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Il volo di Ariel

Shakespeare e Beethoven nell’immaginario di Serra

Come sono inutili le parole! Si sente solo un bi- sogno di tacere prima, aspettando, col cuore gon- fio e sospeso; e silenzio anche dopo, quando la musica è finita, e tutto quello che poteva esser detto, essa l’ha detto; l’anima, che è stata piena di lei, è stanca e nuda come la sabbia da cui il mare si è ritirato: la stampa delle onde fuggitive brilla innumerevole al giorno e sembra che con- servi nella cavità lunata l’inestinguibile respiro. (Serra, Appunti per il commento all’“Appas-

sionata” di Beethoven)

O musica, che apri gli abissi dell’anima. (Serra, Rollandiana, 1914-1915)

Come la “piccola frase” della Sonata di Vinteuil, nella Recherche proustiana, fa da colonna sonora all’amore di Swann per Odette, così la musica, una musi- ca, accompagna le ore d’amore di Serra con una donna, Fides Galbucci, nel- l’anno 1913. La lettera serriana ad Ambrosini del 27 maggio è testimone di questa concomitanza di amore e musica, di musica e passione. Non c’è forse altro modo per una musica, qualunque essa sia, di radicarsi nel cuore, come quando ha la ventura di battezzare e accompagnare una passione d’amore. Al- lora ogni volta che la si ascolti, la passione risorge anche dalle sue ceneri, percorrendo la strada che Proust ha tracciato, la memoria involontaria. Risale dal fondo, come un relitto che si sia disincagliato e torni alla superficie sul mare dell’anima.

Il tema principale di queste pagine è nella inadeguatezza delle parole, nella crisi del proprio linguaggio abituale, e nel confuso godimento di un silenzio affollato di suoni che Serra ricavava dall’ascolto della musica come esperienza nuova, ogni volta mistica e stordente, esaltante e ineffabile. L’ineffabilità della musica, per una mente abituata alla parola e all’argomentazione, determina, nella frantumazione della parola, della sintassi, situazioni di affanno. La stan- chezza da esaudimento, ma anche da turbamento, come una ridondanza ma- gnetica, è la condizione d’animo che Serra, più come uomo che come critico, cerca di descrivere, prendendo sperimentalmente se stesso come corpo di os- servazione. Una stanchezza, una lassitudine che si sente anche imparentata con i turbamenti del senso, scosso dalla musica così come, altre volte, dal- l’amore. Che sia la stagione del 1913, comprensiva del maggior numero di impegni sul fronte musicale e di un amore intenso e doloroso, ci dice che quel- lo di musica e passioni è stato l’asse psicologico che bisogna indagare nella

biografia di Serra, relativa a questa forma d’arte. L’equivalenza è il termine che capita di usare maggiormente per spiegare queste pagine di descrizione o di commento. La sensazione derivata dalla musica, di vaga ebrietudine, come di un’aura satura che non trovi soluzione, è fatta equivalere a qualche cosa d’altro. Un correlato oggettivo trovato altrove, per parlare dell’anima nuda, messa a nudo dalla musica. Serra tenta un ponte fra quello che avverte oscura- mente, e non saprebbe ridire, l’inedita grammatica della musica, e uno stato meglio conosciuto, per risolvere almeno in parte l’incognita di sensazioni che non si lasciano decifrare secondo il metodo intellettuale della critica.

I testi che qui si pubblicano fanno parte di un limitato ma significativo gruzzolo di pagine o frammenti di pagine, in cui Serra fu impegnato, sovente per commissione, a scrivere di musica, di musicisti, di esecuzioni e concerti, di opere di melodramma, entrando in contatto con un mondo di suoni, connessi ancora allo spettacolo teatrale, che non era il suo, e facendolo non in modi distratti e casuali ma sfruttando in taluni casi la possibilità se non di accedere a un nuovo linguaggio, che non avrebbe potuto più conoscere, almeno cogliere di quel codice espressivo qualche emanazione per i suoi stati d’animo, nelle turbolenze della passione, e in soccorso alla stessa lingua della critica, che Serra sentiva ormai come insoddisfacente. Non tutte le pagine di argomento musicale attingono a uno stesso livello di interesse. Ve ne sono alcune (Amintore

