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Nei mesi di novembre e di dicembre 2017, pertanto, sarà possibile formalizzare il recesso delle quote, o attraverso la liquidazione delle quote a valore patrimoniale oppure a valore nominale con la riduzione del capitale sociale.

Nella delibera regionale n. 205/2017 si prevede che sia compito degli amministratori avviare le procedure per la recessione dei soci diversi dalla Regione Toscana, e di adottare le necessarie modifiche statutarie, ponendo tali modifiche all’approvazione dell’assemblea dei soci non oltre il 31 marzo, al fine di prevedere negli statuti, in caso di inerzia degli stessi soci, procedure e modalità di esclusione.

La Regione avrebbe voluto inserire nella delibera n. 205 una clausola che direttamente imponesse la liquidazione a valore nominale, tuttavia la scelta in merito alla decisione di liquidare le quote sociali a valore nominale oppure a valore patrimoniale spetta agli amministratori della società.

128 Tale percorso di fusione in ARRR Spa, comunque, riguarderà otto società e non nove, perché la società EAMS di Massa Carrara viene posta in liquidazione e un ramo d’azienda della stessa sarà ceduto ad un’altra società, sia perché lo stesso è produttivo, sia perché si tratta di una funzione istituzionale che non può non proseguire. Inoltre, i due dipendenti della società EAMS non verranno posti in mobilità ma verranno semplicemente trasferiti.

Il decreto Madia ha consentito la realizzazione, quindi, del progetto di razionalizzazione che, viceversa, avrebbe sicuramente incontrato molti più ostacoli.

A risultato finale sarà sicuramente la prima operazione di questo tipo a livello nazionale. La Toscana sarà la prima Regione italiana che assumerà su di sé l’intera funzione relativa al controllo e alla verifica degli impianti, facendola esercitare da un’unica società.

I vantaggi saranno enormi: sia da un punto di vista economico- societario, derivanti dalla presenza di un’unica società, la quale consentirà di risparmiare anche sui costi dei consigli di amministrazione, sia perché questo effettivamente consentirà alla funzione di essere maggiormente omogenea su tutto il territorio regionale rispetto al passato.

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CONCLUSIONI

Al termine del presente studio, che ha riguardato l’annosa questione relativa alla partecipazione pubblica all’interno delle società di capitali, si rende necessario tracciare alcune conclusioni.

Questa trattazione si è posta l’ambizioso obiettivo di essere un’analisi critica ad un intervento normativo che, seppur pensato per risolvere le incertezze che caratterizzavano il quadro normativo precedente in tema di società a partecipazione pubblica, è risultato, comunque, a tratti impreciso e lacunoso.

Quello che bisogna sicuramente apprezzare è la ratio sottesa al decreto Madia, ovvero la volontà del Legislatore di porre dei punti fermi e di assumere una posizione inequivocabile su alcune questioni che fino al 2016 non trovavano risposte legislative, e sulle quali la dottrina e la giurisprudenza erano chiamate, di volta in volta, a seconda del caso specifico, ad individuare una soluzione.

La questione principale, sulla quale si sviluppava l’intero dibattito, era quella relativa alla qualificazione dello status giuridico di una società partecipata dagli enti pubblici, dalla quale dipendeva anche la scelta di assoggettare o meno la società alle procedure concorsuali disciplinate dalla legge fallimentare e dal codice civile. A seconda, cioè, che si attribuisse ad una società partecipata lo status privatistico, ovvero quello pubblicistico, alla stessa si sarebbe potuta applicare, oppure no, la disciplina privatistica sulle procedure concorsuali.

Nel decreto Madia, il Legislatore, aderendo ad un orientamento della Corte di Cassazione ormai consolidato, ha definito come privatistico lo status giuridico delle società a partecipazione pubblica, assoggettando le stesse alla disciplina del fallimento, del concordato preventivo e dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi. Ciò è sicuramente in linea con i dettami europei che impongono la par condicio tra i creditori, sia che si tratti di creditori di società a capitale

130 interamente privato, sia che si tratti di società con capitale misto, pubblico e privato.

