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Distanti ma vicini : La continuità della relazione educativa al tempo del COVID-19

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Academic year: 2021

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Distanti ma vicini

La continuità della relazione educativa al tempo del COVID-19

Studente/essa

Sara Bottani

Corso di laurea Opzione

Bachelor in Lavoro sociale

Educazione sociale

Progetto

Tesi di Bachelor

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Un sincero grazie …

A Miguel e a Nico, la mia gioia e il mio orgoglio, grazie per esserci e per farmi sorridere ogni giorno. Grazie per la pazienza e per essere stati la mia forza lungo tutto questo percorso di studio su cui ci siamo incamminati insieme, ma specialmente grazie per il vostro amore e per avermi resa la persona che sono.

A Lisa, a Noemi e ad Alan, i miei compagni di viaggio di tutta una vita, grazie per essermi sempre accanto e grazie per avermi supportata e sopportata in ogni momento, ma specialmente grazie per aver creduto in me e per avermi sempre incoraggiata.

A Mauro e a Sylvia, grazie per avermi incoraggiata e sostenuta nel raggiungere questo obiettivo, grazie per la forza e la vitalità che avete saputo trasmettermi con il vostro esempio.

A tutta la mia famiglia, grazie per aver fatto sempre “il tifo” per me.

A Liss, grazie per essere stata una compagna di studi su cui poter sempre contare, ma specialmente grazie per essere ancora oggi un’amica fidata e fedele, e una compagna di avventure con cui poter ridere insieme nella gioia e nella sventura.

A Daria, grazie per la tua sincera amicizia, per i consigli, per le risate e per la tua immancabile disponibilità.

A Jacob, grazie per avermi sopportata durante tutta la stesura di questo lavoro, grazie per il tuo sorriso e per le risate insieme, che non mancano mai e che hanno riempito di gioia questo periodo. A Lyn, grazie per essere stata “la mia scintilla” nel buio, per essermi stata vicina senza avertelo chiesto, per avermi fatto scoprire cosa voglia dire “forza d’animo”. Grazie per aver contribuito, forse senza neanche saperlo, a questo percorso formativo e a fare di me la persona che sono.

Grazie per avermi insegnato cosa voglia dire “esserci”, sei il mio modello di operatrice sociale.

A Raffaella P., grazie per l’ascolto e per gli incoraggiamenti, grazie per avermi supportata, spronata e accompagnata lungo questo percorso di studio avendo fiducia in me.

Ai docenti Angelo N. e Lorenzo P., grazie per la dedizione e la passione con cui vi dedicate ai vostri studenti, grazie per essere stati dei punti di riferimento e delle guide nel mio percorso di studi. Grazie. A Mauro Durini, grazie per la disponibilità, la professionalità, il sapere e l’esperienza che hai condiviso con me. Grazie per avermi fatto da docente e da insegnante nella mia pratica professionale.

A Lara, e a tutti i membri dell’équipe e della Comunità del Servizio di socioterapia, grazie per ogni cosa che ho potuto imparare con tutti voi e per aver contribuito alla realizzazione di questo lavoro. A Silvana, una tutor e una docente eccezionale, grazie per l’immancabile disponibilità che mi hai sempre dimostrato in questi anni, e grazie per tutti i consigli e per il supporto durante la stesura di questa tesi. Grazie pure per avermi incoraggiata e rassicurata con premura davanti a timori e dubbi, accompagnandomi fino al traguardo.

All’improvviso niente è più come prima, ma tutto, nella scoperta delle risorse creative e rigenerative, che appartengono a ogni uomo, nell’ascolto partecipante che possiamo offrire alle sofferenze di chi è ferito nel corpo e nell’anima, di chi ha smarrito il «mondo» divenuto straniero, può sempre e ancora divenire diverso, può permettere nuovamente lo stupore e la meraviglia della

vita, della propria vita, che risorge e continua (Martignoni, 2014).

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Abstract

L’emergenza sanitaria causata dall’espandersi del virus COVID-19 e il progressivo inasprimento delle misure di contenimento hanno avuto forti ripercussioni non solo sulla dimensione individuale delle persone, ma anche sul funzionamento di molte strutture e servizi sociali. L’esplodere della pandemia ha imposto agli operatori sociali la sfida di ricercare nuove soluzioni per far fronte alla complessità della situazione, sulla base di un’improvvisa trasformazione dei contesti d’intervento e della relativa emergenza di nuovi bisogni specifici correlati all’utenza coinvolta nei vari ambiti. Il presente lavoro di tesi, mettendo in evidenza la flessibilità che connota la figura dell’educatore sociale e i contesti di intervento nei quali egli opera, ha indagato l’esperienza di presa a carico in stato di emergenza epidemiologica attuata da un servizio sociopsichiatrico territoriale.

Con il delinearsi della pandemia da COVID-19, il Servizio di socioterapia dell’Organizzazione Sociopsichiatrica Cantonale di Mendrisio si è confrontato con l’esigenza di trovare delle strategie alternative per dare continuità alla presa a carico e poter continuare a tutelare e a promuovere la salute dell’utenza. Le misure di restrizione introdotte per contenere il virus hanno infatti condotto a una chiusura temporanea di questo servizio, minando il percorso terapeutico dell’utenza ed esponendola a un importante rischio di isolamento e a possibili ripercussioni sulla salute.

L’intento di questa ricerca è stato quello di rispondere alla domanda “La presa a carico

attuata dal Servizio di socioterapia in stato di emergenza sanitaria è stata in grado di mantenersi orientata alla promozione della salute, dell’empowerment e della partecipazione sociale dell’utenza?”.

Per rispondere alla domanda di ricerca sono stati presentati i concetti di salute, empowerment e partecipazione sociale, tre dei macro-riferimenti del lavoro sociale che si rifanno ai Diritti

fondamentali dell’Uomo, e i concetti di base della Psicoterapia istituzionale teorizzata da Jean

Oury, che fanno da sfondo all’approccio del Servizio di socioterapia. Inoltre è stato presentato il modello della progettazione dialogica-partecipata, paradigma che consente di applicare i medesimi concetti trattati in questa tesi alla costruzione di progetti educativi.

Da un punto di vista metodologico, le modalità della presa a carico sono state indagate e ricostruite ricorrendo a una raccolta dati svolta internamente al Servizio nel periodo tra Gennaio e Giugno 2020. L’intervento indagato è stato suddiviso in due fasi, la prima in condizioni ordinarie, mentre la seconda descrive la situazione che si è delineata nel contesto a causa delle misure di contenimento del virus e la presa a carico a distanza ideata per far fronte all’impossibilità di incontro all’interno degli spazi del Servizio.

Ripercorrendo le fasi operative precedentemente indicate, il focus di questa ricerca empirica è stato quello di mettere in relazione l’intervento a distanza elaborato dal Servizio di socioterapia con le tre macro-finalità del lavoro sociale precedentemente esposte e con i concetti della Psicologia dell’emergenza, disciplina di studio che indaga i processi di ricostruzione comunitaria post-emergenza.

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Indice

1. Introduzione ... 1

2. Contestualizzazione ... 2

2.1 Tre finalità del lavoro sociale: salute, empowerment e partecipazione sociale ... 2

2.2 La progettazione dialogico-partecipata ... 4

2.3 Il Servizio di socioterapia dell’Organizzazione Sociopsichiatrica Cantonale ... 5

3. Metodologia ... 7

4. Dissertazione ... 9

4.1 Fase 1: il Club ’74 in regime d’intervento ordinario ... 9

4.2 Il Club ’74 e l’arrivo del Covid-19 ... 15

4.3 Fase 2: il Servizio di socioterapia e l’intervento a distanza ... 18

4.3.1 Sette iniziative di animazione socioculturale a distanza ... 23

5. Conclusioni ... 26

6. Bibliografia ... 32

8. Allegati ... 34

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1. Introduzione

L’emergenza sanitaria causata dall’espandersi del virus COVID-19 e il progressivo inasprimento delle misure di contenimento hanno avuto forti ripercussioni non solo sulla dimensione individuale delle persone, ma anche sul funzionamento di molte strutture e servizi sociali. L’esplodere della pandemia ha imposto agli operatori sociali la sfida di ricercare nuove soluzioni per far fronte alla complessità della situazione, sulla base di un’improvvisa trasformazione dei contesti d’intervento e della relativa emergenza di nuovi bisogni specifici correlati all’utenza coinvolta nei vari ambiti. In molti casi, al fine di mantenere viva la relazione con l’utenza e per sostenerla al meglio nel periodo di crisi, si è reso necessario il ricorso a modalità di lavoro del tutto innovative. Il passaggio da un intervento in regime ordinario a uno in stato di emergenza può implicare la ridefinizione degli obiettivi primari e la ricostruzione di modalità operative. Questo processo richiede l’apertura di uno spazio di riflessione approfondito da parte degli operatori sociali, tenuti a interrogarsi su come poter dare vita a nuove prassi educative mantenendosi orientati alle finalità professionali e dell’ambito d’intervento.

