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A noi non resta se non unirci a quell’applauso e all’augurio più sincero una speranza che non è soltanto nostra: riveder presto la

LA CONFERENZA BATTIST

La scelta della Patria

Per questo non ci curiamo troppo dei fischiatori dell’altra sera - a cui del resto si potrebbero tro- vare tante, non diremo attenuanti, ma spiegazio- ni in una cronaca dell’educazione e della vita politica in tempi non molto lontani. Ci sono al- tre cose intorno a noi: lutti e doveri, angoscie e aspirazioni, che passano su questa terra d’Italia come un vento di purificazione. E anche costoro saranno purificati; oppure spazzati via. (Serra, La conferenza Battisti, 14 gennaio 1915)

Alti ideali e fischi, le parole alate del patriottismo e, a contrastarli, fischi e forse contumelie, si volsero al Comunale di Cesena nella serata del 14 gennaio 1915, all’inaugurazione della stagione interventista. Gli ideali dell’irredentismo trentino, letteralmente incarnato sul podio dal suo simbolo itinerante e futuro martire della Grande guerra, Cesare Battisti, e un socialismo neutralista e riottoso, magari a ragione, a farsi escludere dalla cerimonia in onore del bardo trentino. È una di quelle situazioni in cui ciascuno difende le proprie posizioni, non essendoci più un ponte per collegare le parole e gli interessi di parte. Serra pronuncia, nell’articolo che non firmato gli è stato legittimamente attribuito, una frase che forse non ha pronunciato mai, una frase che sa di profezia, quasi di minaccia. Chi non vuole la guerra, finirà per subirla; chi non vorrà essere redento dalla purezza degli ideali, sarà travolto e annientato. Non è più il tem- po delle mediazioni operate dalla pazienza, né della tolleranza, né dell’ironia. È il tempo della emergenza, il tempo del sacrificio, il tempo dei rendiconti nazionali. Qui Serra parla a nome di una classe dirigente che vuole la guerra e la condurrà, e per la prima volta vediamo in lui non il letterato super partes, l’ironico, tollerante intelletto, ma una persona che appartiene a una classe, a un ceto, a una educazione, alle peculiarità e ai limiti di quella formazione specifi- ca (la tradizione, la famiglia politica, l’ideale che diventa scelta di azione).

Questo testo di conferenza pubblica, a tema patriottico, è stato uno degli acquisti più significativi dalla stagione serriana dell’intervento. Si può dire che, insieme al Diario di trincea, edito a cura di C. Pedrelli, nei “Quaderni degli Studi Romagnoli”, nel dicembre 2004, La conferenza Battisti offra specularmente il tempo non solo dell’attesa individuale della guerra, ma della sua aspettazione fattiva, impegnata nell’arena politica della città, che, stante la posta in gioco, guerra e pace, vita e morte, si fece subito rovente. Un testo che ci dà senza alcuna ambiguità, ambiguità che si riscontrano in testi successivi o coevi, compreso l’Esame di coscienza di un letterato, che viaggia parallelo

quanto a tempi di stesura, il profilo del Serra interventista, su basi di un condi- viso irredentismo, e di una chiamata alle armi che ha un sapore di risorgimento ritrovato alla luce di una patria, la cui unità territoriale e politica deve essere ancora compiuta. Battisti, il campione dell’irredentismo trentino, scende a Cesena per tenere un discorso, ripetuto su più piazze della penisola, intitolato

Trento e Trieste e il dovere d’Italia. Interrotto da fischi di opposizione neutralista,

fomentata anche da una repulsa della “Dante Alighieri” di consentire l’ingres- so in sala ai socialisti, sbarrando loro anche la possibilità di un contraddittorio (e su materia tanto vitale), Battisti è costretto a chiudere la serata con un affon- do polemico (contro gli eroi del fischio, inneggia all’Italia: “ […] e più vorrei dirvi, ma, dinnanzi agli eroi del fischio, non mi resta che gridare una sola paro- la: viva l’Italia!”). Serra commenta il clima della serata (14 gennaio), e il fatto in sé, di cui era stato non solo testimone ma anche coprotagonista, come orga- nizzatore e presentatore, a nome della “Dante Alighieri”, con un articolo non firmato, che “Il Cittadino” pubblica a titolo La conferenza Battisti, il 17 gennaio 1915. Lo fa premettendo che il miglior commento è quello che, lungi dall’am- plificare l’eco della cosa, per la sua indegnità sostanziale di mediocre gazzarra (angustia, mente ottusa, piccoli gruppi politicamente disorientati, sono alcune delle sue espressioni, fra minimizzazione e disprezzo), e la sua inopportunità, la passa quasi in giudicato, avvolgendola di un’ombra di fastidio, di reticenza, come per il disgusto che si possa contaminare un’ora pura e concentrata dello spirito di ciascuno: “Di certe cose non giova parlar molto: il pensiero e il cuore d’Italia vi è fisso silenziosamente, in queste ore di ansia e di aspettazione, in cui tutte le altre faccende e gli interessi della vita quotidiana sembrano sospe- si”.

