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L’EVOLUZIONE DELLA TUTELA DEI BENI CULTURALI IN CASO DI CONFLITTO ARMATO: DALLA

CONVENZIONE DELL’AIA DEL 1954 ALLA GIURISPRUDENZA PENALE INTERNAZIONALE

GUGLIELMO MAURO ROVERSI MONACO

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La tutela dei beni culturali in caso di conflitto armato: la convenzione dell’Aia del 1954. – 3. La tutela dei beni culturali nel Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia. – 4. La tutela del patrimonio culturale nella Cambogia dopo la guerra civile: le Camere Straordinarie. – 5. La Corte Penale Internazionale e la tutela del patrimonio culturale. – 6. Considerazioni conclusive.

1. Sebbene l’importanza della tutela dei beni culturali durante i conflitti armati sia riconosciuta universalmente da secoli, solo con la

Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato dell’UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per

l’Educazione, la Scienza e la Cultura, in inglese United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization), entrata in vigoreall’Aia nel 1954, la Comunità internazionale ha preso una vera posizione, regolando le situazioni di conflitto armato in modo da garantire la loro effettiva protezione.

Ma per avere un concreto riscontro sull’efficacia di tale tutela, occorre esaminare con attenzione la giurisprudenza internazionale, e i cambiamenti che essa ha apportato alla disciplina. In particolare, risaltano per importanza il ruolo del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (TPIJ) nei procedimenti contro i responsabili degli efferati crimini commessi durante le guerre iugoslave (1991-2001) e quello della Corte penale internazionale (CPI) nel processo contro uno degli esponenti dell’integralismo islamico per il danneggiamento del patrimonio UNESCO dell’antica città di Timbuctù (2016).

2. Il 14 maggio 1954, in seguito ai gravi danni subiti dal patrimonio culturale a causa della Seconda Guerra Mondiale, si firmò all’Aia la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato1. È il primo trattato internazionale che si occupa

1 Convention for the Protection of Cultural Property in the Event of Armed Conflict

esclusivamente di questo tema, ed è tuttora la pietra angolare in materia.

La novità fondamentale fu l’introduzione di una definizione precisa di “bene culturale”, per designare in modo più univoco rispetto al passato l’oggetto della Convenzione stessa. L’importanza di tale nuova nozione giuridica è tale da essere posta come incipit del documento2.

Si abbandonò, quindi, la tendenza delle Convenzioni precedenti di accomunare tutti i beni meritevoli di tutela, a prescindere dalla loro natura (si pensi ad esempio alle Convenzioni dell’Aia del 18893 e del

19074, che univano in un’unica categoria sia ospedali sia luoghi di culto) 5 . Tuttavia tale tentativo riuscì solo parzialmente: le Convenzioni successive, infatti, hanno optato per definizioni distinte, con la conseguente non omogeneità dell’applicazione della tutela.Spesso si è ricorsi a definizioni vaghe: tale è il caso della

Per il testo della Convenzione: http://portal.unesco.org/en/ev.php- URL_ID=13637&URL_DO=DO_TOPIC&URL_SECTION=201.html#SIGNATUR E

2 L’Art. 1 offre una descrizione dei beni che vi rientrano: «Ai fini della presente

Convenzione, sono considerati beni culturali, prescindendo dalla loro origine o dal loro proprietario: a) i beni, mobili o immobili, di grande importanza per il patrimonio culturale dei popoli, come i monumenti architettonici, di arte o di storia, religiosi o laici; le località archeologiche; i complessi di costruzione che, nel loro insieme, offrono un interesse storico o artistico; le opere d’arte, i manoscritti, libri e altri oggetti d’interesse artistico, storico, o archeologico; nonché le collezioni scientifiche e le collezioni importanti di libri o di archivi o di riproduzione dei beni sopra definiti; b) gli edifici la cui destinazione principale ed effettiva è di conservare o di esporre i beni culturali mobili definiti al capoverso a), quali i musei, le grandi biblioteche, i depositi di archivi, come pure i rifugi destinati a ricoverare, in caso di conflitto armato, i beni culturali definiti al capoverso a); c) i centri comprendenti un numero considerevole di beni culturali, definiti ai capoversi a) e b), detti “centri monumentali”».

3 The Hague Conference of 1889, aperta alla firma all’Aia il 18 maggio 1899,

entrata in vigore il 29 luglio 1899.

