Con il progredire della ricerca va delineandosi in termini sempre più consistenti la circolazione di risorse prodotte in età moderna ^ dalle migliaia di monasteri e di abbazie del clero regolarex. Per tutta 1 età mo
derna un imponente flusso di denaro affluiva dagli stati italiani verso Ro ma e da Roma in parte ritornava agli stati dalle congregazioni. Sono sta
te fatte anche delle stime che, se da un lato presentano ancora largo mar
gine di approssimazione, tuttavia servono a fornire degli ordini di gran
dezza tali da rimarcare i caratteri di assoluta rilevanza di questo fenome
n o 2, che ha interessato in maniera diversa gli stati della penisola, alcuni dei quali sono riusciti a beneficiare di questi trasferimenti (è il caso soprattutto della repubblica di Venezia, ma in parte anche del ducato di Savoia, del granducato di Toscana e naturalmente dello stato pontificio), mentre altri hanno duramente pagato il prezzo di uno scambio in pesante perdita (è il caso del regno di Napoli e dello stato di Milano) .
La prospettiva di ricerca che ha permesso di fare i progressi più si
gnificativi è stata quella di concentrare l ’attenzione sul punto nevralgico della circolazione di risorse, che si identifica con Roma, in quanto capi
tale dello stato pontificio e capitale della cristianità. Questa duplice va
1 A metà Seicento erano 6238: cfr. E. Stumpo, II consolidamento della grande proprietà ecclesiastica nell’età della Controriforma, in Storia d’Italia, Einaudi, Annali 9 La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all’età contemporanea, Torino 1986, p.
273, a cui rimandiamo anche per l ’aggiornata bibliografia. Per 1 monasteri femmmi 1 cfr. invece la sintesi di G. Zarri, Monasteri femminili e città (secoli X V -X V 1U ), ibi
dem, pp. 359-430
2 E. Stumpo, Un mito da sfatare? Immunità ed esenzioni fiscali della proprietà ecclesiastica negli stati italiani fra Cinque e Seicento, in Studi in Onore di Gino Bar
bieri. Problemi e metodi di storia economica, Salerno 1983, pp. 1419-1466, valuta per gli stati italiani il saldo di questo flusso di risorse per il periodo 1570-1700. La situa
zione più pesante risulta essere quella del clero del Regno di Napoli che in quel pe
riodo invia 32 milioni di scudi a Roma praticamente senza contropartita (p. 14 6 1 ).
3 Ibidem.
lenza ha un corrispettivo dal punto di vista finanziario, perché accanto al bilancio dello stato della chiesa esiste un bilancio delle entrate spiri
tuali, che comprende « il denaro straniero che va a Roma per cause ec
clesiastiche » 4 e che costituisce un’entrata anche superiore a quella pro
veniente dai territori delle province dello stato pontificio5.
Sull’Italia l ’influenza economica della Santa Sede si attua seguendo una strategia particolare, che invece di puntare sulle decime, come nel resto d ’Europa, punta sul controllo dell’attività del clero regolare che gestisce direttamente enormi patrimoni fondiari. In Italia - ha scritto M. Aymard - « assai precocemente la terra è stata liberata da questo tipo di canoni (decime) che colpisce ancora, negli altri paesi dell’Europa oc
cidentale, la maggior parte delle terre agricole; e la Chiesa, come le al
tre categorie sociali, trae la maggior parte dei suoi redditi dal possesso diretto di importanti estensioni di terreno, che gestisce, dacché ha tro
vato la forza di resistere alle usurpazioni dei laici, da proprietario terrie
ro attento e capace » 6.
I patrimoni fondiari non sono la sola fonte di rendita del clero re
golare. Accanto alla proprietà terriera, che in ogni caso rappresenta sem
pre il settore primario, i monasteri hanno altre fonti di rendita che com
prendono diritti feudali, affitti di case urbane, botteghe, molini e, natu
ralmente, censi fruttiferi. Di qui l ’obiettivo di cercare di definire come l ’attività creditizia, quantitativamente e qualitativamente, si collochi a ll’in
terno del quadro d’insieme della rendita e più in generale del flusso di risorse che interessano i conventi del clero regolare, le rispettive congre
gazioni, la curia pontificia e le comunità laiche. Il problema si presta par
ticolarmente ad un’indagine macroeconomica partendo dall’osservatorio privilegiato di Roma, ma ci sono importanti implicazioni che possono
4 Cfr. E. Stumpo, II capitale finanziario a Roma fra Cinque e Seicento. Contri
buto alla storia della fiscalità pontificia in età moderna (1570-1660), Milano 1985, che da questa premessa parte per una ridefinizione del ruolo del papato al di fuori dello stato della chiesa fra Cinque e Seicento.
