CATASTROFE E REDENZIONE DEL DIRITTO PUBBLICO EUROPEO
Bruno Tonoletti
SOMMARIO:1. The Problem is Borders. 2. La frontiera esterna dell’Unio- ne: un confine in-fondato. 3. Gli squilibri del sistema Schengen. 4. Gli squili- bri del sistema Dublino. 5. Il cuneo dei diritti umani e il cortocircuito tra Schengen e Dublino. 6. La crisi dei rifugiati e la scomparsa dell’interesse co- mune dell’Unione. 7. Una struttura normativa di livello europeo che introduce incentivi distorti nelle relazioni tra gli Stati membri. 8. Le disposizioni del Ti- tolo V TFUE introdotte dal Trattato di Lisbona sono norme di principio, non semplici indirizzi politici. 9. Solidarietà, equa ripartizione delle responsabilità e uguaglianza sostanziale tra gli Stati membri: la Costituzione orizzontale nascosta nei Trattati. 10. Una debole forza messianica.
1. The Problem is Borders
Nel 2014 entravano in Europa 270.000 immigrati irregolari, il 60 per cento in più rispetto al 2013, metà dei quali transitati dall’Italia, l’altra metà dalla Grecia.
Il 3 ottobre 2013 affondava al largo di Lampedusa un barcone pro- veniente dalla Libia. Nel naufragio perdevano la vita quasi quattrocento persone. Il governo italiano decideva di avviare una missione militare umanitaria di pattugliamento del Canale di Sicilia, con lo scopo di pre- stare soccorso ai migranti in alto mare, affinché non si ripetessero altre tragedie. L’operazione Mare nostrum durava 12 mesi, con un costo di nove milioni di euro al mese sostenuto dall’Italia, più il contributo di una nave offerta dalla Slovenia. Nonostante le reiterate richieste del governo italiano, la Commissione europea e gli altri Stati membri evi- tavano di contribuire alla missione. Nel novembre 2014 subentrava la missione Triton, operazione di polizia delle frontiere disposta dal-
l’Unione europea, sul presupposto che un tale straordinario compito non potesse gravare su uno solo degli Stati membri, ma dovesse essere svolto in comune. La missione, affidata all’Agenzia Frontex, costava circa tre milioni di euro al mese e vedeva il sostegno volontario di nu- merosi Stati membri. Parallelamente veniva avviata l’operazione Po-
seidon di pattugliamento del mar Egeo.
Nella notte del 18 aprile 2015 al largo delle coste Libiche si verifi- cava il naufragio di un altro barcone diretto a Lampedusa, nel quale perdevano la vita oltre 700 persone. Il 23 aprile si svolgeva una riunio- ne straordinaria del Consiglio europeo, nella quale si stabiliva di raffor- zare il controllo in mare, con il potenziamento delle operazioni Triton e
Poseidon; di intensificare la lotta contro i trafficanti, anche mediante la
distruzione dei barconi prima della loro partenza; di prevenire i flussi migratori illegali mediante accordi con gli Stati confinanti e operazioni d’intelligence; di rafforzare la solidarietà e le responsabilità interne, spingendo per una effettiva attuazione del sistema europeo comune di asilo da parte di tutti gli Stati membri, rafforzando il sostegno logistico e finanziario agli Stati membri in prima linea nell’accoglienza dei mi- granti, prendendo in considerazione l’ipotesi di ricollocamento d’emer- genza dei richiedenti asilo e varando progetti di reinsediamento volon- tario nell’Unione di persone aventi titolo alla protezione internaziona-
le1.
Pochi giorni dopo veniva resa nota l’Agenda europea sulla migra-
zione2, nella quale la Commissione sottolineava che, se la «complessità
intrinseca di un fenomeno che esercita molti e diversi effetti sulla socie- tà (…) richiede molte e diverse risposte», tuttavia «nell’immediato l’imperativo è il dovere di proteggere le persone in stato di necessità», rispetto al quale «sono stati necessari provvedimenti di emergenza per- ché la politica europea comune in materia non si è rivelata all’altezza».
1 Dichiarazione del Consiglio Europeo n. 18/15 (documento n. ST 18 2015 INIT).
La dichiarazione riprendeva e sviluppava il «Piano d’azione in dieci punti» approvato dal Consiglio dei ministri affari esteri, giustizia e affari interni del 20 aprile 2015. Si veda anche la Risoluzione del Parlamento Europeo 2015/2660(RSP) del 29 aprile 2015 sulle recenti tragedie nel Mediterraneo e sulle politiche dell’UE in materia di migrazio- ne e asilo (documento n. P8_TA(2015)0176).