Il presente lavoro di tesi si prefigge di ripercorrere le fasi del processo di riorganizzazione attuato dal Servizio di socioterapia dell’Organizzazione Sociopsichiatrica Cantonale (OSC) di Mendrisio, le cui condizioni d’intervento sono state sottoposte a un drastico cambiamento durante l’emergenza da COVID-19. L’allerta sanitaria e le conseguenti direttive emanate dal Cantone volte al contenimento del virus hanno infatti determinato importanti restrizioni e cambiamenti al suo funzionamento operativo. Il Servizio si è visto costretto ad adattarsi progressivamente alle limitazioni imposte dalle nuove norme d’igiene e di distanziamento sociale, modificando dapprima le sue usuali modalità d’intervento in sede, giungendo poi alla sospensione di molte delle sue attività e occasioni d’incontro, vedendosi, infine, del tutto impossibilitato ad accogliere l’utenza all’interno dei suoi spazi. Tali circostanze hanno condotto il Servizio a riorganizzare le sue modalità d’intervento per poter continuare a garantire la presa a carico dell’utenza nell’impossibilità della presenza e del contatto diretto. Questo processo di adattamento del Servizio alle condizioni d’intervento in emergenza sanitaria, del tutto eccezionali e mai sperimentate prima, ha comportato la necessità di trovare nell’immediato delle soluzioni innovative per mantenere vivo il contatto con l’utenza confinata al domicilio, con l’obiettivo primario di contrastare i rischi legati all’isolamento e alle sue possibili ripercussioni sulla salute mentale di persone spesso già esposte a un maggiore rischio di vulnerabilità.

L’ultimo periodo di stage della mia formazione in Lavoro sociale, svolto nell’ambito del disagio psichico in questo Servizio, ha coinciso con l’emergere e con lo svilupparsi dello stato d’emergenza epidemiologica da COVID-19 in Ticino. Il mio coinvolgimento nel processo di reinvenzione della presa a carico ha suscitato la motivazione per la scelta del tema di tesi in quanto, seppur per un breve periodo, mi ha resa partecipe di un’esperienza unica insieme alla sua comunità.

L’intento di questo lavoro di tesi è quello di ricostruire il processo di adattamento del Servizio di socioterapia alle condizioni di intervento in emergenza sanitaria, al fine di mettere in relazione l’intervento attuato con alcune delle macro-finalità del lavoro sociale.

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2. Contestualizzazione

La stretta relazione tra le caratteristiche dell’operatore sociale professionale e i processi di cambiamento dei contesti socioculturali, politico-economici e ambientali nei quali egli opera, la rendono una figura “costitutivamente incerta, alle volte quasi sfuggente, costantemente in

via di definizione, restia a qualsiasi tentativo di stabilizzazione all’interno di una rassegna esaustiva di compiti e funzioni” (Tramma, 2008, p. 11). Il suo profilo risulta difficilmente

definibile, tanto da potersi definire una figura professionale “liquida”. La flessibilità che connota l’operatore sociale è strettamente legata alla molteplicità e alla complessità dei contesti d’intervento, continuamente sottoposti a processi trasformativi e dai quali emerge la necessità di ricercare di volta in volta soluzioni puntuali per rispondere ai bisogni dell’utenza a cui si rivolge. In egual modo, anche l’intervento professionale in campo sociale è caratterizzato dalla medesima flessibilità e possibilità di differenziazione, poiché deve potersi attuare tenendo conto delle peculiarità della realtà del contesto e costituirsi come risposta specifica a bisogni altrettanto specifici. Il lavoro in ambito sociale comporta dunque:

lo sforzo di interrogarsi rispetto ai nuovi scenari che attendono l’educatore professionale, in termini di emergenze educative, contesti d’intervento, diversi soggetti destinatari di azioni educative specifiche, margini di sperimentazione di nuove prassi educative, spazi di riflessione sulle pratiche e sui presupposti teorici a esse sottese (Oggionni, 2014, p. 24).

Le macro-finalità del lavoro sociale, che fungono da fondamenti sottesi a ogni intervento, si costituiscono come un orientamento di base nella pratica professionale dell’operatore sociale (SUPSI-DEASS, 2015). Tanto più in situazioni di emergenza, in cui i cambiamenti del contesto rendono instabile il mantenimento di un principio di continuità delle pratiche, le macro-finalità fungono da prezioso riferimento verso cui protendere nel processo di ricerca di nuove strategie di sostegno all’utenza.

I concetti di riferimento esposti di seguito costituiscono alcune delle macro-finalità del lavoro sociale e fungeranno successivamente da indicatori alla valutazione dell’intervento su cui si basa la presente ricerca.

2.1 Tre finalità del lavoro sociale: salute, empowerment e partecipazione sociale

La Costituzione del 1948 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la salute come “stato di completo benessere fisico, sociale e mentale” (Campanini, 2015, p. 547). Questa definizione racchiude la salute in un concetto astratto e statico, tuttavia, essa viene sancita come diritto umano fondamentale.

Una più recente definizione, riportata nella Carta di Ottawa del 1986, non intende la salute come une fine, bensì come risorsa per la vita quotidiana, rifacendosi a un concetto positivo che valorizza le risorse individuali e sociali. La salute viene infatti definita come la misura in cui individui o gruppi possono realizzare le proprie ambizioni e soddisfare i propri bisogni sul piano individuale, sociale ed economico, evolvendosi con l’ambiente o adattandosi a questo. Viene evidenziato, inoltre, come alcune condizioni e risorse preliminari quali la pace, il nutrimento, l’abitazione e il reddito possono intervenire a favore o a danno della salute. Ne deriva il riconoscimento del complesso legame tra la salute individuale e fattori esterni che costituiscono stimoli costantemente mutevoli (ad esempio le condizioni sociopolitiche, economiche e ambientali). L’insieme dei fattori individuali e del contesto che influenzano la salute vengono definiti determinanti di salute (World Health Organization , 1986).

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Questa concezione della salute ne introduce una sua visione olistica, ovvero basata su uno sguardo multidisciplinare al benessere. Adottando questa definizione, una macro-finalità dell’intervento in ambito sociale è dunque quella di promuovere la salute, rendendo queste condizioni favorevoli e verificando che il contesto consenta l’adeguato accesso alle risorse da parte dei singoli individui e della comunità.

Nel quadro della promozione della salute si fa riferimento alla promozione dell’empowerment, concetto sviluppatosi nell’ambito della psicologia di comunità (Campanini, 2015, p. 241). Esso si riferisce al processo attraverso cui le persone acquisiscono un maggiore controllo sulle azioni e sulle decisioni che hanno a che fare con la propria salute. L’OMS lo definisce:

il processo sociale, culturale, psicologico o politico attraverso il quale gli individui e i gruppi sociali sono in grado di esprimere i propri bisogni e le proprie preoccupazioni, individuare strategie per essere coinvolti nel processo decisionale e intraprendere azioni di carattere politico, sociale e culturale che consentano loro di soddisfare tali bisogni (DoRS, 2012).