5 Ibidem, p. 63: « nell’arco di circa un secolo, ovvero fra 1560 e 1660 - secondo le stime di E. Stumpo - arrivarono a Roma, calcolando la media annuale delle entrate temporali, un tempo minori, circa 130 milioni di scudi dallo stato della chiesa e circa 140 milioni di scudi dalle entrate e dalle rendite ecclesiastiche ».
6 M. Aymard, La transizione dal feudalesimo al capitalismo, in Storia d’Italia, Einaudi, Annali I, Torino 1978, p. 1140.
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essere indagate anche a livello di singole congregazioni e di singoli con
venti, in parte per verificare se le tesi generali trovano conferme puntuali anche nello specifico e in parte per cercare di capire che significato han
no questi flussi finanziari per le singole unità operative dal punto di vi
sta dell’organizzazione produttiva e dell’accumulazione delle risorse.
Fino agli ultim i decenni del ’700 il clero regolare rappresenta dal punto di vista della proprietà terriera una delle componenti di maggior peso nella realtà socioeconomica degli stati italiani e numerose sono le ricerche incentrate su singole abbazie o su singoli conventi che hanno cercato di fornire elementi di valutazione sulla gestione economica dei loro beni; in queste ricerche il settore del credito ad interesse è stato messo in risalto. Ci sono stati anche tentativi di valutare il significato complessivo dell’attività di prestito ad interesse per alcune realtà regio
nali o sub regionali7. Per il clero regolare femminile stanno emergendo situazioni diverse con un’attività nel settore creditizio molto più accen
tuata, che è stata messa in relazione all’utilizzazione delle ingenti som
me versate come dote dai familiari delle monache 8. Ma complessivamente credo che si possa dire che ancora molto resta da fare per saldare la valutazione del significato di questo settore con i nuovi risultati della ri
cerca che hanno cominciato a definire un nuovo ruolo delle congregazio
ni al di fuori degli stereotipi consolidati sulla natura e sul ruolo del clero regolare in età moderna.
7 Cfr. in particolare G. Porisini, II contenuto economico dei rogiti notarili di Ravenna: le abbazie di S. Vitale, S. Apollinare in Classe, S. Maria in Porto e S. Gio
vanni Evangelista dagli inizi del secolo X V III al 1815, Milano 1693 e i recenti contri
buti di G. Borelli, Città e campagna in età preindustriale X V I - X V III secolo, Verona 1986; Idem, Aspetti e forme della ricchezza negli enti ecclesiastici e monasteri di Ve
rona’tra il secolo X V I e X V III, in Chiese e monasteri a Verona, Verona 1980, pp. 123- 176; T. Fanfani, Chiese e monasteri del territorio in età moderna: aspetti e problemi economìco-sociali, in Chiese e monasteri nel territorio veronese, Verona 1981, pp. 211- 286.
8 Cfr. al riguardo gli studi di G. Zalin incentrati soprattutto nelParea veneta:
L'economia veronese in età napoleonica. Forze di lavoro, dinamica fondiaria e attività agricolo commerciali, Milano 1973, pp. 201-210; Ricerche sulla privatizzazione della proprietà ecclesiastica nel Veneto dai provvedimenti Tron alle vendite italiche, da Stu
di in memoria di Luigi Dal Pane, Bologna 1982, pp. 537-555; Denaro in entrata, de
naro in uscita. Lrattività creditizia dei « Paolotti » scaligeri nel Settecento, in Mercanti e vita economica nella Repubblica veneta (Secoli X III-X V III), Verona 1985.
In Italia con il concilio di Trento al clero regolare maschile delle dodici congregazioni viene affidato il compito economico di produrre ri
sorse soprattutto per il mantenimento della « famiglia » del monastero e di concorrere alle entrate « spirituali » dello stato della chiesa, che sono quelle che non provengono solo dal territorio dello stato della chiesa in quanto tale, ma da tutta la cristianità.
I contributi delle congregazioni del clero regolare sono solo una parte, anche se rilevante delle entrate « spirituali », che comprendono anche i compensi dovuti alla Santa Sede per i servizi religiosi erogati a vario titolo anche dal clero secolare (dispense, brevi, bolle, grazie, indul
genze, provviste beneficiali, cumulo di benefici, dispense per benefici, per collazione di più benefici o più rendite, indulti, rescritti per altari privilegiati, per altari di oratori e confraternite, rescritti per visite, ecc.
ecc.) 9.
