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LA CRISI RELIGIOSA: DISPUTE CRISTOLOGICHE

Oltre che politicamente, Giustiniano ereditò un impero religiosamente diviso e frammentato. Il concilio di Nicea, che aveva condannato l’arianesimo, fu un momento significativo per lo sviluppo amministrativo, oltre che dogmatico, per la Chiesa: oltre al ruolo preminente dell’imperatore che aveva riunito e sollecitato il concilio a redimere la questione teologica per il bene dell’unità dell’impero – sembra che il vescovo di Roma non abbia avuto particolare rilievo né preminenza alcuna all’interno dell’assemblea - e deliberato e sancito le decisioni dei vescovi, fu disposta una più funzionale ed adeguata organizzazione episcopale. Nel 381 Teodosio riconobbe formalmente a Costantinopoli la l’importanza della propria sede episcopale. Se nel canone 2 ribadiva che «i vescovi preposti a una diocesi non debbono occuparsi delle

74 Per Italia Ostrogota vd. Azzara C. 2013; Tabacco G. 1979.

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chiese che sono fuori dei confini loro assegnati»76, salvaguardando così i tradizionali

poteri spettanti ai vescovi di Antiochia e Alessandria, dall’altro il canone 3 stabiliva che al vescovo di Costantinopoli spettasse il «primato d’onore dopo il vescovo di Roma»77-

solo il concilio di Calcedonia del 451 stabilirà l’equiparazione fra Roma e Costantinopoli. Queste disposizioni ridimensionarono le prerogative delle più importanti diocesi orientali e aumentarono il prestigio della città fondata da Costantino: l’aumento di considerazione all’interno della cristianità da parte di Bisanzio fu inversamente proporzionale al prestigio toccato ad Antiochia e Alessandria78.

La cristianità, sebbene fosse tornata unitaria con la condanna dell’arianesimo, conobbe un periodo di crisi dovuta a dispute teologiche intense che riguardavano la natura di Cristo ed il rapporto tra umanità e divinità; una diatriba che oltre mostrare raffinatezze tecniche degne dell’eredità filosofica su cui poggiavano i vescovi coinvolti, evidenziava la frattura creatasi tra Costantinopoli e le sedi di Antiochia e Alessandria. Fulcro del messaggio salvifico cristiano79 era la redenzione e l’ascesa al cielo a seguito

della resurrezione di Cristo che ha potuto salvare l’umanità, insalvabile per il peccato, essendo Dio. Per la salvezza occorreva un Dio che assumesse su di sé la sofferenza del genere umano, il destino dell’intera umanità, soffrisse senza perdere nulla della propria divinità: solo lo strazio e il dolore del Figlio, che li riceve apertamente e senza vincoli e che si ripercuotono nella carne, avrebbero redento l’intera umanità riscattandola dal peccato originario ove l’uomo si era ribellato a Dio; soltanto la concomitante e coesistente divinità era in grado di riparare all’offesa patita da Dio conferendo «quel valore di redenzione universale di cui l’uomo era di per sé

incapace»80. Nestorio81, patriarca di Costantinopoli ma teologo di formazione

antiochena, sottolineò nel Cristo una dualità di persone pur congiunta in una peculiare; parte centrale della predicazione è la concezione della vergine Maria non come

76 Alberigo G. 1978, p.122. 77 Ibid. p.123

78 Per la pentarchia vd. Peri V. 1986, pp. 209-311. 79 Cfr. Fox R. L. 1991.

80 Gallina M. 2017, p.36.

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genitrice della parte divina del Cristo, bensì di quella umana: «Maria non generò la divinità […] colui che è increato. La creatura partorì l’uomo, organo della divinità»82

pertanto volle che nella sua chiesa Maria fosse chiamata come “Madre di Cristo” e non “Madre di Dio” poiché gli sembrava un affronto e un pericolo che avrebbe potuto portare al politeismo. Nestorio osservava come Dio non possa avere una madre che Lo porti per nove mesi in grembo, nessuna creatura può generare una divinità bensì un uomo che ne è veicolo: così facendo distingueva nettamente la parte divina, l’essenza di un Verbo che è coeterno al Padre, da quella umana transeunte e mutevole con la quale meglio precisa come l’essenza della divinità incarnata sia rimasta immutabile dopo l’unione. La redenzione dell’uomo è opera sia di benignità del Dio che coinvolge direttamente sé stesso sia di giustizia poiché si tratta di una sanazione acquisita faticosamente dal Verbo che ha preso a carico l’umanità mediante l’uomo. La doppia natura veniva così risolta nella superiore unità di una sola persona comprensiva di entrambe le nature. «Non è Dio a venir plasmato nella madre; non è Dio in quanto tale a venir generato nello Spirito; non è Dio ad essere sepolto nella tomba […] ma poiché Dio è nell’assunto, dall’assumente, l’assunto, unito all’assumente, è detto insieme Dio»83. La riflessione di Nestorio rimane legata

sull’azione che Cristo compie sulla terra: per il vescovo di Antiochia Cristo è uno solo, un Dio – Verbo sempre esistente presso il Padre che si è incarnato e mostrato come uomo, ha agito come tale prendendo su di sé l’umanità, rigenerandola e salvandola dal peccato distinguendo in modo netto la divinità dall’uomo, dell’uomo di Cristo che è il «vero soggetto di attribuzione delle proprietà umane del Verbo incarnato»84.

