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Tra le condotte riparatorie previste dall’art. 17 come condizione per la disapplicazione delle sanzioni interdittive vi è anche che l’ente – entro la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado – abbia «messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca». Sulla natura e l’oggetto di tale confisca si rinvia a quanto si dirà nel successivo par. 7.2.

5.5. La confisca ex art. 23 comma 2

L’ultima occorrenza della confisca all’interno del microcodice della responsabilità da reato degli enti consiste nella ipotesi di ablazione prevista dall’art. 23 comma 2. Oggetto di apprensione è il profitto derivante dal delitto previsto dal comma 1 dello stesso articolo, commesso dalla persona fisica che abbia trasgredito gli obblighi o i divieti inerenti a una sanzione o una misura cautelare interdittiva applicata all’ente qualora, ai sensi del comma 2 della stessa norma, ricorra anche un interesse o vantaggio dell’ente alla commissione del reato. La confisca è qui disposta ai sensi dell’art. 19, ossia come sanzione

principale e autonoma219; valgono pertanto le medesime considerazioni che si

sono sviluppate nel paragrafo 5.1.

6. La pubblicazione della sentenza di condanna

Disciplinata all’art. 18 del d.lgs., si tratta di una misura di matrice penalistica, di natura accessoria220, che il giudice può discrezionalmente

disporre in aggiunta alla sanzione interdittiva («la pubblicazione […] può essere disposta») così da potenziarne l’efficacia afflittiva (comma 1), senza che peraltro siano indicati i criteri che devono orientare il giudice in ordine alla sua applicazione221.

Lo scopo è duplice, di prevenzione generale e di prevenzione speciale: da un lato «colpire l’immagine e la reputazione dell’ente sul mercato» attraverso una forma di «pubblicità denigratoria» dagli effetti afflittivi e stigmatizzanti, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

219 Bassi, Il profitto confiscabile, pp. 56 e p. 67; Macchia, p. 2730.

220 Così ritiene, nonostante la collocazione della sanzione nell’elenco di sanzioni principali di

cui all’art. 9 del decreto, la dottrina maggioritaria (ex multis, Ceresa-Gastaldo, p. 25; Cerqua – Fondaroli, pp. 262-263; Presutti – Bernasconi, pp. 198-199; Varraso, Il procedimento, p. 84), anche alla luce dell’omologo istituto codicistico ex art. 36 c.p., espressamente qualificato in termini di pena accessoria all’art 19 comma 3 c.p. Cfr. invece Ceresa-Gastaldo, p. 25 nota 112 e Panasiti, Art. 18, p. 380 nota 2 per rinvii alla dottrina di opinione contraria. Da ricordare che da tale qualificazione dipende l’applicabilità o meno della sanzione in caso di applicazione della sanzione su richiesta (v. art. 445 comma 1 c.p.p.).

dall’altro «far conoscere il provvedimento al maggior numero di destinatari», sia per «minimizzare il rischio di commissione di nuovi illeciti» sia perché i terzi possano valutare l’opportunità di proseguire i rapporti con l’ente222.

Coerentemente con tali finalità, la pubblicazione è riservata alle sole ipotesi più gravi in cui sussiste un interesse del pubblico alla conoscenza del provvedimento, le stesse appunto che già legittimano l’applicazione della sanzione interdittiva223. Peccato che – come già osservato nell’analisi delle

sanzioni interdittive – proprio con riferimento a quei reati rispetto ai quali tale interesse sussisterebbe in misura maggiore (reati societari, market abuse), il divieto di applicazione delle sanzioni interdittive comporti di fatto anche la neutralizzazione di tale strumento.

