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LA CONCEZIONE DEL POTERE

Le teorie politiche del VI secolo si modellano sulle precedenti dottrine formulate dalle più disparate scuole di pensiero: neopitagoriche, stoiche, giudaiche e cristiane. In questo periodo abbiamo varie opere che consentono di penetrare nel mondo delle idee politiche e sociali bizantine. La prima opera di rilievo è il trattato Della strategia di un autore anonimo in cui propugna la creazione di un organo consultivo come il senato, di tipo aristocratico, la concezione altruistica dei governanti verso i governati e un’integrità morale per chi ricopre cariche di governo. Non si distacca molto dalla descrizione della società bizantina tratteggiata da Procopio e Agazia ove i sacerdoti non hanno posizione predominante rispetto ai funzionari civili e poi sono eccessivamente servili e sottomessi all’imperatrice Teodora. L’anonimo autore spiega che politiké ha duplice valenza, pratica (la politica) e una oratoria (la strategia). La politica si occupa sia della scienza politica che della partecipazione dei cittadini alla vita dello stato. Il trattato, cosa che manca negli storici giustinianei, presenta una gerarchia delle categorie sociali in cui i membri del senato, il più importante organo dell’impero, non sono più in grado di esprimere attraverso il voto la propria opinione, ma si riuniscono solo per usanza e tradizione. I magistrati sono decaduti dall’autonomia nell’esercizio delle loro funzioni e gravitano intorno alla corte. I retori e avvocati sono asserviti all’imperatore e non riescono ad esercitare come un tempo. Gli insegnati e medici sono ridotti alla povertà e miseria a causa delle tasse sempre più onerose e gravose da pagare all’erario. Gli impiegati civili, i commercianti, bottegai, i cambiavalute, il popolo stavano alla base della piramide sociale, e avevano difficoltà a

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sopravvivere95. Ogni classe ha una precisa funzione e un proprio capo che deve

possedere particolari virtù in funzione ai compiti cui è deputato svolgere. Nell’anonimo manca una trattazione particolareggiata sulla concezione regale quale vertice della piramide statale, e tale carenza secondo Pertusi sarebbe dovuta alla mutilazione del trattato96, in quanto la parte che concerne la basileia sarebbe andato perduta. Non

mancano particolari interessanti nelle parti giunte sino a noi: l’anonimo ritiene che i sacerdoti, pur avendo qualcosa di divino, fanno parte dell’ordinamento civile; inoltre ritiene che sia fondamentale l’esistenza di consiglieri, un senato, che abbiano una grande esperienza politica in modo da far funzionare lo Stato97.

Connesso al trattato procopiano, poiché presenta notevoli punti di contatto, è il dialogo Sulla scienza Politica, composto molto probabilmente nei primi anni di regno di Giustiniano da un autore anonimo, ma che si presenta come esperto di strategia, un pensatore acuto fornito di grande esperienza politica. Alcuni come Angelo Mai98 lo

identificano come Pietro Patrizio, il magister officiorum di Giustiniano, altri99 lo fanno

uscire dalla scuola filosofica alessandrina poiché dimostra un eclettismo e una conoscenza tali che consentono all’autore di spaziare da Platone e Aristotele a Cicerone, Giovenale e Frontino100. Nonostante la poca conoscenza, Pertusi definisce

questo personaggio come «il miglior pensatore di quel tempo»101. Mutilo della prima

parte – rimangono i libri IV e V – il dialogo parla non solo di politica ma di strategia: il libro IV sostiene la priorità della fanteria sulla cavalleria. Questa digressione, secondo Pertusi102, non è estranea alla concezione della politica sotto Giustiniano – ben visibile

nell’anonimo trattato descritto sopra. In questo scritto, nel libro V, si accentua l’idea

95 Pertusi A. 1990 pp.8-12; cfr. Malala Cronografia p. 470. 96 Pertusi A. 1990, p.8.

97 Della strategia III, 4. 98 A. Mai 1823-1825 vol. II. 99 Mazzucchi C. M. 2002.

100 De Giovanni L. 2007, p. 413 ss.

101 Pertusi A. 1990 p. 7; per l’importanza del dialogo Ieraci Bio A. M. 2006, p.21 ss. 102 Pertusi A. 1990 p.7.

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che l’imperatore sia identico al sovrano celeste che domina ogni cosa, quindi per poter governare lo stato deve conformarsi a Dio sia nella personale testimonianza della virtù che nell’azione di governo. Sia l’universo che è fatto a immagine e somiglianza del creatore e ha come capo supremo Dio, sia l’uomo che ha una parte che comanda – l’anima - e una che è comandata – il corpo - così lo Stato ha bisogno di uno che comanda, l’imperatore, e di una molteplicità che viene comandata – i sudditi103.

