Il presente lavoro di tesi ha indagato la presa a carico attuata dal Servizio di socioterapia dell’OSC di Mendrisio. Focalizzandosi sulla riorganizzazione del Servizio legata allo stato di emergenza sanitaria da COVID-19, l’obiettivo è stato quello di capire se le modalità di intervento attuate in questo contesto siano state in grado di mantenersi orientate a tre delle macro-finalità del lavoro sociale, ovvero alla promozione della salute, dell’empowerment e della partecipazione sociale dell’utenza. Tali finalità sono state poste alla base di questa ricerca in quanto, oltre a racchiudere molti dei concetti e dei valori che fanno da sfondo al mandato dell’educatore sociale, rappresentano tre degli scopi fondamentali che persegue il Servizio di socioterapia. Al contempo, poiché le stesse vengono messe in rilievo dagli esiti di alcuni studi sulla ricostruzione comunitaria svolti nell’ambito della Psicologia dell’emergenza, teoria mobilitata al fine di analizzare la riorganizzazione dell’intervento.
Per rispondere alla domanda di ricerca, nella contestualizzazione (cap. 2) è stato necessario innanzitutto esporre e approfondire i concetti di salute, empowerment e partecipazione
sociale, dei quali ne è stato evidenziato il legame.
Nella medesima parte è stato esposto il modello della progettazione dialogica-partecipata, in quanto strumento di intervento del lavoro sociale basato su dei fondamenti che richiamano gli stessi concetti che fanno da sfondo anche alle macro-finalità presentate. Come visto, questo approccio è caratterizzato dal coinvolgimento attivo e dalla collaborazione fra tutti gli attori implicati in un progetto all’interno di ogni fase della sua costruzione. Il modello si prefigge infatti di dare a tutti i partecipanti accesso ai processi decisionali, di conferire responsabilità e ruoli riconosciuti, così come di attivare e valorizzare le risorse, le potenzialità e le competenze delle persone. Tutti questi elementi costituiscono delle componenti essenziali dei concetti di partecipazione e di empowerment, i quali, avendo un’influenza diretta sui determinanti di salute, costituiscono anche dei fattori di promozione della salute. In conclusione a questa parte sono stati esposti una ricostruzione del quadro istituzionale entro cui si inserisce il Servizio di socioterapia, i fondamenti del suo mandato e degli scopi perseguiti attraverso il suo principale strumento di intervento, ovvero il club terapeutico. È stato quindi presentato il contesto del Club ’74, di cui ne è stata messa in risalto la doppia natura: da una parte, quella data dal suo costituirsi come partner del Servizio, in quanto organismo associativo dotato di autonomia decisionale, volto all’organizzazione e alla gestione di svariate attività di animazione socioculturale all’interno dell’istituzione. Questa caratteristica, è stato visto, permette di conferire ai suoi membri dei ruoli e delle responsabilità formalmente riconosciuti. D’altra parte, il Club ’74 funge da strumento di intervento che mediante il coinvolgimento e la partecipazione delle persone alle diverse attività (che assumono finalità terapeutiche, riabilitative e di reinserimento sociale), ne permette la valorizzazione delle risorse e delle competenze presenti.
Come spiegato nel capitolo della metodologia (cap. 3), la presa a carico è stata analizzata in due fasi ben distinte, di modo da poter mettere a paragone le ordinarie condizioni di intervento del Servizio con quelle attuate in stato di emergenza.
Nella prima fase (cap. 4.1) sono stati esposti i fondamenti teorici del Servizio, i quali fanno riferimento ai concetti della Psicoterapia istituzionale di Jean Oury. Secondo questo autore, il fulcro della presa a carico in ambito sociopsichiatrico è quello di poter accogliere l’utenza assicurando una presenza costante e di riferimento. Questo, all’interno di uno spazio in
grado di garantire il libero accesso a una dimensione di permanente “apertura” (l’autore pone dunque l’accento sul concetto di apertura e sull’importanza, ai fini riabilitativi e terapeutici, di mantenere la continuità della presa a carico), che si contrapponga con la dimensione di “chiusura” che caratterizza e accomuna le diverse forme di disagio psichico (Callea & Oury, 2000).