Nell’ambito di interventi di comunità a supporto della salute, l’OMS fa riferimento al concetto di empowerment di comunità, per definire un’azione collettiva atta all’influenzamento e all’acquisizione di un maggior controllo sui determinanti della salute e sulla qualità di vita della comunità stessa. Il concetto di empowerment ha influenzato anche il lavoro sociale contemporaneo, declinandosi come approccio relazionale che, attraverso il lavoro di rete, si volge al sostegno e allo sviluppo delle capacità del singolo e delle comunità in un’ottica di apprendimento reciproco. Questo processo collaborativo, definito empowerment relazionale, mira alla valorizzazione delle potenzialità, delle capacità e delle risorse individuali o collettive necessarie all’individuazione di risposte funzionali ai bisogni rilevati, per l’accrescimento dell’autodeterminazione nell’organizzazione di vita (Folgheraiter, 2004). Poter influenzare il corso degli eventi contribuendo a direzionare il cambiamento implica una componente partecipativa degli attori sociali coinvolti. La partecipazione è da considerarsi una condizione essenziale, uno strumento per far fronte efficacemente ai problemi sociali e per trovare risposte più funzionali e durature ai bisogni.

La promozione della partecipazione sociale, un’altra delle macro-finalità del lavoro sociale, è dunque da intendersi come il coinvolgimento responsabile di individui, gruppi e collettività nei processi decisionali che li riguardano, valorizzandone e sviluppando le risorse e le competenze presenti (Campanini, 2015, pp. 421-423). La possibilità di coinvolgimento e di collaborazione nelle azioni che mirano alla tutela, alla promozione e al mantenimento del benessere collettivo crea fiducia fra gli individui e pone le basi per la condivisione di responsabilità verso la comunità e la società.

Affinché vi possa essere una concreta partecipazione occorrono, oltre a caratteristiche soggettive fra cui la motivazione al coinvolgimento, alcuni prerequisiti legati alle caratteristiche del contesto. Essi concernono la presenza di leggi, norme e regolamenti che legittimino la partecipazione degli individui alle decisioni, così come la presenza di strutture organizzative che la rendano possibile. Ciò implica una cultura della comunità locale predisposta a sostenere la partecipazione sociale quale modalità abituale per la risoluzione dei problemi di vita quotidiana.

Fra i prerequisiti del contesto, si fa riferimento anche alla presenza di tecnologie e di strumenti che permettano la partecipazione alla vita della comunità nelle varie fasi, dalla sua progettazione alla valutazione.

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2.2 La progettazione dialogico-partecipata

L’intervento dell’operatore sociale si colloca in una dimensione di progettualità e mira ad attivare e a sostenere processi trasformativi orientati alle macro-finalità professionali. Una prospettiva progettuale deve poter cogliere sia elementi di potenzialità e di sviluppo, sia i limiti degli individui e dei contesti d’intervento.

Nell’ottica di promozione della partecipazione e dell’empowerment, il sostegno al cambiamento deve poter coinvolgere le persone nell’elaborazione dei propri progetti educativi e nella ricerca di soluzioni per far fronte alle problematiche che si pongono. La costruzione di un dialogo con le persone coinvolte nell’intervento per l’individuazione di soluzioni funzionali a sostenerne i percorsi di vita, è un elemento fondamentale per costruire progetti che le coinvolgano attivamente e che ne consentano la partecipazione.

La progettazione dialogico-partecipata è uno strumento d’intervento che promuove il coinvolgimento attivo di tutti gli attori implicati in un progetto educativo all’interno di ogni fase del suo processo di costruzione, conferendo loro un ruolo attivo e riconosciuto, attivando e valorizzando le risorse, le potenzialità e le competenze presenti. Attraverso lo scambio e la negoziazione fra i soggetti coinvolti, questo modello di progettazione prevede la costruzione collettiva (co-costruzione) di una definizione della situazione o della problematica da affrontare, così come il coinvolgimento attivo di tutte le parti nella definizione degli obiettivi da raggiungere, nell’individuazione di strategie per perseguirli, nella presa di decisioni e nella valutazione del progetto stesso (SUPSI-DEASS, 2015).

Nello specifico, secondo le cinque tappe della progettazione previste da questo modello ampiamente trattato nel modulo SUPSI “Teorie e metodologie dell’intervento sociale”, la costruzione di un progetto dialogico-partecipato si avvia con l’ideazione, cioè quando una o più persone cominciano a ipotizzare di dare vita a un progetto.

La seconda fase consiste nell’attivazione, ovvero in un processo di negoziazione inter-soggettiva di ricerca e di costruzione collettiva di significati condivisi per l’identificazione del problema o della situazione sulla quale si intende intervenire col progetto. Questa stessa fase del processo prevede il coinvolgimento di tutti gli attori implicati anche nell’individuazione degli obiettivi e delle strategie d’intervento, così come nella valutazione delle risorse disponibili e nella suddivisione dei compiti e dei ruoli.

Sulla base di quanto negoziato, segue la tappa della progettazione, nella quale vengono identificate e programmate le fasi dell’intervento per implementare il progetto.

Una volta strutturate, si procede con la fase della realizzazione, ossia con l’attuazione degli interventi pianificati, i quali possono venire valutati in itinere ed eventualmente modificati. Seguendo una logica circolare, l’ultima tappa del processo della progettazione dialogica-partecipata è quella della verifica, vale a dire la valutazione del raggiungimento degli obiettivi stabiliti, la quale può condurre alla conclusione del progetto oppure alla sua riformulazione (SUPSI-DEASS, 2015, p. 9).

Quest’approccio non prevede perciò l’idea di fallimento, in quanto pone particolare attenzione al processo di costruzione condivisa dei progetti con i soggetti destinatari, piuttosto che all’individuazione di obiettivi definitivi.

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2.3 Il Servizio di socioterapia dell’Organizzazione Sociopsichiatrica Cantonale

Il contesto di riferimento su cui si basa la tesi è il Servizio di socioterapia dell’Organizzazione

Sociopsichiatrica Cantonale (OSC) di Mendrisio. Al fine di comprendere meglio il focus della

tesi, è utile fornire alcune informazioni di carattere generale sul quadro istituzionale entro cui si colloca questo Servizio.

L’OSC è un organo pubblico che si inserisce nel quadro dell’organizzazione statale del Canton Ticino. Essa si colloca all’interno del settore d’attività del Dipartimento della Sanità e

della Socialità (DSS), che svolge una funzione di offerta di prestazioni di base alla

popolazione, coordinando e sussidiando gli enti e le attività a scopo sociale e sanitario. Mediante la consulenza diretta e il sostegno offerto, il DSS si prefigge di garantire ai cittadini servizi di cura e di sostegno sociale. Rifacendosi alla concezione dell’uomo e della salute conforme ai valori dell’OMS e del quadro legislativo e costituzionale svizzero, promuove l’integrazione sociale, l’equità, la libertà e la giustizia sociale. Il DSS si suddivide in tre divisioni, tra cui la Divisione della salute pubblica. Questa Divisione è responsabile della promozione e della tutela della salute pubblica, garantendo alla popolazione la fornitura di prestazioni sanitarie tramite enti e servizi (DEASS, 2020). L’OSC rappresenta l’ente statale che riunisce tutte le strutture ospedaliere, semi-stazionarie e ambulatoriali pubbliche atte alla presa a carico di persone con disagio di tipo psichiatrico, ripartendosi sul territorio in tre settori, il Mendrisiotto, il Luganese e il Sopraceneri.

Situata nel parco di Casvegno di Mendrisio, l’Organizzazione comprende la Clinica

Psichiatrica Cantonale (CPC), che si occupa della cura e della riabilitazione di pazienti

psichiatrici acuti, e il Centro Abitativo, Ricreativo e di Lavoro (CARL), centro demedicalizzato che accoglie un’utenza che presenta patologie di tipo cronico. Fra le strutture dislocate sul territorio, sono presenti i Servizi Medici Psicologici (SMP), i Servizi Psicosociali (SPS) e i

Centri Diurni (CD) per adulti di Chiasso, Lugano, Bellinzona e Locarno, che si configurano

come strutture intermedie tra il ricovero in clinica e il trattamento ambulatoriale (OSC, 2020). Sul piano normativo, l’Istituzione si rifà alla Legge sull’Assistenza Sociopsichiatrica cantonale (LASP) che, dalla sua entrata in vigore nel 1983, si prefigge lo scopo di creare le premesse per garantire ai cittadini il diritto a un’assistenza psichiatrica e sociopsichiatrica adeguata, nel rispetto delle libertà individuali e nell’ottica di favorire la prevenzione dai fattori che determinano i fenomeni patogeni sul piano individuale e sociale (Repubblica e Cantone Ticino, 2020).