M a nel sostegno zelante di monasteri e abbazie a interessi lontani ed estranei alle realtà locali in cui sono inseriti, si dissolvono gran parte delle accumulazioni nei decenni e nei secoli10 e si delinea e si accentua un’immagine distorta per la quale abbazie e monasteri sono presentati polemicamente come unità produttive di scarsa efficienza che si reggono solo grazie alle esenzioni e ai privilegi di cui godono nei confronti degli altri proprietari la ic i11. In realtà le esenzioni fiscali nei confronti delle comunità laiche in cui sono inserite, sono compensate largamente dall’in
vio sistematico e straordinario di ingenti risorse alle sedi centrali della congregazione di appartenenza e di qui a Roma.
In questo contesto, che ha due livelli di lettura uno locale e un altro « internazionale », si colloca anche l ’attività di prestito e credito che caratterizza in maniera più o meno omogenea i monasteri delle do
dici congregazioni. Ma senza tenere conto di questa doppia natura isti
tuzionale non si riesce a capire il senso generale di una miriade di flussi
9 E. Stumpo, Il capitale finanziario a Roma fra Cinque e Seicento. Contributo alla storia della fiscalità pontificia in età moderna (1570-1660), Milano 1985, p. 168.
10 Tra il 1571 e il 1660, e solo di interessi di monte, i conventi delle 12 congre
gazioni pagarono qualcosa come 5300000-5500000 scudi d’argento, E. Stumpo, Il ca
pitale finanziario cit., p. 197.
11 F. Landi, Un dibattito sui privilegi del clero e della nobiltà a Ravenna nell’età delle riforme, in « Clio », n. 3/4 (1974), pp. 397-432.
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finanziari più o meno cospicui che appaiono nelle scritture contabili lar
gamente conservate dei conventi. Né d’altra parte si può valutare in ter
mini assoluti il settore finanziario, poiché esso prende il suo risalto solo se collocato all’interno della gestione complessiva della rendita ecclesia
stica. « Volendo isolare dalla vita economica di una società, piccola o ampia che sia — ha scritto G. Felloni — un settore qualsiasi per esami
narlo a fondo, è opportuno precisare il suo « peso » relativo mediante un’analisi strutturale, volta cioè ad esaminare le attività economiche es
senziali, le forme permanenti nelle quali si manifestano e i rapporti di forza che le legano tra loro e con le componenti minori del sistema » . Ne consegue che, senza una valutazione proporzionale, ogni conside
razione assoluta rischia di essere fuorviarne, così come fuorviarne può es
sere un uso della contabilità che non tenga conto della flessibilità di questo tipo di fonte.
Le contabilità dei monasteri, che sono lo strumento principale con il quale ricostruire la loro attività finanziaria, hanno proprio nell attività di prestito e credito uno dei settori meno chiari e univoci. Queste con
tabilità sono in fondo strumenti per misurare la rendita e si sa quale margine di approssimazione caratterizzi le misure in età preindustriale . Spesso, invece, si tende a ridurre il problema della attendibilità contabile alla precisione con cui si fanno le somme e si scrivono i totali, ma na
turalmente il problema è molto più complesso e riguarda i metodi di compilazione delle scritture doppie nelle contabilità domestico patrimo
niali e soprattutto le tecniche di compilazione degli inventari con cui si aprono le contabilità annuali. In questi inventari patrimoniali sono re
gistrati i flussi dei crediti e dei debiti annuali e sono queste le fonti pri
vilegiate con le quali elaborare un quadro critico dell’attività creditizia dei monasteri.
Alle difficoltà tecnico contabili vanno aggiunte quelle legate alla natura « pubblica » delle scritture dei monasteri. Gli atti contabili sono infatti sottoposti a dei revisori della congregazione che valutano abati e
12 G. Felloni, G li investimenti finanziari genovesi in Europa tra il Seicento e la Restaurazione, Milano 1971, p. XV.
13 Cfr. W . Kula, Les mesures et les hommes, Paris 1984 e in particolare U. Tucci, Pesi e misure nella storia della società, in Storia d’Italia, Einaudi, Voi. V , Torino 1983, pp. 585-611.
priori dei conventi anche sulla base delle risultanze della loro gestione M.
Ne deriva un interesse evidente a presentare dei conti di gestione che esaltino i risultati positivi raggiunti, magari sfruttando adeguatamente le tecniche di redazione dei bilanci.
