soggetto di emanazione pubblica goda di un regime privilegiato da quelli in cui le imprese pubbliche operano alla stregua di operatori economici privati».

467 Il riferimento è all’art. 13 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223 c.d. Decreto Bersani convertito in l. 4

agosto 2006, n. 248, abrogato a seguito dell’entrata in vigore del Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica, che prevedeva per le società strumentali, perlopiù in house, ovvero quelle che producono beni e servizi a favore delle pubbliche amministrazioni e non a favore della collettività, l’obbligo di operare esclusivamente a favore degli enti pubblici controllanti e partecipanti. Per un’analisi dettagliata in materia di società pubbliche regionali e locali e sui contenuti dell’art. 13 si vedano tra tutti M. Cammelli e M. Dugato, Le società degli enti territoriali

alla luce dell’art. 13, d.l. n. 223/2006, in M. Cammelli, M. Dugato (a cura di) Studi in tema di società a partecipazione pubblica, Torino, 2008,; D. Florenzano, Le società delle amministrazioni regionali e locali. L’art. 13 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, in Quaderni del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Trento, LXXVI, 2008; R. Ursi, La Corte costituzionale traccia i con ni dell’art. 13 del decreto Bersani, in Giorn. dir. amm., 2009, 11 ss. Sull’evoluzione dottrinale e

giurisprudenziale dei presupposti di legittimazione dell’attività extraterritoriale per le società in mano pubblica si v., ex multis, G. Caia, L’attività imprenditoriale delle società a prevalente

capitale pubblico locale al di fuori del territorio degli enti soci, in Foro amm.-Tar, 5, 2002 1568

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