Tuttavia, aggiungeva la Commissione, il programma in dieci punti va- rato dal Consiglio straordinario del 23 aprile «è stata una risposta im- mediata, ma insufficiente», che «non può esaurirsi in un intervento una tantum». Infatti, «serpeggiano in tutta Europa seri dubbi circa l’adegua- tezza della nostra politica migratoria rispetto alla pressione delle mi- gliaia di migranti, alla necessità d’integrare i migranti nelle nostre so- cietà o alle esigenze economiche di un continente in declino demografi- co».
Secondo la Commissione, «l’Europa deve continuare ad essere un rifugio per chi teme persecuzioni e una destinazione attraente per il ta- lento e l’intraprendenza», ma
onorare gli impegni internazionali e tener fede ai valori dell’Unione proteggendo comunque le nostre frontiere e instaurando nel contempo condizioni propizie alla prosperità economica e alla coesione sociale in Europa implica la ricerca di un difficile equilibrio,
per il raggiungimento del quale «sono necessari un corpus essenzia- le di misure e una politica comune chiara e coerente». Per questa ragio- ne, «nessuno Stato membro è in grado di affrontare da solo la questione della migrazione: abbiamo palesemente bisogno di un approccio nuovo, più europeo».
Ma gli eventi incalzavano. Il conflitto siriano e altre crisi concomi- tanti stavano già producendo un radicale salto di scala del fenomeno. Se fino a quel momento erano prevalse le migrazioni illegali per ragioni economiche e gli arrivi erano rimasti contenuti (almeno in rapporto allo spaventoso numero di 59,5 milioni di sfollati nel mondo raggiunto alla fine del 2014, fra cui 3,9 milioni di profughi siriani), dalla primavera del 2015 la situazione cominciava a cambiare drasticamente.
Il peso maggiore della pressione migratoria si spostava dall’Italia al- la Grecia, principalmente a causa della massiccia provenienza di profu- ghi siriani dalla Turchia. Le proporzioni inoltre si ribaltavano. La netta prevalenza dei migranti era ora rappresentata da profughi richiedenti asilo, quindi da persone che avrebbero avuto diritto di varcare legal-
mente la frontiera esterna dell’Unione europea3. Ed i numeri comincia-
vano a diventare incommensurabili rispetto agli anni precedenti. In agosto veniva segnalato l’arrivo di 250.000 migranti via mare dall’ini- zio dell’anno, di cui 107.500 soltanto nel mese di luglio. Alla fine del- l’anno si stimava che fossero giunti in Europa circa un milione di mi- granti, la maggior parte dei quali transitati dalla Grecia. La Germania, il paese con il più alto numero di richieste, riceveva nel 2015 circa 890.000 domande di asilo.
Arrivati in Grecia, i migranti si dirigevano verso nord, attraversando la Macedonia e la Serbia lungo i Balcani occidentali, per raggiungere l’Ungheria e di qui il cuore dell’Europa. Anche se si trattava nella mag- gior parte di profughi, che avrebbero avuto diritto di asilo, il loro in- gresso risultava comunque illegale, perché in base al diritto dell’Unio- ne, essi non avevano il diritto di scegliere lo Stato membro in cui chie- dere asilo, ma avrebbero dovuto farsi registrare nel primo Stato mem- bro in cui avevano varcato le frontiere esterne dell’Unione, quindi pre- sentare istanza e attendere la procedura di individuazione dello Stato competente all’esame della loro domanda, che sarebbe poi diventato l’unico in cui avrebbero avuto diritto di soggiornare una volta ammessi
alla protezione internazionale4.
La Grecia fu accusata di non presidiare adeguatamente i confini esterni dell’Unione e di lasciar passare i migranti, senza neppure regi- strarli, in violazione delle regole di Dublino. Ma si trattava di una situa- zione di assoluta emergenza, che andava per di più a colpire un Paese
3 Si allude al principio di non respingimento. L’uso del condizionale si riferisce a
tutti gli accorgimenti escogitati dagli Stati per aggirare il divieto. Sul tema, che si avrà modo di riprendere in relazione al problema dei controlli alla frontiera esterna dell’area Schengen, cfr. F. DE VITTOR, Respingimenti in mare ed ‘esternalizzazione’ della prote-
zione: il confine territoriale come limite agli obblighi di tutela, in M. MECCARELLI,
P. PALCHETTI,C. SOTIS, Ius peregrinandi. Il fenomeno migratorio tra diritti fondamen-
tali, esercizio della sovranità e dinamiche di esclusione, Macerata, 2012, 183 ss.
