vari Stati parte, quando opportuno per risolvere un problema sostanziale
549. Un’ultima ipotesi è
quella di un consensus non pieno, ossia una maggioranza qualificata di Stati (‘vast’ o ‘great
majority’) che applica un determinato standard: la Corte tende in simili casi ad attribuire un valore
inferiore alla prassi degli altri Stati, in particolare quando essa sia inadeguata al presente poiché da
tempo non emendata
550; in alcuni casi, per altro, la Corte è soddisfatta da una maggioranza anche
non qualificata, purché si tratti di tutelare il diritto di una minoranza particolarmente vulnerabile e
carente di tutela giuridica
551.
Vi sarebbero però altre due categorie di prassi di cui la Corte tiene conto nella sua giurisprudenza.
La prima sarebbe la ‘prassi giuridica internazionale’, ossia gli sviluppi intervenuti nel contesto del
diritto internazionale generale (trattati e diritto consuetudinario)
552. Questo avverrebbe a condizione
che il caso da decidere presenti un nesso con tale ambito
553, o che tratti di un diritto umano soggetto
che esistevano almeno due Stati contrari a tale prassi), Bankovic (vedi nota 539, dove la prassi degli Stati confermava l’idea di una giurisdizione dei medesimi intesa in senso primariamente territoriale, benché si trattasse di una prassi negativa) e Cruz Varas c. Svezia (vedi nota 539, in cui la prassi degli Stati veniva in astratto riconosciuta come possibile supporto ad un’interpretazione che infine la Corte rigettava).547 Solo eccezionalmente, pertanto, la Corte consentirebbe ad una legislazione nazionale che garantisca un livello di tutela inferiore a quello derivante dal consensus europeo; esempio ne è il caso Tanase c. Moldova (Grande Camera, 27 aprile 2010), argomentando sulla base di ‘special historical or political considerations’.
548 Ad esempio in V. c. Regno Unito (Grande Camera, 27 maggio 2008, in riferimento all’assenza di un comune consensus tra gli Stati circa l’età minima per l’imputabilità nel diritto penale), in VO c. Francia (Grande Camera, 8 luglio 2004, dove il consensus mancante è quello relativo all’inizio della vita umana), in Kart c. Turchia (Grande Camera, 13 dicembre 2009, dove si riconosce l’assenza di consensus rispetto alle immunità parlamentari) e in Gäfgen c. Germania (Grande Camera, 1 giugno 2010, in cui si evidenzia la mancanza di consensus rispetto alle modalità della regola di esclusione che consegue alla violazione dell’articolo 3 sul divieto di trattamenti inumani e degradanti).
549 In particolare in Goodwin (vedi nota 542), che, come sottolineato, enfatizza il ruolo della prassi sociale.
550 Nei casi Demir e Baykara c. Turchia (Grande Camera, 12 novembre 2008, circa la tendenza nella ‘vast majority’ degli Stati europei di consentire agli ufficiali pubblici di contrarre con la pubblica amministrazione), Jorgic c. Germania (12 ottobre 2007, in cui si constata il tendenziale consensus circa la punibilità del genocidio in base al diritto nazionale), Sigurdur A. Sigurjónsson c. Islanda (30 giugno 1993, che riconosce la normale assenza negli ordinamenti nazionali di un obbligo di associazione a determinate associazioni di diritto privato), e A. e altri c. Regno Unito (17 marzo 2003, circa la comune presenza di norme a tutela dei parlamentari negli ordinamenti della maggioranza degli Stati parte).
551 In particolare nella giurisprudenza relativa all’equiparazione dello status dei figli nati fuori dal matrimonio a quelli legittimi, ad esempio in Marckx c. Belgio e Mazurek c. Francia (vedi nota 544).
552 Second Report, cit., p. 259.
553 Come nel caso Lithgow e altri c. Regno Unito (8 luglio 1986, in particolare par. 118) in cui la Corte affermava che la prassi degli Stati non era sufficiente a dimostrare che il diritto alla proprietà compreso nel Protocollo I e riferito ai principi generali di diritto internazionale potesse interpretarsi nel senso di coincidere con il trattamento che gli Stati garantiscono al diritto di proprietà dei propri cittadini.
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a limitazioni derivanti dal diritto consuetudinario
554, quest’ultimo da interpretarsi in ragione del suo
contenuto sostanziale al tempo della decisione
555. Secondo Nolte, si tratterebbe di un ragionamento
che avvicina l’interpretazione a quella che avviene sulla base dell’articolo 31.3.c) della
Convenzione di Vienna, ma che nel far riferimento ad altri trattati o altra ‘prassi’ internazionale
prende le mosse in realtà da quello indicato dall’articolo 31.3.b)
556. In tal senso, la Corte non
soltanto fa valere un’equivalenza tra la prassi nazionale e quella internazionale sul piano
interpretativo
557, ma considera ricompresa in quest’ultima anche la giurisprudenza internazionale e
la prassi di altri enti inter-governativi
558, non escludendo nemmeno raccomandazioni non vincolanti
o trattati cui le parti della controversia non aderiscono
559.
