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CAPITOLO III: L’APPLICAZIONE DELL’IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO NEGLI SCAMBI INTRA-

5. Conclusioni al capitolo terzo

Giunti a questo punto dell’indagine nel presente capitolo, e ricollegando il discorso con quanto sottolineato nel capitolo precedente in merito alle problematiche che presenterà nel futuro il nuovo regine definitivo del MOSS negli scambi intrunionali in merito all’applicazione del tributo nell’ambito del MOSS, occorre a questo punto, in un’ottica di confronto, cogliere quei profili della fiscalità indiretta Candese che possono essere utili nel futuro per apportare al sistema comunitario i correttivi necessari per garantire un corretto funzionamento del nuovo sistema impositivo.

Infatti, l’attuazione dello sportello unico è considerata ultimamente una tappa fondamentale poiché se funzionerà bene nell’ambito delle vendite a distanza e delle prestazioni di servizio rese ai privati consumatori finali (diverse dalle e-commerce) preparerà la strada a un utilizzo più generalizzato di questo concetto a partire già dal 2022.

Ad ogni modo, considerata la poca esperienza relativa a uno sportello unico per gli scambi intraunionali in Europa, la presente indagine ha sottolineato nel corso del terzo capitolo che un possibile modello di riferimento per lo sviluppo ulteriore del sistema potrebbe essere quello Canadese.

Anche se il processo di integrazione che ha coinvolto l’imposizione indiretta nei due ordinamenti si differenzia principalmente nel metodo scelto dalle rispettive istituzioni sovranazionali/provinciali, tutto sommato in entrambi i casi le esigenze che hanno reso necessario tale processo sono le medesime: ovvero la neutralità e il buon funzionamento del mercato interno sono state le linee direttrici su cui si è sviluppato tale processo.

In Canada si parte infatti con l’unificazione delle vecchie imposte provinciali sulle vendite al dettaglio e quella federale all’interno di un’imposta sul valore aggiunto identica a quella comunitaria. Tanto la federazione quanto le provincie utilizzano la stessa base imponibile, su cui applicano le loro aliquote di un’imposta amministrata e riscossa direttamente dall’autorità finanziaria federale che, in seguito, trasferisce il gettito raccolto alle provincie secondo dei meccanismi che rispettano il luogo dove il consumo si è verificato effettivamente. Un modello integrato che inizialmente è stato introdotto solo in alcune delle provincie canadesi si è progressivamente esteso anche alle altre (non tutte) in base a degli accordi conclusi tra i due livelli di governo. Per contro, l’Unione europea ha intrapreso un modello integrativo inverso, ovvero ha messo al centro del processo l’armonizzazione della disciplina sostanziale dell’IVA, purché

162 introdotta in tutti gli ordinamenti nazionali, lasciando invece tout court l’amministrazione e la riscossione del tributo alle autorità nazionali.

Evidenti a tal proposito le difficoltà che si incontrano nell’IVA comunitaria quanto alla gestione del tributo nel MOSS che, in alcuni casi, potrebbero creare le condizioni adatte per lo sviluppo di altre forme di frodi, evasioni ed elusioni.

Ad ogni modo, nonostante il percorso dell’integrazione tra i due modelli impositivi si stato diverso, nei tempi e nelle modalità, sembra però che i due sistemi convergono sul profilo della territorialità delle operazioni intra-comunitarie/provinciali, improntato al principio della tassazione nel luogo del consumo e nel meccanismo applicativo del tributo individuato nel MOSS.

L’esperienza dello sportello unico in Canada, che risale al processo dell’armonizzazione delle imposte sulle vendite al dettaglio con la GST federale nel 1993, è stata abbastanza soddisfacente. Il tutto viene attribuito sicuramente al ruolo della Canadian Revenue Agency (CRA) che ha garantito la coerenza dell’azione di indagine e controllo non solo nella gestione del tributo federale, ma al contempo è stata anche un punto di riferimento per coordinare l’attività delle amministrazioni territoriali per la corretta applicazione delle imposte di loro competenza.

In tal senso, rappresenta un chiaro esempio la circostanza che le frodi carosello sono un fenomeno alquanto raro nell’ordinamento canadese, nonostante negli scambi intra-provinciali tra la Provincia del Quebec e le altre province canadesi si creino le medesime condizioni che in Europa hanno dato luogo all’instaurazione dei famigerati circuiti frodatori.

