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Francesco Rota

SOMMARIO: 1. L’agenda europea sulla migrazione. 2. Le coordinate del-

l’integrazione. 3. La scelta operata nella Costituzione. 4. Multiculturalismo e valori costituzionali. 5. Rimeditare la cittadinanza? 6. La gestione dei processi di integrazione. 7. L’integrazione tra dinamiche ordinarie e ipotesi di eccezio- nalità.

1. L’agenda europea sulla migrazione

L’approccio europeo alle migrazioni mira a contenere l’immigrazio- ne irregolare e a responsabilizzare i paesi frontalieri ma, considera an- che necessaria la realizzazione di “una forte politica comune di asilo e

una nuova politica europea di migrazione legale”1.

Questo approccio impone, indubbiamente, una coerenza fra le attivi- tà poste in essere in diversi settori quali la cooperazione allo sviluppo, gli scambi commerciali, l’occupazione, gli affari esteri e gli affari in- terni.

L’Agenda europea sulla migrazione assume come punto di partenza i limiti della politica europea in materia di migrazione e sottolinea che

il suo successo richiede efficaci politiche di integrazione2. Poiché le

1 Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comi-

tato Economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni - Bruxelles, 13.05.2015 COM(2015) 240 final.

2 S. A

MADEO, Immigrazione nel mediterraneo: l’agenda europea, in www.trecca

ni.it, 2016, sottolinea che è la stessa agenda a prendere le mosse dalla considerazione

che «la politica europea comune in materia non si è rivelata all’altezza», e della neces- sità di un approccio “comunitario” alla gestione della crisi.

politiche d’integrazione sono in primo luogo competenza degli Stati membri, l’Unione europea interviene favorendo le iniziative che favori-

scono la promozione dell’integrazione e della fiducia reciproca3.

L’Agenda auspica l’affermazione di un quadro chiaro e ben attuato delle vie di accesso legali all’UE con la costruzione di efficienti sistemi di asilo e dei visti che contribuiscano a ridurre i fattori che spingono al- l’ingresso e al soggiorno irregolari e incidano positivamente sulla sicu- rezza delle frontiere europee e dei flussi migratori.

L’Agenda mira inoltre a offrire protezione a coloro che ne hanno bi- sogno e aiuto a integrarsi nelle nuove comunità ai migranti ammessi

legalmente negli Stati membri4.

Allo stesso tempo però, dall’Agenda emerge la consapevolezza del- l’importanza di un’azione efficace nei confronti di quei migranti che non soddisfano i criteri per restare.

I migranti in stato d’irregolarità rappresentano un serio problema e le situazioni d’irregolarità finiscono con il rappresentare un ostacolo alla stessa integrazione dei migranti che vivono di diritto nell’UE poi- ché compromettono gravemente la fiducia nel sistema e offrono argo-

menti a coloro che cercano di criticare o stigmatizzare la migrazione5.

3 In questa prospettiva è stato stabilito ad esempio che, oltre finanziamenti prove-

nienti dal Fondo Asilo, migrazione e integrazione (AMIF), per il periodo di program- mazione 2014-2020 almeno il 20% delle risorse del FSE sarà speso a favore dell’inclusione sociale, settore che comprende misure per l’integrazione dei migranti.

4 La Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al

Comitato Economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni - Bruxelles, 13.5.2015 COM(2015) 240 final, afferma espressamente «i migranti ammessi legal- mente dagli Stati membri non dovrebbero essere accolti con riluttanza e ostruzionismo, dovrebbero invece ricevere ogni aiuto a integrarsi nelle nuove comunità. Un valore che è al centro dei valori di cui i cittadini europei devono andare fieri e che dovrebbero proiettare sui partner del mondo intero».

5 L’irregolarità dei migranti è connessa peraltro a dinamiche diverse fra loro e può

avere cause diverse: richiedenti asilo che non ottengono il permesso di soggiorno e che tentano di evitare il rimpatrio, soggiornanti fuori termine, migranti in permanente stato di irregolarità pongono problemi parzialmente diversi. Per una considerazione dell’atteggiamento dei diversi Stati nel contesto europeo in relazione ai diversi tipi di irregolarità che sono chiamati ad affrontare si veda G. MORGESE, Luci ed ombre delle

Alla luce di quanto affermato sorge il dubbio che l’Agenda consideri l’integrazione come qualcosa che riguarda esclusivamente i migranti in stato di regolarità e non i migranti irregolari.

