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42 Il presente lavoro di tesi ha avuto come scopo la valutazione

degli effetti dei cambiamenti nella variabilità temporale della temperatura sul biofilm di costa rocciosa. In particolare, è stata valutata l’ipotesi secondo cui la capacità di recupero del biofilm in seguito a una perturbazione (pulse di temperatura) sia maggiore se precedentemente esso è esposto ad un regime variabile piuttosto che ad uno costante.

I risultati di questo studio evidenziano l’importanza della “storia” del disturbo sulla risposta del biofilm all’incidenza di eventi estremi di temperatura (pulse di temperatura) e come il riscaldamento nel alteri il funzionamento, in termini di efficienza fotosintetica e di produzione di clorofilla a (Fig. 3.3, 3.6 e 3.9). La quantità di chl a è risultata maggiore nei plot esposti a precedenti disturbi, indipendente dal livello di variabilità temporale, rispetto ai plot non riscaldati (History vs No-History). Mentre, l’efficienza fotosintetica in seguito ad adattamento al buio (dark yield), ha mostrato un andamento opposto, ovvero i plot con una precedente storia di disturbo mostravano una minore efficienza fotosintetica rispetto a quelli che non l’avevano ricevuta.

La relazione inversa tra chl a e dark yield può riflettere un meccanismo di resistenza in risposta agli stress di tipo termico (Behrenfeld et al., 2016; Geider, 1987). Il dark yield è una misura dell’efficienza fotosintetica del fotosistema II (PSII). Il fotosistema II è considerato uno dei componenti più termosensibili dell'apparato fotosintetico (Berry & Bjorkman, 1980; Srivastava, Guissé, Greppin, & Strasser, 1997), ma le sue reazioni allo stress di calore e la sua capacità di acclimatazione variano a seconda degli organismi (es. cianobatteri, monocotiledoni, dicotiledoni, ecc.; Baker & Rosenqvist, 2004; Janka, Körner, Rosenqvist, & Ottosen, 2013).Nelle piante superiori, in seguito all’esposizione a temperature elevate, sono stati riscontrati danni al complesso di ossidazione dell’acqua, al centro di reazione del PSII e alle proteine accessorie (light harvester) che permettono una maggiore raccolta della luce da parte del PSII (Salvucci, 2002). Altri studi, inoltre, hanno dimostrato come l'inattivazione di PSII ad opera del calore è dovuta principalmente alla dissociazione di cationi Ca2+ e Mn2+ e

43 dell’anione Cl- dal complesso proteine-pigmenti PSII (Berry &

Bjorkman, 1980; Havaux, 1993; Wise, Olson, Schrader, & Sharkey, 2004). L’effetto del danneggiamento del PS II ad opera del calore, quindi, influenza le misure di “dark yield” abbassando i loro valori rispetto alle misure effettuate sui plot non riscaldati (Yang, Rhodes, & Joly, 1996). Al contrario del PSII, l’attività del fotosistema I (PSI) risulta stimolata ad alte temperature (Mathur, Agrawal, & Jajoo, 2014); questo potrebbe far aumentare la produzione di clorofilla a. Infatti l’aumento dell’attività del PSI provoca uno sbilanciamento dell’attività dei due fotosistemi (Pastenes & Horton, 2016) e una continua ossidazione del pool del plastochinone (Pfannschmidt & Yang, 2012). Alcuni studi affermano come lo stato di ossidoriduzione del plastochinone possa fungere da segnale per la biosintesi di delle molecole necessarie per il ribilanciamento nel funzionamento dei due fotosistemi, tra cui anche la clorofilla a (Escoubas, Lomas, LaRoche, & Falkowski, 2006; Pfannschmidt & Yang, 2012). Come sottolineato da Behrenfeld et al. (2016) nei suoi studi sul fitoplankton, una modificazione nella quantità di clorofilla a misurata può talvolta non riflettere una modificazione nell’abbondanza del fitoplankton, infatti questi microorganismi tendono ad aumentare diminiurire la produzione di tale pigmento in risposta a diversi tipi di stress (ad esempio: fotoacclimatazione, calore e mancanza di nutrienti ). In sintesi, un’aumento di temperatura può causare una riduzione dell’efficienza carico del PSII, mentre al contrario l’efficienza del PSI ne risulta stimolata; per controbilanciare questo squilibrio tra fotosistemi viene stimolata la produzione di vari tipi di molecole tra cui clorofilla a.