Successivamente sono stati esposti due ulteriori strumenti di intervento del Servizio, ovvero la riunione e la griglia. Attraverso la descrizione del funzionamento di questi due strumenti è stato possibile illustrare concretamente le modalità di intervento del Servizio, sia in relazione ai concetti della Psicoterapia Istituzionale, sia alle macro-finalità del lavoro sociale. Inoltre, esponendo le modalità di funzionamento e i vari scopi della riunione (fra i quali quello di ideare, costruire e gestire collettivamente le varie attività e i progetti), è stato possibile mettere in evidenza l’analogia tra l’approccio alla progettazione del Servizio di socioterapia e il modello della progettazione dialogica-partecipata.
Un’altra caratteristica dell’intervento ordinario è quella di attuarsi in una dimensione di gruppo. Quest’ultimo ricopre infatti una funzione terapeutica in quanto le dinamiche che si attivano al suo interno consentono di promuovere il confronto, la condivisione e l’espressione fra le persone, così come pure la collaborazione e l’apprendimento reciproco di competenze. Un’altra delle funzioni del gruppo messa in risalto è quella di consentire il miglioramento della qualità dei rapporti interpersonali fra le persone, elemento che rappresenta uno dei determinanti di salute.
Infine, sono stati presentati alcuni degli spazi e delle attività che si svolgono usualmente al Club ’74 per esemplificarne il funzionamento in condizioni ordinarie e le modalità con le quali i concetti di base della Psicoterapia istituzionale vengono declinati nella realtà del contesto. Prima di analizzare la seconda fase è stato necessario ripercorrere i graduali cambiamenti introdotti nel contesto del Club ’74 a causa dell’adozione delle prime misure di contenimento del virus, le quali hanno già comportato delle modifiche dell’intervento nel momento di transizione che ha preceduto la chiusura degli spazi del Servizio di socioterapia. È stato evidenziato come, nonostante la complessità della situazione, l’intervento si sia mantenuto orientato al principio di responsabilità e alla partecipazione sociale, in quanto l’utenza è stata attivamente coinvolta e ha avuto voce in capitolo in tutte le decisioni inerenti la sua gestione. In questo complicato momento di cambiamento, lo strumento della riunione ha avuto un ruolo centrale, in quanto spazio di parola privilegiato nel quale le persone hanno potuto esprimere timori e preoccupazioni, ma anche per continuare a confrontarsi rispetto all’organizzazione e alla gestione delle attività ancora in atto. Per quanto possibile, ciò ha permesso di mantenere un principio di stabilità e di continuità dell’intervento all’interno del Club ’74 fino alla chiusura degli spazi del Servizio.
Uno strumento risultato fondamentale durante questo periodo di passaggio, così come nella successiva fase di intervento a distanza, è stata la presa a carico telefonica individualizzata, la quale in caso di necessità ha previsto anche la possibilità di svolgere visite ad hoc a casa delle persone già confinate al domicilio. Anche se virtualmente, questo strumento ha consentito di adattare l’intervento secondo le personali esigenze e rispetto al processo di cambiamento subito dal contesto, modalità che richiama il principio di singolarità e il concetto di effetto patoplastico della Psicoterapia istituzionale (Callea & Oury, 2000, p. 41). Tale strategia ha consentito di dare una continuità alla presa a carico attraverso il mantenimento di una vicinanza e di un supporto costante. Tuttavia, a causa delle diverse direttive di
contenimento, in questa fase intermedia non è evidentemente stato possibile garantire la piena partecipazione di tutte le persone e la libera circolazione nel contesto.
Alla chiusura degli spazi del Servizio è seguita la seconda fase di intervento. Immediatamente dopo la chiusura del Club ’74 e dei Centri Diurni, attivare ed estendere a tutta l’utenza del Servizio di socioterapia la presa a carico telefonica è stato un primo modo per contrastare l’isolamento e per lavorare al mantenimento della salute delle persone. Con l’attivazione degli incontri in video-collegamento, avvenuta già durante la prima settimana di chiusura, è stato possibile ripristinare le riunioni di Segretariato e riunire in un unico spazio (virtuale) tutta la comunità del Servizio nonostante la distanza. Coerentemente all’orizzontalità dei ruoli che caratterizza l’approccio del Servizio, tutti i suoi membri hanno apportato qualcosa alla dinamica che si è sviluppata. Pur in situazione di grave crisi, l’utenza ha potuto venire investita di responsabilità e venire coinvolta nelle decisioni riguardanti le azioni da intraprendere. Gradualmente e grazie alla rinnovata possibilità di “incontrarsi”, dal lavoro collettivo sono nate diverse attività e progetti di animazione socioculturale a distanza, frutto di varie proposte degli operatori e dell’utenza.