Il rilievo del dubbio appena manifestato è evidente non solo poiché il problema che pone incide sulla vita di un gran numero di persone presenti sul nostro territorio ma anche perché la sua soluzione incide e

condiziona le prospettive d’integrazione e di allontanamento/rimpatrio6.

L’agenda mira alla realizzazione di una politica migratoria del- l’Unione equa, solida e realistica e individua alcuni livelli di azione per consentire all’Unione europea di realizzare una politica migratoria che rispetti il diritto di chiedere asilo, raccolga la sfida umanitaria, inquadri in un contesto europeo chiaro una politica comune in materia di migra-

zione e resista alla prova del tempo7. In realtà la dimensione politica

globale del fenomeno migratorio ha richiesto la previsione di un’azione complessa che, anche a causa del limitato quadro di competenze euro- pee in materia, pone dei dubbi sull’impatto effettivo delle misure intro-

dotte8.

6 Problemi di prospettiva si pongono concretamente in presenza di misure di rimpa-

trio non sufficientemente efficienti poiché rischia di creare fasce di soggetti dalla diffi- cile integrazione e che possono nel tempo costituire fattore di resistenza alla integrazio- ne. Il problema coinvolge peraltro anche la considerazione dei diritti dell’uomo.

7 I livelli di azione previsti dall’Agenda sono: ridurre gli incentivi alla migrazione

irregolare; gestire le frontiere: salvare vite umane e rendere sicure le frontiere esterne; onorare il dovere morale di proteggere attraverso una politica comune europea di asilo forte; una nuova politica di migrazione legale. Per un quadro completo delle misure e delle proposte presentate dalla Commissione in attuazione dell’Agenda si veda in www.

ec.europa.eu.

8 S. A

MADEO, op. cit., sottolinea la temporaneità e l’emergenzialità delle soluzioni

più innovative proposte dall’agenda e individua un ulteriore limite dell’agenda nel man- cato superamento della «logica “unilaterale” e “intergovernativa” che ispira il sistema di Dublino» da parte degli strumenti previsti dall’Agenda per la redistribuzione dei richiedenti asilo fra Stati membri. Il sistema di Dublino trae origine dalla Convenzione firmata a Dublino il 15.06.1990 ed è stato introdotto con Reg. (CE) n. 343/2003 del Consiglio del 18.02.2003 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo; reg. (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26.06.2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di deter- minazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione

Nella prospettiva qui seguita è di particolare interesse che l’Agenda riveli la consapevolezza della necessità per l’UE di un sistema chiaro di accoglienza dei richiedenti asilo al suo interno. La frammentazione del sistema di asilo allo stato attuale comporta, nonostante le norme comuni che dovrebbero costituire la base per una fiducia tra gli Stati membri, prassi differenziate nei diversi paesi membri con ricadute fortemente negative sia sulla fiducia reciproca tra gli Stati membri, sia sull’opinio- ne pubblica dell’UE perché incoraggia una percezione di fondamentale

iniquità del sistema attuale9.

In realtà l’integrazione è connessa anche alla programmazione degli accessi e alla qualificazione dei migranti che incide a sua volta sulle

dinamiche economiche dell’integrazione10. In questa prospettiva, anche

se gli Stati membri continuano a decidere quanti cittadini di paesi terzi ammettere, resta fondamentale il ruolo dei programmi europei per la

capacità di attrazione di migranti qualificati11.

internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione). Cfr. sul punto anche G. MORGESE, op. cit., 14, che evidenzia

l’atteggiamento dei diversi stati membri e le prospettive di solidarietà nei rapporti tra gli stati europei e con i migranti.

9 La frammentazione del sistema di asilo comporta peraltro una concentrazione del-

le richieste nei confronti dei paesi considerati “accoglisti”, generando ulteriori proble- mi. S. AMADEO, op. cit., evidenzia che la crisi migratoria rischia di cristallizzare solu-

zioni di carattere precario che potrebbero però comunque contribuire ad «attenuare la “crisi di mutua fiducia” fra Stati membri che, allo stato attuale, impedisce riforme di ampio respiro».