Pur avendo, pertanto, posto fine, definitivamente, a questo dibattito, il Legislatore ha lasciato dei punti scoperti anche a seguito della nuova disciplina introdotta nel 2016, e neppure si è preoccupato di intervenire nuovamente quando, nel 2017, è stato emanato il decreto legislativo numero 100, che aveva lo scopo di apportare modifiche alle imprecisioni che, a tratti, avevano caratterizzato il decreto 175/2016. Da un punto di vista del campo oggettivo di applicazione, infatti, il Legislatore, ha omesso, ad esempio, di stabilire se gli accordi di ristrutturazione dei debiti possano essere applicati anche alle società a partecipazione pubblica. La risposta può essere ricavata sulla base della struttura normativa di tali accordi, i quali hanno, infatti, il medesimo campo di applicazione del fallimento.

È più apprezzabile, invece, la stesura dell’articolo 14 del Testo Unico sulle società partecipate, dal punto di vista del suo campo di applicazione soggettivo: esso, infatti, chiarisce, mettendo fine al dibattito giurisprudenziale, che anche le società in house sono assoggettate alle procedure concorsuali.

In maniera altrettanto positiva possiamo valutare l’introduzione dei mezzi d’allerta come strumento volto a prevenire una crisi: in questo modo il Legislatore ha inserito nel sistema un istituto moderno e coordinato con il percorso intrapreso nel campo del diritto fallimentare comune.

Quello su cui, per il momento, non si possono comunque trarre delle conclusioni certe, è la capacità del decreto Madia di tutelare fortemente e primariamente gli interessi pubblici. Infatti, rispetto al diritto fallimentare comune che è una disciplina pensata per tutelare primariamente l’interesse dei creditori sociali, i quali in ogni caso hanno il diritto di ottenere il soddisfacimento del proprio credito, quando il diritto fallimentare si mischia ad elementi pubblicistici, ecco che allora

131 l’interesse pubblico dovrebbe ottenere una tutela maggiore rispetto a quella dei creditori.

A conferma della scarsa tutela degli interessi pubblici offerta dal Legislatore nell’approntare la disciplina in tema di fallimento per le società partecipate, si inserisce, infatti, l’ultimo periodo del comma 5 di cui all’articolo 14 TU, il quale si pone come eccezione rispetto al divieto di ricapitalizzazione, ovvero il divieto di effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari o aperture di credito, e viene limitato alle situazioni di grave pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico e per la sanità, purché, comunque, tali operazioni siano inserite in un idoneo piano di risanamento. Tuttavia, una tale previsione tutela solo le situazioni di necessità in cui l’interesse pubblico è messo in pericolo, ma non quelle ordinarie, in cui esso, in attuazione della disciplina relativa alle procedure concorsuali, soccomberà rispetto al diritto dei creditori di vedersi soddisfatto il proprio credito.

Ma la disciplina del decreto Madia è intervenuta anche per proseguire il tentativo di riordino delle partecipazioni pubbliche intrapreso dalla legge 190/2014. Tuttavia, anche in tal caso le previsioni del decreto appaiono poco appaganti, in quanto il Legislatore non ha previsto strumenti volti a colmare l’eventuale comportamento omissivo delle pubbliche amministrazioni. Esse, infatti, subiranno delle sanzioni pecuniarie, ovvero la perdita dell’esercizio dei diritti sociali, laddove non adempiranno all’obbligo di provvedere alla ricognizione e poi alla dismissione delle partecipazioni non idonee al mantenimento.

A fronte dell’irrogazione delle sanzioni, però, non fa seguito la previsione di uno strumento sostitutivo del comportamento omissivo delle amministrazioni, e quindi, nel caso in cui esse rimangano inerti, tale inerzia non potrà essere colmata. Ciò andrà, ovviamente, a discapito della realizzazione del progetto stesso di razionalizzazione.

132 A ben vedere, quindi, il decreto Madia nasce con un nobile scopo, che trova, come detto, il suo ruolo centrale nello statuire l’assoggettabilità delle società a partecipazione pubblica al fallimento e alle altre procedure concorsuali, e nel proseguire nel percorso di razionalizzazione delle partecipazioni già intrapreso dal Legislatore nel 2014, rendendolo temporalmente stringente. A questo nobile scopo, ha fatto seguito però, spesso, una disciplina a tratti imprecisa e lacunosa. Nel contesto descritto pare, quindi, che l’istituto della partecipazione pubblica alle società di capitali sia poco idoneo a tutelare i pubblici interessi.