L’unico aspetto di frode, o meglio di evasione, che ha raggiunto dimensioni importanti in Canda è stato quello che vedeva i privati consumatori, che acquistavano beni e servizi in un'altra provincia diversa da quella di residenza, non pagare l’imposta sulle vendite al dettaglio che, in ragione del principio di destinazione, era quella della Provincia di residenza di quest’ultimi. Infatti, negli scambi intra-provinciali quando la provincia di destinazione applicava - o applica ancora oggi visto alcune provincie hanno mantenuto ancora le loro Retail Sales Tax - un’imposta sulle vendite al dettaglio, l’obbligo di versare l’imposta territoriale incombeva sul privato consumatore. Insomma si trattava di una sorta di inversione contabile applicata solo ai consumatori finali dato che negli scambi tra soggetti passivi, essendo tale imposta per definizione applicata solo nell’ultima parte della catena commerciale, non aveva luogo alcuna imposizione.

Questa è stata anche una delle ragioni principali per cui il legislatore canadese ha avviato la riforma diretta ad integrare le Retail Sale Tax nella struttura impositiva della Harmonized Sale Tax,

163 che come abbiamo più volte sottolineato si basa proprio sul meccanismo applicativo del MOSS per l’applicazione del tributo negli scambi transprovinciali.

Pertanto, in un oattica de iure condendo, il presente lavoro sottolinea la centralità che assume l’isituizione anche nell’ordinamento comunitario di una struttura sovranazionele, sulle esempio canadese, che abbia la funzione di coordinare l’accertamento, il controllo e la riscossione dell’IVA intraunionale, questo anche richiamando a sostengo di questa proposta anche il principio di sussidiatrietà.

In tal senso, l’amministrazione a livello nazionale delle operazioni intraunionali che vengono realizzate nell’ambito del (M)OSS, per le ragioni che abbiamo visto in precedenza, non sarà in grado garantire la corretta applicazione dell’imposta, e perciò neanche il buon funzionamento del mercato europeo, senza l’intervento dell’Unione europea, che troverebbe giustificazione in virtù del principio di sussidiarietà enunciato all'articolo 5, paragrafo 3, del trattato TFUE secondo cui ‘’l'Unione interviene soltanto se gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dai soli Stati membri, ma possono, a motivo della portata o degli effetti delle azioni in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione’’.

CONCLUSIONI FINALI

Negli ultimi interventi normativi delle Direttive e della proposta di Direttiva del Consiglio, si fanno sempre più chiare le intenzioni del legislatore europeo, man mano che cresce la consapevolezza di quello che effettivamente dovrà essere il regime definitivo dell’IVA, di estendere progressivamente il meccanismo attuativo (M)OSS - attualmente applicabile solo alle prestazioni e-commerce - a tutte le operazioni intraunionali, comprese quindi anche gli sacmbi tra soggetti passivi dell’imposta.

Il regime definitivo dell’IVA muove, infatti, dalla necessità di superare le difficoltà che si erano create dal regime dell’esenzione avendo come obiettivo principale, oltre allo snellimento degli adempimenti fiscali a carico delle imprese, anche la tassazione degli scambi intra-UE in base alla regola della tassazione nel Paese di destinazione attraverso un meccanismo applicativo, questa volta, impermeabile alle frodi transnazionali.

La circostanza che il MOSS ‘’reintroduce’’ per le operazioni intracomunitarie business to business l’obbligo di rivalsa in capo al cedente/prestatore, anche se con le dovute differenze rispetto al meccanismo ordinario, fa sì che il problema delle frodi transnazionali possa essere, se non del tutto

164 sradicato, quantomeno ridimensionato in modo significativo rispetto alla situazione creata con il regime transitorio.