Seppur nello spazio virtuale, le persone hanno potuto continuare a ritrovarsi all’interno di una dimensione di gruppo, riaprendo alla possibilità di lavorare sulle dinamiche interpersonali e sull’espressione in varie forme. Gli operatori hanno infatti funto da mediatori, accompagnatori e “tranquillizzatori”. Questo ha permesso di attivare la condivisione e la rielaborazione dei vissuti personali legati alla situazione di emergenza. Inoltre, ciò ha consentito all’équipe di accogliere e ridimensionare le paure dell’utenza, supportandola nell’individuazione di letture trasformative della realtà in atto.
La Psicologia dell’emergenza evidenzia quanto sia importante, in presenza della percezione di una minaccia e di un clima emergenziale, sostenere le persone a superare il vissuto di impotenza promuovendo esperienze di empowerment e coinvolgendole attivamente nella ricostruzione dei propri contesti di vita per tornare a una progettualità positiva del futuro. Questo è possibile costruendo l’intervento secondo una prospettiva di resilienza che permetta di ricercare letture trasformative che, senza negare la realtà, consentano di ridare speranza e di disporsi all’individuazione di:
strategie cognitive e relazionali che permettano di riannodare i fili tra passato, presente e futuro, potenziando le risorse ancora disponibili, favorendo lo sviluppo di quelle latenti e aiutando la persona a connettersi con un ambiente (fisico, mentale, temporale, spaziale che temporaneamente ha dovuto abbandonare) (Cyrulnik & Malaguti, 2005, p. 9).
Riportando quanto appena scritto all’intervento attuato dal Servizio, la prospettiva della resilienza ha assunto un valore particolare anche nel mantenimento e nella promozione della salute dell’utenza. Quest’ultima è stata definita come la misura in cui gli individui sono in grado di evolversi o adattarsi ai continui processi di cambiamento del contesto riuscendo a soddisfare i propri bisogni. Essa risulta dunque direttamente correlata alla capacità della persona stessa di adattarsi a un contesto in mutamento. A questo proposito si torna a fare riferimento al concetto di effetto patoplastico della Psicoterapia istituzionale che, come è stato visto, si riferisce alla possibilità di modificare la sintomatologia legata al quadro di salute mentale attraverso un lavoro sull’ambiente e non, invece, richiedendo alla persona di adattarvisi.
La metafora della bambola di Manciaux (SUPSI-DEASS, 2016) può offrire una chiave di lettura attraverso la quale poter comprendere meglio il concetto di effetto patoplastico in relazione alla salute dell’utenza e al ruolo che ha avuto l’intervento per il suo mantenimento. Questa metafora illustra come una bambola, cadendo a terra, può spezzarsi o rimanere intatta in funzione di tre elementi: il materiale da cui è costituita, la forza dell’urto e la natura del suolo.
In diversa misura, la vulnerabilità è un aspetto presente in ogni persona. Tuttavia, l’utenza del Servizio è esposta a una maggiore vulnerabilità sul piano della salute. Si potrebbe dunque paragonare la persona che soffre di un disagio psichico a una bambola di porcellana, un materiale fragile che potrebbe rompersi facilmente.
L’improvviso e inaspettato configurarsi di uno stato di emergenza come quello introdotto dalla pandemia da COVID-19 costituisce un evento traumatico e improvviso, che potrebbe invece venire paragonato a un violento schianto.
L’ultimo elemento, la natura del suolo su cui cade la bambola, si riferisce alle condizioni del contesto. Se una bambola di porcellana si schianta su un suolo duro, con molta probabilità si romperà. Se invece lo stesso schianto avviene su un terreno morbido, nonostante la fragilità del materiale e l’intensità della caduta, il rischio che la bambola si rompa si riduce.
Anche se nello spazio virtuale e nonostante le numerose difficoltà e la distanza fisica, l’intervento attuato dal Servizio ha permesso di creare un contesto in grado di modularsi per adattarsi ai bisogni delle persone anche in condizioni sfavorevoli. Riprendendo la metafora, la presa a carico ideata per sostenere l’utenza durante questo periodo di emergenza ha permesso di creare un “terreno morbido”, che ha giocato un ruolo fondamentale nel mantenimento della salute delle persone, permettendo inoltre di evitare ricoveri in clinica. Per quanto non sia stato scontato in una situazione tanto straordinaria che ha toccato tutti, lungo l’intero processo di riorganizzazione della presa a carico l’équipe del Servizio è riuscita a mantenersi affrancata e coerente ai principi della Psicoterapia istituzionale.