L’effettività della sanzione risulta ulteriormente affievolita a seguito delle modifiche apportate dalla l. 191/2009 al comma 2 dell’art. 18 in tema di modalità della pubblicazione: mentre la formulazione originaria della norma imponeva la pubblicazione, per estratto o per intero, in uno o più giornali indicati dal giudice, il testo attuale – per il tramite di un rinvio all’art. 36 c.p. (come modificato dalle l. 69/2009 e 111/2011) – prescrive che la pubblicazione abbia luogo sul sito internet del ministero, per una durata non superiore a trenta giorni, oltre che mediante «affissione nel comune ove l’ente ha la sede principale». E, come è stato osservato, è «alquanto improbabile che

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222 Panasiti, Art. 18, p. 381; Varraso, Il procedimento, p. 84. 223 Relazione.

il comune cittadino abbia la consuetudine di accedere al sito web ministeriale»224.

Infine, la sanzione non è applicabile in caso di patteggiamento (sia se si accoglie la sua qualificazione in termini di sanzione accessoria, sia per effetto del rinvio operato dall’art. 63 decreto alle disposizioni del Titolo II del Libro VI del codice di rito in quanto applicabili), né in caso di procedimento per decreto (essendo quest’ultimo percorribile solo quando non debbano essere applicate le sanzioni interdittive). In ogni caso, si tratta di uno strumento scarsamente operativo nella prassi225.

7. Le condotte riparatorie

Tutti i commentatori sono concordi nell’individuare uno dei tratti caratteristici più significativi del sistema sanzionatorio messo a punto con il d. lgs. 231/2001 nella concomitante valorizzazione – accanto alle tradizionali logiche di stampo repressivo – di finalità marcatamente special preventive e di modelli compensativi dell’offesa. Il nuovo modello punitivo – come si !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

224 Presutti – Bernasconi, pp. 199 e 408; contra Panasiti, Art. 18, p. 382, secondo cui gli effetti

della sanzione sono più efficacemente raggiunti grazie alle nuove modalità di pubblicazione. Ai sensi del comma 3, la pubblicazione «è eseguita, a cura della cancelleria del giudice, a spese dell’ente». Dal rinvio all’art. 694 commi 2, 3 e 4 c.p.p. si ricava che la richiesta spetta al p.m. e all’ente condannato.

asserisce programmaticamente nella Relazione – risponde a «una linea di politica sanzionatoria che non mira ad una punizione indiscriminata e indefettibile, ma che per contro, punta dichiaratamente a privilegiare una dimensione che salvaguardi la prevenzione del rischio di commissione di reati in uno con la necessaria, previa, eliminazione delle conseguenze prodotte dall’illecito». «È la presa d’atto», al pari di quanto avviene nel «d.lgs. n. 274 del 2000 in tema di competenza penale del giudice di pace, del fallimento del tradizionale sistema fondato sull’endiadi minaccia-sanzione e del tentativo di scommettere su nuovi modelli sanzionatori di tipo conciliativo in senso lato. Allo stesso tempo, si assiste al primo tentativo nel nostro Paese “di ‘co- regolamentazione statale privata’ dei rischi derivanti dalla gestione illecita di attività economiche”»226: lo Stato rinuncia a regolare in via esclusiva «la vita

economico-sociale, ormai troppo complessa, affidandosi all’autodisciplina e alla compliance da parte di soggetti privati»227.

Dunque, da un lato il modello punitivo promuove il ripristino tempestivo delle condizioni antecedenti all’illecito mediante condotte di natura riparatoria e risarcitoria, e dall’altro mira – in ottica special preventiva – a rimuovere i fattori di rischio che hanno consentito il verificarsi della situazione antigiuridica. A tale duplice finalità risponde «un articolato armamentario di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

226 F. Centonze, La co-regolamentazione della criminalità di impresa nel d.lgs. n. 231 del 2001. Il

problema dell’importazione dei «compliance programs» nell’ ordinamento italiano, in «Analisi giuridica dell’economia», 02, 2009, p. 219.

