La chiusura di un percorso narrativo
3.3 Conclusioni Parzial
Tracciamo ora alcune considerazioni generali sulla poetica di Alice Munro, in relazione al genre
short story, al linguaggio e ai temi della memoria.
La prima innovazione che la scrittrice canadese apporta al genere letterario consiste nelle svolte che imprime all’azione attraverso la lettura interiore delle relazioni passate, anche in ambito familiare, realizzando cioè una de-familiarizzazione dell’ordinario. I colpi di scena non sono puri espedienti narrativi, ma seguono l’inclinazione del singolo a riscoprire ciò che si nasconde dentro e dietro le pieghe di un avvenimento. Questo tipo di approccio non può che basarsi e seguire una narrazione in
progress nella mente dei personaggi coinvolti, dimostrando che le ri/costruzioni interiori possono
essere il frutto di illuminanti intuizioni sul passato, o di ambiguità proiettate nel presente. Ciò si verifica sia quando il punto di vista è costituito da una narratrice in prima persona, coinvolta nella vicenda, sia quando la narrazione alterna punti di vista limitati in terza persona. In entrambe le condizioni, la polifonia serve al lettore per comparare criticamente le varie forme di sopravvivenza o di auto-inganno, a cui il personaggio giunge con un’attività di liberazione o di auto-censura dal proprio passato.
Questo primo tratto implica un secondo elemento, che riguarda la struttura di molti finali: l’epifania converge sulla prospettiva unitaria quando si verifica un ri-cominciamento o un ritorno condiviso, altrimenti si mettono in scena percorsi paralleli e divergenti di attendibilità e falsità. Bisogna, però, fare attenzione che la fantasia e la visionarietà nel presente non sono il generico sintomo di una menzogna, ma possono indicare anche il bagliore di chi, improvvisamente, riesce a fare i conti con il recondito della memoria involontaria154.
Per questo motivo, come scrive Hernáez Lerena, “it is the very notion of epiphany [...] which Munro constantly contests and holds under scrutiny”155. Contestare la possibilità di un’epifania, secondo noi, non significa rifiutarla, ma contestualizzarla dentro l’ottica di ogni personaggio e svilupparla in base agli indizi che “il suo passato e la sua vita” gli hanno messo a disposizione. La terza nota originale della scrittrice canadese, che deriva da questa prevalenza e preferenza per “le epifanie aperte e centrifughe”, consiste nello smascheramento di una memoria condivisa troppo
154 A sostegno di questa tesi, che abbiamo espresso a proposito di Open Secrets, si veda anche SMYTHE, Figuring
Grief: Gallant, Munro and the Poetics of Elegy cit., p. 152.
155 HERNÁEZ LERENA María Jesús, “Fiction as Short-Storyness: Some Textual Strategies in Alice Munro’s
agevolmente raggiunta. In maniera diversa da Anita Desai, alla Munro interessa comprendere le ri/costruzioni che stanno dietro alla memoria comune, e come da esse si possano evidenziare le forme di adattamento o di ribellione individuale, nonostante gli ostacoli e i vincoli di gender, di classe sociale e di natura fisica, come la trasformazione del corpo a seguito di un ferimento o di una malattia. Questo aspetto è fortemente condizionato dall’esperienza autobiografica dell’autrice e la costante presenza della diversità dovuta al dolore sembra avere la funzione di esorcizzare le frustrazioni legate al ricordo della madre malata.
Il quarto elemento innovativo della Munro, che la rende universale e locale allo stesso tempo, è la presenza di numerosi intertesti della letteratura occidentale, della musica classica, dei meccanismi etico-morfologici del gotico e del fiabesco (protagonista e antagonista, bene e male) e delle culture popolari (filastrocche e musica pop e folk) all’interno di un’ambientazione regionalizzata, che non ha i tratti della rivendicazione identitaria. Questa cifra stilistica è stata rilevata anche da McGill nella sua comparazione tra la short story The Bear Came Over the Mountain e il film da esso tratto. Su Away from Her scrive, infatti, McGill:
Canadian texts are particularly prominent, and they are not exclusively literary: aside from the passages from Ondaatje and MacLeod, the film features music by K.D. Lang and Neil Young. The films use of Canadian settings and intertexts goes far beyond what the content rules of governmental funding bodies might require. Moreover, the film was hardly obliged by promotional interests, the details of Munro’s story, or the demands of verisimilitude to be as explicitly Canadian as it is. Instead, the film seems intent on honouring what it declares to be its national cultural context156.
