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Conclusioni

La situazione italiana deve essere letta alla luce delle difficoltà economiche verificatesi negli ultimi anni. La flessibilità, tanto richiesta dall’Unione Europea, è diventata precarietà. Questa riguarda tutti i lavoratori, ma in particolare i giovani che, terminato il percorso scolastico, si affacciano per la prima volta nel mondo del lavoro.

Il mercato del lavoro attuale si trova in una situazione delicata, che ha portato molte aziende ad una riduzione spesso drastica del personale e di conseguenza ad un incremento della disoccupazione. I governi degli ultimi anni sono intervenuti per ridurre questo problema sia dal lato della flessibilità in entrata che in uscita. I risultati non sembrerebbero essere soddisfacenti tanto che ancora oggi il tasso di disoccupazione supera la media europea.

Posto un contesto estremamente problematico il tema dell’apprendistato, al quale ho dedicato il mio lavoro di tesi, si presenta cruciale posto che si tratta di uno strumento pensato e regolato dal legislatore per favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro.

Ritengo che l’insuccesso dell’istituto sia da imputare non solo alla crisi economica, ma anche alle scarse risorse che finanziano l’istruzione e la formazione, che permettono di realizzare percorsi formativi effettivi solo per una parte di apprendisti, e anche al gap presente tra sistema scolastico ed imprese, le quali spesso sono poco favorevoli alle forme di collaborazione richieste dall’apprendistato.

A incidere fortemente è stata anche la lunga diatriba tra Stato e Regione per l’assegnazione delle competenze, a partire dalla riforma del Titolo V della Costituzione (2001) poi riaffermato dal D.lgs. n. 276/2003 che ha accentuato il conflitto istituzionale.

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Va ricordato che i due tipi di apprendistato (apprendistato professionalizzante e apprendistato di alta formazione) disciplinati dal D.lgs. n. 276/2003: hanno fatto fatica ad essere applicati, con la conseguenza che tale contratto di lavoro è stato per anni scarsamente diffuso a causa dell’incertezza normativa, che riconosceva al lavoratore scarse opportunità di formazione, e formazione esterna di poco interesse da parte del datore.

Al contrario di altri paesi europei che hanno fatto dell’apprendistato l’unico canale di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro con risultati a livello occupazionale eccellenti.

Nonostante tutti i difetti riconosciuti nell’istituto e il suo scarso impiego negli anni, i governi che si sono susseguiti hanno sempre modificato l’istituto dell’apprendistato considerandolo un mezzo efficiente per combattere la piaga della disoccupazione giovanile. A mio parere esso permette di inserire il giovane, alla prima esperienza lavorativa, in un contesto sicuro e regolamentato in modo unico rispetto altre tipologie contrattuali definite flessibili ma che a tutti gli effetti rendono il lavoro precario.

Fermo restando che l’Italia non potrà cambiare da un giorno all’altro, il nuovo apprendistato proposto deve esser visto come un’opportunità per avvicinarsi al modello duale, non proprio come tale sistema propone attraverso il riconoscimento ai giovani di una qualifica professionale, un diploma di scuola professionale o una laurea solo attraverso l’apprendistato, ma nel nostro caso come un mezzo che permetta la collaborazione scuola-azienda per far apprendere al giovane le conoscenze e le capacità che sono richieste per lo svolgimento dell’attività lavorativa nell’azienda che lo assume.

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Sitografia

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