Nelle scritture doppie incomplete o nella partita doppia è abbastan
za facile effettuare modifiche sostanziali, senza commettere falsificazioni vere e proprie, ma si può fare ancora di più intervenendo sullo stato patrimoniale che fornisce, all’inizio e alla fine dell’annata, il risultato ul
timo della gestione. Queste potenzialità contabili erano note e nei manuali di computisteria del tempo sulle gestioni domestico patrimoniali dei mo
nasteri sono illu stra teI5, per cui è del tutto naturale porsi il problema anche in sede storica, tanto più che, solo attraverso queste precauzioni, si possono valutare i livelli di attendibilità delle fonti generali e in par
ticolare della denuncia dei beni del clero voluta da Innocenzo X a metà del ’600, che poggia sulle scritture contabili dei conventi.
« In effetti — ha avvertito F. Melis - essendo la scrittura contabile la realizzazione ultima del lavoro (. . .) onde dalla contestazione del fat
to si pervenne alla registrazione definitiva di esso, lo sfruttamento di questa fonte deve essere immancabilmente preceduto da un’accorta ope
ra di ricostruzione a ritroso, di quel cammino, ridando vita altresì all’am b ie n t e azienda e all’ambiente economico tutto in cui agì l ’azienda stessa, per stabilire - e tenerle nel debito conto — le influenze cui essa scrittura soggiacque, i criteri che l ’animarono e le finalità che le si domandarono.
Si deve, poi, appurare se coteste influenze furono occasionali o
perma-14 Per quanto riguarda i rapporti economici con la curia, i vincoli a cui erano sottoposti gli abati, i monasteri e le stesse congregazioni erano molto rigidi. Gli abati, all’assunzione della carica dovevano promettere il saldo delle somme dovute, erano sot
toposti a frequenti indagini sulla tenuta dei conti e alcune delle stesse congregazioni ri
schiarono la soppressione per ritardi sui pagamenti a Roma. Cfr. T. Leccisotti, La con
gregazione cassinese ai tempi del Bacchini, in « Benedectina », V I (1952), p. 30.
15 Cfr. Angelo Pietra, Indirizzo degli economi, o sia ordinatissima instruttione da regolatamente formare qualunque scrittura in un libro doppio; aggiuntovi l ’essem- plare di un libro nobile, col suo giornale, ad uso della congregatione cassinese dell’ordi
ne di S. Benedetto con due tavole, l ’una de’ capitoli, et l'altra delle cose più degne, a pieno intendimento di ciascuno, Mantova 1586, che è uno dei primi, se non il primo manuale di scrittura doppia per contabilità non commerciali, ma domestico patrimo
niali, scritto da un monaco cassinese.
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nevoli, blande o potenti, decisive o meno; se i criteri furono falsi o cor
retti, informatori o tassativi, consistenti o vacui; se le finalità furono perseguite o non, coerenti o inconcludenti, saggie o avventate » 16.
In questa sede presento i risultati di un primo spoglio relativo al
le denunce dei conventi di una delle 12 congregazioni del clero regolare maschile, quella Cassinese11, conosciuta anche come congregazione di Santa Giustina, la più ricca, considerato che i suoi conventi avevano una entrata annua di circa 350 mila scudi rom ani18, Il papa Paolo V all’inizio del secolo (1607 e 1608), l ’aveva divisa in sette province (ro
mana, napoletana, siciliana, toscana, ligure, lombarda e veneta). Prima i monasteri erano genericamente, ma non giuridicamente, distinti in cìtra A lpes et ultra Alpes, ossia gli Appennini19. A metà Seicento compren
tributo particolarmente significativo, in quanto sono per lo più costituiti dalla trascri
zione pura e semplice del testo della denuncia del 1650.
« Sarebbe comunque fuorviarne considerare le 12 congregazioni come entità quantitativamente e qualitativamente omogenee. Alcune di esse sono economicamente molto meno dotate di risorse, altre hanno la maggioranza dei loro conventi soggetti a un affidamento pressoché sistematico in commenda (i Cistercensi), che le prosciuga della parte più sostanziosa della rendita. Se si parte dalle ripartizioni dei tributi fissati a carico delle congregazioni si può dire che i Cassinesi da soli costituivano poco meno di un terzo del potenziale economico complessivo. Lateranensi, Certosini e Olivetani avevano un peso rilevante ma inferiore di circa il 50 96 rispetto ai Cassinesi, mentre tutte le altre congregazioni messe insieme sembrerebbero formare un potenziale di rendita appena pari alla metà di quello dei Cassinesi, cfr. E. Stumpo, Il capitale finanziario cit., pp. 196-197.