227 Varraso, Il procedimento, p. 97. In argomento v. anche Ceresa-Gastaldo, pp. 40-42 e 96-97 e

strumenti di ravvedimento post-factum»228 cui sono collegati corrispondenti

benefici di tipo premiale, i quali operano in tutte le fasi del procedimento, ivi compresa quella esecutiva. Vi rientrano la riduzione della sanzione pecuniaria (art. 12, v. supra, § 2), l’inapplicabilità delle sanzioni interdittive (art. 17), l’ipotesi speciale di sospensione del processo (art. 65), la sospensione e la revoca delle misure cautelari interdittive (artt. 49 e 50), nonché – ed è questa l’ultima chance messa a disposizione dell’ente – la conversione della sanzione interdittiva in sanzione pecuniaria (art. 78). Senza dimenticare che «l’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti» costituisce anche uno dei criteri di cui il giudice deve tener conto ai fini della commisurazione della sanzione pecuniaria (ai sensi dell’art. 11 comma 1), nonché ai fini della determinazione del tipo e della durata della sanzione interdittiva (ai sensi dell’art. 14 comma 1, che rinvia al medesimo art. 11)229 e – prima ancora – che l’implementazione di modelli

organizzativi idonei è addirittura causa di esclusione della responsabilità dell’ente ai sensi degli artt. 6 e 7 del decreto.

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228 Varraso, Il procedimento, p. 92. 229 Presutti – Bernasconi, p. 183.

7.1. La riduzione della sanzione pecuniaria

Sul primo di tali meccanismi – la riduzione della sanzione pecuniaria – si è già ampiamente detto in precedenza (v. paragrafo 2); è qui sufficiente ricordare – in estrema sintesi – che, ai sensi dell’art. 10 comma 3, il pagamento in misura ridotta è ammesso esclusivamente al ricorrere di almeno una delle ipotesi enumerate all’art. 12 commi 1 e 2, ipotesi essenzialmente riconducibili a due ordini di circostanze: la particolare tenuità del fatto e le condotte riparatorie post factum230.

A norma dell’art. 12 comma 2 è richiesto che il compimento delle condotte riparatorie sia realizzato entro l’apertura del giudizio di primo grado: la ratio è evitare che il decorso di un intervallo troppo lungo rispetto alla commissione dell’illecito finisca per vanificare il “controvalore” rispetto all’offesa, insito nella condotta riparatoria (un identico limite è previsto, infatti, anche per le condotte riparatorie ex art. 17).

Infine, il legislatore ha tenuto conto del fatto che non sempre è possibile un integrale adempimento dell’obbligo risarcitorio e riparatorio («si pensi al !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

230 La prima ricorre quando l’autore del reato abbia commesso il fatto nel prevalente interesse

proprio o di terzi e – contestualmente - l’ente non ne abbia tratto vantaggio o ne abbia tratto un vantaggio minimo; oppure quando il danno patrimoniale cagionato dal reato sia di particolare tenuità. Le seconde sono integrate quando l’ente abbia risarcito integralmente il danno e abbia eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si sia efficacemente adoperato in tal senso; oppure quando l’ente abbia adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

caso di oggettiva e dimostrata impossibilità di soddisfare in via integrale le pretese risarcitorie di tutti i soggetti danneggiati» o «alle condizioni economiche negative in cui versi la società», o, ancora, «all’impossibilità di calcolare» e quindi, di risarcire «il danno prima dell’apertura del dibattimento»231); pertanto all’adempimento integrale è stata equiparata

l’ipotesi in cui l’ente abbia profuso tutti gli sforzi concretamente esigibili ai fini della riparazione, pur senza riuscirvi pienamente.

7.2. L’esonero dalle sanzioni interdittive

Al cuore del sistema si colloca l’art 17, rubricato «Riparazione delle conseguenze del reato», in cui il legislatore ‘premia’ con l’esonero dalle temute sanzioni interdittive l’ente che – prima ancora di giungere a un eventuale accertamento definitivo della propria responsabilità – ponga volontariamente in essere determinate condotte riparatorie e riorganizzative; peraltro si tratta di condotte in buona parte coincidenti con quelle appena viste232.

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231 In queste ipotesi, peraltro, la rilevanza delle attività riparatorie non è subordinata a un

limite temporale massimo per la loro esecuzione (Varraso, Il procedimento, p. 94).