4 Ci si riferisce ai criteri per l’individuazione dello Stato membro competente a esa-
minare una domanda di protezione internazionale dettati dal c.d. regolamento Dublino III (reg. UE n. 604/2013 del 26 giugno 2013), sui cui si veda, anche per ulteriori indica- zioni bibliografiche, C. FAVILLI, Reciproca fiducia, mutuo riconoscimento e libertà di
circolazione di rifugiati e richiedenti protezione internazionale nell’Unione europea, in Riv. dir. internaz., 2015, 701 ss. (cfr. infra, par. 4).
duramente provato dagli esiti della crisi del debito pubblico e grave- mente carente di strutture materiali e logistiche adatte alla presa in cari- co dei profughi.
Il dilagare dei migranti lungo la rotta balcanica metteva in crisi il si- stema di libera circolazione delle persone e delle merci all’interno del-
l’area Schengen5. A partire dal settembre 2015, nove Paesi si avvaleva-
no della facoltà di reintrodurre temporaneamente i controlli alle frontie- re interne per difendersi dall’afflusso incontrollato di migranti. Veniva- no anche progettati, e in alcuni casi innalzati, muri e barriere di filo spi- nato, generando tensioni diplomatiche tra gli Stati membri. La Com- missione osservava che «il sistema è stato scosso alle fondamenta dal- l’ampiezza dei problemi posti dalla maggiore crisi dei rifugiati avvenu-
ta dalla fine della seconda guerra mondiale»6.
Mentre Schengen veniva messo in discussione, la crisi dei rifugiati alimentava simbolicamente la rinascita dei nazionalismi, già spinti dagli effetti della crisi economica, e contribuiva a un deciso rafforzamento delle destre euroscettiche in tutto il continente, anche per via della ter- ribile concomitante sequenza di attentati terroristici dell’Isis iniziati a Parigi nel gennaio 2015.
L’Unione europea reagiva a questa situazione con alcune misure ef- ficaci, rivolte principalmente a rafforzare il controllo alle frontiere esterne, a fermare la prassi del lasciar passare e a contenere la pressione
dei profughi dall’esterno, mediante accordi con i Paesi confinanti7.
L’accordo con la Turchia per il trattenimento dei profughi siriani e la chiusura della frontiera tra la Macedonia e la Grecia nel marzo 2016 portavano a un consistente ridimensionamento del flusso sulla rotta dei Balcani. Le richieste di asilo presentate alla Germania nel 2016 scende- vano a circa 280.000 rispetto alle 890.000 dell’anno precedente. Anche gli arrivi totali calavano dal milione del 2015 a circa 380.000.
5 M. S
AVINO, La crisi dei confini, in Riv. trim. dir. pubbl., 2016, 739 ss.; ID., La cri-
si dei migranti: l’Europa oltre gli Stati-nazione?, in Giornale dir. amm., 2015, 729 ss.;
ID., The Refugee Crisis as a Challenge for Public Law: The Italian Case, in Ger. Law
J., 2016, 981 ss.
6 COM(2016) 120 final, del 4 marzo 2016, Ritorno a Schengen – Tabella di marcia. 7 Tali misure saranno commentate infra, par. 4.
Parallelamente all’opera di contenimento dei flussi, si sviluppava in seno all’Unione una confusa partita politica per giungere a una riforma del sistema europeo di accoglienza dei profughi. La Commissione eu-
ropea presentava una proposta nell’aprile del 20168, che però cadeva in
un panorama di divisioni profonde tra schieramenti di Stati membri portatori di interessi differenti, con molti governi fortemente condizio-
nati da preoccupazioni elettorali9.
Nel frattempo sono morte in mare nel 2016 più di 5000 persone. Tante altre ne continuano ad arrivare dalle coste libiche, spinte dal- l’avanzata dell’Isis e dall’instabilità politica della regione. L’Unione europea ha avviato trattative per concludere con la Libia un accordo di trattenimento degli sfollati analogo a quello con la Turchia. Un numero imprecisato di migranti è rimasto bloccato lungo la rotta balcanica. Al- cuni sono morti di freddo. Nella maggior parte si trovano attualmente in Serbia, intrappolati dalla chiusura delle frontiere da parte della Croazia
e dell’Ungheria10.