10 Il profilo dell’accesso degli stranieri “economicamente utile” per i paesi ospitanti

che è, si badi, anche quello rispetto al quale si pongono minori problemi di integrazione poiché si parla di stranieri regolari con elevate probabilità di inserimento lavorativo. Restano comunque da risolvere importanti problemi come quello del riconoscimento del titolo di studio. L’Unione ha cercato di favorire gli ingressi di lavoratori qualificati anche con la direttiva “Carta blu” che ha introdotto un particolare tipo di permesso di soggiorno, che viene rilasciato dal questore allo straniero altamente qualificato. La carta blu nei primi anni di vigenza non si è però mostrata una misura efficace e si sta cercan- do di ripensarla per consentirle di attrarre talenti in Europa.

11 Si pensi ad esempio all’impatto di programmi europei quali Horizont 2020 e Era-

L’Agenda si muove tra azioni emergenziali e misure di medio e lun- go periodo attraverso una serie di misure settoriali integrate per la rea-

lizzazione di interventi interdipendenti12.

Sembra chiara la spinta dell’ordinamento europeo verso l’integra- zione. È necessario però capire anche qual è l’impostazione dell’ordina- mento nazionale sul tema e quali sono i limiti e le modalità di integra- zione.

2. Le coordinate dell’integrazione

L’Italia si è trasformata in pochi anni da paese di emigrazione in paese di immigrazione ed ha dovuto adeguare la propria legislazione a questa nuova condizione.

L’adeguamento è avvenuto a livello di normativa primaria ma non con interventi diretti del legislatore costituzionale. Il livello costituzio- nale ha cercato di dare risposte concrete alle nuove esigenze grazie al- l’opera della Corte costituzionale e, in qualche misura, attraverso lo

sviluppo del diritto internazionale13.

Le dinamiche di differenziazione dei diritti ruotano innanzitutto alla cittadinanza che, benché nata come fattore di uguaglianza, diventa valo- re giuridico dell’individuo rispetto all’organizzazione politica e diventa presupposto di differenziazione che, dopo la seconda guerra mondiale,

12 L’Agenda richiede il contributo coeso di tutti gli attori coinvolti e utilizza tutti gli

strumenti di diritto dell’immigrazione a disposizione (europei o nazionali, di tipo con- venzionale o autonomo), ivi compresa l’inclusione della politica migratoria fra le com- ponenti delle altre politiche dell’Unione. In questo senso cfr. ancora S. AMADEO,

op. cit.

13 V. O

NIDA, Lo statuto costituzionale del non cittadino, in AA.VV., Lo statuto co-

stituzionale del non cittadino, Napoli, 2010, 3 e ss., guardando alla vicenda del voto

degli italiani all’estero e alla l. n. 91 del ’92 che ha reso più difficile l’acquisto della cittadinanza da parte degli stranieri, afferma che il nostro legislatore ha preferito guar- dato indietro agli italiani residenti all’estero senza preoccuparsi di dare in qualche misu- ra voce agli stranieri presenti nel nostro paese in modo stabile.

troverà un limite, circoscritto ai diritti umani, nelle carte internazionali

dei diritti e nella loro impostazione universalistica14.

Sulla scorta delle carte internazionali dei diritti, la Corte costituzio- nale ha da tempo affermato che, anche se l’art. 3 primo comma è espressamente riferito ai cittadini, il principio di uguaglianza vale anche per lo straniero quando si tratti di rispettare i diritti fondamentali del-

l’uomo di cui all’art. 2 Cost.15. Certo, l’applicazione del principio di

uguaglianza allo straniero non esclude la possibilità di trattamenti diffe- renziati tra cittadini e stranieri che trovano il loro presupposto, nei limi- ti elastici della ragionevolezza, in virtù delle differenze di fatto tra cit- tadini e non cittadini. La cittadinanza si conferma dunque un fattore di differenziazione e la ragionevolezza diventa misura della differenzia-

zione possibile16. Se, come pare vero, il primo fattore di integrazione è

l’uguaglianza sostanziale, oltre che formale, si rischia di entrare però in un circolo vizioso: l’uguaglianza, fattore di integrazione, richiede la cittadinanza che, in qualche modo, sembra presupporre l’avvenuta inte-

grazione17. In realtà la soluzione dipende dalla risposta che si intende

dare ad un’altra domanda. L’interrogativo di fondo sembra essere se una persona deve essere integrata in quanto tale o perché aderisce a va- lori compatibili con quelli della collettività in cui aspira ad essere inclu-

sa ed apre il tema delle differenze costituzionali18. Sono infatti le diffe-

14 In questo senso cfr. ancora V. O

NIDA, op. cit., 9 e ss. Si consideri inoltre che la

stessa categoria residuale del “non-cittadino” è fortemente differenziata al proprio in- terno. Sul punto cfr. L. RONCHETTI, La Repubblica e le migrazioni: una premessa, in

L. RONCHETTI (a cura di), La Repubblica e le migrazioni, Milano, 2014, 12.

15 Corte cost., sent. n. 120 del 1967. 16 In questo senso cfr. ancora V. O

NIDA, op. cit., 8 e ss., che sottolinea anche come,

storicamente, le differenze di fatto abbiano sempre costituito una delle basi per la giu- stificazione dell’applicazione di regimi giuridici differenziati.

