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Nel corso della storia, l’epilessia ha consciuto una fama prevalentemente negativa: è in- fatti passata dall’essere considerata una forma di possessione da parte di entità malvage all’essere ritenuta un disturbo contagioso, fino addirittura ad essere accomunata con altre patologie cerebrali affini alle malattie mentali (si pensi al termine ‘lunatico’ con acce- zione moderna). Molto spesso le terapie proposte erano volte a depurare il paziente dalle tossine accumulate nell’organismo e figuratamente anche a espellere lo spirito malvagio dal corpo del malato: si pensi alle prescrizioni indiane di praticare una cura a base di emesi, clisteri ed erbe lassative; anche il rimedio antico del salasso può essere classificato fra quelli atti a tale scopo. Se si considera invece l’accezione più scientifica dell’epilessia, quella offerta in primis da Ippocrate di Cos, si parla di un eccesso di determinati umori freddi nel cervello, pertanto al malato viene suggerito di seguire una dieta povera di cibi umidi e di trasferirsi in un luogo caldo e asciutto.

Si è visto come l’etimologia stessa del termine ‘epilessia’ indichi un senso di sopraf- fazione, riscontrabile anche nel nome della divinità scr. Grāhi < ie. *GHREBH- “afferrare”: il malato è ghermito simbolicamente dal disturbo che lo affligge, senza via di scampo. Tale rappresentazione risulta essere anche affine all’idea del demone che afferra e trat- tiene la sua vittima tramite dei lacci o delle catene; questo elemento è molto impotante per il tema trattato in conclusione al penultimo capitolo, ossia la possibilità che gli incan- tesimi di Merseburgo, in questo caso in particolare il primo, trattino in realtà di rimedi antiepilettici: le Idisi intente a sciogliere i lacci dei prigionieri disferebbero quindi simbo- licamente le catene che l’entità maligna ha stretto attorno alla sua vittima.

Un’altra caratteristica distintiva dell’epilessia è il fatto che il malato, in preda a con- vulsioni e a perdita di coscienza, si accascia al suolo; da qui derivano i nomi più diffusi del disturbo, ossia mal caduco, falling sickness, Fallsucht, vallende ziekte etc. Si è visto che molti degli incantesimi volti a contrastare l’insorgere di un attacco epilettico utiliz- zano formule come “Alzati!”, “Stai fermo in piedi”, secondo la struttura tipica degli scon- giuri. Lo stesso Contra caducum morbum contiene questa espressione, seguita da una formula latina volta a rassicurare il fruitore dell’incantesimo che il malato si sarebbe poi effettivamente alzato, liberato dal peso della malattia che lo opprimeva.

Numerosi sono i casi in cui l’epilessia viene nominata in relazione a una divinità lu- nare; persino in area scandinava, dove rispetto al resto del mondo germanico le attesta- zioni riguardanti l’epilessia scarseggiano, si trova l’espressione tunglœrr, analizzata nel cap. 3 e consdierata come corrispondente a lunaticus sia per forma che per significato. Accanto invece agli episodi di divinizzazione e demonizzazione della malattia, si hanno

numerosissimi esempi di appellativi derivati da nomi di santi, generalmente patroni degli epilettici; questi erano solitamente personaggi che venivano relazionati con il mal caduco perché furono decapitati (san Valentino, san Giovanni, san Donato), perché caddero in ginocchio per vari motivi (Re Magi, san Paolo), per il potere di risollevare i caduti nel peccato (san Cornelio), perché in grado di riprendersi da un attacco mortale (san Seba- stiano), perché morti a causa di dolori alla testa (san Gerardo di Gallinaro).

I nomi dei santi, e in territorio germanico soprattutto dei Re Magi, si ritrovano in una serie di incantesimi e talismani; sono stati riportati diversi esempi in latino, inglese, ne- derlandese e tedesco, provenienti da diverse epoche, a testimonianza di una tradizione duratura nel tempo. Sono ricorrenti le attestazioni di iscrizioni in tedesco o latino prove- nienti da territorio tedesco, poiché le reliquie dei tre Re sono conservate nella cattedrale di Colonia. Altri casi non hanno invece nulla a che vedere con le agiografie dei santi. Alcuni incantesimi mostrano una mescolanza di elementi precristiani, come l’invocazione della luna e del sole, con altri pregni di religiosità; questo fenomeno è tutt’altro che inu- suale nel Medioevo e il territorio germanico non è certo un’eccezione. In area anglosas- sone sono frequenti i casi di formule di scongiuro rivolte contro gli elfi, ritenuti respon- sabili dell’insorgere di numerose malattie, soprattutto di carattere infettivo.