Il Servizio di socioterapia, seppur a carattere demedicalizzato, si colloca nell’Organigramma

dell’OSC1 sotto il Servizio delle cure e socioterapeutico della CPC. Esso si occupa di

coordinare e di gestire progetti, attività di animazione e interventi socioterapeutici per gli utenti della CPC, del CARL e dei CD sul territorio. Attraverso la socioterapia, ovvero la promozione dell’interazione e della relazione dell’utente con altre persone e gruppi, il Servizio svolge interventi basati sui concetti dell’animazione socioculturale. Quest’ultima, è definita come “la funzione, continuamente rimessa in discussione, di un’équipe di animatori

impegnati in un ambiente da essi ben conosciuto e in cui sono accettati. Insieme alla comunità di cui fanno parte, essi si sforzano a stimolare la creatività e la libera espressione dei singoli membri” (Limbos, 2007, p. 13).

1 Allegato 1 - Organigramma dell’Organizzazione Sociopsichiatrica Cantonale (OSC) 2 Allegato 2 – Organigramma del Servizio di socioterapia e del Club ’74

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Lo strumento privilegiato d’intervento del Servizio di socioterapia è il club terapeutico. Questo strumento di lavoro, la cui origine pone le sue radici nelle teorizzazioni di Jean Oury sulla Psicoterapia istituzionale, si basa sulla gestione collettiva dell’ambiente e della vita quotidiana della struttura in cui ha sede, fungendo da istanza di mediazione tra il paziente e l’Istituzione. Il club permette di conferire ai suoi membri un ruolo formalmente riconosciuto e di venire coinvolti nelle decisioni che li concernono, stimolandone la responsabilizzazione e costituendo così anche uno strumento privilegiato di lotta al pregiudizio di irresponsabilità della persona con disagio psichico. Secondo la definizione di Callea e Oury in “Psicosi e

pratica istituzionale” il club è “un organismo associativo dotato di autonomia decisionale che organizza e gestisce una serie di attività all’interno dell’istituzione. Vi fanno parte tutti i soggetti della clinica, pazienti ed operatori e tutti possono essere eletti alle cariche che ne garantiscono il funzionamento” (Callea & Oury, 2000, p. 39).

Il Servizio di socioterapia, contesto in cui è stata svolta la pratica professionale e da cui nasce questo lavoro di tesi, ha sede nello stabile Valletta all’interno del parco di Casvegno, sede anche del Club ’74, in quanto partner e strumento d’intervento del Servizio. Oltre a svolgere una funzione terapeutica, il club si costituisce come un’associazione riconosciuta sul piano giuridico ai sensi del Codice Civile Svizzero (CSS), a carattere socioterapeutico, culturale, ricreativo e senza scopo di lucro, che funge da piattaforma relazionale e da luogo di parola, ed entro cui prendono vita numerosi progetti socioculturali.

Formalmente, lo scopo dell’associazione menzionato negli statuti del Club ’74 (Art. 2) è:

il coinvolgimento e la partecipazione, degli utenti della Clinica psichiatrica cantonale (CPC), del Centro abitativo, ricreativo e di lavoro (CARL), delle Strutture e dei Servizi OSC, nella pianificazione, nell'organizzazione e nella valutazione di quelle attività sociali, culturali e ricreative, che assumono finalità terapeutiche, riabilitative e di reinserimento sociale (Club '74, 2020).

Mettendo a confronto e in condivisione le persone attraverso la realizzazione di attività e di progetti di varia natura, viene perseguito il raggiungimento di finalità come la partecipazione

sociale, il ripristino della parola e la solidarietà, che hanno origine dai diritti sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

Fra i suoi scopi, vi è anche quello di emancipare il prima possibile i pazienti dai reparti, inserendoli in contesti il meno possibile medicalizzati, per contrastare il rischio che le persone con disagio psichico restino prigioniere della loro malattia. Attraverso l’instaurarsi di relazioni significative, al Club ’74 viene favorito il recupero delle capacità e degli aspetti motivazionali, nell’ottica di valorizzare le risorse presenti. La partecipazione attiva alle attività e ai progetti, alcuni dei quali verranno esposti successivamente nella ricerca, permette di mettere in campo capacità, risorse e competenze.

Il Club ’74, dunque, è un contesto che consente ai suoi membri di avere un ruolo valorizzante e socialmente riconosciuto.

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3. Metodologia

L’approccio metodologico di questa tesi si sviluppa attraverso un’analisi del processo di riorganizzazione dell’intervento da parte del Servizio di socioterapia, messo in atto per riuscire a mantenere attiva la presa a carico dell’utenza nonostante le modifiche del contesto imposte dalla crisi sanitaria. Il periodo preso in considerazione è quello dei cinque mesi di pratica professionale svolta nel Servizio, iniziata a gennaio 2020, in coincidenza con l’emergere e con lo svilupparsi della pandemia in Ticino.

L’analisi del processo di adattamento è stata suddiviso in due fasi: l’intervento in regime ordinario al Club ‘74 e l’intervento del Servizio di socioterapia svolto a distanza.

La prima fase è stata ricostruita selezionando ed esplicitando alcune delle attività caratteristiche del contesto, riportate in modo esaustivo nell’Organigramma del Servizio di

socioterapia e del Club ’742. Il criterio di selezione si è basato sull’individuazione di quelle

attività e aspetti dell’intervento che in qualche modo sono stati mantenuti attivi anche nella fase della presa a carico a distanza. Va specificato che, pur facendovi riferimento per spiegare l’orientamento dell’intervento ordinario nel contesto (cap. 4.1), questa tesi non comprende un approfondimento esaustivo dei concetti della Psicoterapia istituzionale. L’intento di questo lavoro è quello di focalizzarsi sulle modalità d’intervento ideate in stato d’emergenza.

Il modello della progettazione dialogica-partecipata a cui è stato fatto cenno (cap. 2.2) funge da riferimento di base, in quanto approccio adottato implicitamente dal Servizio di socioterapia in regime ordinario e quale strumento operativo adoperato nel lavoro a distanza per dare vita collettivamente a nuove iniziative e progetti.

Trattandosi di un intervento senza precedenti e costruito in itinere per far fronte alle difficoltà insorte sul piano operativo, la tesi si basa prevalentemente sull’analisi del documento “Raccolta dati legata all’emergenza Covid-19 all’interno del Servizio di socioterapia”3, che

tiene conto del periodo tra il 28.01.2020 ed 26.05.2020.

Questa raccolta costituisce uno dei due progetti di stage svolti con la mia compagna e collega Lara Piffaretti, al fine di poter certificare il periodo di pratica professionale nonostante l’interruzione del lavoro in presenza, avvenuta nel corso del mese di marzo 2020. Il documento, redatto allo scopo di tenere una memoria storica degli eventi in correlazione al modificarsi dell’intervento, è frutto di una raccolta di corrispondenza tra la Direzione delle cure dell’OSC, il Coordinatore del Servizio di socioterapia e la sua équipe. Per ogni nuova comunicazione inerente lo sviluppo della crisi sanitaria e delle relative direttive di contenimento, è stato stilato un resoconto concernente l’impatto sul funzionamento operativo del Servizio e in merito alle conseguenze sull’utenza; esso, inoltre, descrive le attività e i progetti nati successivamente lungo il periodo di intervento a distanza.

Allo scopo di far emergere gli aspetti più significativi legati alla graduale riorganizzazione dell’intervento operativo, il focus è stato posto sugli elementi principali che hanno avuto un impatto diretto sul funzionamento interno del Servizio di socioterapia e del Club ’74.