17 Cfr. sul punto F. F

RACCHIA, Integrazione, eguaglianza, solidarietà, in Nuove Au-

tonomie, 2-3, 2013, 235, che sottolinea come «l’allargamento dell’area dei diritti, anche

di quelli fondamentali, non risolve completamente il problema dell’immigrazione: esse- re titolari di tali diritti, pur giustiziabili, non significa avere la garanzia della inclusione nel pieno significato del termine».

18 L’interrogativo viene posto anche da F. F

RACCHIA, op. cit., 229 ss., che sottolinea

la delicatezza della questione in considerazione del fatto che, all’esito del processo di integrazione, «le persone potrebbero essere chiamate a svolgere attività di interesse

renze culturali a testare i limiti della tolleranza dei sistemi costituziona- li. La cultura può essere inclusiva o può divenire fonte di esclusione:

per comprenderlo è sufficiente riflettere sulle identità culturali19.

Il tema dell’inclusione sociale, declinato nella prospettiva del multi- culturalismo, genera infatti fenomeni di resilienza: da un lato, si trova l’immigrato, ancorato alla propria cultura e resiliente rispetto al cam- biamento costituito dalla condivisione di valori per lui nuovi ma più o meno ampiamente condivisi nel paese in cui si trova; dall’altro lato, si trova il cittadino, ancorato alla propria cultura e resiliente rispetto al cambiamento costituito dalla accettazione nei propri sistemi giuridici di valori provenienti da altre culture. L’incontro rischia di diventare scon- tro quando, come a volte capita, i valori in gioco possono essere non solo diversi ma addirittura confliggenti.

È possibile allora leggere il contrasto in termini di «capacità dei va-

lori costituzionali, intesa come capacità di provocare adesione»20.

Certo, l’alterità non si deve trasformare in subalternità ma le diffe- renze culturali esistenti fra la cultura giuridica e religiosa europea e la cultura giuridica e religiosa di alcuni migranti possono generare per i sistemi giuridici europei problemi di tutela dei valori costituzionali e spingono verso l’individuazione dei limiti all’integrazione culturale e all’inclusione sociale. Del resto, la logica dei confini risponde prevalen- temente a esigenze di salvaguardia culturale storicamente legata alla

prospettiva dello Stato-nazione21.

generale, ad esempio nella scuola o nella sanità, ove vengono in rilievo situazioni criti- che che implicano scelte valoriali».

19 Sembrano illuminanti sul punto le osservazioni di A. M

AALOUF, L’identità, Mila-

no, 2009.

20 V. B

ALDINI, Lo stato multiculturale e il mito della Costituzione per valori, in

AA.VV., Scritti in onore di Angelo Mattioni, Milano, 2011.

21 L. R

ONCHETTI, op. cit., 13, afferma la difficoltà «di non confondere l’“alterità”

3. La scelta operata nella Costituzione

È stato sostenuto che sovente si parli di differenze culturali per na- scondere nuovi razzismi. Potremmo forse inquadrare la resistenza cul- turale del cittadino, della comunità che accoglie il diverso, a difesa dei valori costituzionali come un problema di ritorno (forte) dell’ordine pubblico inteso in senso ideale. Del resto la giurisprudenza della Corte costituzionale lascia sovente trasparire la presenza nell’ordine pubblico di contenuti legati all’art. 139 Cost. e alla non modificabilità dell’ordi- namento.

Il multiculturalismo viene in realtà visto secondo prospettive diver- se: in modo radicale, affermando l’impossibilità di giudicare la bontà di una cultura e la necessità di tutelare tutte le culture o, in modo modera-

to, sostenendo la possibilità di valutare le culture e i gruppi22.