Galli per il M.° Bersani; Appunti per l’introduzione al concerto Bersani-Giro- ni; Commento alla “Sonata in quattro tempi” di Bersani; Il concerto allo Sport- Club, concerto vocale-strumentale, Palazzo del Ridotto, 13 dicembre 1913),

da ascrivere all’area dell’“ordinaria amministrazione”, l’impegno civico del letterato, il quale offre un contributo affinché il pianista cieco Carlo Bersani possa inserirsi senza troppe difficoltà nei ruoli dell’insegnamento di una mate- ria, la musica, che sembra “particolarmente adatta alle loro facoltà”. Il concer- to Bersani-Gironi, al piano Bersani, al violino Emilio Gironi, si era svolto la sera di domenica 11 maggio 1913 nella Sala del Casino (oggi Ridotto) del Teatro Comunale. Prevedeva cinque pezzi per piano (La campanella del mo-

nastero di Paganini, ridotta al piano da Liszt; l’Appassionata di Beethoven; la Polonaise in la bemolle op. 53, o Eroica, di Chopin; Sonata in quattro tempi di

Bersani; la Leggenda di S. Francesco di Paola che cammina sui flutti di Liszt), introdotti dal commento di Serra; e quattro per violino, alternati fra loro. In un altro caso (Nota artistica) saluta il debutto della giovane soprano concittadina Dora De Giovanni (Cesena, 23 ottobre 1890 - ivi, 18 gennaio 1980), con un augurio festoso e bello come la giovinezza: “L’aurora non è così bella come lo splendore dei primi raggi della gloria sopra una fronte candida”. Ma c’è sem- pre la tensione del confronto fra le parole, sentite come povere e inadeguate, e

l’altra espressione, ricca di una profondità inattingibile. Serra tenta quasi sem- pre di stabilire equivalenze fra un tema musicale, ricavato da uno strumento, e la realtà circostante (Appunti per il commento a “La campanella del monaste-

ro” di Paganini-Liszt; Appunti per il commento alla “Leggenda di S. France- sco di Paola che cammina sui flutti” di Liszt). Gli strumenti, e i maghi dello

strumento, lo incantano e incatenano ai loro prodigi (il violino di Paganini, il pianoforte dell’abate Liszt). Equivalenze sul piano onomatopeico (“tutta do- minata da una cadenza di galoppo […] cadenza che risponde dilegua e non son più cavalli, son musiche della terra polacca […] ”), equivalenze sul piano psi- cologico (la nostalgia dell’esule per la patria lontana; ancora il galoppo dei ribelli), e lo schietto, ingenuo piacere dello strumento (il piano di Liszt: “dire- mo che si sente il pianoforte fatto capace, gioioso, vellutato, di armonie e di ricchezze ignote: tutto il tesoro sprigionato… non si può cavarne di più”), si avvertono anche in Appunti per il commento alla “Polonaise in la bemolle op.

53” di Chopin, che pure è testo frammentario e approssimativo.

Altra cosa è il Manifesto per le onoranze a Wagner (Cesena, 9 luglio 1913), in cui Serra presta la sua opera di estensore di manifesti, in occasione del cen- tenario della nascita del grande musicista tedesco. La finalità, nella duplice ricorrenza centenaria, è anche quella di associare la gloria di Lipsia a quella di Busseto, Wagner e Verdi, due imperiose effigie della musica e del canto nello stesso Teatro. Le onoranze a Verdi furono officiate il 19 maggio 1906 da Pa- scoli (Arpa d’or, in Onoranze a Verdi, numero unico, Cesena, Tip. F.lli Bettini, 1906, p. 3). A Serra toccano le onoranze a Wagner, con la stesura del manife- sto, ispirato da versi di Carducci (Presso l’urna di Percy Bysshe Shelley, dalle

Odi barbare), e da richiami dannunziani (Il fuoco, 1900). Un opuscolo di sala

è L’amore dei tre re (La tragedia, in Stagione lirica 1913, Cesena, Tip. F.lli Bettini, 1913, pp. 1-7), per un melodramma in cartellone nella stagione lirica del 1913, uno dei testi più lunghi ed esenti dalla frammentazione dell’incom- piuto, anzi il più disteso in una narratività di secondo grado, quale è quella del riassunto, preciso ed elegante. Sono documentati anche gli Appunti per l’arti-

colo illustrativo del libretto de “L’amore dei tre re”, da cui si ricava una frase

che ha una densità calzante e pregna: “Lontano: tanto… una purità una nudità di leggenda… : gli anni consumarono: solo la poesia raccoglie l’essenza”. Non si sa quanto Serra apprezzi veramente l’opera che va illustrando al pubblico del teatro. Autore dello spartito è Italo Montemezzi. Il libretto è di Sem Benelli (1910), autore non amato, come risulta dai Frammenti inediti de Le lettere, in cui è collocato in una minore covata postdannunziana, ma Serra esegue il com- pito della descrizione della vicenda con meticolosa diligenza: “Eppure Serra fa buon viso a cattivo gioco” (Pedrelli), limitandosi a non porre la sua firma su

una cosa che non lo convince. La storia riguarda “l’età ferrea in cui la terra d’Italia è rimasta quasi sommersa dalle ondate periodiche delle barbare inva- sioni; dopo la caduta dell’impero romano; e prima che dalla mescolanza e dal travaglio dei sangui sia maturata la nuova gente e la nuova civiltà italica”. Sembrerebbe un tema manzoniano (Adelchi), ma qui è trattato in altra manie- ra, secondo la sensibilità del melodramma, del dramma storico-patriottico che sta tornando in auge, che tutto, i drammi della storia e il succedersi delle civil- tà, scioglie e annega nella dolcezza cocciutamente romantica della melodia.