Traendo spunto dalla mìmesis eusebiana di un monarca terreno che imita la monarchia celeste nel governare il suo popolo, il dialogo insiste sul concetto di basileia come imitazione di Dio, ma lo fa in maniera del tutto originale: potere monarchico e ideale imperiale si concretizzano differentemente da quanto affermato dai pensatori precedenti. La fonte, infatti, afferma che l’imitazione di Dio è «beneficiare l’umanità per

quanto si riesce; e il beneficiare gli uomini lo si riconosce soprattutto nel costituire una città e uno Stato giusto»104. L’anonimo autore del trattato teorizza, nel mondo utopico

di un’opera di filosofia politica che tanto ricorda i trattati platonici, una profonda riforma dello stato: all’interno del dialogo l’autore più volte afferma la necessità di riorganizzare la società105, da una parte attraverso la creazione di collegi sotto la tutela e la

protezione degli ottimati, dall’altra con la definitiva emanazione di leggi che legittimino la nomina dell’imperatore, in cui il principio elettivo – sono i dirigenti dei collegi a indicare chi tra gli ottimati sia il più degno a rivestire tali cariche – è integrato con la componente soprannaturale - il sistema del sorteggio che con la sua imparzialità evidenzia la mano, l’intervento di Dio al momento dell’estrazione – in modo da salvaguardare la concezione teocratica del sovrano. Non meno importante il paragrafo che concerne le leggi e la loro emanazione e promulgazione, in cui si vede l’imitazione degli attributi divini del sovrano: solo rispettando le leggi è, come Dio, padre dei cittadini che provvede ai loro bisogni. Si teorizza che la basileia terrena abbia bisogno di una legge generale, che determini la sfera dell’agire politico, il campo e raggio d’azione di un sovrano, che si concretizza in una serie di cinque leggi fondamentali che regolamentano la società: affinché il sovrano risulti essere il riflesso terreno del Dio

103 Ibid. p.12. 104 Dial. V, 186. 105 Ibid. V, 57-96.

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celeste, e non un usurpatore e tiranno, perciò si deve avere una legittima proclamazione in modo che risulti palese ed evidente ai sudditi che tale potere gli venga conferito dallo stesso Dio e dai cittadini, secondo giustizia e senza soperchierie o inganni; la seconda riguarda l’onore, il rango, il sostentamento, la formazione culturale e il ruolo dei senatori all’interno dello stato; la terza l’elezione dei vescovi e la quarta delle massime cariche; infine la quinta e ultima riguarda le leggi dello stato e la loro custodia106. Il Dialogo non si limita a qualche teorizzazione utopica di un ideale

stato che si dovrebbe costruire ma passa in rassegna alcuni problemi che affliggono lo stato bizantino: l’eccessivo fiscalismo priva molti del frutto raccolto portando fame e miseria, alle quali si accompagnano malcontento e rivolte107. Inoltre, l’autore si dice

preoccupato per la falsa vocazione che spinge molti a intraprendere la vita ecclesiastica più per potere e prestigio che per fede; per evitare che diventino vescovi o preti persone che vogliono approfittare dei privilegi connessi all’ordine sacerdotale l’anonimo propone un criterio misto, per cui la selezione del clero è lasciata ai vescovi ma l’imperatore ha il compito di esercitare un’attenta vigilanza sulle nomine108.

L’imperatore, inoltre, deve farsi affiancare nell’azione di governo da collaboratori che siano capaci e moralmente affidabili, ma anche che lo assecondino; in caso contrario deve tenersi pronto ad allontanarli e declassarli qualora si ribellino o se debbano tradire la fiducia di chi li ha insigniti di quella carica109: la politica è un servizio verso la

comunità, dunque non bisogna tradire la fiducia dei cittadini prevaricando le proprie funzioni, né essere despota. Tra le qualità deve dimostrare: sapienza, possedendo sani princìpi e conoscendo le cause degli affari politici; potenza, mostrando la propria virtù e scegliendo il meglio per i cittadini; giustizia, palesando ordine spirituale e morale nell’agire e disponendo ciò che è oggettivamente giusto; previdenza, anticipando le gravità di tempi e dei fatti110.

106 Ibid. V, 4-5. 107 Ibid. V, 20-21. 108 Ibid. V, 80-81. 109 Ibid. V, 133; 157; 170; 219. 110 Ibid. V, 10-12.

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Ci sono altri due dialoghi importanti per l’epoca: l’Esposizione di capitoli parenetici di Agapeto, diacono di Santa Sofia111; e Sulle magistrature dello stato dell’antiquario

Giovanni Lido112. Mazza afferma l’importanza dell’opera di Agapeto in quanto il

rapporto tra imperium e sacerdotium, la giustificazione teorica della concezione della sovranità in chiave cristiana, sono formulate con un linguaggio che si allontana dai temi della politica delle classi colte, avvicinando così le classi meno colte al dibattito: l’opera viene indirizzata a Giustiniano nei primissimi anni dell’avvento al trono113.