2 Allegato 2 – Organigramma del Servizio di socioterapia e del Club ’74

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In particolare, quelli concernenti:

- le principali direttive cantonali che hanno determinato la modifica dell’intervento rispetto al suo regime ordinario, fino alla data di chiusura degli spazi del Club ’74;

- le informazioni legate all’ideazione e all’implementazione della presa a carico a distanza; - le attività e i progetti nati nell’interazione attraverso i mezzi digitali.

Non vengono invece considerate tutte quelle informazioni che entrano nello specifico delle comunicazioni istituzionali e delle direttive inerenti il funzionamento dell’OSC e della CPC, né quelle concernenti i Centri Diurni del Servizio di socioterapia.

Ripercorrendo le fasi operative precedentemente indicate, il focus di questa ricerca empirica è quello di mettere in relazione l’intervento a distanza elaborato dal Servizio di socioterapia con le tre macro-finalità del lavoro sociale precedentemente esposte. In questo senso, la domanda a cui questo lavoro di tesi si prefigge di rispondere è la seguente:

“La presa a carico attuata dal Servizio di socioterapia in stato di emergenza sanitaria è stata in grado di mantenersi orientata alla promozione della salute, dell’empowerment e della partecipazione sociale dell’utenza?”

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4. Dissertazione

4.1 Fase 1: il Club ’74 in regime d’intervento ordinario

La fase d’intervento in regime ordinario presa in considerazione comprende il periodo tra il 20 gennaio 2020, data d’inizio della pratica professionale, e il 26 febbraio 2020, quando a seguito della comunicazione da parte della Confederazione del primo caso accertato di contagio da Covid-19 in Ticino, il Servizio di socioterapia si è trovato confrontato con l’esigenza di far fronte operativamente al lavoro in stato (allora) di epidemia.

Al fine di avere, nella fase successiva, un termine di paragone rispetto all’intervento che viene svolto in condizioni usuali, in questo capitolo si intende fornire una panoramica sul funzionamento del Club ’74 e sul tipo di intervento in correlazione ad alcuni concetti di base della Psicoterapia istituzionale sulla quale si fonda lo strumento del club terapeutico.

A titolo d’esempio, si farà in seguito riferimento ad alcune delle molte attività che vengono regolarmente svolte nel contesto. Verrà infine descritto il principale progetto socioculturale a cui stava lavorando il club, poco prima dell’emergere dell’epidemia.

Gli spazi del Club ’74 sono aperti quotidianamente all’utenza, che può prendere parte liberamente alle riunioni, ai gruppi e agli ateliers destinati allo svolgimento delle attività e dei progetti di animazione socioculturale. Le persone sono libere di arrivare al club, di passare da un gruppo e da uno spazio all’altro, come di andarsene quando vogliono. Uno dei concetti di base della Psicoterapia istituzionale è infatti quello della libera circolazione (Callea & Oury, 2000, p. 37).

Fatta eccezione per coloro che hanno un contratto di laboratorio OSC e che vi svolgono regolarmente un’attività lavorativa, come per esempio la gestione del Bar del club, l’utenza che frequenta il contesto può variare di giorno in giorno. Le persone che provengono dalla CPC per svolgere attività terapeutiche, avendo in media una permanenza in clinica di circa un mese, rappresentano i partecipanti con una frequenza più sporadica. Coloro che frequentano regolarmente le riunioni e che partecipano con più assiduità alle attività sono invece persone che hanno avuto un trascorso di ricovero in clinica, e che vivono in foyers esterni al Casvegno o nei propri domicili privati sul territorio.

Tuttavia, l’utenza ha un aspetto comune inerente il quadro della salute mentale, essa si compone infatti da persone adulte con problematiche psichiatriche di diversa natura e intensità. Ciò che accomuna le psicosi e le psicopatie, è che si contraddistinguono da uno sparpagliamento del pensiero e delle azioni che conduce ad una dimensione di “chiusura” della persona. Secondo il testo di Jean Oury in “Continuità e discontinuità in psichiatria”, la presa a carico dell’utente in questo ambito d’intervento si caratterizza dal:

vederlo regolarmente, per forza in maniera discontinua, ma forse è il solo modo di assicurare la perennità della sua esistenza. (…) È questa cadenza regolare che permette al soggetto di continuare a vivere. (…) E la nostra presenza si giustifica tecnicamente dentro un tentativo permanente di salvaguardia di un aperto (Callea & Oury, 2000).

In questo senso, il ruolo dell’operatore al Club ’74 è innanzitutto quello di ricoprire una funzione di presenza di riferimento per l’utenza, all’interno di un ambiente che ha una valenza terapeutica in quanto luogo che permette il libero accesso a una dimensione di apertura.

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Il modello della Concezione delle cure presso l’OSC, che tiene conto dei principi dell’OMS e della LASP, indica la salute come la capacità della persona di mantenere un equilibrio muovendosi su quattro assi (biologico, psicologico, sociale e spirituale), interagendo e adattandosi contemporaneamente al suo ambiente di vita (OSC, 2008). Alla luce di questa definizione, il Club ’74 assume un’ulteriore valenza terapeutica in quanto non richiede alla persona di adattarsi al suo contesto, ma è un ambiente capace di adattarsi alla singolarità dell’utente e alle sue esigenze, agevolandone il rapporto con il luogo di cura e di vita. Questa sua caratteristica rappresenta un altro concetto di base, detto effetto patoplastico, che definisce appunto la possibilità di modificare la sintomatologia legata al quadro di salute mentale attraverso un lavoro sull’ambiente (Callea & Oury, 2000, p. 41).

L’intervento al club, pur attuandosi in una dimensione di gruppo, si basa sulla costruzione di progetti terapeutici individuali che siano in grado di adattarsi all’utente e al suo percorso, nell’ottica di rispettarne la soggettività e di accoglierlo nella sua singolarità (Callea & Oury, 2000, p. 40). Il progetto terapeutico viene dunque co-costruito con la persona, di modo da consentirle di partecipare attivamente al suo processo di cura. Favorire l’instaurarsi di un’alleanza terapeutica, ovvero di una reciproca fiducia e di una collaborazione tra operatore e utente, è considerata infatti una risorsa volta alla promozione della salute, poiché consente di agevolare il processo di riabilitazione e terapeutico (OSC, 2008).

La collaborazione tra le persone alle attività è un altro elemento di base su cui si fonda l’intervento. Al Club ’74 questo aspetto è favorito dal suo costituirsi come associazione riconosciuta giuridicamente, che conferisce lo statuto di membro di diritto a “gli utenti ed ex

utenti delle Unità terapeutiche-riabilitative, di quelle abitativo-ricreativo e delle altre Strutture e Servizi dell'OSC e gli operatori OSC” (Club '74, 2020). Ciò rende possibile la collaborazione

tra l’utenza e i professionisti in una dimensione di orizzontalità, finalizzata alla valorizzazione del ruolo e delle competenze dell’utente, e alla sua responsabilizzazione.

Il concetto di responsabilità, infatti, mira a porre la persona al centro del suo percorso di vita, che al club si traduce anche nel coinvolgimento attivo dell’utenza, secondo le specifiche competenze, all’interno delle varie attività e in tutti gli aspetti della vita della comunità (Callea & Oury, 2000). La presenza delle diverse attività rende il Club ‘74 un contesto vitale e in grado di muovere dinamiche in cui le persone possono sperimentarsi nella relazione con gli altri. La Psicoterapia istituzionale, infatti, si definisce:

un movimento che si può mantenere solo se gli attori, gli artigiani sono lì giorno per giorno per essere in presa diretta su ciò che succede; e poi, bisogna che succeda qualche cosa. Ecco, forse è questo uno dei parametri della psicoterapia istituzionale: fare in modo che succeda qualcosa (Callea & Oury, 2000, p. 11).

