• Non ci sono risultati.

Nelle Conclusioni della Commissione su accordi e prassi successiva non si rinvengono indicazioni specificamente dirette a frequenza e uniformità della prassi, bensì nella Conclusione 8 si richiamino

Nel documento TITOLO TESI / THESIS TITLE (pagine 144-147)

i caratteri di ‘chiarezza e specificità’ di accordi e prassi successiva, e il grado di ripetizione della

prassi successiva

825

. Essi tuttavia, si noti, non sono indicati come requisiti per poter prendere in

820 Quella della consuetudine istantanea è un’ipotesi avanzata notoriamente da Cheng in rapporto alle risoluzioni dell’assemblea generale sullo spazio extra-atmosferico (vedi Cheng, “United Nations Resolutions on Outer Space: ‘Instant’ International Customary Law?”, Indian Journal of International Law, Vol. 5 (1965), p. 2, che per altro nega che nel caso specifico si possa parlare di consuetudine), ma è da taluni autori estesa anche alla possibilità che un trattato produca ‘of its own impact’ una consuetudine, come ipotizzato dalla CIG nella medesima sentenza sulla Piattaforma Continentale del Mare del Nord (del 1969, quattro più tardi dell’articolo citato; vedi ad esempio D’Amato, The Concept of Custom in International Law, Cornell University Press, Ithaca, 1971; Shaw, International Law, 6° edizione, Cambridge University Press, 2008, a p . 96). La dottrina tende ormai a negare la possiblità di una consuetudine istantanea, in particolare richiedendosi che prassi ed opinio juris si consolidino al di fuori e successivamente al trattato o alla risoluzione, che in quanto tali assumono rilievo soltanto indiretto nella formazione delle consuetudini (vedi ad esempio Bos, “The Identification of Custom in International Law”, German Yearbook of International Law, Vol. 25 (1982), p. 9, a p. 23; Weisburd, “Customary International Law: The Problem of Treaties”, Vanderbilt Journal of Transnational Law, Vol. 21 (1988), p. 1).

821 Vedi sopra al punto I.3.12, dove si evidenzia come la Commissione non abbia specificamente discusso il punto, limitandosi ad affermare che l’uniformità costituirebbe un connotato ‘inerente’ alla generalità.

822 La dottrina sembra condividere tale impostazione: vedi ad esempio Danilenko, “The Theory of International Customary Law”, German Yearbook of International Law, Vol. 31 (1988), p. 9, a p. 29; Thirlway, “The Sources of International Law”, in M. D. Evans, International Law, 3a edizione, Oxford University Press, 2010, p. 95, a p .105. In particolare Kolb sottolinea che uniformità, generalità e durata, in quanto requisiti ratione materiae, loci e temporis, sono elementi fortemente interrelati (in “Selected Problems in the Theory of Customary International Law”, Netherlands International Law Review, Vol. 50 (2003), p. 119, a p. 133).

823 Sopra al punto I.3.9.

824 La Conclusione 7 [8] afferma, al secondo paragrafo: ‘Where the practice of a particular State varies, the weight to be given to that practice may be reduced.’ (corsivo aggiunto; vedi A/CN.4/L.872, p. 2).

825 Vedi sopra al punto II.4, e la Conclusione 9 [8]: ‘Weight of subsequent agreements and subsequent practice as a means of interpretation – 1. The weight of a subsequent agreement or subsequent practice as a means of interpretation under article 31, paragraph 3, depends, inter alia, on its clarity and specificity. 2. The weight of subsequent practice under article 31, paragraph 3 (b), depends, in addition, on whether and how it is repeated. 3. The weight of subsequent

145

considerazione tali materiali come mezzi interpretativi, bensì esclusivamente come caratteri che ne

determinano il valore interpretativo

826

. Si tratta di elementi che investono in sostanza la ‘qualità’

della prassi, su cui la Commissione non sembra insistere nemmeno nel suo studio

sull’identificazione della consuetudine, preferendo anzi rilevare la necessità di considerare tutta la

prassi rilevante

827

e l’assenza di gerarchie predeterminate

828

(dovendosi tuttavia valutare il caso

concreto, in particolare al fine di ridurre il valore della prassi quando i diversi organi di uno Stato si

comportino in maniera internamente incoerente)

829

. Ad emergere sono, più che altro, da una parte la

sostanziale distinzione tra prassi degli Stati, costitutiva (potenzialmente) di consuetudini, e prassi di

diversa provenienza (dottrina, giurisprudenza, organizzazioni internazionali ed enti non statali), che

può avere soltanto una funzione probatoria

830

; dall’altra parte, forse, anche la prioritaria rilevanza

dell’elemento psicologico, in ultima istanza determinante a stabilire se una condotta, più o meno

rilevante in sé, costituisce diritto oppure no

831

.