Alla luce di quanto esposto e in risposta alla domanda di ricerca, a questo punto del mio lavoro di tesi si può affermare che nonostante le condizioni di emergenza sanitaria, il Servizio di socioterapia ha sviluppato delle strategie di presa a carico che hanno permesso di ricreare i presupposti per poter continuare a promuovere la partecipazione sociale, l’empowerment e la salute delle persone.
Nel contesto del Servizio di socioterapia coesistono animatori socioculturali, pazienti della clinica e persone con disagio psichico stabilizzato. Anche se non codificata, questa eterogeneità è fondamentale. Come mi è stato spiegato dal Coordinatore del Servizio di socioterapia, chi ha un passato (anche doloroso) di clinica porta un valore aggiunto importante nell'approccio, nell'accoglienza nell'accompagnamento delle persone che frequentano il Servizio, che spesso si trovano in condizioni di fragilità. Sarebbe stato interessante, come ipotetica espansione di questo lavoro, indagare il vissuto dell’utenza per approfondire la maniera in cui l’utenza contribuisce attivamente al proprio e altrui percorso terapeutico. Questo avrebbe forse permesso anche di mettere in evidenza gli aspetti di peer
education (educazione fra pari) iscritti nella presa a carico effettuata dal Servizio.
Lungo tutto il periodo della pratica professionale nel Servizio, ho avuto l’opportunità di ascoltare i racconti e di confrontarmi direttamente con il punto di vista dell’utenza rispetto all’esperienza fuori dall’ordinario vissuta insieme. Partecipare all’allestimento del giornale on-
line Insieme in quarantena mi ha anche dato modo di raccogliere e leggere le narrazioni dell’utenza sul vissuto personale legato all’emergenza. A proposito della narrazione, Laura Formenti, autrice di un articolo pubblicato sulla rivista Animazione sociale, scrive:
Tra le storie di cambiamento, particolarmente importanti sono quelle raccontate dagli utenti sulla
relazione di aiuto. Storie che istituiscono una reciprocità tra narranti, preziose perché, per sviluppare maggiore consapevolezza rispetto all’intervento, gli operatori hanno bisogno di conoscere più a fondo le esperienze vissute dagli utenti nelle diverse fasi del processo
(Formenti, 2003).
Raccogliendo questo input, sarebbe stato interessante ampliare questo lavoro interrogando il punto di vista dell’utenza in riferimento all’esperienza di presa a carico a distanza in condizioni di emergenza. Per scelta metodologica non è tuttavia stata svolta un’analisi del vissuto dell’utenza, poiché l’obiettivo della presente ricerca era quello di interrogare la riorganizzazione del Servizio.
Rispetto alle criticità relative al percorso svolto in questo lavoro di tesi, un primo aspetto è che per una questione di economia dello spazio a disposizione per lo svolgimento del presente lavoro, sono stati presi in considerazione solo una parte degli autori consultati, dei concetti e dei temi correlati a questa ricerca che avrebbero potuto venire approfonditi. Per esempio, oltre alla peer education che è già stata menzionata, si sarebbero potuti integrare altri riferimenti bibliografici e concetti inerenti le esperienze di ricostruzione comunitaria in condizioni di emergenza, il concetto di resilienza, l’approccio narrativo, il tema dei processi comunicativi e relazionali all’interno dello spazio virtuale e molti altri ancora.
Un altro aspetto emerso è che il documento principale a cui si è fatto ricorso per l’elaborazione del presente lavoro consiste nella raccolta dati sulla riorganizzazione del Servizio in relazione al COVID-19, svolta come progetto di stage. Nella ricerca di altri riferimenti ci si è tuttavia accorti che manca ancora una bibliografia che ha indagato il tema dell’emergenza introdotta dalla (attuale) pandemia, rispetto ai servizi di presa a carico sociopsichiatrica. Un’ultima considerazione, è che la problematica e l’analisi sono state costruite sulla base di un periodo circoscritto nel tempo e corrispondente al mio periodo di stage (gennaio-giugno 2020). Questo lavoro ha preso in considerazione solo gli elementi inerenti la presa a carico a distanza, mentre non ha trattato quanto svolto dagli operatori dell’équipe anche all’interno dell’istituzione per supportare i pazienti della clinica e nemmeno le modalità della graduale e parziale riapertura, avvenuta sul finire di questo periodo.