In questo senso, le dinamiche relazionali che s’instaurano mediante la collaborazione alle attività permettono di attuare interventi finalizzati anche al miglioramento della qualità dei rapporti interpersonali, aspetto che l’OMS indica come uno dei determinanti della salute mentale, consentendo altresì di lavorare al perseguimento delle finalità di riabilitazione e di reinserimento sociale che caratterizzano il club.

Rispetto all’organizzazione delle diverse attività, si fa capo all’utilizzo di una griglia che viene aggiornata settimanalmente. Il sistema della Griglia è uno strumento tecnico, anch’esso fondato sui principi della Psicoterapia istituzionale, che permette di strutturare e di gestire collettivamente l’organizzazione del lavoro individuale in relazione ai compiti (Callea & Oury, 2000, p. 167).

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Ciò avviene attraverso un organigramma evolutivo in cui ciascuno trova un suo posto in funzione a dei compiti abituali, occasionali e a dei turni, che definiscono quelle mansioni collettive che non si intende attribuire a qualcuno in particolare ma che vengono assegnate per rotazione. L’obiettivo della griglia è di articolare l’organizzazione secondo la dimensione soggettiva di ciascuno, personalizzandone la partecipazione. Questo strumento impedisce anche che le attività diventino stereotipate e che la persona si senta sola e demoralizzata a svolgere sempre la stessa mansione. Difatti, la griglia è orientata anche al concetto di

polivalenza, cioè alla creazione di una multi-appartenenza dei membri che dia la possibilità

di passare da un gruppo e da un ambiente all’altro, secondo il principio di libera circolazione (Callea & Oury, 2000, p. 37). La sua gestione collettiva, che viene negoziata durante le riunioni, consente inoltre di attivare il confronto tra le persone. È infatti un altro strumento d’intervento utilizzato al club che permette di arricchire i rapporti interpersonali e di promuovere la responsabilizzazione.

Questo programma settimanale, che indica anche i giorni e gli orari in cui si tengono le riunioni, gli incontri dei gruppi (ad es. parola, sport, teatro), e il genere di attività che verrà svolto negli ateliers, viene poi affisso nei vari spazi. Ciò permette anche a chi frequenta sporadicamente il club, come ad esempio le persone che arrivano dai reparti della CPC, di prendere conoscenza delle diverse possibilità di attività in atto e di inserirsi e di parteciparvi liberamente.

Un altro strumento d’intervento, fondamentale al Club ’74, è quello della riunione. La suddivisione dei compiti, l’organizzazione delle varie attività e dei progetti, nonché la presa di tutte le decisioni inerenti la comunità del club, vengono discusse e organizzate nella riunione di Segretariato. Quest’assemblea a partecipazione libera, moderata a turno da un operatore, si svolge ogni mattina nello spazio del segretariato. Si tratta di un luogo di espressione e di confronto tra le persone in cui tutti i partecipanti hanno la possibilità di prendere parola, di esprimere i propri bisogni e le preoccupazioni, nonché di affrontare eventuali conflitti. Durante questi incontri, in un clima di sostegno reciproco, si presta particolare attenzione anche all’assenza dei membri, che potrebbe essere un possibile segnale di un malessere che la persona sta attraversando. In quest’eventualità, gli operatori possono attivarsi per mettere in atto un intervento individuale di sostegno.

La riunione è inoltre uno spazio in cui condividere il proprio punto di vista su temi d’interesse generale, e uno strumento che consente il coinvolgimento e la partecipazione attiva delle persone ai processi decisionali. Lo statuto di membro conferisce infatti il diritto di prendere parte alle decisioni che garantiscono il funzionamento del club a tutti coloro che vi partecipano, indistintamente dal ruolo di operatore o di utente.

Il coinvolgimento nei processi decisionali, che permette di intraprendere azioni collettive sulla gestione del Club ‘74, mira all’accrescimento dell’autodeterminazione nell’organizzazione di vita delle persone e della sua stessa comunità. Si tratta di un ulteriore strumento d’intervento del club che permette di influenzare e di acquisire di un maggior controllo sui determinanti della salute e sulla qualità di vita, orientato a tutti gli effetti alla promozione dell’empowerment. Questo spazio, inoltre, permette di accogliere idee e iniziative personali rispetto ad attività da realizzare.

Il ruolo dell’operatore nelle riunioni, fra le varie funzioni che assume, è così quello di fungere da figura attenta a raccogliere e a valorizzare gli stimoli dell’utenza, ma anche quello di fungere egli stesso da promotore di nuove idee. Le proposte formulate vengono poi valutate e negoziate nel gruppo, che insieme si attiva per progettarne l’attuazione.

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In questo senso, la progettazione al Club ’74, pur non essendo un riferimento d’intervento esplicitamente dichiarato, ricalca a tutti gli effetti il modello dialogico-partecipato. L’intervento è dunque finalizzato anche a sostenere il processo di co-costruzione dei progetti, orientandone lo sviluppo verso gli obiettivi del contesto e, al contempo, ai diversi bisogni educativi dei singoli partecipanti.

Un altro concetto di base è infine quello di eterogeneità, che orienta l’intervento alla considerazione delle diverse possibilità di investimento e delle competenze di ognuno, al fine di poterle valorizzare (Callea & Oury, 2000, p. 38). L’assunto è che più c’è eterogeneità, maggiore è la possibilità di inventiva, di emergenza di creatività, di differenziazione dei registri di funzionamento, dei compiti e degli ambienti. In un’ottica di apprendimento reciproco, ciò permette di sostenere e di sviluppare la diversità delle potenzialità e delle competenze dei membri del club, riconoscendone così l’apporto esclusivo.

Al fine di fornire una rappresentazione più concreta sul funzionamento del Club ’74, di seguito, a titolo d’esempio, verranno brevemente descritti alcuni dei suoi spazi, dei gruppi e delle attività presenti, che ordinariamente costituiscono elementi caratteristici del contesto d’intervento. In questa fase, esso è stato attuato da un’équipe composta da sette professionisti con formazione in educazione e animazione sociale.

Ogni mattina, la giornata si apre con la riunione di Coordinamento riservata all’équipe, che si riunisce nello spazio del segretariato per discutere varie tematiche inerenti l’utenza e l’organizzazione del lavoro.

A seguire, si tiene regolarmente la riunione di Segretariato precedentemente descritta che, con l’arrivo dei pazienti della CPC e degli altri membri, vede lo spazio del segretariato via via animarsi di persone che dopo la riunione si riversano nei vari spazi del club per svolgere le attività e per partecipare agli incontri di gruppo in programma durante la giornata.

Nei diversi ateliers creativi che si attivano dopo la riunione di Segretariato le persone possono prendere parte liberamente ad attività espressivo-manuali di vario tipo, come per esempio la cura dell’orto, la falegnameria, il disegno, la pittura, il cucito, la ceramica e molte altre attività creative.

Il Bar del club, gestito da alcuni utenti, è uno spazio particolarmente frequentato e animato durante ogni giornata. Questo punto di ristoro, aperto liberamente ai cittadini e a tutti i professionisti e gli utenti dell’OSC, rappresenta un importante luogo di incontro e di scambio fra le persone, che incarna la funzione di piattaforma relazionale che svolge il Club ’74. Nel Bar si tiene settimanalmente un pranzo sociale e una cena per i partecipanti del gruppo musica, preparati da utenti e operatori nella cucina del club. Il gruppo musica è un altro mezzo del club che, oltre a permettere di lavorare sulla libera espressione delle persone attraverso la musica, promuove la partecipazione e l’integrazione sociale. Nella prima fase d’intervento, questo gruppo ha visto riunite anche più di cinquanta persone per fare musica insieme e partecipare alla cena, tra le quali utenti e operatori del club, pazienti ed infermieri della CPC, persone provenienti dal Centro federale d’asilo di Chiasso, “amici del club” 4 e musicisti.

Un altro spazio del club è la Redazione, in cui si svolgono le attività redazionali destinate all’allestimento del giornale Insieme, un periodico pubblicato trimestralmente che contiene contributi realizzati dai membri del Club ’74 e dall’utenza dei vari Centri diurni dell’OSC.