Il terzo tipo di prassi presa in considerazione dalla Corte è costituita dalla prassi sociale, che, come
visto, in realtà richiede di essere sostenuta dalla prassi statale in senso proprio
560. Rileverebbe in
particolare, a titolo di necessario sostegno, la prassi legislativa di una maggioranza di Stati,
considerando in tali casi la contrarietà di altri ordinamenti come meramente frutto di inerzia del
legislatore (e non come deliberata opposizione alla tendenza). Nolte aveva circoscritto ulteriormente
il possibile riferimento alla prassi sociale da parte della Corte, sottolineando che questa ha ammesso
il ricorso a tale prassi soltanto in casi in cui una minoranza era particolarmente sfornita di tutela (e
non in tutti i casi in cui era possibile rilevare un mutamento di ordine sociale)
561.
554 Come in Al-Adsani c. Regno Unito (Grande Camera, 21 novembre 2001, par. 56) in cui la corte negava che le modalità con cui uno Stato rende effettiva l’immunità giurisdizionale dello Stato straniero in conformità con il diritto internazionale generale potessero considerarsi un’illegittima restrizione al diritto di accesso a giudice ex articolo 6 della CEDU.
555 Ancora in Al-Adsani (nota precedente), la Corte negava anche che il diritto internazionale generale al tempo di decidere fosse tale da stabilire un divieto di tortura in capo allo Stato (ammettendo nondimeno che si tratta di un crimine individuale).
556 Second Report, cit., p. 259. Nolte evidenzia alcuni casi più risalenti in cui ciò era già avvenuto, in relazione allo status dei figli illegittimi, ossia Marckx (vedi nota 544, par. 41, dove la corte fa riferimento ad alcuni trattati non ancora ratificati al fine di sostenere la propria interpretazione dell’articolo 8 sul diritto alla vita privata) e Inze c. Austria (28 ottobre 1987, dove il riferimento è alla Convenzione del 1975 sullo status dei figli illegittimi, in vigore tra nove Stati del Consiglio d’Europa al tempo della decisione).
557 Ad esempio in Rantsev c. Cipro e Russia (10 maggio 2010, par. 285, circa la necessità di trarre un approccio comprensivo per la lotta al contrabbando a partire da numerosi strumenti internazionali) e in Chapman c. Regno Unito (Grande Camera, 18 gennaio 2001, par. 93, circa la necessità di ridurre il margine di apprezzamento degli Stati circa la tutela da garantire alle minoranze, in particolare quella zingara, in base a vari sviluppi giuridici sul piano internazionale).
558 Vedi la decisione Mamatkulov & Askarov c. Turchia (Grande Camera, 4 febbraio 2005, par. 124), dove la Corte faceva riferimento alla prassi della Corte Inter-Americana dei Diritti Umani, del Comitato sui Diritti Umani e del Comitato contro la Tortura, oltre che alla prassi di ‘whatever legal system’, per affermare che la tutela degli interessi delle parti da danni irreparabili deve essere un obiettivo e un limite alla possibilità di ricorrere a misure provvisorie.
559 Ad esempio in Demir & Baykara (nota 265, par. 103) la Corte ha fatto riferimento ad una raccomandazione del Consiglio d’Europa per supportare l’affermazione di un diritto di associazione per cui gli impiegati pubblici.
560 Second Report, cit., p. 261, riprendendo i casi Dudgeon (nota 541, par. 60) e Goodwin (nota 542, par. 85).
561 Ibidem, p. 262, citando i casi Johnston (nota 544, par. 53, in cui la corte nega un diritto al divorzio al fine di risposarsi, nonostante la tendenza sociale all’aumento delle separazioni, e anzi in forza della natura deliberata della non inclusione di tale diritto nella CEDU) e Schalk & Kopf (nota 539, par. 58, negando il consensus degli Stati circa la possibilità di un matrimonio tra individui dello stesso sesso).