232 Le condotte ex art. 17 comma 1 lett. a e b (elencate qui di seguito alle lettere a e b)

richiamano infatti quasi alla lettera le due condizioni che, ai sensi dell’art. 12 comma 2 lettere a e b danno diritto alla riduzione della sanzione pecuniaria. Pertanto, al verificarsi delle tre condizioni di cui all’art. 17, l’ente potrà accedere sia all’esonero dalle sanzioni interdittive ex art. 17, sia alla riduzione della sanzione pecuniaria ex art. 12 comma 2. Sulla cumulabilità dei

In particolare, è necessario che – entro la dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado – l’ente abbia:

a. risarcito integralmente il danno ed eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero si sia comunque efficacemente adoperato in tal senso233;

b. eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato, mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

c. messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca. È pacifico che le tre condizioni debbano necessariamente concorrere perché l’ente possa beneficiare dell’esonero234: non solo l’ente è tenuto a risarcire il

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due benefici Panasiti, Art. 17, p. 375. Ivi, pp. 358-374, per una disamina approfondita delle numerose questioni che si pongono all’attenzione dell’interprete in relazione alle condizioni di cui all’art. 17 (es. la nozione di danno risarcibile; la concreta esigibilità del risarcimento; l’idoneità del risarcimento del danno a opera di terzi e della transazione tra ente e danneggiati; la consistenza delle condotte riparatorie; la differenza tra modelli adottati ex ante ed ex post su piano del giudizio di “idoneità”; la consistenza del profitto).

233 La condizione ex art. 17 comma 1 lett. a richiama da vicino la circostanza attenuante

comune ex art. 62 n. 6 c.p., cd. “ravvedimento operoso”: «l’avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno, mediante il risarcimento di esso, e, quando sia possibile, mediante le restituzioni; o l’essersi, prima del giudizio e fuori del caso preveduto nell’ultimo capoverso dell’articolo 56, adoperato spontaneamente ed efficacemente per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato» (Varraso, Il procedimento, p. 93).

234 La necessaria concorrenza delle condizioni è richiesta sia al fine di evitare l’applicazione

della sanzioni interdittive, come si ricava dall’espressione «concorrono» usata nell’art. 17 comma 1, sia per giustificarne la revoca, come desumibile dal riferimento “cumulativo” dell’art. 50 «alle ipotesi previste dall’art. 17». In tal senso si orientano in modo unanime la

danno e a riparare le conseguenze del reato (come indicato in rubrica), ma occorre anche rimuovere il fattore di rischio che ha provocato o agevolato la commissione del reato da cui dipende l’illecito, compensando le carenze organizzative, nonché rinunciare alla componente – il profitto – che ne ha verosimilmente ispirato la consumazione235.

Con riguardo a quest’ultimo aspetto, la giurisprudenza di legittimità ha innanzitutto chiarito che la nozione di profitto preso in considerazione dall’art. 17 è la medesima di cui agli artt. 6, 15 e 19 del decreto, ossia dalle altre norme finalizzate alla confisca (Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654) e viene a coincidere con il complesso dei vantaggi economici di diretta e immediata derivazione dal reato presupposto e a questo strettamente pertinenti, con !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

dottrina e la costante giurisprudenza di legittimità, v. Cass., Sez. II, 1 ottobre 2009 (dep. 22 ottobre), n. 40749, Reti Elettrosaldate S.r.l. e Cass., Sez. VI, 2 febbraio 2012 (dep. 16 febbraio), n. 6248, Castelli.