Non si esclude, dunque, che anche nel nuovo regime del (M)OSS le operazioni intracomunitarie possono essere oggetto di frodi ed evasioni che sfruttano, ancora una volta, la natura intracomunitaria delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi. Infatti, come abbiamo visto nel corso del secondo capitolo quando si è parlato meccanismo di funzionamento dello sportello unico, il regime in oggetto richiede che il cedente/prestatore nazionale applichi in rivalsa non l’imposta del suo Paese di stabilimento, perché andrebbe a regime di origine, bensì l’IVA prevista nel Paese di arrivo dei beni e servizi, è perciò secondo le aliquote determinate dalla normativa dello Stato di arrivo. In questo senso le differenze tra le aliquote nazionali dei Paesi membri, anche se in parte armonizzate dalla normativa europea nei loro valori minimi, potrebbero ad ogni modo rappresentare un profilo di debolezza ed incentivare ulteriori tipologie di illeciti transnazionali.

Un possibile caso di frode in tal senso, per altro molto ricorrente anche nell’regime dell’esenzione, si potrebbe verificare nella situazione in cui alle cessioni dei beni o alle prestazioni di servizio venga attribuito in modo fraudolento una qualificazione, come ad esempio nazionale o intracomunitaria a seconda del Paese dove minore è il carico fiscale dell’IVA, che non corrisponde alla realtà commerciale realmente intercorsa tra i soggetti. In altri termini, si prospettano anche nel MOSS le stesse ipotesi di frode già viste nell’esenzione d’imposta quando le operazioni nazionali venivano qualificate come intracomunitarie per fare il modo che i beni venissero poi venduti nel mercato nazionale senza avere subito alcuna l’imposta in rivalsa. Con la differenza però che nel caso delle frodi commesse in regime MOSS il danno economico non sarà l’intera imposta, come avviene con le frodi che sfruttano l’esenzione d’imposta, bensì solo la differenza che esiste tra le aliquote nazionali (più alte) e quelle di un altro Paese comunitario che possono in questo caso essere più ridotte, o viceversa. Oltre alle differenze delle aliquote, lo stesso ragionamento potrebbe condurre a meccanismi frodatori anche nelle ipotesi di disomogeneità delle operazioni individuate dagli ordinamenti nazionali come esenti. In altre parole, se la medesima operazione economica sia imponibile in un Paese ma esente, o comunque non imponibile in un altro Stato comunitario, questo potrebbe dare luogo nel regime MOSS, dove l’applicazione del tributo segue le regole e la disciplina dello stato di arrivo, alle medesime qualificazioni fraudolente.

Anche se in un primo momento si potrebbe pensare che questa ipotesi di frode avrebbe delle conseguenze economiche meno gravi nel regime dello sportello unico rispetto medesimo meccanismo realizzato nel reverse charge, in quanto oggetto dell’illecito non sarebbe l’evasione dell’intera imposta ma soltanto della differenza che esiste tra l’aliquota più alta nazionale e quella più bassa di

165 altro Paese membro. A ben vedere, però, la situazione si presenta molto più problematica nel MOSS visto che nella versione più avanzata della riforma il regime in oggetto dovrebbe estendersi anche a tutte le operazioni rese nei confronti dei privati consumatori. Si intuisce in tal modo, come nelle operazioni potenzialmente a rischio rientrano così non solo quelle rese tra soggetti passivi d’imposta ma anche le operazioni business to consumer che invece, come abbiamo già visto in precedenza, nel regime transitorio rimangono al di fuori dell’azione illecita sia in ragione della tassazione all’origine prevista per le cessioni sotto soglia, sia anche per l’obbligo del venditore di identificarsi nel Paese di destinazione quando le vendite superano le soglie di protezione previste dalla disciplina nazionale e comunitaria.

In questo senso, anche nel regime definitivo del MOSS, assumono particolare rilevanza le regole previste per il trasporto e la spedizione dei beni, sia ai fini della corretta qualificazione della cessione come ‘’intraunionale’’, sia anche per la ricostruzione dell’eventuale responsabilità del cedente in situazioni di frode ed abusi. Ovvero, come avviene ancora oggi per il riconoscimento del diritto di esenzione per le cessioni intracomunitarie, il quale viene concesso solo quando il potere di disporre del bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente e quando il venditore prova che tale bene è stato spedito o trasportato in un altro Stato membro e che - in seguito a tale spedizione o trasporto – i beni hanno lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione; sulle stesse conclusioni si dovrebbe arrivare anche per le medesime operazioni realizzate nell’ambito del MOSS assumendo peraltro rilevanza anche il fatto che nelle operazioni tra soggetti passivi il trasporto può essere effettuato dal cedente, dall’acquirente o da un terzo per loro conto, mentre invece nelle cessioni rese a privati consumatori la norma richiede che il trasporto venga effettuato esclusivamente solo dal cedente o da un terzo per suo conto, quindi si esclude che possa essere realizzato dall’acquirente privato consumatore.