Il 15 gennaio 2017, giornata mondiale del migrante, è stato diffuso un fotomontaggio che accosta l’immagine di una fila di internati in un campo di concentramento nel 1943, sotto la neve, alla fila di migranti anch’essi in coda oggi sotto la neve per un pasto caldo nel cortile di una fabbrica dismessa di Belgrado. Altre immagini inquadrano i migranti sullo sfondo di un muro della fabbrica sul quale è scritto a grandi carat-
teri rossi: “The problem is borders”11.
8 COM(2016) 197 final, del 6 aprile 2016, Riformare il sistema europeo comune di
asilo e potenziare le vie legali di accesso all’Europa.
9 G. Z
ANDONINI, Migrazioni, il Regolamento di Dublino continua a non funzionare:
sarà una priorità per la presidenza UE di Malta, su Repub blica.it, 3 gennaio 2017.
10 M. M
ONDELLO, Belgrado, 12 mila persone bloccate al gelo dove la rotta balcani-
ca s’è interrotta, su Repub blica.it, 9 gennaio 2017.
11 Belgrado, le foto dei migranti al gelo: «Come nel 1943», su Corriere.it, 15 gen-
2. La frontiera esterna dell’Unione: un confine in-fondato
Per un migrante appare brutalmente chiaro in che senso i confini
possano essere un problema12. La riflessione giuridica deve invece sca-
vare faticosamente nelle macerie del diritto pubblico europeo per ren- dersi conto di quale problema si stia effettivamente trattando e ricercare un passaggio che conduca al di là.
La Comunità economica europea non aveva confini propri. Del re- sto, il suo spazio interno era soltanto un mercato. La difesa delle fron- tiere poteva essere lasciata agli Stati membri singolarmente, tra i quali continuavano a correre i tradizionali confini.
Il Trattato di Roma non implicava in alcun modo l’abolizione dei controlli alla frontiera tra uno Stato membro e l’altro. Le libertà di cir- colazione erano, infatti, intese in senso meramente economico-giuridi- co. Nessuna di queste libertà richiedeva l’abolizione di controlli durante lo spostamento materiale da un territorio statale all’altro della Comuni- tà.
L’idea di creare un’area di libera circolazione senza confini interni è nata al di fuori della Comunità, con l’Accordo di Schengen siglato da
Francia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo nel 198513. Essendo
un accordo di cooperazione, Schengen non metteva in comune i confi- ni, ma si basava sulla fiducia che gli Stati collocati al bordo esterno del-
l’area avrebbero presidiato efficacemente le proprie frontiere14, difen-
dendo così anche quelle di tutti gli altri, il che tuttavia presupponeva politiche omogenee in tema di sicurezza e di controllo dell’immigrazio-
ne15.
12 L’aggettivo è mutuato dal titolo del lavoro di S. S
ASSEN, Espulsioni. Brutalità e
complessità nell’economia globale, Bologna, 2015, spec. 64 ss. sui profughi e sui flussi
di massa di sfollati.
13 F. F
ERRARO, Lo spazio giuridico europeo tra sovranità e diritti fondamentali,
Napoli, 2014, spec. 143 ss.
14 «Peculiarità della cooperazione di Schengen fu che ogni nuova iniziativa era de-
finita con la collaborazione attiva delle autorità presenti sul territorio, rafforzando così progressivamente la “fiducia reciproca” e creando una solidarietà fra amministrazioni, persino all’oscuro dei rispettivi Parlamenti» (F. FERRARO, op. cit., 161).
15 Per questa ragione, il processo di avvio dell’area Schengen è stato lungo e fatico-
Con l’Atto unico europeo si tentò di estendere alla Comunità la stes- sa idea di libera circolazione, prevedendo che «il mercato interno com- porta uno spazio senza frontiere interne» (art. 8A, successivamente tra- sfuso nell’art. 14 TCE).
Tuttavia, la disposizione rimase inattuata, perché l’approvazione da parte del Consiglio degli atti che, secondo il Libro bianco sul comple-
tamento del mercato interno16, sarebbero stati necessari a renderla effet-
tiva fu tenacemente ostacolata da alcuni Stati membri che temevano un aumento incontrollato dell’immigrazione irregolare dai Paesi terzi. Tale fu soprattutto la posizione del Regno Unito.