A ben guardare la Costituzione contempla espressamente tale ipotesi e la disciplina con l’art. 139 Cost. che traccia la linea di demarcazione tra percorsi di modifica della Costituzione che si inseriscono nell’alveo della Costituzione stessa e percorsi rivoluzionari che inciderebbero sul- la sua stessa esistenza.

In questo senso potremmo dire che l’art. 139 Cost. rappresenta la misura della resilienza della Costituzione: traccia la linea di accettabili- tà e di accoglibilità di nuovi valori consentita dalla Carta e la soglia che consente alla Costituzione di cambiare restando, tutto sommato, nel tempo fedele al suo spirito originario; la sua capacità di resistere a

cambiamenti che contrastano con i valori fondanti che afferma23.

Sembra potersi affermare che la Costituzione, adottando un proprio sistema valoriale e sancendo la non modificabilità di alcuni punti fermi

22 Per una più accurata ma sintetica lettura delle diverse posizioni cfr. F. B

ELVISI, I

lati oscuri di un abbaglio. Ovvero: società multiculturale, costituzione e diritto, in

U. MELOTTI (a cura di), L’abbaglio multiculturale, Roma, 2000.

23 Si ricordino le osservazioni fatte in merito all’unità delle democrazie pluralistiche

avanzate in modo più marcato da Carl Schmitt e, soprattutto, a quelle, più moderate e costruttive che invitano a rimeditare i meccanismi di integrazione che tengono insieme le società pluraliste come ad esempio nelle letture di Rudolf Smend. Cfr. sul punto an- che M. LUCIANI, La partecipazione politica dei migranti, in L. RONCHETTI (a cura di),

di siffatto sistema, si muova nella prospettiva di un multiculturalismo moderato: i valori delle diverse culture devono essere visti in relazione alla compatibilità, conciliabilità, accoglibilità nella/con la Costituzione. Al di fuori di queste ipotesi e nel quadro del multiculturalismo radicale la prospettiva rischia di diventare rivoluzionaria.

Certo, la situazione attuale richiama alla mente le parole di Zagre- belsky che, sinteticamente, ricorda che la democrazia è una tra le forme della politica e la politica è la sostanza della democrazia, mettendo in

guardia dall’assenza della sostanza24.

Si apre in questo senso una duplice prospettiva: da un lato i diritti, la sostanza della politica; dall’altro la democrazia e le forme della politica. I due piani si intersecano ed interagiscono nella continua relazione tra organizzazione e funzione. La diversità culturale porta con sé poten- zialmente minacce ad entrambi i piani. I limiti alla modificabilità dei due aspetti sembrano camminare di pari passo nell’indicata logica del 139 Cost.

Inevitabilmente, nell’ottica dell’integrazione, il problema si sposta sull’acquisizione della cittadinanza e sul contenuto e sul soggetto della sovranità.

4. Multiculturalismo e valori costituzionali

La considerazione del sistema costituzionale come sistema di valori da condividere appare connessa a una visione identitaria anche se non etnocentrica. È possibile affermarne la compatibilità con un approccio multiculturale? Sicuramente sì, purché si ragioni sul senso della demo- crazia intendendola come «possibilità di creare momenti “non eroici” di

distruzione delle oligarchie»25.

Restando nell’alveo tracciato dalla riflessione di Zagrebelsky e con- siderando che la Costituzione detta forme e contenuti, sembra possibile affermare che, mentre per i contenuti e la loro variazione vale quanto affermato poc’anzi, la forma sancita dalla Costituzione, la democrazia,

24 G. Z

AGREBELSKY, Contro la dittatura del presente, Roma-Bari, 2014, 24.

25 Così, G. Z

consente rivoluzioni pacifiche, a volte silenziose e, in questo senso apre una possibilità per il multiculturalismo spinto.

Peraltro si ha a volte l’impressione che la percezione di un processo come rivoluzionario sia a volte connessa in qualche misura anche ai tempi della sua realizzazione che, se troppo rapidi, impediscono di per- cepire quel processo come la naturale evoluzione dell’ordinamento.

Non bisogna però confondere i piani perché da un punto di vista giu- ridico la forma di un evento rivoluzionario non ne cambia la sostanza: secondo la prospettiva del sistema costituzionale una rivoluzione è sempre una rivoluzione; sia che sia causata da un processo violento, sia che sia il prodotto di un processo pacifico e condiviso o, finanche, si- lenzioso.

La possibilità offerta dalla democrazia di poter cambiare senza che siano necessari eroismi, può essere messa in pericolo dalle modalità di

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