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In passato si discuteva se la portata della protezione brevettuale fosse determinata dalle sole rivendicazioni o invece anche rilevabile da altre parti del brevetto, non menzionate nelle rivendicazioni.

La giurisprudenza dominante seguiva la seconda tesi, soprattutto per l’argomento che, non essendovi in Italia l’esame preventivo, era impossibile per l’inventore identificare esattamente il contenuto del brevetto.

Questa tesi non è più sostenibile dopo la ratifica effettuata dall’Italia della Convenzione di Strasburgo prima, il cui articolo 8, comma 3 prevede che i limiti della protezione conferita dal brevetto sono determinati dal tenore delle rivendicazioni, con la precisazione che descrizione e disegni servono ad interpretare le rivendicazioni, e della Convenzione sul Brevetto Europeo poi, il cui articolo 69 riprende il precetto dettato in tema di interpretazione del brevetto dalla Convenzione del 1963.

Poiché a seguito della ratifica di Strasburgo, il legislatore, in occasione della riforma del 1979, non ha provveduto ad inserire nel nostro sistema brevettuale una norma a ricalco dell’articolo 8, comma

73 MARTUCCI, La file history estoppel quale fonte di interpretazione del brevetto, in Notiziario Ordine Consulenti in P.I., 2012, I, pag. 21.

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3, alcuni autori hanno continuato a sostenere che la portata del citato articolo non sarebbe stata vincolante o per lo meno non così strettamente vincolante per il brevetto nazionale.

Questa conclusione, tuttavia, è stata ben presto sorpassata dall’innegabile considerazione che i trattati internazionali, una volta ratificati e resi esecutivi con la legge dello Stato, divengono fonte di norme di immediata applicazione allorché il loro contenuto sia sufficientemente articolato, quale era senz’altro quello dell’articolo 8, comma 3 della Convenzione di Strasburgo.

Dopo un iniziale periodo di esitazione, quindi, anche la giurisprudenza italiana si è indirizzata nel senso di reperire il contenuto, e dunque l’ambito di protezione, del brevetto nelle rivendicazioni e di non consentire una libera ricostruzione della portata precettiva dell’esclusiva andandola a rilevare in altre parti del brevetto.

Un simile cambiamento di rotta è stato facilitato anche dall’emanazione nel frattempo del Protocollo Interpretativo dell’articolo 69 CBE, volto a tentare di superare le diverse letture che i vari Stati aderenti alla Convenzioni davano della statuizione del citato articolo.

Tale documento, cui il legislatore doveva senza dubbio rifarsi, anche per garantire al brevetto nazionale un trattamento eguale a quello del brevetto europeo, dettava quelle che si potrebbero definire le golden rules in punto di interpretazione del brevetto, stabilendo sì la centralità delle rivendicazioni, ma in termini tali da garantire nel contempo un’equa protezione al richiedente ed una sicurezza giuridica ai terzi.

I residui dubbi circa la primaria rilevanza delle rivendicazioni al fine di individuare la misurazione della portata della privativa, in ogni caso, sono stati spazzati via dall’adozione del Codice della Proprietà Industriale e soprattutto dal successivo decreto correttivo del 2010 n.

131, che, con la riformulazione dell’articolo 52 C.P.I. ha cristallizzato la centralità delle rivendicazioni statuendo che i limiti della protezione sono determinati dalle rivendicazioni.

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Ciò comporta che l’interpretazione del brevetto si traduce di fatto nell’interpretazione delle rivendicazioni, che, a loro volta, devono essere lette alla luce della descrizione e dei disegni, come espressamente previsto dal secondo comma dell’articolo 52 C.P.I..

Tale disposizione è stata al centro di un acceso dibattito circa la funzione della descrizione e conseguentemente del rapporto intercorrente tra descrizione e rivendicazioni, anche al fine di garantire il rispetto del principio cardine secondo cui la protezione va riconosciuta a ciò che è contemporaneamente rivendicato e descritto.