L’opera di Agapeto, che non è un filosofo né un teorico della scienza politica bensì un retore, unisce virtù antiche come esser benefico, benevolo, uguale a sé stesso, compassionevole, inflessibile, equo, mite, imparziale, forte, misericordioso, con doti propriamente cristiane quali esser puro d’animo, religioso, pio, timorato di Dio. Agapeto riprende la teoria eusebiana della mìmesis applicata alla concezione del potere imperiale, l’imperatore si confà al mondo e il potere gli deriva dal Signore in modo che possa amministrare ciò che è utile, secondo una linea temporale che correla eternità del tempo e del cosmo, universalità del regno di Dio con un impero sentito imperituro e totale. Dio, in somiglianza, gli ha dato lo scettro del potere in terra, il regno gli deriva da Dio perciò deve rispettare chi gli ha donato tale potere e imitarlo attraverso le buone opere114. Se il cittadino sbaglia e non rispetta le leggi non porta nocumento allo Stato

ma a sé stesso e quindi l’imperatore, come Dio, deve riportarlo sulla retta via, mentre se commette un errore il sovrano tutta la politica subisce un danno. Agapeto però depotenzia la teoria eusebiana quando parla del corretto atteggiamento del sovrano, che nato dalla terra come uomo deve considerare la propria vita come un cammino continuo verso l’eterno nonostante come principe venga onorato dell’immagine

111 Bellomo A. 1906.

112 Stein 1900 vol. II, pp. 729-734; 838-840. 113 Mazza M. 2009 p. 264; Pertusi A. 1990, p. 15.

114 PG 86, 1 pp. 1164-1165: Onora soprattutto Dio che te ne ha reso degno; poiché ad imitazione del

regno celeste ti ha concesso lo scettro del potere terrestre affinché tu, obbedendo alle sue leggi e governando conformemente alle leggi […] insegni agli uomini la tutela del diritto.

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divina115: non basta cingere la corona per essere un degno sovrano, ma siccome «ricchi e poveri subiscono uguale danno da opposte condizioni […] la ineguaglianza

va convertita in uguaglianza»116. Questo concetto di redistribuzione, di difesa dei

poveri proveniva da Aristotele, dalla Politica ove parla della democrazia e degli effetti negativi che portano le perequazione delle risorse e la spartizione dei beni dei ricchi117.

L’imperatore inoltre deve circondarsi di buoni amministratori, promuoverli o licenziarli dopo un attento esame sul loro operato; deve essere autocritico censurando gli errori, deve amministrare equamente la giustizia, essere imparziale e comandare ciò che è lecito. Il trattato, chiaro e incisivo, godette di notevole fortuna, anche se – secondo Mazza – non incise profondamente sul dibattito teorico-politico poiché rimaneva troppo ancorato alla visione del giusto comportamento che un imperatore doveva tenere da un punto di vista del cristiano medio; Agapeto era un chierico troppo umile e semplice, un volgarizzatore che banalizzava e semplificava complesse teorie118.

Giovanni Lido fu, al contrario, un uomo di profonda cultura e di spessore culturale tipici degli uomini che provenivano da Alessandria d’Egitto119. Lido proveniva da quel

ceto di giuristi che nel definire la basileia insistevano sul carattere elettivo; contrapponendo natura e cultura affermava che la mìmesis valeva per il mondo della natura ove Dio ha posto l’uomo a comandare, mentre la basileia tra gli uomini è opera della loro volontà120. I gusti filosofici di Lido, Platone e Aristotele, coltivati sin dalla

gioventù, che erano venati da forti influenze neoplatoniche121 provvidero a influenzare

le sue teorie sulla concezione del potere: l’imperatore comanda e governa in quanto ha un potere che gli è derivato da Dio, però deve rispettare le leggi dello stato, mantenere il volto della costituzione, rispettare i magistrati e approvare ciò che questi

115 Agapeto 70-71. 116 Carile A. 2008, p. 51. 117 Aris. Pol. III, 1-2.

118 Mazza M. 2009, pp. 264-266.

119 Ibid. pp. 269-299; Pertusi A. 1990, p.16. 120 Lyd mag. I, 3.

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ritengono buono, mostrare amore verso i sudditi, come un padre, e aiutarli, come una guida.

Le opere trattate non fanno che ribadire una concezione fondamentale sull’immagine e idea del potere imperiale: come unico è l’imperatore, che regna su tutto e tutti, così unica ed universale deve essere la monarchia. Per rendere concreto il concetto di monarchia universale non bastano solo gli eserciti, per la riconquista di territori perduti a scapito delle popolazioni barbariche, ma anche un ordinamento giuridico unitario che detti leggi che valgano per tutti; inoltre è importante il collegamento con le antiche tradizioni ove il mito di Roma ritorna prepotentemente in auge, senza per questo rimanere fermi ed ancorati alle tradizioni del passato - anzi vuole renderlo vivo nel presente, in cui le antiche tradizioni servono a rinsaldare una nuova storia dell’impero universale, un impero diviso sia politicamente che religiosamente122.