4 Espressione spesso utilizzata nel contesto in riferimento alle persone che frequentano liberamente il Club ’74

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Il gruppo responsabile della Redazione, composto da utenti e da un operatore responsabile dell’attività, si riunisce in una riunione settimanale a cui possono partecipare liberamente anche le persone provenienti dalla CPC e dal CARL, per leggere e discutere la scelta dei contenuti destinati alla pubblicazione.

Quest’incontro è un momento destinato all’espressione verbale, caratterizzato dall’ascolto e dal confronto delle idee fra i partecipanti. Il giornale rappresenta inoltre un altro importante strumento del club che, attraverso la diffusione dei suoi articoli, permette di dar voce alle persone e di produrre cultura sul territorio. Nello spazio della Redazione vengono svolte anche diverse altre attività di segretariato, come ad esempio la gestione della contabilità finanziaria del club, della corrispondenza e l’allestimento del programma settimanale.

A cadenza settimanale si tengono anche i gruppi di sport, di fitness e di ginnastica dolce, che permettono di promuovere l’espressione corporea e il benessere fisico delle persone. Vi è poi il gruppo di teatro, che si riunisce una volta a settimana nel teatro dell’OSC per svolgere attività espressivo-corporee e allestire spettacoli la cui messa in scena è aperta a tutti i cittadini. Il teatro è uno strumento favorevole a sollecitare l’espressione delle emozioni e l’elaborazione dei vissuti, ma costituisce anche un altro esempio di attività socioculturale del Club ‘74 che permette di lavorare sul versante dell’integrazione e della partecipazione sociale. I progetti teatrali, che prevedono anche collaborazioni con altri attori sociali del territorio, sono infatti un mezzo per produrre cultura tutti insieme e per lottare contro il pregiudizio e l’emarginazione delle persone con problematiche psichiatriche.

Un progetto socioculturale nato attraverso l’attività teatrale del club, ad esempio, è stata la messa in scena nel 2019 di “Sonni e risvegli”, uno spettacolo allestito in collaborazione con la SUPSI, il Conservatorio della Svizzera italiana, il Servizio per le dipendenze di Ingrado e un regista professionista. Questo spettacolo aperto al pubblico ha permesso di portare sul palcoscenico delle testimonianze di esperienze dirette legate al disagio psichico sia dal punto di vista degli utenti, sia da quello degli operatori sociali.

Contestualizzando ora l’intervento alla fase presa in considerazione da questo capitolo (regime ordinario), nei mesi di gennaio e di febbraio 2020, il fulcro delle attività del Club ‘74 si è incentrato in particolar modo sulla realizzazione del progetto del Carnevale, a cui utenti e operatori stavano lavorando già da diversi mesi.

Si tratta di un progetto socioculturale che annualmente, in occasione di alcuni carnevali sul territorio, coinvolge i partecipanti dei clubs dei Centri Diurni e tutta l’équipe di socioterapia nella categoria dei gruppi che sfilano al corteo.

L’orientamento dell’intervento educativo alla promozione della partecipazione sociale, dell’empowerment e della salute è ben rappresentata anche da questo progetto, sviluppato attraverso un approccio alla progettazione di tipo dialogico-partecipato. Esso si è costituito come un’azione di carattere socioculturale, frutto di un processo collaborativo che ha coinvolto tutti i partecipanti sia nel processo d’ideazione, sia in quello decisionale per la definizione dell’organizzazione, negoziata via via nelle riunioni di segretariato, così come pure nella sua realizzazione.

Nell’ambito di questo progetto, l’intervento si è improntato principalmente alla facilitazione e al coordinamento dell’impegno del gruppo per la definizione degli obiettivi e dei relativi mezzi. La realizzazione dei preparativi per il Carnevale ha infatti permesso di attivare la creatività negli ateliers del Club ’74 e di raccordarne il lavoro.

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Questo, di modo da coinvolgere tutte le persone nella realizzazione del carro, dei costumi, della coreografia, nonché in tutti gli altri aspetti legati al retroscena del progetto. Ciascuno vi ha così potuto trovare una sua funzione, venire valorizzato e investito di un ruolo e di responsabilità, a seconda delle diverse potenzialità, risorse e competenze.

Questo progetto socioculturale è stato altresì un’occasione per promuovere sul territorio i valori che caratterizzano il club, assumendo la connotazione di azione collettiva intrapresa per sensibilizzare la popolazione e volta a lottare per l’abbattimento dei pregiudizi sul disagio psichico. In questo senso, il progetto è riconducibile alla promozione della salute dell’utenza, in quanto rivolto anche al miglioramento delle reti sociali e comunitarie del territorio, la cui qualità è definita dall’OMS uno dei determinanti della salute. L’allestimento del progetto aveva infatti preso avvio con l’ideazione comune di un tema che potesse rappresentare il Club ‘74 alle parate e, al contempo, trasmettere un messaggio alla popolazione.

La scelta è ricaduta sul tema dell’Arca di Noè, come simbolo di accoglienza, di solidarietà e di unione fra tutte le persone. Il club ha così sfilato ai cortei accompagnato da un carro costruito a forma di grande arca di legno attorno alla quale le persone hanno ballato la coreografia, cantando:

Il 2020 è qui, non lo volevamo così, con guerre, odio e fame, per cosa, perché e per chi? Miseria, esclusione, razzismo, nazione, non se ne può più della vostra ragione, la legge che fa solidarietà è un sogno che diventa realtà (…). Non c’è bisogno di niente se c’è dignità, se c’è

rispetto, apri gli occhi e la mente, la diversità non è un difetto5.

La partecipazione ai due cortei, che incarna pure l’aspetto ricreativo che contraddistingue molte delle attività del Club ’74, è stata infine una fonte di grande gratificazione per tutti, che hanno avuto modo di riconoscere l’apporto del proprio impegno nel risultato finale raggiunto tutti insieme, ma specialmente, è stata un’esperienza condivisa di gioia e di divertimento. Un membro del club, ricordando l’esperienza del Carnevale in un articolo del giornale “Insieme in quarantena”, scrive:

Tempo di carnevale, momenti di allegria, noi felici e nello stesso tempo “agitati” per la sfilata in quel di Chiasso, alla quale partecipavamo per la prima volta, e per la sfilata di Stabio. L’impegno, come pure la vicinanza fisica tra di noi, amici e animatori socioculturali, sono stati determinanti per il risultato finale: settimi a Chiasso su tredici carri. Qualche settimana

dopo: il crollo, a causa di un virus, il Club ’74 deve chiudere. Tutti a casa!6.

Come riporta anche la precedente testimonianza, i due cortei si sono tenuti poche settimane prima dell’arrivo dell’epidemia virale in Ticino. Se, infatti, l’8 e il 15 febbraio 2020 era ancora stata possibile la partecipazione di gruppo ai carnevali di Chiasso e di Stabio, da lì a breve la divulgazione delle misure cantonali di prevenzione dal contagio avrebbe determinato i primi grandi cambiamenti sul funzionamento del Club ’74.

5 Allegato 4 – Testo della canzone dei cortei di carnevale di Chiasso e di Stabio (2020)

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4.2 Il Club ’74 e l’arrivo del Covid-19

Già a inizio 2020, l’OMS aveva segnalato il diffondersi di un’epidemia virale che causa malattie respiratorie acute, i cui primi focolai erano stati rilevati a Wuhan, capoluogo della provincia cinese di Hubei. In Ticino, la prima comunicazione ufficiale legata all’espandersi del COVID-19 da parte del Dipartimento della sanità e della socialità (DSS), risale al 27 gennaio 2020.

Nel comunicato stampa, il Medico cantonale Giorgio Merlani informava la popolazione che le autorità sanitarie mondiali si erano attivate per sorvegliare lo sviluppo dell’epidemia e che, pur non essendo ancora stato rilevato alcun caso di contagio in Svizzera, anche le autorità federali e cantonali si preparavano all’evenienza di dover gestire l’arrivo del COVID-19 (Repubblica e Cantone Ticino, 2020). L’Ufficio Federale della Sanità Pubblica (UFSP), infatti, si era attivato per organizzare l’approvvigionamento di mascherine idonee all’interno dei vari ospedali e delle cliniche, tra cui l’OSC.