1.4. Inazione (‘prassi negativa’) e desuetudo

L’esame dell’inazione all’interno dei lavori della Commissione sembrerebbe incentrarsi, in

entrambi i Progetti in esame, più sul versante ‘psicologico’ che su quello materiale. L’inazione è

descritta infatti come possibile prova di opinio juris, e a tal fine sono specificate nel terzo rapporto

di Wood e nella Conclusione 10 [11], paragrafo 3, alcune condizioni per cui si potrebbe riconoscere

practice as a supplementary means of interpretation under article 32 may depend on the criteria referred to in paragraphs 1 and 2.’

826 Si ricordi per altro che Nolte rigetta la definizione di prassi successiva come necessariamente ‘common, concordant and consistent’, indicata nella decisione Japan – Alcoholic Beverages II dell’Appellate Body del WTO: tali caratteri, appunto, non sono necessari al fine di inquadrare la prassi entro l’articolo 31.3.b), dovendosi piuttosto guardare all’accordo delle parti. Vedi anche sopra al punto II.4.

827 Come affermato nella Conclusione 7 [8], dedicata appunto alla valutazione della prassi (da cui la rubrica ‘Assessing a State’s practice’): ‘Account is to be taken of all available practice of a particular State, which is to be assessed as a whole.’ (A/CN.4/L.872, p. 2). Vedi anche sopra al punto I.3.9.

828 Indicazione contenuta nel terzo paragrafo della Conclusione 6 [7] (‘Forms of practice’), ma, come evidenziato sopra al punto I.3.8, originariamente proposta da Wood quale autonoma conclusione relativa alla valutazione della medesima (‘Weighing evidence of practice’): ‘There is no predetermined hierarchy among the various forms of practice.’ (A/CN.4/L.872, p. 2).

829 Come appena ricordato: vedi la nota 824 e sopra al punto I.3.9.

830 O primariamente probatoria, come ipotizzabile nel caso della prassi della prassi delle organizzazioni internazionali; per l’analisi dell’aspetto probatorio, vedi il successivo Capitolo II, in particolare la sezione III.

831 L’opinio juris è tradizionalmente qualificata come elemento che distingue la prassi giuridicamente rilevante in quanto consuetudine, da quella che sussiste per mera cortesia o altri motivi: la Commissione assume esplicitamente tale prospettiva, come evidenziato dalla Conclusione 9 [10]: ‘Requirement of acceptance as law (opinio juris) – 1. The requirement, as a constituent element of customary international law, that the general practice be accepted as law (opinio juris) means that the practice in question must be undertaken with a sense of legal right or obligation. 2. A general practice that is accepted as law (opinio juris) is to be distinguished from mere usage or habit.’ (A/CN.4/L.872, p. 3, corsivo aggiunto). Alcuni autori rilevano per altro che l’opinio juris avrebbe un rilievo esclusivamente quando si tratti di scremare la prassi rilevante da quella che non lo è, o a spiegare le ragioni della conformità al diritto consuetudinario già esistente, non rappresentando, in sè, un elemento essenziale della consuetudine (vedi Mendelson, “The Subjective Element in Customary International Law”, British Yearbook of International Law, Vol. 66 (1995), p. 177; l’idea è ripresa dall’ILA nel suo London Statement del 2000, non a caso sotto la presidenza di Mendelson, in particolare da p. 29).

146

l’acquiescenza dello Stato

832

. Risulta perciò posta in secondo piano l’inazione come forma di prassi,

ma non si può affermare che la Commissione escluda tale possibilità: semplicemente, la prassi

‘negativa’ sembrerebbe venire in rilievo soltanto quando sia possibile provare che essa è anche

prova dell’accettazione come diritto della norma che informa la condotta altrui; ovverosia, non

avrebbe senso disgiungere l’aspetto sostanziale da quello psicologico

833

.