Per il testo della Convenzione:

http://avalon.law.yale.edu/subject_menus/lawwar.asp.

4 The Hague Conference of 1907, aperta alla firma all’Aia il 15 giugno 1907, entrata

in vigore il 18 ottobre 1907.

Per il testo della Convenzione: http://avalon.law.yale.edu/subject_menus/lawwar.asp

5 GIOIA, La protezione dei beni culturali nei conflitti armati, in Protezione

internazionale del patrimonio culturale: interessi nazionali a difesa del patrimonio e della cultura (a cura diFrancioni, Del Vecchio, De Caterini), Atti del Convegno,

Convenzione UNESCO del 1970 riguardante le repressioni del traffico illecito di beni culturali6 che all’art. 1 definisce i beni culturali come “i beni che, a titolo religioso o profano, sono designati da ciascuno Stato come importanti per l’archeologia, la preistoria, la storia, la letteratura, l’arte o la scienza e che appartengono alle categorie” che poi seguono indicate in un elenco di commi 7 ; tale definizione è stata

6 Convention on the Means of Prohibiting and Preventing the Illicit Import, Export

and Transfer of Ownership of Cultural Property, aperta alla firma il 14 novembre 1970, entrata in vigore il 24 aprile 1972.

Per il testo della Convenzione:

http://www.unesco.org/new/en/culture/themes/illicit-trafficking-of-cultural- property/1970-convention/

7 La Convenzione UNESCO del 1970 prevede, all’art. 1:

“For the purposes of this Convention, the term `cultural property' means property which, on religious or secular grounds, is specifically designated by each State as being of importance for archaeology, prehistory, history, literature, art or science and which belongs to the following categories:

(a) Rare collections and specimens of fauna, flora, minerals and anatomy, and objects of palaeontological interest;

(b) property relating to history, including the history of science and technology and military and social history, to the life of national leaders, thinkers, scientists and artist and to events of national importance;

(c) products of archaeological excavations (including regular and clandestine) or of archaeological discoveries;

(d) elements of artistic or historical monuments or archaeological sites which have been dismembered;

(e) antiquities more than one hundred years old, such as inscriptions, coins and engraved seals;

(f) objects of ethnological interest; (g) property of artistic interest, such as:

(i) pictures, paintings and drawings produced entirely by hand on any support and in any material (excluding industrial designs and manu-factured articles decorated by hand);

(ii) original works of statuary art and sculpture in any material; (iii) original engravings, prints and lithographs;

(iv) original artistic assemblages and montages in any material;

(h) rare manuscripts and incunabula, old books, documents and publications of special interest (historical, artistic, scientific, literary, etc.) singly or in collections; (i) postage, revenue and similar stamps, singly or in collections;

(j) archives, including sound, photographic and cinematographic archives;

(k) articles of furniture more than one hundred years old and old musical instruments.”

successivamente pressoché ricalcata nel 1995 dalla Convenzione UNIDROIT8.

Nella Convenzione del 1954, altrettanto significativa è stata la codificazione del concetto, già noto alla dottrina da tempo, di universalità della cultura, giusta la quale “i danni cagionati ai beni culturali, a qualsiasi popolo essi appartengano, costituiscono danno al patrimonio culturale dell’umanità intera, poiché ogni popolo contribuisce alla cultura mondiale”9.

La Convenzione ha offerto uno strumento giuridico vincolante, compiendo un notevole passo avanti nella disciplina e stabilendo due forme di protezione dei beni culturali: una generale e una speciale.

La tutela generale (Capitolo I, Artt. 1-7) prevede diversi obblighi di protezione e rispetto: il primo consiste nella necessità che le parti contraenti introducano, già in tempo di pace, disposizioni preventive per la salvaguardia dei beni culturali situati sul proprio territorio, contro i possibili effetti di un conflitto armato10.

Segue l’obbligo di rispetto dei beni culturali, consistente nel divieto di qualsiasi aggressione o rappresaglia a loro danno, anche se situati nel territorio di un altro Stato, o dell’utilizzo di tali beni per scopi che potrebbero esporli a distruzione o a deterioramento in caso di conflitto armato. L’unica deroga a tale obbligo può provenire da un’imperativa necessità militare, che rappresenta il limite generale dell’applicazione del diritto di guerra: infatti il diritto internazionale dei conflitti armati non trova applicazione qualora sussistano imperative necessità militari che impongano ai belligeranti un comportamento altrimenti illecito11.