Per la Munro si tratta, invece, di una visione che connota in modo originale la sua costruzione di “un’epopea transculturale” del postcoloniale canadese, in cui le parole identity e nation ricorrono molto raramente . Parallelamente alla demistificatoria erosione del concetto di identità pubblica che troviamo nella letteratura americana157, c’è nella filosofia della Munro un pathos creativo che sa cogliere le trasformazioni dello spirito profondo dell’America del Nord, provinciale e rurale, e del rapporto intrinseco tra il superamento delle frontiere regionali e la sopravvivenza interiore, senza alcuna soggezione o deferenza nei confronti dei centri metropolitani nazionali e cosmopoliti, ma con un’originale e innovativa cultural e sexual politics, in cui frequenti sono i riferimenti alle istanze dei movimenti di liberazione della donna.
Sul piano della costruzione retorica delle sue storie ciò implica la realizzazione di quanto hanno scritto Canitz e Seamon:
156 McGILL, “No Nation but Adaptation: The Bear Came Over the Mountain, Away from Her and What It Means to Be
Faithful” cit. È impossibile indicare la pagina esatta del riferimento, tratto dalla versione online dell’articolo.
We expect stories to offer us a pattern of knowledge [...] rather than to expose gaping holes of ignorance, and we expect purpose and design, not chance events; the story teller is expected to make sense of things and not to present us with disorder and ignorance. But Munro’s stories resist this expectation, and [...] seem closer to “unsorted life” than the legendary nature of most tale-telling, whether of people or of nations158.
L’allontanamento dalla narrazione orale delle “gesta valorose”, che richiamano alla mente il tale come prima tappa nella genesi della short story, non potrebbe essere più marcato e deciso.
Sul piano linguistico, per la Munro questo implica mettere in allerta il lettore sulla trasformazione del senso delle parole in base al contesto socio-storico, e all’uso dell’ironia come figura retorica che permette di rovesciare la funzione cristallizzata del gossip, emblema sia dei cliché mascherati e mascherabili nel “comune sentire”, sia della rimozione di quanto è scomodo. A ciò si abbina il frequente ricorso all’uso del condizionale, del congiuntivo e dei verbi modali, che hanno la funzione di accentuare la natura di supposizione o di ipotesi di certe ri-costruzioni personali, che non hanno il “materiale” necessario o sufficiente per accertare la reale sequenzialità cronologica degli eventi e dei pensieri. Questo consente ai personaggi di non irrigidirsi, ed essi si limitano spesso a intuire, a decifrare e ad assemblare le sensazioni connesse all’episodio principale, al single fact, ricavandone ciò che può essere attendibile.
Spiccata e spietata è, inoltre, la decostruzione della stereotipia di certi allocutivi ed epiteti del linguaggio quotidiano. Si riscontra anche una tendenza all’uso di lessemi dialettali e di riferimenti a un accento non standard, come forma di contrasto e di sconfinamento inter-classista nel recinto di una “norma urbana forbita” e middle-class.
Il quinto aspetto riguarda il drastico cambiamento dei personaggi a distanza di generazioni e la loro palpabile disaffezione verso tutto quanto era ed è da loro socialmente atteso o richiesto. Questo è costruito attraverso la ricorrente presenza del segreto, componente che giustifica la funzione della memoria di avvicinare i silenziosi compromessi tra vincitori e vinti.
Infine, in maniera speculare alla visione di Anita Desai, anche Alice Munro affida più valore al ricordo emotivo ed intimo che al valore documentale dell’icona o del reperto fotografico. Nelle
short stories di entrambe le scrittrici sono i contorni indefiniti o stridenti che rivelano il carattere e il
sottotesto dell’immagine. Ciò serve ad impedire che la rimozione e la malinconia trionfino sull’atto della ri-memorazione e sul suo attingere a una pluralità di tracce interne ed esterne alla persona.