Infatti, questo potrebbe essere anche l’unico aspetto per cui la corretta individuazione dello status (o meno) di soggetto passivo della controparte contrattuale assume ancora rilevanza nel MOSS, considerando che tale distinzione (soggetto passivo o privato consumatore) perde la sua valenza invece ai fini dell’applicazione dell’IVA. In altri termini, in linea generale tutte le operazioni intrunionali saranno tassate secondo la regola del Paese di destinazione, seguendo la disciplina e applicando le aliquote di quest’ultimo Paese, perciò il fatto che l’acquirente sia o meno identificato a fini dell’imposta non influisce più sull’addebito dell’IVA in rivalsa, che sarà sempre dovuta.

In questa direzione si inserisce anche il riformulato articolo 138, par. 1, della Direttiva 2006/112/CE, il quale introduce, come elemento costitutivo della fattispecie, l’obbligo per il cessionario di disporre del numero di identificazione IVA valido in uno Stato membro diverso da

166 quello in cui ha inizio il trasporto o la spedizione dei beni. Al contempo, viene ulteriormente previsto che il codice identificativo del cessionario sia incluso nel modello INTRASTAT relativo alla cessione, considerato essenziale per informare lo Stato membro di arrivo della presenza dei beni nel suo territorio. Si tratta evidentemente di una previsione - tra l’altro in netta contrapposizione rispetto all’orientamento della Corte di giustizia che vede l’identificazione IVA alla stregua di un mero requisito formale - diretta a rafforzare la tutela del sistema IVA contro le frodi non solo per le operazioni che continueranno a beneficiare ancora dell’esenzione d’imposta (limitatamente a quelle realizzate dai c.d. soggetti passivi certificati) ma anche, a questo punto, per le ipotesi di frode che abbiamo illustrato in precedenza.

Ebbene, nell’ambito del MOSS, al fine di scongiurare eventuali frodi ed abusi, il cedente dei beni dovrà applicare l’imposta dello Stati di destinazione a condizione che, una volta accertata la natura passiva dell’acquirente comunitario attraverso il sistema VIES, fornisce la prova che i beni hanno lasciato il territorio dello Stato di stabilimento. Altrimenti, se dal sistema informatico non si evince la soggettività passiva dell’acquirente, sarà perciò suo dovere effettuare il trasporto e presentare alle autorità nazionali, se sussistono dubbi circa la natura intraunionale dell’operazione, la prova dell’avvenuto trasporto.

D’altra parte, non si può esclude apriori neanche la possibilità che le frodi carosello possano svilupparsi anche in quelle situazioni dove il soggetto passivo certificato, che potrebbe operare ancora in regime di esenzione, decida all’improvviso di trasformarsi in una cartiera e dare luogo al circuito fraudolento. Insomma, benché tale possibilità sia molto limitata in quanto la concessione dello status di soggetto passivi certificato viene condizionato dalla normativa alla presenza di alcuni requisiti - regolarità con il pagamento delle imposte, esistenza un sistema adeguato di controlli interni all’impresa, e dimostrazione della propria solvibilità – che tutto sommato danno luogo ad un costante monitoraggio dei soggetti da parte delle autorità finanziare (che tra l’altro hanno la facoltà di escludere l’operatore in qualsiasi momento quando vengono meno i requisiti) il sistema lascia comunque spazio alle frodi carosello che si possono inserire nel mentre tra la fase del venir meno per l’operatore certificato dei requisiti di accesso e l’effettiva esclusione di quest’ultimo dall’esenzione.

Oltre alle criticità del MOSS quanto alle frodi IVA, che sebbene ridotte rimangono sempre possibili, si evidenziano in questa parte delle conclusioni finali altri profili di criticità del (M)OSS che depongono, a questo punto, a favore di un’amministrazione centralizzata del IVA nel regime definitivo.