8 UNIDROIT Convention on Stolen or IllegallyExported Cultural Objects, aperta

alla firma il 7 giugno 1995 a Roma, entrata in vigore il 24 giugno 1995. Per il testo della Convenzione:

https://www.unidroit.org/instruments/cultural-property/1995-convention

9 Preambolo della Convenzione dell’Aia del 1954 sulla protezione dei Beni Culturali

in caso di conflitto armato.

10 GREPPI, La protezione generale dei beni culturali nei conflitti armati: dalla

Convenzione dell’Aja al Protocollo del 1999, in La tutela internazionale dei beni culturali (a cura di Benvenuti, Sapienza), Milano, 2007, pp. 73-88.

11 POLIDORI, La necessità militare, in “Informazioni della Difesa”, num. 5, 2002,

pp. 40-43:

https://www.difesa.it/InformazioniDellaDifesa/periodico/IlPeriodico_AnniPrecedent i/Documents/La_necessit%C3%A0_militare.pdf.

Contestualmente si pone il divieto di requisire i beni culturali mobili situati nel territorio di un’altra Parte Contraente odi adottare misure di rappresaglia diretta contro beni culturali. Nel caso di occupazionele Parti Contraenti devono consentire gli interventi di conservazione da parte dello Stato occupato, e nel caso in cui tali interventi non siano possibili sono tenute a provvedere in sua vece.

La Convenzione rimarca l’importanza della formazionedelle forze armate affinché la salvaguardia della cultura di tutti i popoli divenga un principio condiviso, e per la necessità di costituire, all’interno di esse, personale specializzato in quest’ambito.

Non solo: è previsto lo specifico impegno per le parti contraenti di proibire, prevenire ed eventualmente far cessare ogni atto di saccheggio o vandalismo.

Nel caso di occupazione militare del territorio di una delle Parti, si impone l’obbligo di appoggiare in ogni modo l’azione dell’autorità dello Stato occupato volta alla salvaguardia del patrimonio culturale, e nel caso siano necessarie azioni urgenti, la potenza occupante dovrà adottare in prima persona gli interventi necessari in collaborazione con le autorità locali.

La protezione speciale (Capitolo II, Artt. 8-11) si affianca a quella generale, ed è applicabile a un numero limitato di rifugi e a “centri monumentali ed altri beni culturali immobili di altissima importanza”, facenti parte del Registro internazionale dei beni culturali sotto protezione speciale dell’UNESCO12, e che devono essere identificabili

in tempo di guerra grazie all’esibizione di un apposito emblema13.

Ciò a condizione che detti beni siano a distanza sufficiente da un grande centro industriale o da qualsiasi possibile obiettivo militare, e non siano utilizzati per scopi militari. Ma la Convenzione prevede un’eccezione a quanto detto, permettendo anche a un bene culturale

12 In tale registro vengono riuniti tutti quei beni culturali dotati di particolare

importanza che, venendovi iscritti, possono godere di un sistema di protezione speciale e ulteriore rispetto a quello generale, che comprende indistintamente tutto il patrimonio culturale.

13 Il contrassegno della Convenzione consiste in un scudo contenente una croce di S.

Andrea, di colore blu su sfondo bianco, usato sia singolarmente (nel caso di beni culturali non sottoposti a protezione speciale), sia ripetuto tre volte (in caso di beni culturali sottoposti a protezione speciale o di trasporti di beni culturali); CARCIONE, Il simbolo di protezione del patrimonio culturale: una lacuna del

Protocollo del 1999, in Uno scudo blu per la salvaguardia del patrimonio mondiale,

situato vicino a un obiettivo militare di rientrare nella protezione speciale, qualora lo Stato all’interno del quale si trova il bene lo richieda, previo impegno di non riutilizzarlo a scopi militari.

Le Parti sono tenute ad assicurare l’immunità dei beni culturali sotto protezione speciale, in quanto iscritte nello specifico registro UNESCO, astenendosi da ogni atto di ostilità e da ogni uso di questi beni o delle loro adiacenze per fini militari.

L’immunità concessa a un bene culturale rientrante nella tutela speciale non è sospendibile se non in casi particolari espressamente previsti.