Conclusioni
Attraverso le potenzialità e i difetti della memoria la short story modernista e postcoloniale offre l’occasione e l’opportunità per la ri/appropriazione e la ri-negoziazione da parte del sogggetto attivo dei momenti rivelatori. Questa propensione narrativa si è configurata attraverso un’evoluzione storica del genere letterario che ha avuto alcune fasi ben distinte: la prima, che parte dai primi decenni dell’Ottocento, è stata contraddistinta dall’isolamento di un episodio significativo, considerato come unità a sé stante nel suo percorso lineare e progressivo, in modo da caratterizzare la rappresentazione dell’epoca a cui la storia risaliva, conservando il rapporto di fiducia e la riconoscibilità dello scrittore nei confronti del suo pubblico (tale).
Questa prospettiva dinamica, condivisa dal romanzo, per la short story è cambiata tra l’ultimo quarto del diciannovesimo secolo e il primo quarto del ventesimo. A questo cambiamento ha contribuito la chiusura materiale della Frontiera Americana:
With the closure of the Frontier, writers had to find new territories in which to explore. In 1897, Jack London joined the Klondike Gold Rush to Alaska, an experience that inspired three volumes of short stories as well as his most famous tale, ‘To Build a Fire’ (1908). The spare prose and the even sparser plot one man’s struggle to survive amid freezing conditions contribute to a story that assumes symbolic and existential overtones1.
Una tale “chiusura territoriale” di ascendenza e di stampo proto-coloniale ha liberato lo spazio per nuove visioni e nuove “frontiere” interiori e geo-locali: “the short story has traditionally found ways of approaching the changing definition of locality”2.
In seguito, la frammentazione dei piani temporali attuata con diversa intensità dalla maggior parte degli scrittori del Modernismo, tra cui Katherine Mansfield, ha consentito un ampliamento espressivo che unisce il privato e il personale al pubblico e al sociale, con una tecnica di indagine retrospettiva e un meccanismo a montaggio dei punti di vista, che hanno avuto l’intento di decifrare l’affidabilità della ri/costruzione del protagonista, spesso attanagliato tra autonomia e conformismo morale.
La visione poetica e la tecnica narrativa di Flannery O’Connor, successiva in ordine di tempo a quella della Mansfield e del Modernismo, si situa al crocevia e costituisce una prima evoluzione tra questa frammentazione interiore e la tragica esperienza sociale che è stata generata dalla Seconda Guerra Mondiale, con un approccio che trova rifugio soprattutto nella dimensione ultraterrena. In
1 MARCH-RUSSELL Paul, The Short Story: an Introduction, Edinburgh, EUP, 2009, p. 140. Non va sottovaluto il fatto
che anche Jack London, come molti degli scrittori americani di short stories fino a Hemingway, provenga dalla carta stampata.
alcuni personaggi delle sue short stories questa visione produce effetti sterilmente consolatori. Ciò accade principalmente nel momento in cui essi evitano ed escludono il dialogo con l’altro e restano preda dei loro alibi grotteschi, classisti e discriminatori, nonché della loro visione del passato che fa leva sulla restorative nostalgia.
Sulla base di una tale evoluzione storico-letteraria, nella prima generazione di scrittrici di short
story che hanno visto o vissuto direttamente la costruzione delle nazioni indipendenti sorte dall’ex
Impero Britannico, non prevale l’intenzione di concentrarsi sulla riscrittura della storia o del canone, come avviene per il romanzo postcoloniale. Si coglie, invece, una maggiore propensione a re-visionare i processi di controllo e di manipolazione della memoria, attraverso l’uso di entrambe le categorie della letterature occidentale: il realismo da un lato, e gli intertesti provenienti sia dalla cultura “alta”, sia da quella popolare dall’altro.
I personaggi più ribelli delle short stories postcoloniali che abbiamo esaminato in questo studio pensano attraverso una visione parodica dei cliché e degli stereotipi linguistici e usano il simbolismo della natura, il sogno, il tropo del “ritorno a casa” e i reperti materiali e iconografici come strumenti per recuperare dalle pieghe della memoria le interpretazioni più scomode sugli avvenimenti del passato che erano stati rimossi. Spesso, però, tali ri/costruzioni vanno a esclusivo beneficio del lettore.