Durante il periodo di pratica professionale nel Servizio di socioterapia, ho avuto per la prima volta l’opportunità di confrontarmi con un contesto che applica nell’intervento tutti i principi del modello dialogico-partecipato alla progettazione. Quest’ultimo è uno degli apprendimenti della mia formazione che più mi sta a cuore, perché racchiude i miei valori professionali e personali. Infatti, quest’approccio è uno strumento di cui l’educatore sociale può avvalersi per adempiere al suo mandato nei confronti dell’utenza di cui si occupa in virtù di macro- riferimenti come ad esempio il riconoscimento del valore e della dignità di ogni persona, il diritto all’autodeterminazione, all’uguaglianza, e il diritto di partecipare alle scelte che toccano la collettività, principi dati dai diritti fondamentali dell’uomo. È un modello d’intervento che, a titolo personale, dovrebbe poter venire promosso e adattato a tutti i contesti di intervento. La scelta del tema di tesi è stata infatti anche un modo per valorizzare quanto fatto dal Servizio di socioterapia e l’approccio che ha verso l’utenza.
Rispetto al tema della flessibilità della figura professionale e dei margini di indefinitezza del lavoro sociale (introdotto in apertura a questa ricerca), una riflessione sorta è quanto sia importante che l’educatore sociale si sappia muovere anche nelle “zone grigie” restando
affrancato ai valori e ai principi del suo mandato nei confronti dell’utenza. Condividere un periodo tanto straordinario con la comunità del Servizio di socioterapia è
stata un’esperienza estremamente significativa, tanto professionalmente, quanto personalmente. Confrontarmi con l’approccio adottato dall’équipe e rielaborare l’esperienza attraverso questo lavoro di tesi, mi ha permesso di imparare che per uscire dalla logica di de-responsabilizzazione e di delega che potrebbe instaurarsi in situazioni in cui la complessità o i limiti del contesto possono creare degli ostacoli e far vacillare le certezze, è necessario che i professionisti di questo ambito si mantengano predisposti a rimettere in discussione le pratiche attraverso una riflessione costante sull’azione professionale (individuale e in équipe). Nel (ri)costruire e nel valutare la presa a carico, un aspetto fondamentale è stato quello di interpellare il punto di vista dell’utenza, coinvolgendola in una riflessione collettiva che ha aperto alla possibilità di apprendere insieme dall’esperienza e di valorizzare l’apporto di ognuno. Mettere le persone al centro del proprio percorso di vita, penso possa venire riassunto nel riconoscere e nel considerare il valore dell’esperienza che ogni persona ha acquisito con il proprio vissuto e attraverso la prospettiva del proprio ruolo, permettendo a tutte le parti coinvolte di avere voce in capitolo e responsabilità nella ricerca di soluzioni.
La flessibilità che connota la figura dell’educatore sociale può essere letta come uno dei punti di forza di questo professionista, perché apre alla possibilità di predisporsi creativamente alla rivisitazione del lavoro educativo in funzione dei cambiamenti politico- storici-culturali e ambientali. Per non restare passivi e subordinati acriticamente alle pratiche in vigore, che sono lo specchio della società del presente, anch’esse devono potersi evolvere per adattarsi ai processi di trasformazione socioculturali e dell’ambiente in cui si opera. Pensando ad esempio alle lotte sociali avvenute nell’ambito della presa a carico sociopsichiatrica per evolvere l’approccio e le pratiche nei confronti dell’utenza (de- istituzionalizzazione), la presa di coscienza collettiva che si volge a creare una società più equa e giusta nei confronti di tutti i cittadini, e specialmente di quelli più vulnerabili, parte proprio dal rimettere in discussione cosa si fa e come lo si fa.
Un’altra cosa che ho imparato dall’esperienza nel Servizio di socioterapia, è che la creatività può essere una prospettiva della resilienza, uno strumento per dare speranza e per trovare letture positive e trasformative della realtà in grado di aprire a una visione progettuale del futuro. La creatività permette infatti di individuare gli spazi interstiziali nei quali agire anche in