I risultati ottenuti sottolineano quanto i trattamenti applicati sul biofilm abbiano influenzato le funzionalità di questi organismi, ad eccezione del light yield, che sembra non aver mostrato una chiara risposta ai trattamenti. Il light yield è fortemente influenzato dalle condizioni nelle quali viene effettuata la misura (Murchie & Lawson, 2013) e solitamente i cambiamenti di questa variabile in seguito a shocks termici o di luce permangono per pochi giorni o addirittura per poche ore (Torzillo & Vonshak, 1994). I campionamenti sono stati

44 effettuati una settimana dopo l’applicazione dei riscaldamenti e durante

questo lasso di tempo eventuali cambiamenti nel light yield sono “svaniti” e non sono perdurati fino al momento del campionamento.

Tutte e tre le variabili di risposta misurate risultano essere in media maggiori nel dopo il “pulse” piuttosto che nel prima (Fig. 3.5, 3.8, 3.11). L’aumento di biomassa e dell’efficienza fotosintetica al buio è stato già osservato in altri studi sul biofilm di Calafuria e rientrerebbe nella normale stagionalità di questi organismi (Maggi et al., 2017; Sanz- Lázaro, Rindi, Maggi, Dal Bello, & Benedetti-Cecchi, 2015).

Dai risultati si nota come per la biomassa vi sia una differenza significativa tra le tre sequenze variabili (Tab. 3.2). Questo probabilmente implica che fosse necessario avere un numero maggiore di repliche per le serie variabili, in quanto le temperature imposte per le tre serie risultano essere pressochè identiche per media e deviazione standard (tabella 3.1 A, B).

Dal momento che non sono state riscontrate differenze tra i due regimi di disturbo, l’ipotesi secondo cui il regime variabile di temperatura, riespetto al regime regolare, avrebbe favorito specie maggiormente termotolleranti, che a loro volta, avrebbero reso il biofilm maggiormente resistente alle perturbazioni, non è stata supportata. È emerso invece un andamento, sebbene non significativo, dovuto alla storia del disturbo in generale, e come essa sia in grado di modificare la capacità del biofilm di rispondere alle perturbazioni. In particolare, i plots esposti solo ai pulse di temperatura (No-History) sono risultati maggiormente impattati dall’estremi di temperatura, rispetto a quelli che hanno subito un trattamento di riscaldamento (Regolare e Variabile) (Figg. 3.6; 3.9). Questo risultato suggersice che il riscaldatemnto, indipendentemente dal suo regime temporale, abbia causato un cambiamento nelle struttura della comunità, che ha favoriro specie maggiormente termotolleranti; che a loro volta, hanno conferito al biofilm una maggiore resistenza ai pulse di temperatura.

Già precedenti studi sulle comunità microbiche hanno sottolineato come l’effetto di shock di temperature possa avere effetti mitigati su batteri precedentemente esposti a stress termici rispetto a

45 quelli non trattati, in particolare come le comunità pretrattate siano

caratterizzate da recuperi più repentini (Jurburg et al., 2017). Uno studio precedente sul biofilm di costa rocciosa ha evidenziato una severa riduzione di chl a in seguito all’applicazione ad estremi di temperatura (Dal Bello et al. 2017). Questo evidenzia come la storia dei disturbo possa modulare la risposta dei popolamenti agli eventi estremi di temperatura e come questa reazione possa anche avere direzione opposta rispetto agli stessi organismi che non hanno ricevuto gli stessi disturbi

In conclusione, il mio lavoro di tesi evidenzia l’importanza della temperatura come principale driver del funzionamento e della struttura del biofilm di costa rocciosa e come la storia del disturbo possa alterare la capacità dei popolamenti di rispondere alle perturbazioni future.

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