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Conclusione: una giornata particolare

Nel documento View of Vol. 6 No. 2 (2019) (pagine 110-115)

Il 13 maggio 1938, nell’ufficio del Controllore Civile di Tunisi entrò Giacomo Si- limbani, reduce da un soggiorno di due settimane a Roma “per sentire che vento tirava”. In effetti, nella capitale il Regio Console Generale aveva assistito alla visita ufficiale di Adolf Hitler, preludio di una più stretta intesa italo-tedesca. Il funzionario francese notò il buonumore del console, con cui era in rapporti cordiali, e gli fece no- tare: «Siete bello carico di aria di mare». Al che Silimbani rispose: «E anche di croci uncinate; ce n’erano ovunque. Ma sappiate che le abbiamo tolte con la stessa velocità con cui le abbiamo messe: adesso si respira»40.

L’aneddoto, riportato in un carteggio diplomatico francese, potrebbe a prima vista apparire come una conferma dello scarso entusiasmo con cui i funzionari dello Stato fa- scista si piegarono alle scelte ideologiche del regime nella seconda metà degli anni Tren- ta, direttive razziste comprese. Il quadro delineato nelle scuole italiane in Tunisia, così come in molti altri contesti periferici, sembra invece suggerire un’interpretazione meno indulgente: a partire dal luglio 1938, l’antisemitismo divenne per molti italiani l’enne- simo orpello da indossare con diligenza, in ossequio alle direttive impartite da Roma, e non necessariamente in virtù di un’adesione intima o di una mancanza di intelligenza.

39 Intervista a Elia Boccara, realizzata a Milano il 13 dicembre 2013.

40 Nel testo originale, l’episodio è riportato in questi termini: «Or, le 13 mai, Silimbani est venu me voir, rentrant

par avion de Rome, où il avait passé une quinzaine de jours, pour y humer le vent. Il entre, aimable et souriant. Je lui dis : “vous êtes tout chargé d’air marin”. – Il répond : “et aussi de croix gammées ; il en y avait partout ; mais sachez qu’on les a enlevées aussi vite qu’on les avait posées ; maintenant l’on respire». Archives Nationales de Tunis, Fondo Protettorato, SG2, fascicolo 93, sottofascicolo 5, Rapporto inviato al Ministero degli affari esteri di Parigi il 15 maggio 1938.

Del resto, nei rapporti stilati dalla Direzione Generale del Personale del MAE sul console Silimbani, tra le qualità evidenziate spiccano il tatto, la serietà, l’intelligenza e l’operosità. Un’altra caratteristica, tuttavia, viene puntualmente segnalata: la disci- plina. Il risultato fu un’azione ostinata, benché tatticamente prudente, per applicare i princìpi del Manifesto della Razza, nonostante gli ostacoli giuridici e soprattutto senza una valida ragione pratica che fungesse da legittimazione, o almeno da alibi, per un’azione che si prefigurava in palese contraddizione con gli obiettivi strategici del fascismo in Tunisia. In sintesi, le autorità consolari e scolastiche italiane, lungi dal proporsi come un cuscinetto di protezione nei confronti delle misure oppressive provenienti dalla penisola, ne divennero efficace cinghia di trasmissione, in un clima di passivo conformismo presentato come lealtà assoluta. Una logica, questa, che all’e- poca si affermò più come regola che come eccezione, se è vero che, come affermato da Collotti, l’antisemitismo di Stato favorì un clima «di competizione e [di] fantasia per- secutoria […] che spesso dalla periferia suggeriva alla stessa amministrazione centrale la creazione di sempre nuovi ostacoli alla sopravvivenza e alla libera circolazione degli ebrei» (Collotti 2008, 78-79). Tali riflessioni non sembrano dunque esser state appan- naggio esclusivo del contesto nazionale e suggeriscono una valida chiave di lettura per contesti di emigrazione periferici su scala mediterranea, e forse globale.

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RACISM EX CATHEDRA.

THE CASE OF THE UNIVERSITY OF PADOVA RAZZISMO IN CATTEDRA.

IL CASO DELL’UNIVERSITÀ DI PADOVA

The aim of the research is to give an account of the cultural and scientific background that favoured the accept- ance of the racial laws at the University of Padova. Before becoming mainstream in the Twenties and Thirties, indeed, racist theories and tendencies had already come up in several scientific fields (at a hidden level, though) at the beginning of the twentieth century, due to the affirmation of nationalist ideas. Through a thorough archival research, carried out especially at the Central State Archive and the General Archive of the University of Padova, this article intends to shed light on the origin, objectives and changes of the regime’s racial policy in the academia, in order to grasp if and to what extent the university system has represented an experimental ground for channelling racist ideologies in Italian society.