Basandosi sulle scritture egli afferma che non c’è divisione di unione, potenza e filiazione bensì dell’umanità e divinità, Egli è duplice per la natura. Nestorio rifiutava fermamente «la dottrina dei due figli»85 come affermava che l’Incarnato era un’unità,

ovverosia Cristo non era persona distinta. Per il timore che la predicazione di Nestorio

82 Scipioni L. 1974, p.71. 83 Ibid. p.76.

84 Ibid. p.79.

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mutuasse la fisiologia di Cristo in una duplice persona86 nel 431 fu convocato ad Efeso

un concilio presieduto dal vescovo di Alessandria Cirillo. Dopo una lunga e complessa disputa tra i membri del concilio87 Nestorio fu condannato ed esiliato: fu salvaguardato

e legittimato il culto che vedeva Maria come Madre di Dio, il theotokos, formula tanto avversata quanto aborrita da Nestorio; inoltre fu preservata, secondo i detrattori di Nestorio, la natura unica di Cristo e come uomo e come divinità. Nonostante i tentativi prima di compromesso (433), poi di aperta ostilità verso Nestorio, alcuni seguaci della chiesa nestoriana emigrarono nella Persia ove iniziarono un’intensa attività missionaria verso l’Asia centrale; altri restarono usando come fonte di identità nazionale il nestorianesimo esprimendo in un più ampio discorso tutta l’ostilità nei confronti dell’impero bizantino, sentito troppo oppressivo e vessatorio. Il tentativo imperiale di conciliare gli animi riportando all’unità i fedeli fallì miseramente; la chiesa di Siria – sentendosi estranea e nemica a Costantinopoli – non opporrà resistenza agli invasori arabi così che la regione capitolò abbastanza velocemente.

Altro problema per l’unità dell’impero si ebbe con la predicazione del patriarca di Alessandria, Cirillo88, il grande oppositore di Nestorio. Alessandria è sempre stato un

centro ove la speculazione filosofica basata sulle grandi dottrine filosofiche dell’antichità si arricchiva di elementi ebraici portando complesse riflessioni teologiche e dogmatiche, nuovi spunti ed argomenti di discussione sulla natura del Cristo. Cirillo era strenuo difensore del theotokos, e attaccava la dottrina nestoriana in quanto rendeva l’incarnazione un’illusione poiché proponeva un’associazione puramente esteriore tra il Verbo e l’uomo comune. Innanzitutto, la diversa nozione che la comunità alessandrina dava al concetto di natura (φύσις), individuo concreto o esistente indipendentemente, differiva dal significato che le davano gli antiocheni, in cui vedevano umanità o divinità concepite come assieme concreto di caratteristiche o attributi89. Ad Alessandria preferivano per indicare la natura antiochena «proprietà

86 Vd. Wickham C. 2009 pp.50-55.

87 Cfr. Scipioni L.1984 pp.205-298; (a cura di) Capizzi 1972 coll. IV pp.203-245; Frend W. H. C. 1984

pp.758-770.

88 Simonetti M. 1975; Vd. Frend W. H. C. 1972. 89 Kelly J. N. D. 1972, p. 389.

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naturale»90, mentre la φύσις si avvicinava, senza per altro essere sinonimo, a Ipostasi

(ὑπόστᾱσις). Cirillo non riteneva di dover spiegare l’unione di due nature separate, per la forma mentis della scuola filosofica alessandrina, poiché pensava in termini di due fasi dell’esistenza del Logos, anteriore e posteriore all’incarnazione. Per il patriarca

«ciò che esisteva al di fuori della carne ora si faceva corpo»91: il Verbo, che era ipostasi

o natura, diveniva incarnato. Per tanto a sugellare la sua teoria cristologica adottò la formula della sola Natura del Verbo divino, laddove per Natura s’intende la qualità dell’individuo, l’incarnata Natura del Verbo. Per Cirillo era inammissibile e inaccettabile alcuna teoria che proponesse una divisione dell’Incarnato poiché la carne faceva parte della divinità, reale e tangibile come quest’ultima; la congiunzione nestoriana di due nature in un unico Essere era artificiale, mentre ad essere reale era l’unità la natura o l’ipostasi del Verbo, cioè il «concreto essere del verbo, essendo unito alla natura umana, senza cambiamento né confusione, deve intendersi essere, ed è, un solo Cristo»92. Cirillo affermava che l’umanità del Signore era diventata una realtà