La Corte di giustizia fornì una legittimazione postuma a queste pre- occupazioni, stabilendo che l’avvio del mercato interno non avrebbe potuto comportare l’automatico venir meno dei controlli sulle persone alle frontiere interne, poiché una tale conseguenza
presuppone l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri in tema di attraversamento delle frontiere esterne della Comunità, di im- migrazione, di concessione dei visti, di asilo e di scambio di informa- zioni su tali questioni
e quindi, finché tali condizioni non siano state soddisfatte, il godi- mento della libertà di circolazione «presuppone che la persona interes- sata sia in grado di comprovare di possedere la cittadinanza di uno Sta-
to membro»17.
stata approvata solo nel 1990 e il processo di abolizione dei controlli alle frontiere è stato effettivamente avviato solo nel 1995 e unicamente tra sette Stati (gli originari firmatari più Spagna e Portogallo, che avevano aderito nel 1990). All’Italia, che pure aveva aderito nel 1990, fu consentito di partecipare solo dal 1998, a seguito di una uni- formazione delle proprie politiche d’immigrazione ai criteri restrittivi voluti dagli altri Stati membri dell’accordo di Schengen (S. PAOLI, The Role of Schengen in the Euro-
peization of the Migration Policy: The Italian Case, in A. CUNHA,M. SILVA,R. FEDERI- CO, The Borders of Schengen, Brussels, 2015, 67 ss., cfr. anche M. SAVINO, La crisi dei
confini, cit., nota 6).
16 COM(85) 310 def. I passi da compiere sotto i profili della sicurezza e del control-
lo dell’immigrazione erano illustrati nella prima parte, par. III, dedicata all’elimi- nazione dei controlli sulle persone (punti 47 ss.).
17 Corte giust., 21 settembre 1999, causa C-378/97 Wijsenbeek. Si tratta di una le-
La frontiera esterna della Comunità europea è stata concepita in questo modo, cioè con lo scopo di rendere più facile la libera circola- zione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, mediante la soppressione dei controlli ai confini tra gli Stati membri, che da quel momento sono diventati frontiere (meramente) interne. Ma questa idea rivestiva anche un preciso significato politico, perché la possibilità di circolare del tutto liberamente, senza alcun controllo, tra gli Stati mem- bri già allora era stata concepita come il fondamento per la costruzione
di una cittadinanza europea18.
Garantire ai cittadini degli Stati membri una piena libertà di circola- re nel territorio comunitario implicava uno stretto controllo sull’ingres- so di persone provenienti da Stati terzi, cioè l’istituzione di una frontie- ra esterna.
Tuttavia, come si è accennato, il Consiglio non era riuscito a trovare un accordo sui contenuti delle misure necessarie per abolire effettiva- mente i controlli alle frontiere interne, previste dal Libro bianco. Fu questo a portare alla comunitarizzazione delle competenze in materia di visti, asilo e immigrazione, oltre che di politica estera e di sicurezza e di cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, quindi alla in- venzione dello «spazio di libertà, sicurezza e giustizia» e alla stessa istituzione dell’Unione europea.
circolazione era stata già avviata grazie al Trattato di Amsterdam, di cui subito si dirà nel testo, ma il caso si riferiva a un momento antecedente.
18 Nell’introduzione alla prima parte del Libro bianco sul completamento del mer-
cato interno, la Commissione affermava infatti che «le frontiere fisiche ai posti di do-
gana, i controlli d’immigrazione, i passaporti e la perquisizione casuale dei bagagli personali costituiscono per il cittadino comune la manifestazione più eclatante della persistente divisione della Comunità, che resta ben lontana dalla “comunità più ampia e più profonda” voluta dai Trattati originari. Queste barriere pregiudicano gravemente anche l’industria, il commercio e gli affari, poiché non fanno che imporre tempi d’atte- sa supplementari, formalità e spese di trasporto e di manutenzione, aumentando i costi e quindi riducendo la competitività. La soppressione delle barriere fisiche risponde con- seguentemente a un duplice scopo, che è allo stesso tempo di ordine economico e di ordine politico. L’istituzione al Consiglio europeo di Fontainbleau di un comitato ad hoc “Europa dei cittadini” (Comitato Adonnino) testimonia eloquentemente l’enorme importanza che riveste l’aspetto politico. Non c’è nessun altro ambito nel quale i pro- gressi che potrebbero essere realizzati sarebbero più tangibili o servirebbero più diretta- mente le finalità e le ambizioni della Comunità» (traduzione dal testo francese).
Il Trattato di Maastricht del 1992 istituì l’Unione europea e le attri- buì il compito di promuovere il progresso economico e sociale median- te, fra l’altro, «la creazione di uno spazio senza frontiere interne» (art. B, successivamente rifuso nell’art. 2 TUE). A tal fine, da un lato, attribuì alla Comunità europea (al cui nome fu dallo stesso Trattato tol-