Ancora più numerosi degli incantesimi sono i rimedi, attestati prevalentemente in am- bito nederlandese, tedesco e anglosassone. A mio avviso riveste un ruolo importante l’ar- ticolo di Lammert (1869), che ha permesso di usufruire di una vasta gamma di rimedi antiepilettici localizzati in area bavarese e recanti certe prescrizioni che si rifanno a un’epoca e a credenze precristiane; si prenda l’esempio riportato del sangue gettato all’in- terno del tronco di un albero: si tratta di un caso di magia per trasferimento, in quanto il male che affligge il soggetto sarebbe trasmesso all’albero, la roccia o la terra tramite il contatto con essa. Lo stesso meccanismo si riscontra in Contra caducum morbum e Pro

cadente morbo, quando al fruitore dell’incantesimo viene prescritto di toccare il malato e

poi la terra con le mani. Altri rimedi suggeriscono invece l’uso di parti di animali e umane talvolta peculiari (cervello e lingua di volpe, midollo di cerva, polvere di placenta essic- cata, polvere di cranio etc.), di pietre (contenute nelle interiora delle rondini) e natural- mente piante (le più comuni sono peonia, corteccia di salice, aglio, lupino, assenzio). Ognuno di questi elementi ha un preciso significato, non si tratta di sostanze scelte ca- sualmente; tuttavia quale precisa valenza avessero è quasi impossibile da definire sulla base delle sole attestazioni che si hanno a disposizione. Sarebbe utile in tal senso condurre una ricerca approfondita e sistematica su un certo numero di bestiari, erbari e lapidari medievali, nella speranza di disporre di abbastanza materiale per poter trarre delle con- clusioni soddisfacenti.

Il cap. 4 relativo alla classificazione tipologica degli incantesimi riveste un’importanza fondamentale; grazie ad esso, infatti, è stato possibile suddividere formule, rimedi, amu- leti e talismani in maniera sistematica, prestando particolare attenzione agli aspetti lin- guistici e strutturali. Anche il par. 1 ha assunto un ruolo importante, permettendo al lettore di assimilare le nozioni basilari riguardanti la magia e come essa era concepita e praticata

nel periodo medievale; particolare rilevanza riveste inoltre il suo rapporto con la religione, in taluni casi conciliatorio, mentre in altri decisamente conflittuale.

Si è scelto di dedicare un paragrafo a una breve analisi degli incantesimi di Merse- burgo, in quanto, sebbene la loro forma esteriore suggerisca uno scopo differente, è alta- mente probabile che siano da considerare come formule contro l’epilessia: nel primo viene presentato il tema dello scioglimento di vincoli, i quali possono essere intesi come i lacci che trattengono il malato posseduto da uno spirito maligno; nel secondo è trattata la slogatura della zampa di un cavallo, tuttavia la formula sembra essere legata alla prima, perciò si conclude con Battaglia (2008) che le due formule sono in realtà finalizzate alla guarigione di un soggetto preda di attacchi spasmodici ed epilettici.

Nell’ultimo capitolo, dedicato all’analisi linguistica e al commento dei due incantesimi

Contra caducum morbum e Pro cadente morbo, si è ipotizzato un legame fra questi e le

formule di Merseburgo, in base a diverse considerazioni. Le più rilevanti sono quelle relative alla figura di san Paolo, che in un caso (versioni P ed M) è incaricato da san Pietro di legare le vene, mentre nell’altro (incantesimi di Merseburgo) potrebbe corrispondere alla figura di Phol; dal momento che quest’ultima non è ancora stata identificata con pre- cisione, non è assolutamente da escludere che si riferisca proprio a san Paolo. Un altro punto comune alle due coppie di scongiuri è il fatto che nel secondo incantesimo di Mer- seburgo è riportata una formula dalle origini antichissime (ben zi bena, bluot zi bluoda,

lid zi geliden, sose gelimida sin), mentre in Contra caducum morbum e Pro cadente morbo vi è il già menzionato riferimento alle vene. Si ricorda che l’aat. ādra era polise-

mico e poteva significare anche “nervo” o “tendine”, è pertanto difficile a mio avviso non pensare a una tradizione comune fra le due coppie di incantesimi, dal momento che nelle versioni M e P il riferimento alle vene è almeno in apparenza fuori luogo rispetto alla finalità delle formule. È pur vero che il sangue era utilizzato nella terapia per l’epilessia, sia mediante ingestione che tramite l’applicazione di salassi, tuttavia non è chiaro come il fatto di legare delle vene possa essere risolutivo in un caso di epilesia. Le soluzioni possono pertanto essere due: o con ādra si intende in realtà “nervi” e quindi il fatto di riunirli porterebbe a ripristinare una situazione che con l’avvento dell’attacco epilettico era stata compromessa, oppure si tratta di un riferimento all’antica formula riportata nel secondo incantesimo di Merseburgo ridotta al suo contenuto essenziale. In entrambi i casi, il tema dell’unione di due elementi corporei affini al fine di ripristinare la salute del ma- lato è evidentemente presente.

In ultimo si è voluto proporre uno spunto di riflessione per un’eventuale ricerca più approfondita. È noto come la formula ben zi bena, bluot zi bluoda, lid zi geliden etc. sia attestata in diverse lingue fino in India, dove è contenuto nell’Atharvaveda IV, 12. Per l’intervento riguardante le corrispondenze fra i testi antico indiani e quelli germanici si rimanda alla conclusione del cap. 6; ciò che preme sottolineare qui è la possibilità di ricondurre tutte queste corrispondenze a un’origine comune, che affonda le sue radici nella cultura indoeuropea. Questo è sicuramente un argomento che andrebbe approfondito adeguatamente, cosa non possibile in questa sede, in quanto ci si allontanerebbe troppo

dal tema trattato; tuttavia ci si augura che questa ipotesi possa per lo meno incuriosire il lettore e spingerlo ad approfondire l’argomento per conto proprio.

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