I motivi, di cui si trama l’articolo, sono i seguenti: la fine del tempo della mera cultura, ora che la cultura (e il Dante della “Dante Alighieri”) veicolano non più solo conferenze di storia e di erudizione, ma intridono di “commozio- ne e di nostalgia sottile”, di trepidazione e di speranza, le voci che vengono a parlare dai territori irredenti. Un tempo Battisti sarebbe stato uno studioso, il direttore della rivista “Tridentum”, un simbolo di una tradizione etnica e cultu- rale; ora è molto di più. È il simbolo di una patria che soffre, mutilata e oppres- sa ai suoi confini nord orientali, minacciata dallo straniero (l’eterna Austria feroce e liberticida). Il deputato di Trento è un esule in Romagna, così come un romagnolo al principio del 1859 poté essere un esule in Piemonte. Il clamore come di bestie “di un gruppo press’a poco socialista” depone della fine del socialismo come forma di lotta politica e di contesa ideale; pertanto costoro non meritano d’essere presi sul serio; conviene volgersi a più alti pensieri e imprese; coloro che non sentiranno in cuore la patria e per essa il richiamo del

dovere e del sacrificio, saranno persuasi, oppure “spazzati via”. La guerra sarà in sé una forza di convincimento, di elevazione morale (nel sacrificio), oppure all’atto pratico di punizione apocalittica (spazzati via, come da un cataclisma che non lasci traccia di una parte di umanità paurosa e impotente).

Ad attribuire questo testo a Serra, anche se con il precedente di Ernesta Bittanti Battisti (Con Cesare Battisti attraverso l’Italia. Agosto 1914-Maggio

1915, Milano, Treves, 1938), persuasa che non potesse appartenere che al

cesenate, è stato Cino Pedrelli, prima nella sua relazione al convegno cesenate del dicembre 1965 (Liceo classico “Vincenzo Monti”); quindi in “Il lettore di provincia”, dicembre 1971; nel vol. Scritti in onore di Renato Serra per il

cinquantenario della morte (Firenze, Le Monnier, 1974), che raccoglie gli atti

cesenati di nove anni prima. Il testo è stato riprodotto nel vol. Serra, Scritti

letterari, morali e politici. Saggi e articoli 1900-1915, a cura di M. Isnenghi,

Torino, Einaudi, 1974, il volume antologico che ha fondato una rilettura di Serra in una chiave eminentemente storico-politica. Infine è stato ripreso nel vol. che raccoglie gli studi serriani di Pedrelli, Pagine sparse per Renato Serra

1970-2004, cit., 2006, nello studio L’intervento, pp. 87-103.

Vale la pena che il lettore torni sui motivi stilistici, e non solo, ché ogni accento stilistico è in testi siffatti connesso a un contenuto, a un significato e a una sua sfumatura, dell’attribuzione che non presenta ormai alcun margine di dubbio. Si nota il senso di emergenza che Serra cerca di comunicare, allorché parla di uno scontro che mette in gioco la civiltà, la civiltà latina, ché la Francia è già in guerra e sta soffrendo anche per noi (questo il senso della partecipazio- ne serriana a una guerra effettivamente combattuta e a una guerra ancora parla- ta, discussa, rinviata, ma per lui necessaria, non foss’altro che per affiancare doverosamente la “sorella latina”): “… è tutta la nostra civiltà che è in gio- co…” (La conferenza Battisti); “… sui campi dove si difende un’altra volta la civiltà latina… ” (Esame di coscienza di un letterato). Grazie al tempo specia- le che si profila all’orizzonte, un tempo che non ammette remore e neppure le piccole viltà della pace, si forma in tutti un sentimento di attesa che distrae da ogni altra cosa e occupazione: “Di certe cose non giova parlar molto: il pensie- ro e il cuore d’Italia vi è fisso silenziosamente, in queste ore… in cui tutte le altre faccende e gli interessi della vita quotidiana sembrano sospesi … in que- ste ore di ansia e di aspettazione… ” (La conferenza Battisti); “… questa licen- za di metter da parte tutte le altre cose e di pensare solo a quella… Parlavo prima di coloro che vorrebbero per un istinto del cuore sospendere quasi il corso dell’universo; … con aggiunta di raccoglimento e di ansia e di attesa… in questi mesi di aspettazione… ” (Esame di coscienza di un letterato). L’ora della storia segna anche la fine di un atteggiamento di tolleranza (e di ironia),

