propria totale estraneità alle coordinate formali di un contesto sociale feticizzato dal principio dell'utile; abbandonandosi a una contestazione immediata, a uno spirito polemico irruento, essa si ritroverebbe facilmente istituzionalizzata nei ranghi di un'opposizione prevedibile, in un'antitesi con lo status quo che, paradossalmente, la integrerebbe nella realtà. Soltanto nel suo carattere di resistenza l'arte può riuscire in un'opposizione ragionata al mondo dei consumi: attraverso la sua forma, come una monade senza finestre la cui dinamica comunica con il mondo esteriore, ma senza imitarlo, offrendosi come spazio altro.
Nell'abbandonare ogni funzione immediata la cultura non si contrappone soltanto al principio di scambio su cui si fonda il mondo moderno, ma si rende realisticamente conto delle sue effettive possibilità nel reale. L'autonomia dell'arte corrisponde alla rinuncia della possibilità di una conciliazione totale: emancipata dalla teologia, nonché dall'orizzonte sociale, l'arte non può più aspirare alla pretese di una redenzione integrale. Ciò significa che la cultura non può cambiare il mondo e che non è stata nemmeno in grado di educarlo, avendo mostrato nell'Olocausto il suo fallimento di fronte alla storia.
La mediazione, intesa come giusta distanza dall'orizzonte empirico, diventa perciò categoria fondamentale per affrontare la crisi del presente, che si configura a livello percettivo come crisi della possibilità di ogni esperienza immediata. La realtà amministrata uniforma gli schemi psicologici dell'uomo: la pressione ad agire secondo i dettami del principio di scambio fa sì che l'individuo concentri il proprio potenziale razionale soltanto nel calcolo dell'utile, a scapito della propria natura emotiva. A ciò si aggiunge la continua iperstimolazione proveniente dall'ambiente esterno, tratto caratteristico di una modernità che vuole imporre all'io un modello di
attenzione distratta, il quale ha la duplice funzione di proteggere il soggetto dall'overload di stimoli e di indebolirne ulteriormente le capacità di comprensione.
Nel predominio di un solo paradigma razionale, arido, dispersivo e iperlogico, soltanto l'arte può offrire una via d'uscita all'isolamento percettivo dell'uomo moderno, che passa attraverso la mediazione e il recupero di una sfera sensoriale che è stata deformata insieme alla ragione.
La distanza dell'arte dalla sfera empirica, come si è visto, permette una modalità di esperienza diversificata, altra. L'antidoto allo sterile choc della modernità, che impedisce all'uomo di entrare in contatto con il mondo e con se stesso, è l'Erschütterung dell'esperienza sublime, un “urto emotivo” che ricorda al fruitore la sua umanità e la sua naturalità.
In una valenza fortemente fisiologica, il sublime adorniano si mostra così uno strumento efficientissimo per reagire all'indigenza emotiva del presente. La repressione sensoriale del sistema sociale “illuminista” non riesce infatti a cancellare una sottile angoscia sotterranea, un disagio confuso che tuttavia il singolo percepisce ancora. Il rimosso del pensiero dell'identità si presenta come sofferenza, che il sublime aiuta a portare alla luce e a tematizzare. Il dolore attraverso cui si esprime – e si può esperire – il non identico rimanda sia all'impossibilità di una conciliazione, sia alla violenza con cui l'uomo ha assoggettato il naturale al suo dominio.
Nell'opera autentica, la sofferenza si imprime come memoria nella forma, in quanto contenuto sedimentato; ed è fatta riemergere dall'Erschütterung, in un moto fisiologico, nel fruitore, il quale si trova catapultato nel momento di verità oggettiva dell'arte. Ovvero, di fronte all'opera autentica il soggetto si pone come di fronte a una cosa esterna, compensando tale estraneità nel contatto con l'oggetto, e restaurando una dinamica di non dominazione nel
rapporto tra soggetto e oggetto.
Nell'esperienza sublime l'io non si proietta sull'oggetto, né lo assimila ai propri schemi psicologici e percettivi; al contrario, il soggetto ancora scosso dall'urto emotivo è in grado di porsi in ascolto dell'opera, ritirandosi di fronte a essa e revocando la propria autoposizione. Dimentico di sé, egli trova la forza di negarsi davanti all'opera e davanti al ricordo del rimosso che essa chiama in causa. In un certo senso, la metafora sublime del naufragio con spettatore, topos settecentesco della teorizzazione di questa categoria estetica, torna in forma trasfigurata. La distanza estetica tradizionalmente interpretata come distanza di sicurezza viene sì infranta dall'Erschütterung, essa viene infranta, ma nella mediazione, cioè nell'impossibilità dell'arte di agire in modo immediato sul reale. Nel sublime l'esperienza ordinaria è sospesa; lo spettatore si trova su una soglia, tra la realtà e una possibilità che si annuncia ma non si può realizzare, nel dissidio tra l'illibertà della sua condizione presente e la trascendenza non realizzabile di uno stato utopico di liberazione.
Si può dunque affermare che per Adorno il sublime è la modalità sensibile che caratterizza più di tutte la modernità. Non per questo si può tuttavia considerare l'estetica adorniana come un'estetica del sublime:
ridurne la complessità dell'edificio a una sola categoria corrisponderebbe a semplificare la dialettica interna al suo pensiero. Inoltre, la trattazione del sublime va ricercata in controluce nelle pagine di Adorno, e seppur presenza forte, come si è visto, non è tematizzata in modo esplicito. Il sublime si avvicina al bello naturale, inteso come traccia del non identico nel dominio dell'identità universale, nel suo rimandare al “di più” della natura stessa, immagine del suo stato non ancora sottoposto al dominio, che è al contempo la cifra del possibile.
Il sublime sa cogliere magistralmente la tensione al trascendente già in nuce del bello naturale, e vi aggiunge un elemento fisiologico di terrore, di commozione, fin di violenza. È una violenza che però corregge la brutalità dell'indifferenziazione imposta dal dominio della ragione del soggetto assoluto. Una violenza delicatissima, come Adorno definisce le opere di un suo modello di arte sublime, Webern. Le sue composizioni riverberano il frastuono della barbarie del reale come l'eco di un frastuono lontano, minaccioso e infinitamente potente. Di fronte alla sofferenza reale, storica, l'opera non può che azzittirsi, consapevole della sua duplice impotenza, nei confronti di un orizzonte empirico che non può redimere, e rispetto all'indicibile a cui può solo approssimarsi. Il sublime evidenzia il limite della ragione, della condizione percettiva moderna, del reale che non ha più senso e fondazione metafisica: e tuttavia, si arresta di fronte a quest'attestazione, consapevole di non poter proporre soluzione alcuna; e in questo senso Adorno può definirlo come negatività non attenuata.
Il movimento dialettico del sublime è il movimento dell'arte verso una trascendenza impossibile, verso un'utopia che non si può realizzare. Sublime diventa il riconoscimento di un'impotenza del pensiero e del linguaggio, che invano cercano di esprimere ciò che è altro da sé, il non identico che eccede ogni categoria concettuale e ogni determinazione linguistica. La funzione della cultura nel presente si trova nel riconoscere la sua impotenza: nel riconoscere che essa non può dare fino in fondo una concreta alternativa al mondo reificato. Tuttavia, proprio questa debolezza impone una responsabilità altissima: la resistenza ostinata nel cercare di articolare ciò che non può essere detto, ciò che la razionalità non sa esaurire. Il pensiero trova la propria giustificazione nel cercare una soluzione al problema dell'inesprimibile, del dire ciò che non si può dire: «la semplice