19 T. Leccisotti, La congregazione cassinese ai tempi del Bacchini cit., p. 19,
deva 63 conventi. La provincia romana poteva mantenere 386 monaci e aveva 10 conventi dislocati nel Lazio, nell’Umbria e in Emilia Romagna20, quella napoletana era rappresentata da nove conventi con un potenziale di 452 m onaci21, quella siciliana contava su 9 conventi con 324 monaci prefissati22. Le province toscana23 e lig u re 24 erano di dimensioni più ridotte e contavano rispettivamente su 5 e 7 conventi di modesta en
tità che avevano rispettivamente la potenzialità di mantenimento per 110 e 135 monaci. La provincia lombarda era quella dalle maggiori po
tenzialità economiche, potendo contare su un totale di 520 monaci pre
fissati e su 11 conventi, alcuni dei quali posti in Emilia, nella zona dei du cati25. Infine la provincia veneta, che comprendeva il monastero di S.
Giustina, il più importante della congregazione, aveva una rendita suffi
ciente per 466 monaci da suddividere in 12 conventi26. L ’inchiesta sui
colati sulla base di una media aritmetica degli esiti delle sei annate pre
cedenti secondo un’utilizzazione particolare delle scritture contabili ten
dente a rivalutare il peso dei consumi interni, normalmente ridotto ai minimi termini dall’uso del «prezzo co m u n e»27. La scelta di una me
dia calcolata sugli ultim i sei anni di gestione serviva naturalmente per avere un’idea più realistica dello stato economico dei conventi, eliminan
do il più possibile l ’incidenza della casualità congiunturale. Ciò non to
glie che gli anni di metà Seicento rappresentino di per sé un periodo pesantemente segnato da una congiuntura negativa, dagli effetti non an
cora completamente riassorbiti della peste degli anni trenta e da vicende belliche che coinvolsero pesantissimamente la Lombardia, le aree conti
gue e, in parte, anche la Campania.
Questa situazione si ritrova profondamente, più ancora che nei ri
sultati della gestione, nel riepilogo dei debiti e dei crediti. Ma in questo settore, più che la congiuntura economica o demografica, avevano pesato alcune iniziative dello stato della chiesa volte al reperimento di somme ingenti da destinare a interventi straordinari. Anche limitando la valu
tazione ai primi cinquanta anni del ’600 e ai soli contributi straordinari, furono richiesti in oro alle 12 congregazioni da Clemente V i l i (1592- 1605) 210 mila scudi, da Paolo V (1605-1621), 100 mila scudi, da Ur
bano V III (1623-164 ) altri 100 mila scudi per un totale di circa 600 mila scudi di moneta corrente, che si andarono a sommare ai 515 mila scudi d’oro (circa 750 mila scudi di moneta corrente) richiesti a comin
ciare da Paolo III (1534-1549) fino alla fine del Cinquecento28.
I prelievi straordinari si sommavano a quelli ordinari e quan
do si abbattevano sui singoli conventi avevano talvolta conseguenze anche per il capitale immobiliare, ma più spesso venivano neutralizzati attraverso operazioni finanziarie di debito-credito nelle quali avevano un ruolo di primo piano le congregazioni. Spesso, invece di un pagamento
27 Cfr. F. Landi, Tecniche contabili e problemi di gestione dei grandi patrimoni del clero regolare ravennate nei secoli X V II e X V III, in «Quaderni Storici», 1978, pp. 976-993.
28 F. Landi, Un dibattito cit., p. 426. E, Stampo, Il capitale finanziario cit., pp.
193-201 ha ricostruito dettagliatamente tutti i passaggi relativi. Una dettagliata rico
struzione si trova anche in T. Leccisotti, La congregazione cassinese ai tempi del Bac- chini cit.
immediato delle somme richieste, il monastero accendeva un mutuo con la congregazione che aveva accesso anche ai Monti della capitale o che poteva utilizzare la rendita ordinaria dei suoi conventi. Così il convento diluiva in più esercizi gli interessi ed eventualmente gli ammortamenti, godendo non solo di un circuito di credito privilegiato, ma anche di tas
si mediamente inferiori a quelli medi di mercato. Grazie a questo aiuto, in certi casi, il monastero poteva prestare a sua volta cospicue somme a privati a tassi più elevati, ma più spesso raggiungeva l ’obiettivo mini
mo, cioè quello di evitare le smobilitazione di parte del proprio capitale immobile produttivo.
Naturalmente si verificava il caso anche di monasteri che non era
Naturalmente si verificava il caso anche di monasteri che non era