L’ambito di applicazione della Convenzione è disciplinato dall’art. 18, che prevede due contesti. Il primo è il caso di guerra dichiarata o di ogni altro conflitto armato che sorga tra due o più parti contraenti; anche se lo stato di guerra non sia riconosciuto da una o più di esse. Il secondo è il caso di occupazione totale o parziale del territorio di una parte contraente, anche se tale occupazione non incontri alcuna resistenza armata. Se il conflitto riguarda uno Stato che non è parte della Convenzione, ugualmente gli Stati parte della medesima rimarranno vincolati da essa nei loro rapporti reciproci; e anche nei rapporti con lo Stato terzo, se questo dichiari di accettare ed applichi le disposizioni della Convenzione.

Diversamente, nel caso di un conflitto armato che non presenti carattere internazionale, sorto nel territorio di una delle parti contraenti, l’art. 19 stabilisce che ognuna delle parti in conflitto sarà tenuta ad applicare almeno le disposizioni della Convenzione che si riferiscono al rispetto dei beni culturali propri e altrui. Le altre disposizioni della Convenzione sono messe in vigore dalle parti in conflitto mediante accordi speciali.

Alla Convenzione del 1954 seguirono due Protocolli, uno, contemporaneo alla Convenzione, del 14 maggio 1954, l’altro adottato il 26 marzo 199914.

14 Il Secondo Protocollo è entrato in vigore il 9 marzo del 2004 e ne fanno parte 64

nazioni. È stato ratificato dall’Italia con L. 16 aprile 2009, n. 45. Cfr. GIOIA, The

Development of International Law Relating to the Protection of Cultural Property in the Event of Armed Conflict: the Second Protocol to the 1954 Hague Convention, in

“IYIL”, 2001, pp. 25-57; ZAGATO, Il Secondo Protocollo alla Convenzione

dell’Aja 1954, in Le opere d’arte tra cooperazione internazionale e conflitti armati,

Il primo proibisce l’esportazione di beni mobili da territori occupati, richiedendo al contempo la loro restituzione ai territori originari a conclusione delle ostilità. Il secondo contiene ulteriori forme di tutela dei beni culturali: in primis il divieto dell’esecuzione da parte delle potenze occupanti di scavi in siti archeologici, anche se in cooperazione con le autorità locali; a ciò si affianca la conferma dell’assoluto divieto di distruzione, esportazione, rimozione o trasferimento di beni culturali, storici e scientifici.

Il Protocollo del 1999 introduce anche un sistema di protezione rafforzata, applicandola a beni inseriti in un’apposita lista internazionale redatta da un Comitato, i cui membri provengono dagli Stati parte del Protocollo. Tale lista ha requisiti d’iscrizione meno restrittivi rispetto a quelli della Convenzione del 1954, non prevedendo, ad esempio, il requisito della distanza del bene culturale da qualunque possibile obiettivo militare o impianto industriale.15

Un’ulteriore innovazione del Secondo Protocollo consiste nella formazione di una struttura istituzionale apposita: il sopra citato Comitato, coordinato dal Segretario dell’UNESCO. Viene, inoltre, predisposto un Fondo economico per attività di prevenzione da compiere in tempo di pace.

È poi previsto che gli Stati contraenti debbano adottare delle norme interne, che stabiliscano la giurisdizione degli stessi per le violazioni gravi commesse dai cittadini nel territorio dello Stato, o fuori di esso.

La giurisdizione universale 16è contemplata solo per alcune violazioni gravi, come distruzioni o saccheggi estesi di beni culturali, attacchi militari a beni sottoposti a protezione rafforzata o utilizzi a fini bellici degli stessi. Tale giurisdizione si esercita prescindendo dal luogo in cui la violazione grave è stata commessa e dalla cittadinanza dei responsabili: è previsto l’obbligo internazionale per gli Stati parte

15 I beni che possono essere iscritti in questa lista devono: 1) essere della massima

importanza per l’umanità; 2) essere protetti da adeguate misure giuridiche e amministrative nazionali che ne riconoscano il valore culturale e storico e ne garantiscano il massimo livello di protezione; 3) non essere usati per scopi militari o per proteggere siti (art. 10 del II Protocollo del 1999).