235 Con riferimento alla messa a disposizione del profitto si legge nella Relazione: «La ratio della

disposizione è trasparente: visto che il profitto costituisce, di regola, il movente che ispira la consumazione dei reati, l’applicabilità della sanzione interdittiva postula inevitabilmente che si rinunci ad esso e lo si metta a disposizione dell’autorità procedente». In argomento, v. Panasiti, Art. 17, p. 369 ss. Diverse le opinioni in dottrina sulla natura di tale confisca, se sanzionatoria (v. ad es. Epidendio, p. 398) o riequilibratrice. Come evidenzia S.R. Palumbieri, sub Art. 17, in A. Cadoppi – G. Garuti – P. Veneziani, Enti e responsabilità da reato, Torino, 2010, p. 237, la messa a disposizione del profitto «reca con sé un duplice risultato: il primo e più immediato, di chiara natura reintegratoria, consistente nel ripristino della situazione conforme a diritto mediante la ricostituzione dell’equilibrio economico turbato dalla commissione del reato; il secondo, mediato, orientato alla rieducazione dell’ente collettivo, mediante l’acquisizione di un habitus comportamentale che esclude il profitto illecito dagli obiettivi imprenditoriali». Si coniugherebbero dunque, nella misura, sia finalità reintegratorie sia finalità special preventive.

esclusione dei vantaggi che derivino all’ente in via indiretta; deve trattarsi inoltre di utili o ricavi ottenuti in concreto e non di utilità future o incerte quali ad esempio i crediti. La Corte ha altresì rimarcato la necessità che – coerentemente con i principi generali in tema di confisca fissati dall’art. 19 – il profitto messo a disposizione dall’ente coincida con i beni direttamente percepiti a seguito della consumazione del reato e solo in via sussidiaria con il loro equivalente236.

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236 Si veda in proposito Cass., Sez. VI, 2 febbraio 2012 – dep. 16 febbraio, n. 6248, Castelli, in

DeJure: nel caso di specie, oggetto di impugnazione innanzi alla Suprema Corte era il provvedimento con cui il Tribunale del riesame aveva rigettato l’istanza di revoca della misura interdittiva disposta a carico della società amministrata dal ricorrente. A parere del Tribunale, pur dovendosi considerare integrato il requisito della eliminazione delle carenze organizzative per effetto dei mutamenti intervenuti al vertice della struttura societaria e della creazione di un organismo di vigilanza, altrettanto non poteva dirsi per le ulteriori condizioni ex art. 17 la cui realizzazione è richiesta, ai sensi dell’art. 50 comma 1 (v. infra, cap. I, § 7.5.), ai fini della revoca della misura cautelare. In particolare, non era apparsa idonea a integrare la messa a disposizione del profitto l’apposizione di un vincolo sul denaro contante presente sui conti correnti della società e sui beni strumentali della medesima, nonostante il valore complessivo dei cespiti coincidesse con l’ammontare del profitto, rappresentato in specie dai contributi pubblici illecitamente percepiti dall’ente. La Corte ha ratificato le valutazioni del Tribunale, rimarcando che anche con riferimento alla confisca ex art. 17 trova applicazione il principio di carattere generale codificato nell’art. 19, secondo cui la confisca diretta ha «carattere prioritario e indispensabile», e può disporsi la confisca di valore soltanto in caso di accertata impossibilità della prima. Pertanto, solo mettendo a disposizione somme pari al complessivo ammontare dei contributi indebitamente percepiti e non già offrendo un bene di valore equivalente, poteva ritenersi correttamente realizzata una delle condotte riparatrici.

Già in precedenza, in Cass. Pen., Sez. VI, 22 giugno 2010 – dep. 16 luglio, n. 27760, Polistirolo s.r.l. ed altre, in DeJure, la Corte aveva ritenuto non realizzata la condizione ex art. 17 comma 1 lett. c perché l’ente aveva messo a disposizione gli immobili costruiti con l’illecito

Coerentemente con la ratio del meccanismo ex art. 17, quest’ultimo non opera quando siano irrogate sanzioni interdittive definitive ai sensi dell’art. 16 comma 3, ravvisandosi nell’ente destinatario – il cd. ente intrinsecamente illecito – «un caso di definitiva e insanabile irrecuperabilità dell’ente ad una prospettiva di legalità»237. Il congegno è invece in grado di rimuovere le

sanzioni interdittive applicate in via definitiva ai sensi dei primi due commi dell’art. 16, ossia in caso di recidiva reiterata e specifica dell’ente.