concretamente esistente nella natura del Verbo, sin dal concepimento il corpo era corpo del Verbo, apparteneva al Verbo e costituivano un solo essere concreto; mai avrebbe potuto definirsi un uomo, né esistere di per sé stessa come volevano i nestoriani. Non si trattava di confusione o mescolanza, poiché ogni cosa rimaneva nella propria appartenenza naturale, bensì i due aspetti continuavano a sussistere ognuna nella propria qualità: l’unione di corpo e anima era assoluta benché si potesse chiaramente distinguere la distinzione tra le diverse nature. Per lui il Verbo era figlio di Dio per natura, ma anche di Maria poiché l’umanità concepita dalla Vergine – Incarnato era il Verbo divino che viveva sulla terra come uomo – era esclusiva e inalienabile della sua Natura. Il Verbo aveva così sofferto non nella sua natura bensì in quanto Incarnato, visto che la Natura umana era effettivamente la sua nonostante rimanesse immune. L’umanità di Cristo non è da considerare una natura, in quanto a una persona non corrispondeva che una natura, e l’umanità esisteva nell’integra e completa unione con la divinità – senza per questo confondersi. Cristo era perfettamente Dio, ma era anche

90 Ep. 46; Contra Nest. 2, 6.

91 Explicatio 12 capitum Ephesii pronunciata 2. 92 Apol. contra Theodor. (PG 76, 401).

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perfettamente uomo, non c’erano due nature, due soggetti né due persone. Questa concezione monofisita, cioè che attribuisce al Figlio una sola natura in quanto l’umanità viene assorbita nella divinità dopo l’incarnazione, furono dapprima accettate nel concilio di Efeso del 431. Nel 451, però, fu tenuto un concilio – a Calcedonia – per ridiscutere la questione monofisita: tra i 500 vescovi che vi parteciparono vi furono pure i legati pontifici. L’obbiettivo imperiale era stabilire un’unica fede in tutto l’impero, già scosso dalla questione nestoriana. Il verdetto del concilio93, in realtà, ottenne l’effetto

contrario all’intento preposto in quanto non fece che incrinare i rapporti tra l’Egitto e Bisanzio. Il concilio condannò il pensiero monofisita, adottando una soluzione diofisita che riconosceva in Cristo due nature, umana e divina, ciascuna completa e con le sue peculiari particolarità, «immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venute meno la differenza delle nature a causa dell’unione che concorrevano a formare una sola persona e una sola ipostasi»94. Con queste formule di matrice aristotelica si avrebbe

voluto salvaguardare l’unità della persona del Cristo sia la duplicità della natura; eppure la pace non fu raggiunta poiché molti termini davano adito a confusione, a seconda del luogo in cui ci si trovava: rifiutando l’unione naturale con le sue implicanze monofisite, il concilio scelse per esprimere l’unità della Persona prosopon e hypostasis distinguendola da physis, ma ciò che per alcuni significava natura per altri corrispondeva a persona o ipostasi. Inoltre, per quanto elevato e sincero fosse l’esigenza di formulare una corretta e universale interpretazione della natura di Cristo, le diversità religiose rappresentarono l’unico momento e strumento in mano alle popolazioni locali per esprimere un sentimento di amore patrio e ostilità verso un sistema politico-fiscale ritenuto austero e rigoroso; un sistema bizantino-centrico che esautorava dal potere popolazioni che da secoli facevano parte di quel sistema. L’unità politica dell’impero fu dapprima scossa, e successivamente compromessa poiché l’Egitto, come la Siria, non organizzò difese contro la penetrazione araba; pure l’unità religiosa si scisse in quanto dopo Calcedonia le chiese monofisite di Egitto, come quelle nestoriane di Siria e Armenia, si contrapposero tra loro e al patriarca di

93 Monaca M. 2013 p. 595: Il Concilio teorizzò la distinzione tra le tre persone (ipostasi) che

componevano la trinità e ne ammise l’identità di sostanza […] possiamo dunque concludere che tale Concilio portò a termine la definizione della dottrina trinitaria.

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Costantinopoli da cui le separavano divergenze non solo di ordine teologico, bensì politico; infine le chiese locali diedero un importante contributo all’affermarsi di culture locali, elaborando elementi culturali che riuscirono a penetrare nelle coscienze individuali, riuscendo a trovare adepti alla propria causa tra persone che erano per niente avvezze a terminologie così elevate né a dispute così dotte.

Nel VI secolo Giustiniano si trovava un impero diviso politicamente e religiosamente. Le formulazioni di carattere teorico delle idee politiche bizantine avvengono in questo periodo, teorie che acquisiranno da ora in avanti forza di principi fondamentali della concezione del potere.