Connesso al tema dell’inazione nella fase formativa è quello degli effetti dell’inazione sulla

permanenza di una consuetudine, finora tuttavia non indagato dalla Commissione. Si può ipotizzare

infatti che il venire meno della prassi di uno o più Stati possa, con il tempo, determinare il venire

meno della consuetudine che su tale prassi si basava, al limite, ma non necessariamente, andando a

sostituirla con una nuova consuetudine (anche particolare) dal contenuto diverso. Anche qui,

tuttavia, occorrerebbe verificare che nelle concrete circostanze l’atteggiamento degli Stati che

mutano la loro prassi in un atteggiamento passivo, ossia non danno più concreta esecuzione alla

regola, sia adeguatamente sostenuta da un’opinione di giuridicità, tale per cui la nuova situazione

(assenza di regola o regola contraria) assuma valore giuridico

834

. Solo la Spagna, presso la Sesta

Commissione dell’Assemblea generale, evidenziava questa possibilità

835

.

Nel lavoro di Nolte sulla prassi successiva, il valore del silenzio veniva evidenziato nella

Conclusione 10 [9], dedicata all’accordo interpretativo

836

. Occorre pertanto tracciare un parallelo tra

832 Occorrerebbe che lo Stato inerte sia consapevole della condotta altrui e agisca deliberatamente, in circostanze per le quali è ragionevole attendersi una reazione per significare l’eventuale volontà di protesta; inoltre, il silenzio dovrebbe essere mantenuto per un certo periodo, in maniera da evitare che un’inerzia troppo breve possa consentire alla condotta altrui di produrre tutti i suoi effetti normativi: vedi sopra in particolare al punto I.3.6 e l’attuale Conclusione 10 [11] ‘Forms of evidence of acceptance as law (opinio juris)’, al paragrafo 3: ‘Failure to react over time to a practice may serve as evidence of acceptance as law (opinio juris), provided that States were in a position to react and the circumstances called for some reaction.’ (A/CN.4/L.872, p. 3, corsivo aggiunto).

833 La Commissione riconosce espressamente l’inazione come forma di prassi nella Conclusione 6 [7]: ‘Forms of practice – 1. Practice may take a wide range of forms. It includes both physical and verbal acts. It may, under certain circumstances, include inaction.’ (A/CN.4/L.872, p. 2). Tali ‘circumstances’, in sostanza, sono quelle indicate per riconoscere nell’inazione un’espressione di opinio juris, riportate alla nota precedente.

834 Buona parte della dottrina descrive in tali termini la possibilità di una desuetudo delle norme consuetudinarie: vedi ad esempio Bos, “The Identification of Custom in International Law”, German Yearbook of International Law, Vol. 25 (1982), p. 9, a p. 39 (negando che i trattati possano estinguersi per desuetudo ma affermando tale possibilità per il diritto consuetudinario e collegandola al venir meno dell’opinio juris); Weisburd, “Customary International Law: The Problem of Treaties”, Vanderbilt Journal of Transnational Law, Vol. 21 (1988), p. 1, a p. 22 (sostenendo, con Vamvoukos, la possibilità di riconoscere una forma tacita di ‘mutuo dissenso’ ex articolo 54.b) della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, ossia una causa di estinzione del trattato determinata da una lunga prassi di non applicazione del trattato sostenuta dall’accordo tacito delle parti – di fatto, si potrebbe dire, una consuetudine estintiva del trattato); Kohen, “La pratique et la théorie des sources du droit international”, in La pratique et le droit international, colloque de Genève de la Société française pour le droit international, Pedone, Paris, 2004, p. 81, a p. 97 (chiarendo che tutto dipende dall’effettivo contenuto dell’opinio juris, estintiva o modificativa della consuetudine esistente); Bederman, “Acquiescence, Objection and the Death of Customary International Law”, Duke Journal of Comparative and International Law, Vol. 21 (2010), p. 31, a p. 37-38 (specificando che la soglia probatoria da soddisfare per estinguere una consuetudine sarebbe alta almeno quanto quella necessaria per modificarla).

835 Vedi sopra al punto I.3.6, in particolare la nota 242.

836 Vedi sopra al punto II.5.1 e la Conclusione 10 [9], rubricata ‘Agreement of the parties regarding the interpretation of a treaty’, al secondo paragrafo: ‘The number of parties that must actively engage in subsequent practice in order to

147

Nel documento TITOLO TESI / THESIS TITLE (pagine 144-147)