Obiettivo della ricerca è quello di ricostruire l’humus culturale e scientifico che ha favorito l’accettazione delle leggi razziali nel corpo accademico dell’Università di Padova. L’affermazione di tendenze razziste emerge sottotraccia già all’inizio del Novecento, a seguito della diffusione di idee nazionaliste, e si dif- fonde in più ambiti scientifici per poi consolidarsi negli anni Venti e Trenta. Grazie a un profondo scavo archivistico, svolto soprattutto presso l’Archivio centrale dello Stato e l’Archivio generale dell’Università di Padova, la ricerca intende far luce su genesi, obiettivi e mutamenti della politica razziale promossa dal regime in ambito accademico, al fine di comprendere se e in che modo il mondo accademico abbia rappresentato un terreno sperimentale per l’innesto delle ideologie razziste nella società italiana.

Key words: racism; nationalism; fascism; university.

Parole chiave: razzismo; nazionalismo; fascismo; università.

Premessa

Quando l’università, da luogo di elaborazione del sapere libero, soggiace al pote- re politico, o da questi ne è condizionato, può tramutarsi in veicolo di propagazione di ideologie che poco hanno a che fare con la scienza e il metodo scientifico.

È quanto è avvenuto in Italia nei primi decenni del Novecento, quando gli atenei hanno offerto in larga misura alla politica razzista del regime mussoliniano una par- venza di scientificità. Le aule universitarie, da luogo di conoscenza, sono diventate così vettore di diffusione dei miti della razza, attraverso i quali il regime ha inteso indottrinare le nuove leve fasciste.

Numerosi sono gli studi sull’applicazione delle leggi antisemite da parte del mi- nistro dell’educazione nazionale Giuseppe Bottai e sul modo in cui l’orientamen-

Rivista di storia dell’educazione, 2/2019, pp. 113-132 Corresponding author:

ISSN2384-8294 – doi.org/10.4454/rse.v6i2.209 Giulia Simone, iuliasimone@gmail.com (Università di Padova)

to razzista sia stato inserito nella didattica di ogni ordine e grado (Ventura 2013a; Simone e Targhetta 2016). Più in ombra (perché il rapporto di causa-effetto è di più difficile determinazione) è rimasta la questione di quanto il mondo accademi- co abbia contribuito a creare un clima culturale favorevole all’accettazione delle tesi razziste ben prima del 1938. Tale analisi è invece particolarmente rilevante, perché proprio il “lavoro preparatorio” accademico e la patente di scientificità offerta da- gli atenei alle tesi razziste resero più agevole per il regime implementare le leggi del 1938, che furono di fatto accettate dal mondo della cultura italiano in maniera per lo più acritica e, salvo rare eccezioni, senza significative opposizioni1.

Già Angelo Ventura aveva compreso quanto lo studio del razzismo fosse neces- sario e imprescindibile per capire l’antisemitismo fascista: «nel fascismo, razzismo e antisemitismo costituiscono un insieme di elementi mitici e teorici e di atteggiamenti mentali che si intrecciano e convergono, e di fatto finiscono per identificarsi» (Ven- tura 2013b, 3-4), avvertendo però che i due fenomeni andavano analizzati distinta- mente, dato che non necessariamente il razzismo sfocia nell’antisemitismo, così come l’antiebraismo può non avere una radice razzistica. Infatti gli studi storiografici, sulla scia di Mosse, hanno permesso, da un lato, di confermare l’“autonomia concettua- le fattuale” della categoria dell’antisemitismo (inteso come antigiudaismo cattolico o antisemitismo di derivazione laico-illuminista); dall’altro, di adottare un approccio più globale al fenomeno del razzismo italiano al fine di includervi, tra le sue varie de- rivazioni culturali, anche l’antisemitismo quale «radicalizzazione biologistica assunta dalla persecuzione contro gli ebrei» (Collotti 2003, p. 5).

Tale discorso è particolarmente rilevante ai fini di questo scritto, in quanto con- sente di respingere la versione “minimizzante” secondo cui le leggi razziali fasciste rappresentano un corpo del tutto estraneo alla società italiana, innestato solamente a seguito dell’alleanza con la Germania nazista. Quest’ultimo approccio interpretativo tende di fatto a trascurare, in maniera colpevole, il contributo “autoctono” offerto dai diversi settori della scienza e della cultura italiana alla elaborazione delle leggi razziali, da un lato, e alla loro accoglienza da parte dell’opinione pubblica, dall’altro.

L’obiettivo specifico di tale ricerca, pertanto, è quello di contribuire a ricostru- ire l’humus culturale e scientifico che ha favorito l’accettazione delle leggi razziali nel corpo accademico, con particolare attenzione a quanto avvenuto all’Università di Padova. Trattando dei prodromi delle leggi razziali del 1938, tale ricerca non affron- ta, dunque, le conseguenze dell’adozione di tali provvedimenti discriminatori, ovve- ro l’espulsione di docenti e studenti ebrei, così come la mancata epurazione, nell’Ita- lia repubblicana, di quei docenti che più avevano legato la loro attività didattica e di ricerca alle ideologie razziste e antisemite (a tal proposito, per l’Ateneo patavino, si veda: Volpe e Simone 2018).

1 In controtendenza vi è il caso di Massimo Bontempelli, che rifiutò la cattedra fiorentina di Attilio Momigliano,

Nel documento View of Vol. 6 No. 2 (2019) (pagine 110-115)