Pur con la varietà dei toni e degli accenti, le sconfitte e le vittorie rappresentate dai personaggi di Alice Walker, Margaret Atwood, Shashi Deshpande, Anita Desai e Alice Munro offrono un’ottica comune, che è contraria alla malinconia e alla restorative nostalgia, nocive nella loro possibilità di inibire e soffocare l’agency della persona all’interno della comunità di arrivo.
Un’altra componente che accomuna le scrittrici prese in esame a partire da Alice Walker in poi deriva dal rapporto che i personaggi instaurano con il passato e con la ricostruzione dell’altro ed è quella della responsabilità individuale. Tale responsabilità si manifesta in rapporto alla capacità di sopravvivenza e di relazione dentro al gruppo di appartenenza, con posizionamenti differenziati in riferimento alle condizioni sociali, geografiche e storiche di ciascuno dei singoli personaggi di una storia3. Questa sopravvivenza si avvale del silenzio e del segreto come strumento per de-stabilizzare le strutture e le condizioni consolidate di potere. Generalmente, ci troviamo di fronte a esiti che smascherano le forme repressive e autoritarie della Verità, nel momento in cui ambisce a divenire
3 Considerando l’elemento razziale una delle componenti in questione, si piò estendere alle altre scrittrici di questo
sudio quanto scrive Donna Haisty Winchel a proposito di alcune short stories e dei romanzi di Alice Walker: “larger issues intrude into the lives of black men and women to become the excuse for cruelty” (WINCHEL Donna Haisty,
Ufficiale e “di dominio pubblico”4. Si tratta, cioè, di risposte che hanno una valenza etica, la quale
non si riflette nel raggiungimento di una condizione materiale più vantaggiosa, ma in processi e itinerari narrativi che partono dal reale e che divengono interiori e meta-fisici. Per tale ragione, il gotico e la manipolazione del noto e dell’ignoto della Munro, il sarcastico della Atwood, la rivendicazione dei diritti delle minoranze e l’importanza del corpo della Walker, la “marginalità femminile” della borghesia indiana della Deshpande e il sincretismo della Desai puntano allo stesso obiettivo, alla stessa meta: garantire una via di fuga individuale che abbia anche valenza e visibilità interpersonale e sociale.
Per questo complesso e variegato insieme di fattori, ci è sembrato più efficace concentrare il senso dell’interpretazione sulle diverse modalità di legame / distacco tra incipit e dènouement e sulla relazione tra i personaggi invece che solo sulla /e percezione /i esclusiva /e degli stati d’animo del / della protagonista. Nel momento cruciale di questa relazione tra i personaggi la temporalità presente è sospesa, in attesa di una rivelazione, di un’illuminazione, o di un ri-cominciamento, che, nella loro assenza possono paralizzare il raggiungimento di una sintesi tra il corpo e la mente, e tra il corpo, la mente, l’ambiente di appartenenza e la comunità di arrivo o di ritorno5.
Il rischio che corrono molti personaggi di queste scrittrici, e che i loro protagonisti più coraggiosi cercano di evitare, è restare imprigionati nel ricordo statico della memoria comune o in un’identità collettiva omologante. Anche per questo, oltre che per i motivi sopra citati, riteniamo che le short
stories femminili nord-americane e indiane siano più facilmente collocabili nell’ottica di una sfida
ai meccanismi della globalizzazione e dei problemi diasporici a esse collegati e collegabili, invece che all’interno delle logiche settoriali e monotematiche del genre/gender6 o del gruppo etnico-
nazionale di appartenenza / provenienza dell’autore / autrice7.
Ci sentiamo di collegare questa prospettiva alla definizione di “planetarietà”, data da Spivak: “if we
4 Su questo terreno, e non su quello dell’attenzione ai media digitali e tecnologici, alla biomedicina e alle varie ipotesi
fantascientifiche, il postcoloniale trova un punto di contatto e di parziale contiguità con il postmoderno: “a key theme [...] of postmodern literature is how we establish an idea of truth while options multiply around us” (MARCH- RUSSELL, The Short Story: an Introduction cit., p. 223).