Mi sento di poter affermare, sicuramente in maniera provocatoria, l’esistenza di una possibile alternativa alla società partecipata, rappresentata dall’azienda speciale, la cui disciplina è contenuta nell’articolo 114 TUEL. Nella realtà pratica ed operativa, infatti, si sono già registrati casi in cui le società di capitali partecipate siano state trasformate in aziende speciali.

L’azienda speciale, infatti, pur essendo titolare di personalità giuridica autonoma, di autonomia patrimoniale e di un proprio statuto approvato dal consiglio comunale o provinciale, viene definita come ente strumentale dell’ente locale dal decreto legislativo 267/2000. L’azienda speciale viene annoverata, da parte della giurisprudenza, tra gli enti pubblici economici, ossia degli enti titolari di impresa che agiscono con strumenti di diritto comune. Detti enti, tuttavia, restano nell’alveo della pubblica amministrazione anche quando operano con strumenti privatistici116. Pur svolgendo, dunque, attività a carattere essenzialmente privatistico, la natura di ente pubblico vale ad incidere sul regime giuridico e a garantire una tutela decisamente più rafforzata degli interessi pubblici. In tal senso, le aziende speciali non sono

133 neppure fallibili, diversamente da quanto avviene per le società partecipate.

L’azienda speciale informa la propria attività ai criteri di efficacia, efficienza ed economicità, ed ha l’obbligo del pareggio di bilancio, da perseguire attraverso l’equilibrio dei costi e dei ricavi. L’ente locale conferisce il capitale di dotazione all’azienda speciale, ne determina le finalità e gli indirizzi, approva gli atti fondamentali, esercita la vigilanza, verifica i risultati della gestione, provvede alla copertura degli eventuali costi sociali.

La Corte di Cassazione ha affermato che le aziende speciali debbano essere considerate come enti che rappresentano vere e proprie articolazioni della pubblica amministrazione. Esse, quindi, sono enti che conservano natura pubblica, non posseggono uno statuto privatistico di tipo societario. In tal senso, quindi, la natura di ente pubblico vale a garantire, in maniera maggiormente efficace, il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente.

Sulla base di tali ragioni, quindi, le aziende speciali potrebbero effettivamente costituire una valida alternativa alla società partecipata.

Tornando, comunque, al decreto Madia, che è stato l’oggetto della presente trattazione, si può concludere affermando che, se da un lato esso ha finalmente fornito una risposta normativa a questioni che fino al 2016 costituivano oggetto dei dibattiti giurisprudenziali e dottrinali, dall’altro non si può non sperare in un ulteriore intervento legislativo volto a colmare le lacune che lo caratterizzano, ma soprattutto, volto a introdurre una disciplina che tuteli l’interesse pubblico in maniera maggiormente rafforzata.

Con riferimento, invece, al progetto di razionalizzazione che ha interessato il settore Ambiente ed Energia della Regione Toscana, l’emanazione del decreto Madia ha avuto un’incidenza decisiva sulla

134 realizzazione del progetto di fusione di nove società a partecipazione provinciale e comunale aventi tutte il medesimo oggetto sociale, ovvero la funzione di verifica e controllo degli impianti termici, per incorporazione in ARRR Spa, società preesistente e che ammette una partecipazione esclusivamente regionale.

I Comuni che detenevano quote di partecipazione nelle società che rientravano nel progetto di fusione, infatti, non intendevano recedere dalle quote societarie possedute, rappresentando le stesse, spesso, importanti fonti di profitto.

Il decreto Madia è intervenuto sbloccando la situazione, imponendo a tutti gli enti locali di procedere, entro il 30 settembre 2017, alla redazione di un piano di razionalizzazione con conseguente dismissione delle partecipazioni non strategiche. Essendo stati i Comuni, nel 2016, spogliati della propria funzione di controllo e verifica degli impianti termici da una legge regionale, infatti, gli stessi, nel 2017, al momento della predisposizione del piano di razionalizzazione, non hanno più potuto motivare la detenzione delle partecipazioni societarie alla luce della strategicità. La realizzazione di questo progetto che è ancora in corso d’opera, dovendo la fusione avvenire entro la fine del 2017, consentirà alla Regione Toscana di essere la prima Regione italiana ad assumere interamente su di sé la funzione di verifica e controllo degli impianti termici.

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