16 Principio basato sul convincimento che certi crimini siano così dannosi per gli

interessi internazionali che gli Stati hanno il diritto –o addirittura l’obbligo– di procedere contro i perpetuatori, indipendentemente dal locus commissidelicti o dalla nazionalità dei responsabili. Cfr.: MACEDO, The Princeton principles on Universal

di perseguire penalmente il presunto autore o di estradarlo nello Stato che lo richiede.

3. Nel 1991 scoppiò in Jugoslavia17 un conflitto armato che coinvolse l’intera regione per quasi un decennio, tanto brutale da essere descritto come il conflitto europeo più sanguinoso dalla II Guerra Mondiale. Alla luce di tale gravità, fin dal maggio 1993 la Comunità internazionale aveva cercato di esercitare pressioni diplomatiche, politiche ed economiche sui responsabili delle ex repubbliche iugoslave, per arrivare poi, con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 827 del 1993 concernente l'istituzione del Tribunale internazionale per i crimini contro l'umanità nella ex Jugoslavia18 e relativo Statuto, all’uso di strumenti giuridici. Tale risoluzione adottò lo Statuto che ne era allegato, che forniva le basi e istituiva il TPIJ.

Si tratta del primo organo giudiziale penale internazionale istituito sulla base di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Lo scopo della sua istituzione era di giudicare i responsabili di gravi violazioni del diritto umanitario, costituendo così un deterrente per impedire la commissione di ulteriori crimini, e allo stesso tempo ponendo le basi di una riconciliazione fra le popolazioni locali, al fine di promuovere una pace duratura.

Il TPIJ gode di giurisdizione rationemateriae in relazione a quattro gruppi di crimini: gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra19; violazioni delle leggi o degli usi di guerra20; genocidio21e

17 L’allora Stato iugoslavo, noto come Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia,

raggruppava al suo interno l’attuale Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, e Macedonia.

18 Per il testo completo della risoluzione n. 827/1993:

http://www.gazzettaufficiale.it/atto/vediMenuHTML;jsessionid=xGD4tyaWHcqHa XMtQVsGVg__.ntc-as2-guri2a?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1993-12-

29&atto.codiceRedazionale=093A7349&tipoSerie=serie_generale&tipoVigenza=ori ginario.

19 Ai sensi dell’art. 2 Statuto TPIJ:

“The International Tribunal shall have the power to prosecute persons committing or ordering to be committed grave breaches of the Geneva Conventions of 12 August 1949, namely the following acts against persons or property protected under the provisions of the relevant Geneva Convention: (a) wilful killing; (b) torture or inhuman treatment, including biological experiments; (c) wilfully causing great suffering or serious injury to body or health; (d) extensive destruction and appropriation of property, not justified by military necessity and carried out

crimini contro l’umanità22. La pena massima fu fissata con l’ergastolo,

mentre per applicare le pene detentive diversi paesi hanno firmato accordi con l’ONU23. Il TPIJ ha terminato la propria attività nel

dicembre 2017, come da mandato, avendo giudicato 161 persone24.

unlawfully and wantonly; (e) compelling a prisoner of war or a civilian to serve in the forces of a hostile power; (f) wilfully depriving a prisoner of war or a civilian of the rights of fair and regular trial; (g) unlawful deportation or transfer or unlawful confinement of a civilian; (h) taking civilians as hostages.”

20 Ai sensi dell’art. 3 Statuto TPIJ: “The International Tribunal shall have the power

to prosecute persons violating the laws or customs of war. Such violations shall include, but not be limited to: (a) employment of poisonous weapons or other weapons calculated to cause unnecessary suffering; (b) wanton destruction of cities, towns or villages, or devastation not justified by military necessity; (c) attack, or bombardment, by whatever means, of undefended towns, villages, dwellings, or buildings; (d) seizure of, destruction or wilful damage done to institutions dedicated to religion, charity and education, the arts and sciences, historic monuments and works of art and science; (e) plunder of public or private property.”

21 Ai sensi dell’art. 4 Statuto TPIJ: “1. The International Tribunal shall have the

power to prosecute persons committing genocide as defined in paragraph 2 of this article or of committing any of the other acts enumerated in paragraph 3 of this article. 2. Genocide means any of the following acts committed with intent to destroy, in whole or in part, a national, ethnical, racial or religious group, as such: (a) killing members of the group; (b) causing serious bodily or mental harm to members of the group; (c) deliberately inflicting on the group conditions of life calculated to bring about its physical destruction in whole or in part; (d) imposing

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