5 Olte che dall’esame delle storie, questo concetto nasce dalla fusione di due idee espresse in due diversi saggi
riguardanti la poetica delle short stories di Margaret Atwood e Anita Desai: (Cfr. STRAUBEL Linda H. and ELLIOTT Gayle, “Margaret Eleanor Atwood”, pp. 32-33 e SALGADO Minoli “Anita Desai”, p. 136 in FALLON Erin, FEDDERSEN R.C., KURTZLEBEN James, LEE Maurice A., ROCHETTE-CRAWLEY Susan [Eds.], A Reader’s
Companion to the Short Story in English, Westport Connecticut, Greenwood Press, 2001). La stessa idea trova
giustificazione e riconoscimento anche da parte di Michelle Gadpaille nel suo saggio sulla short story canadese (Cfr., GADPAILLE Michelle, Canadian Short Story, Toronto, Oxford University Press, 1988, p. 15 e p. 21).
6 Per quanto riguarda connesse alle difficoltà legate a questa unica linea interpretativa si rimanda a EAGLETON Mary,
“Gender and Genre”, in HANSON, Re-reading the Short Story cit. Il titolo del saggio è volutamente rovesciato nel testo.
7 Sarebbe forse più difficile avvalersi di questa stessa chiave di analisi per altre aree postcoloniali anglofone, come il
Sudafrica e l’Irlanda; mentre si potrebbe rivelare interessante per l’analisi delle poetiche di alcune autrici della seconda generazione o per alcuni autori provenienti dai loro stessi Paesi.
imagine ourselves as planetary subjects rather than global agents, planetary creatures rather than global entities, alterity remains underived from us; it is not our dialectical negation, it contains us as much as it flings us away. And thus to think of it is already to transgress [...]”8.
In sintesi, per il suo carattere transculturale e di duttile sperimentalismo stilistico, riteniamo che la
short story femminile anglofona possa costituire un valido argine al binarismo Occidente / Oriente e
ai crescenti localismi e fondamentalismi di matrice politico-religiosa. La pluralità delle nostre chiavi di lettura è stata integrata, tenendo in considerazione la capacità delle singole autrici di manipolare le tecniche narrative, così come si sono storicamente configurate. Per questo abbiamo preferito tratteggiare un quadro “evolutivo”, invece di inseguire la ricerca di una teoria della short
story.
Siamo propensi a ritenere, infatti, che dal punto di vista didattico un eccesso di teoria impedirebbe agli studenti, che per la prima volta si apprestano a fronteggiare e a confrontarsi con universi politico geografici così distanti dalla loro realtà quotidiana, di apprezzare appieno le prospettive marginali e subalterne connaturate ai personaggi delle short stories qui trattate.
Anche per questo motivo abbiamo scelto di privilegiare le short stories in cui l’onirico, il fiabesco e il surreale hanno un impatto e una ricaduta sul reale. Per la stessa ragione abbiamo deciso di porre all’attenzione del lettore quei passaggi che sono maggiormente provvisti di ironia e di un’elevata qualità lessicale, sintattica e formale. Siamo, infatti, inclini a ritenere che se, affrontante e proposte con tale criterio di analisi tecnico-formale, anche le short stories femminili contemporanee, al pari di quelle della tradizione “canonica” maschile, possano essere incluse integralmente nei libri di testo; aspetto, questo, che, per ovvie ragioni, non è consentito ai romanzi. Si potrebbe così aggirare la diffusa propensione dell’editoria scolastica a obliterare la narrativa contemporanea non-male e
non-WASP. Questo potrebbe spingere gli studenti ad approfondire le autrici che hanno scoperto,
affrontando anche la lettura dei loro romanzi.
Inoltre, la prospettiva che abbiamo voluto portare avanti con questo studio è stata quella di valorizzare la short story femminile modernista, afroamericana e postcoloniale, e di inserirla in una posizione specifica all’interno del panorama letterario anglofono, posizione fino a ora determinata in maniera esclusivamente nazionalistica, così come testimoniano i titoli della nostra bibliografia. A tal fine, abbiamo tentato di delineare e configurare gli orientamenti tecnico-creativi delle singole autrici nel quadro delle potenzialità stilistiche del genere letterario. Riteniamo che questo criterio, basato sulle tre parole d’ordine della memoria (ricordo, nostalgia e oblio), costituisca un argine e un