167 Premettendo che la funzionalità e la rilevanza di un sistema di sportello unico è stata peraltro ribadita anche con riguardo all’imposizione diretta, nel Single Market Act (COM (2011) 206), par. 2.9 Taxation, che ripropone l’implementazione di tale strumento tra le iniziative volte a combattere i problemi connessi alle operazioni transnazionali e alla loro tassazione. Tuttavia non possono sottovalutarsi le difficoltà applicative di un sistema di sportello unico, legate da un lato alla necessità di implementazione di sistemi informatici ed informativi da parte degli Stati membri con necessaria destinazione ed impiego di risorse; dall’altro e non secondariamente, all’esigenza di garantire e coordinare i controlli sulle operazioni transnazionali e sui connessi eventuali rimborsi d’imposta da parte delle amministrazioni fiscali nazionali.

Se infatti la proposta di Direttiva che introduce il regime definitivo COM (2017)569 ha il pregio di avere previsto l’uniformità degli adempimenti formali dell’IVA nonché l’introduzione di in inedita possibilità per il cessionario di portare in detrazione l’imposta subita direttamente nell’ambito del MOSS, tale obiettivo deve trovare giusto contemperamento con l’esigenza di lotta all’evasione e alle frodi, come peraltro emergeva dalla stessa Comunicazione COM (2004) 729 che non tralasciava di rilevare già all’epoca come l’accertamento ed il controllo dell’imposta nel regime in questione restassero comunque di competenza dello Stato membro di consumo.

Non pare che a tali profili si sia ancora data risposta mentre si è tentato di metter mano all’aspetto della (necessaria ed elevata) cooperazione tra Stati. Con il regolamento (UE) n. 2017/2454 si sono infatti previste per il regime speciale del commercio elettronico e (dal 2021) del settore delle vendite a distanza ai privati consumatori, specifiche modalità di trasmissione delle informazioni tra amministrazioni. D’altra parte, a ciò si accompagna, circa i modi di trasferimento dei pagamenti effettuati dagli operatori nello Stato di identificazione a quello del consumo, la mancata previsione di un sistema di pagamento diretto da parte dell’operatore economico allo Stato di imposizione. L’aspetto della riscossione non può in tal senso essere sottovalutato ai fini della realizzazione di un sistema di sportello unico, salvo permettere al soggetto passivo d’imposta di effettuare egli stesso il pagamento dell’IVA allo Stato in cui avviene il consumo senza l’intervento del Paese di identificazione, con evidente tuttavia limitazione/negazione delle potenzialità legate all’estensione del nuovo meccanismo.

Ad ogni modo, il nuovo regime definitivo, se da una parte avrà un impatto decisivo nella lotta alle frodi che hanno caratterizzato per oltre quarant’anni il vecchio sistema dell’esenzione d’imposta - garantendo così una maggiore coerenza al sistema impositivo attraverso l’unificazione, almeno dal punto di vista applicativo, delle operazioni intracomunitarie a quelle nazionali – dall’altra parte emergono dei profili di incertezza per quanto riguarda la fase dell’accertamento e

168 della riscossione dei crediti tributari, che nel regime del (M)OSS sarà principalmente affidata all’amministrazione finanziaria del Paese dove avviene il consumo ma però con dei risvolti che responsabilizzano anche lo Stato membro di identificazione nelle situazioni in cui si rende necessario l’intervento accertativo in rettifica - in caso di dichiarazione dell’IVA incorretta o inesatta - oppure la determinazione del debito d’imposta da parte del fisco ove il soggetto passivo obbligato omette di rendere la dichiarazione entro i termini previsti dall’attuale disciplina del (M)OSS.

Infatti, come abbiamo già sottolineato nelle conclusioni al secondo capitolo, l’attuazione del tributo negli scambi intraunionali viene per di più lasciato alla mera cooperazione tra le amministrazioni Statali, cooperazione che tutto sommato risponde ancora alle logiche di accordi bilaterali tra le autorità fiscali. Perciò l’azione di indagine e controllo sarà così soggetta non solo alla volontà dei Paesi di collaborare adeguatamente per garantire un’efficacie applicazione dell’IVA ma soprattutto dipenderà anche dal potere di forza che il Paese del consumo avrà per ‘’costringere’’ lo Stato di identificazione di impiegare più risorse e più tempo nell’accertamento e