La circolazione di questa notizia ha rappresentato probabilmente il primo segnale d’allarme tangibile, suscitando anche al Club ’74 preoccupazione rispetto al diffondersi del virus sul piano globale. L’evolversi dell’epidemia, che fino a quel momento non aveva ancora coinvolto il territorio svizzero, è stato il tema d’attualità maggiormente sentito e discusso dagli utenti e dagli operatori del club, che quotidianamente si informavano dai media sull’andamento della situazione. Il clima d’incertezza legato alla concreta possibilità dell’arrivo dell’epidemia anche alle nostre latitudini è stato un elemento che ha via via iniziato a incidere fortemente sull’emotività delle persone, che negli scambi quotidiani manifestavano sempre più preoccupazione e paura.

Tuttavia, fino al 25 febbraio 2020, giorno in cui la Confederazione ha divulgato un ulteriore comunicato stampa per informare della presenza di un primo caso di positività al virus in Ticino (UFSP, 2020), il Club ’74 aveva continuato a funzionare secondo le ordinarie modalità. Il 26 febbraio 2020, l’indomani della comunicazione sul primo caso accertato di COVID-19 nel Cantone, l’équipe si è riunita nella riunione di Coordinamento per confrontarsi sulla situazione e per formulare le prime ipotesi su come poterla gestire. La preoccupazione primaria condivisa fra gli operatori ha riguardato il tema della responsabilità individuale, sociale e del Servizio, in primo luogo nei confronti della salute dell’utenza.

Essendo il Club ’74 un contesto d’intervento all’interno di una dimensione di gruppo, è sorta la preoccupazione che le ordinarie attività avrebbero potuto incidere su un possibile aumento del rischio di contagio, questione che ha portato l’équipe all’ipotesi di optare per la sospensione di quei gruppi che prevedono assembramenti più numerosi.

In virtù del principio di partecipazione e di coinvolgimento attivo di tutti i membri nei processi decisionali inerenti la vita del club, la questione è stata successivamente sottoposta all’utenza nella riunione di Segretariato. A seguito del confronto tra i presenti, è stata unanimemente approvata la decisione di sospendere temporaneamente il gruppo musica, in quanto attività che prevede il più alto numero di partecipanti, e i gruppi di fitness e di sport. Rispetto alla riorganizzazione del Servizio, questa decisione segna l’inizio del processo di riadattamento dell’intervento dovuto alla crisi sanitaria.

A partire da questo momento, la funzione della riunione di Segretariato è diventata anche quella di spazio di parola entro cui gli operatori hanno potuto divulgare gli aggiornamenti ufficiali circa l’evoluzione della situazione, sfatare le informazioni inesatte in circolazione e, specialmente, fornire un supporto emotivo all’utenza.

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Nelle settimane successive, l’intervento da parte degli operatori si è orientato in particolar modo alla salvaguardia dello stato di salute mentale dell’utenza, attraverso l’accoglienza e il ridimensionamento delle paure espresse dalle persone, sempre più preoccupate per la propria salute fisica e turbate dall’eventualità di una possibile chiusura del Servizio, in quanto punto riferimento principale per il mantenimento di un contatto sociale.

Il delinearsi della condizione pandemica (ad oggi ancora in atto), ha condotto a un contesto generale d’imprevedibilità e d’incertezza, imponendo l’esigenza di un monitoraggio costante dello sviluppo della situazione da parte delle Autorità mondiali, chiamate a formulare via via delle misure a tutela della salute dei cittadini. L’emanazione delle disposizioni, sempre conseguente ai nuovi risvolti della crisi sanitaria, ha determinato ampi margini d’incertezza sulla gestione della situazione anche da parte delle Autorità cantonali, in quanto la situazione ha reso impossibile pre-definire una linea d’azione ben chiara.

Le disposizioni ufficialmente in vigore in quel momento erano ancora limitate alla raccomandazione dell’osservazione di una frequente igiene e disinfezione delle mani, e al rientro al domicilio da parte del personale e dell’utenza in presenza di chiari sintomi influenzali. L’uso della mascherina era un’ulteriore misura già prevista, ma unicamente in caso di sospetto di malattia (propria) o in presenza di una persona malata. Di conseguenza, pure le modalità d’intervento nel Servizio, sottoposte al repentino modificarsi delle direttive cantonali vigenti, ha comportato una rivalutazione costante della situazione in essere da parte dell’équipe, accrescendo la necessità di confronto tra gli operatori e il mantenimento di un assiduo contatto con la Direzione OSC per determinarne la gestione.

La condizione generale d’insicurezza, amplificata dalla mancanza di disposizioni chiare, ha condotto l’équipe all’esigenza di confrontarsi quotidianamente sulla situazione in atto per determinare via via le misure da intraprendere per sostenere al meglio l’utenza. Il confronto fra i diversi punti di vista ha visto l’emergere delle differenti sensibilità dei vari operatori circa la gestione della situazione, richiedendo, da una parte, una negoziazione costante delle decisioni da intraprendere, e dall’altra, permettendo una lettura più ampia della situazione e la formulazione di diverse ipotesi d’intervento.

Le questioni affrontate per l’organizzazione del lavoro quotidiano hanno riguardato principalmente la valutazione dei rischi e delle possibili implicazioni sulla salute dell’utenza date dalle diverse opzioni, in correlazione al tema della responsabilità individuale e comunitaria, e nell’ottica di anticipare, per quanto possibile, eventuali risvolti futuri legati all’evoluzione della pandemia.

A partire dal 6 marzo 2020, con la diramazione da parte dell’Ufficio del Medico Cantonale (UMC) di una nuova disposizione inerente ulteriori misure di prevenzione dal contagio, viene richiesto alla popolazione di mantenere un distanziamento sociale di un metro tra una persona e l’altra, e viene posto un limite agli assembramenti di massimo quindici persone entro lo stesso locale.

Conseguentemente, gli spazi all’interno del club hanno dovuto venire riorganizzati per permettere lo svolgimento delle attività e degli incontri in luoghi sufficientemente ampi da poter garantire il rispetto della distanza. Il setting della riunione di Segretariato, ad esempio, usualmente configurato per accogliere contemporaneamente decine di persone, è stato modificato separando i posti a sedere e limitandoli a quindici.

Per un contesto come il Club ‘74, basato su una dimensione partecipativa senza restrizioni e sulla stretta vicinanza tra le persone, l’adozione di queste misure ha imposto importanti limitazioni al suo funzionamento.

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In particolare, l’annullamento progressivo delle attività, l’uso sempre più frequente della mascherina e il mantenimento della distanza sociale, quali segni anche visibilmente percepibili della possibilità di venire contagiati dal virus, hanno evidenziato ed esasperato l’eccezionalità della situazione. Le reazioni emotive rilevate dagli operatori nei comportamenti dell’utenza sono state di diverso tipo.

Per agevolare il processo di adattamento da parte dei diversi utenti ai molteplici cambiamenti, l’équipe ha adottato un approccio chiaro, autorevole e al contempo rassicurante. L’intervento degli operatori, infatti, ha dovuto calibrarsi differentemente rispetto a chi manifestava ansia e angoscia, a chi reagiva ironizzando, minimizzando o negando la situazione, così come pure per chi dichiarava di non sentirsi più di frequentare il club per paura del contagio. Ciononostante, l’utenza non ha mai palesato un rifiuto nel seguire le indicazioni, dimostrando un buon grado di consapevolezza circa la situazione in atto.

Venerdì 13 marzo 2020, in un nuovo comunicato stampa, le Autorità diramano ulteriori misure a tutela della salute, decretando l’interruzione dell’erogazione di tutti i servizi al pubblico non prioritari, fra cui il Servizio di socioterapia (Repubblica e Cantone Ticino, 2020). Il lunedì seguente, in accordo con la Direzione dell’OSC, viene comunicata all’utenza la chiusura degli spazi del Club ’74 nello Stabile Valletta e dei vari Centri Diurni.

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