che non ha più ragion d’essere: “… certe tolleranze che provano la superiorità dello spirito nelle contingenze usuali, non sian più degne di uomini civili” (La

conferenza Battisti); “… superiore perfino alla nostra tolleranza che era così

larga nel suo disprezzo” (Esame di coscienza di un letterato). Ancora si insiste sulla cessazione della consueta tolleranza e ironia: “Ci può essere qualcosa di più da fare che non esercizio di indulgenza e di ironia” (La conferenza Batti-

sti); “… quando sarà il tempo dell’ironia e dell’umiliazione… ” (Esame di coscienza di un letterato). Sintagmi che si corrispondono quasi alla lettera: “…

l’angustia di oggi può essere il pericolo di domani…” (La conferenza Battisti); “… la debolezza di oggi può essere la virtù di domani… ” (Esame di coscienza

di un letterato); “… un senso invincibile di ribellione e di disgusto…” (La conferenza Battisti); “… l’ira verso di loro è tanto esagerata quanto inutile il

disprezzo” (Esame di coscienza di un letterato). Il motivo dell’esilio di italiani fra italiani, che collega il Risorgimento all’ora presente, è fra i più scanditi nella nazionalizzazione del discorso serriano: “… il deputato di Trento esule in mezzo a noi… ” (La conferenza Battisti); “Anche gli esuli che aspettano la fine come il compimento della profezia” (Esame di coscienza di un letterato). Infi- ne il tema della gente riottosa, dei futuri compagni d’arme, adesso recalcitranti, che pure diventeranno una compagnia di fratelli combattenti: “Perché della viltà e dell’egoismo non si riesce a fare altro che per breve errore di mente ottusa un programma ideale: e c’è qualche cosa in ogni uomo, sia pur debole e dappoco, che è pronto a rispondere in certi momenti al richiamo sacro del dovere e del sacrificio” (La conferenza Battisti); “Fratelli? Sì, certo. Non im- porta se ce n’è dei riluttanti; infidi, tardi, cocciuti, divisi; così devono essere i fratelli in questo mondo che non è perfetto” (Esame di coscienza di un letterato). Infine il contesto della Conferenza Battisti dovrà essere completato con altri documenti, espressione della militanza comunale di Serra. Ne elenchiamo alcuni: 1) il manifesto, a nome della Società Dante Alighieri, Sezione di Cesena, per la morte di Gaspare Finali, 12 novembre 1914 (autografo presso gli eredi del dr. Augusto Calzolari, Cesena); 2) una minuta di telegramma, senza data, indirizzato a Innocenzo Cappa (Milano), invitato a Cesena a una orazione in- terventista, per sanare il vulnus della serata Battisti; 3) manifesti in morte di Nazzareno Trovanelli, 21 marzo 1915. Da uno dei manifesti Trovanelli, steso da Serra a nome della “Dante Alighieri”, riprodotto su “Il Cittadino” (XXVII, 13, 28 marzo 1915, p. 6), vale citare questa frase, che si connette, come altre di questo frasario contestuale, all’interventismo: “Nazzareno Trovanelli il puris- simo italiano spentosi purtroppo alla vigilia del compimento della nostra unità, da Lui sognata ed auspicata con tanto ardore giovanile e con tanta fede

immutata”. La guerra come compimento dell’Unità, proseguimento delle guerre di indipendenza. La conferenza Battisti è solo un anticipo, un avamposto pub- blico dell’interventismo di Serra. Poi verrà l’Esame e dopo il Diario di trincea. Dalle parole al silenzio.

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