L’adempimento richiesto dalla norma deve concretizzarsi entro la dichiarazione di apertura del giudizio di primo grado. La previsione di un limite temporale (da intendersi come perentorio238) – come già visto con

riferimento all’art. 12 comma 2 – serve a far sì che la persona danneggiata benefici in tempi rapidi dell’integrale ristoro del pregiudizio patito.

Tuttavia, la dottrina più attenta al rispetto delle garanzie che spettano all’ente sottoposto a procedimento239 ha rilevato come la previsione di un

simile sbarramento mal si concili con l’inidoneità degli strumenti processuali previsti dal c.p.p. (e applicabili anche al processo de societate) a garantire all’ente un’effettiva e tempestiva conoscenza della pendenza di un procedimento !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

profitto conseguito (ossia un cd. surrogato) e non il denaro indebitamente percepito; in questo caso però non si lasciava intendere che la messa a disposizione dell’equivalente potesse essere ammissibile in via sussidiaria, aspetto che non a caso era stato criticato in dottrina, v. Bricchetti, Il sistema cautelare, p. 221.

237 Panasiti, Art. 17, p. 374. 238 Varraso, Conversione, p. 1322. 239 Ceresa-Gastaldo, p. 151.

penale a proprio carico240, laddove ai fini dell’operatività del meccanismo

premiale ex art. 17, tale fattore «risulta determinante»: «in tanto l’ente potrà far valere “prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado” il concorrere delle condizioni normativamente fissate […], in quanto abbia avuto a disposizione un congruo termine per attivarsi in tal senso e non sia invece – come ben può avvenire sulla base della normativa de qua – informato del procedimento solo ad indagini concluse»241.

Sempre con riferimento al limite temporale, è stato rilevato anche un difetto di coordinamento tra tale disciplina e quella del giudizio abbreviato e dell’applicazione della pena su richiesta, i cui effetti appaiono potenzialmente pregiudizievoli per l’ente sottoposto a procedimento242. A norma dell’art. 62

comma 4, infatti, «il giudizio abbreviato non è ammesso quando per l’illecito amministrativo è prevista l’applicazione di una sanzione interdittiva in via definitiva»; lo stesso prevede l’art. 63 comma 3 con riferimento all’applicazione della pena su richiesta. La ratio dello sbarramento è di limitare !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

240 Il riferimento è alla comunicazione dell’iscrizione all’interessato e al difensore di cui all’art.

355 comma 3 e 3 bis c.p.p. e all’informazione di garanzia di cui all’art. 369 c.p.p, i quali, a parere dell’Autore, risultano «entrambi […] insufficienti ad assicurare all’interessato una effettiva, tempestiva conoscenza del procedimento penale, essendo l’uno inattendibile, perché le informazioni comunicate possono sempre essere “oscurabili” dal pubblico ministero […] all’insaputa del richiedente, e l’altro solo eventuale e tardivo, perché inviato «solo quando il pubblico ministero deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere» (ibidem).

241 Ibidem.

242 Panasiti, Art. 17, pp. 376- 377; Presutti – Bernasconi, pp. 341-343 e 356-357; v. anche

Bricchetti, Il sistema cautelare, pp. 222-223 e Panasiti, Art. 17, pp. 377-379 per la compatibilità tra art. 17 e giudizio immediato.

il procedimento ai casi di non elevata gravità243. Sennonché, anche le sanzioni

interdittive definitive (salvo che per l’ipotesi di ente intrinsecamente illecito) possono essere rimosse grazie al dispositivo premiale di cui all’art. 17. Pertanto, ai fini dell’accesso al rito alternativo, è necessario che l’ente realizzi le condotte riparatorie e ottenga l’esonero dalle sanzioni prima della richiesta di rito alternativo. Solo così la preclusione verrebbe meno244. Il problema sorge a

causa della sfasatura tra il limite temporale fissato per le condotte riparatorie (dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado) e il limite per la

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