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Passando alla Corte Inter-Americana dei Diritti dell’Uomo, essa, parallelamente, non ha mai fatto
espresso riferimento agli articoli 31.3.a) e b), e sono parimenti rari i casi in cui abbia fatto ricorso
alla prassi successiva in senso stretto. Nolte citava nel suo secondo rapporto per il Gruppo di Studio
soltanto le decisioni Hilaire
562e White Van
563, oltre al Parere sull’articolo 55
564. Per quanto riguarda
altri possibili sviluppi sul piano internazionale, si constata invece un ampio ricorso da parte della
Corte alla ‘prassi successiva’ in senso lato, che Nolte ricollegava tuttavia all’articolo 31.3.c) della
Convenzione di Vienna. In Velasquez, ad esempio, la Corte sanciva il divieto di sparizioni forzate
sulla base di una risoluzione della Commissione ONU per i Diritti Umani, oltre che altra prassi
generale (in ambito ONU) e regionale (in ambito OAS)
565. Anche nel Parere sull’assistenza
consolare, la Corte faceva riferimento alla prassi del Comitato dei Diritti Umani delle Nazioni Unite
562 In cui la Corte teneva conto della legislazione degli Stati che applicano la pena di morte per negare la compatibilità con l’articolo 4 ACHR (diritto alla vita) dell’automaticità della pena capitale per pur gravi reati (Hilaire, Constantine e Benjamin e altri c. Trinidad e Tobago, Meriti, riparazioni e costi, decisione del 21 giugno 2002, par. 12: ‘It is useful to consider some examples in this respect, taken from the legislation of those American countries that maintain the death penalty. In these countries the gradation according to gravity of each theory of deprivation of life is well recognized: from homicide to parricide. In all of these countries, there exists a diversity of penalties corresponding to the diversity in gravity. In such cases there is nothing comparable to a mandatory death penalty, the sense it has been given in the matter to which this Opinion refers.’)
563 In cui la prassi dimostrava che non si richiedono particolari forme per la validità della domanda presso la Corte (“White Van” (Paniagua Morales et altri) c. Guatemala, Obiezioni preliminari, decisione del 25 gennaio 1996, par. 34-35: ‘ha sido una práctica constante, no objetada por los gobiernos, la presentación inicial de las demandas ante la Corte mediante télex o facsímil, seguida de la consignación, pocos días después, de los documentos originales y de las diez copias a que se refiere el artículo 26 del Reglamento. [...] 35. La Corte no encuentra motivo suficiente para modificar dicha práctica, por cuanto todo tribunal debe seguir el ritmo de la vida contemporánea y valerse de los avances tecnológicos y los medios electrónicos modernos para facilitar sus comunicaciones con las partes procesales, de modo que dichas comunicaciones operen con la fluidez y celeridad debidas.’).
564 In cui la Corte negava che dal terzo paragrafo dell’articolo 55, che consente agli Stati di nominare un giudice ad hoc quando si tratta di dispute interstatali, potesse ricavarsi una generale facoltà degli Stati in tal senso, nonostante i frequenti inviti della Corte medesima agli Stati a nominare giudici ad hoc: tali inviti costituirebbero una mera interpretazione dell’ACHR, che la Corte potrebbe cessare di intraprendere (“Article 55 of the American Convention on Human Rights”, Parere OC-20/09 del 29 settembre 2009, par. 53: ‘the act of repeatedly informing the respondent States Parties of the possibility to appoint Judges ad hoc, responds to an interpretation of Article 55(3) of the Convention performed by the Inter-American Court itself, taking into account its procedural norms. As such, no interpretation of the Convention performed by the Court, even in a repeated manner, may be understood as a practice of the States in the sense of Article 38(1)(b) of the Statute of the International Court of Justice, in a manner that prevents the Court from modifying its criteria. Based on the foregoing, it is noted that in this matter there is no internal customary law according to which the States have acquired any rights to appoint Judges ad hoc in contentious cases originated in individual petitions.’)
565 Velásquez Rodríguez c. Honduras, Meriti, decisione del 29 luglio 1988, par. 151-152: ‘he establishment of a Working Group on Enforced or Involuntary Disappearances of the United Nations Commission on Human Rights, by Resolution 20 (XXXVI) of February 29, 1980, is a clear demonstration of general censure and repudiation of the practice of disappearances, which 27 had already received world attention at the UN General Assembly (Resolution 33/173 of December 20, 1978), the Economic and Social Council (Resolution 1979/38 of May 10, 1979) and the Subcommission for the Prevention of Discrimination and Protection of Minorities (Resolution 5B (XXXII) of September 5, 1979). The reports of the rapporteurs or special envoys of the Commission on Human Rights show concern that the practice of disappearances be stopped, the victims reappear and that those responsible be punished. 152. Within the inter-American system, the General Assembly of the Organization of American States (OAS) and the Commission have repeatedly referred to the practice of disappearances and have urged that disappearances be investigated and that the practice be stopped [...].’
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