Lo scritto più importante è costituito dagli Appunti per il commento al-

l’“Appassionata” di Beethoven, per ragioni stilistiche, essendo il più risolto

sul piano della scrittura, più distesa o meno frammentaria che altrove, e anche perché Serra stabilisce un rapporto ottimale con l’“atmosfera di miracolo” creata dal genio, e a essa è in grado, ancora per equivalenza, di connettere altre forme d’arte che gli sono, non diremo più congeniali, ma più famigliari: “bisogna inchinarsi: richiamare Dante Shak. Michelangelo; i greci: quel che c’è di più puro di più grande e di più profondo nell’umanità. favete linguis: solo preludio degno”. Ma si sente tuttavia, nella precisione di alcuni tratti, di alcune scansioni, che Serra si è applicato all’ascolto dell’Appassionata (opera 57), documentan- dosi sulla Vie de Beethoven di Romain Rolland (1903) e forse sulla Histoire de

la vie et dell’oeuvre de Ludwig van Beethoven di Antoine Schindler, ed è stato

anche guidato, iniziato, in preparazione al concerto, dallo stesso maestro Bersani: “La prima battuta ci dà il tema: tre accordi profondi, improvvisi, crescenti; come una proposta fiera, qualche cosa di intenso e di straziato e un trillo sospe- so, ansioso, acuto la risposta, la sospensione […] ”. Il motivo saliente per Ser- ra, forse influenzato dal collegamento operato da Schindler fra l’Appassionata e La tempesta di Shakespeare, pur ignorando l’opera 31, anch’essa secondo Schindler riconducibile a La tempesta, è quello dell’“anima stanca, rintuzzata dal mondo e dagli uomini ingrati, che se ne va in una regione più sua”. È il volo di Ariele nella Tempesta shakespeariana. La musica come liberazione della creatura dal carcere della vita, spinta al trascendimento della servitù terrestre, ma interrotta, frenata dal volere: “ma il suo volo è interrotto da esitazioni, tremolii, presagi; è un canto malinconico e interrotto […] ”. La sintassi cede al frammento: “la tempesta di Sh. il coro di Ariele: lo spirito dell’aria; lieve, puro, celeste, amabile: il divino andante accordi”. Serra forza la connessione fra la musica di Beethoven e il romance shakespeariano, dando ad Ariele un rilievo che in Shakespeare non ha. Ma è un segno di una manifesta volontà serriana a leggere, anche deviando da una retta interpretazione del testo shakespeariano, la centralità di un tema che gli preme al massimo grado, enfatizzando all’occorrenza il ruolo di Ariele, lo spirito dell’aria, che nell’azione

drammatica è subalterno al personaggio di Prospero, il mago duca di Milano. Da qui, dal canto di Ariele, dalla creatura celeste faticosamente avvinta alla terra da maligno sortilegio, con la quale Renato s’identifica in certi momenti dell’esistenza, derivano alcuni dei pensieri ultimi di Serra (nelle carte Rolland e nell’Esame di coscienza), e, si parva licet, prende l’avvio il mio Colloquio

con la madre, che il lettore legge nell’epilogo di questo volume.

Queste pagine sono state edite nel vol. di AA. VV., Renato Serra. Il critico

e la responsabilità delle parole (con inediti), a cura di P. Lucchi, Ravenna,

Longo, 1985, nel cap. curato da C. Pedrelli, L’ombra di Renato si chiama Ariele?

(Serra e la musica), pp. 69-108, a cui si rimanda per ogni altra informazione

riguardante gli incontri di Serra e Bersani, propiziati dal critico musicale Amintore Galli, gli articoli di stampa che segnalarono gli eventi musicali, e la natura, e collocazione delle carte autografe di Serra. Riportate anche nel vol. che raccoglie gli scritti serriani dello studioso cesenate, Pagine sparse per

Renato Serra (1970-2004), cit., pp. 35-47. “Dove genio e arte”, per dirla con

Serra, “hanno onore di culto”, due sono i nomi di questo capitolo sulla musica: Beethoven e Wagner.

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