Se, infatti, alcuni autori e parte della giurisprudenza ritengono che alla descrizione vada riconosciuto un mero ruolo interpretativo, altri invece respingono una posizione così restrittiva in favore di un’attribuzione di una funzione più pregnante da assegnare alla descrizione: certamente essa è uno strumento interpretativo, ma anche un “serbatoio”, cui il titolare del brevetto può attingere al fine di provvedere alla riformulazione delle rivendicazioni “distillando”

elementi presenti nella descrizione, ma non espressi nelle rivendicazioni.

Il tutto in termini restrittivi, in quanto, il limite che sovraordina l’interpretazione resta comunque quello dettato dall’articolo 76, comma 1, lett. c) per il quale l’oggetto del brevetto non può estendersi oltre il contenuto della domanda iniziale.

Una siffatta intesa del rapporto intercorrente tra descrizione e rivendicazioni d’altro canto pare inevitabile a fronte dell’introduzione nel nostro Codice dell’articolo 79, comma 3, che riconosce al titolare di un brevetto sotto accusa di nullità di riformulare in senso limitativo le rivendicazioni. Ciò è possibile soltanto ammettendo che tra descrizione e rivendicazioni sussiste sì un rapporto che si declina in termini di reciproco supporto ai fini dell’interpretazione del brevetto, ma anche necessariamente in un rapporto di complementarietà tale per cui, proprio a fronte del diverso ruolo che i due elementi rivestono all’interno del brevetto, il titolare della privativa possa attingere

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all’una per specificare le altre, senza violare il principio cardine di cui all’articolo 76 C.P.I..

Il principio della centralità delle rivendicazioni, in ogni caso, non deve essere estremizzato, ma declinato tenendo conto della ratio sulla quale è stato costruito l’intero sistema brevettuale, ovvero la garanzia dell’equilibrio tra esclusiva e concorrenza: è per questo che il legislatore, nel riformulare l’articolo 52, ha introdotto al terzo comma quello che potremmo definire il Protocollo Interpretativo Interno, per il quale la determinazione dell’ambito di esclusiva deve essere individuata in modo da garantire al contempo un’equa protezione al titolare e una ragionevole sicurezza giuridica ai terzi.

Un simile precetto ha portato dottrina e giurisprudenza a chiedersi se fosse opportuno, ai fini interpretativi, tenere in conto le eventuali dichiarazioni in senso limitativo rilasciate dal titolare in sede di concessione del brevetto, oppure escludere una loro rilevanza posto che né l’articolo 52 C.P.I. né l’articolo 69 CBE fanno riferimento a fonti esterne al brevetto o perlomeno diverse dalle rivendicazioni che non siano descrizione e disegni.

La più recente giurisprudenza sembra propendere per la tesi per cui le dichiarazioni del richiedente il brevetto relative ad eventuali limitazioni dell’ambito di protezione della concedenda privativa contenute nella file history possano essere utilizzate per l’interpretazione del brevetto.

In caso contrario, il richiedente, una volta concesso il brevetto, potrebbe tentare di far entrare dalla finestra ciò che in fase di esame di rilascio ha lasciato uscire dalla porta per ottenere la concessione dell’esclusiva.

Senza contare che, attribuendo rilevanza alla file history, si garantirebbe anche il preteso contemperamento degli interessi contrapposti in gioco in relazione ad un brevetto, in quanto se da un lato si riconoscerebbe il valore di manifestazione di volontà alle dichiarazione effettuate dal richiedente in sede di brevettazione, anziché di mere dichiarazioni amministrative, dall’altro si

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tutelerebbero i terzi che hanno declinato il loro comportamento alla luce del contenuto della file history.

D’altra parte, escludere rilevanza alla file history significherebbe non attribuire importanza a tutta la fase precedente al rilascio del brevetto, durante la quale il richiedente ha un certo margine di manovra per modificare e integrare la domanda così come depositata al fine di ottenere la concessione di un brevetto il più solido possibile, come sarà illustrato nel prossimo capitolo.

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2. LE MODIFICHE AL TESTO DELLA DOMANDA