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consapevolezza della culturalità e ricadute penalistiche

Nel documento IL DIRITTO DEI BENI CULTURALI (pagine 52-72)

1. Cultural heritage v. cultural property: le ragioni di una nozione bilanciata di bene culturale

L’intrinseca vaghezza e polisemia che caratterizza le nozioni di cultural heritage e movable cultural property ha generato confusioni e criticità in tema di tutela del patrimonio culturale. Spesso estenuante, a tratti insuperabile, si è presentato il problema definitorio1 del bene culturale, oggetto di dibattito

1 Sul problema definitorio, senza pretesa di completezza, J. Blake, On Defining the Cultural Heritage, in «International and Comparative Law Quarterly», vol. 49, 2000, n. 1, pp. 61-85; G.P. Demuro, Una proposta di riforma dei reati contro i beni culturali, in «Riv. it. dir. proc. pen.», 2002, n. 4, pp. 1358-1369; C. Forrest, International Law and the Protection of Cultural Heritage, Routledge, 2011, Londra, p. 168 e ss.; Id., Cultural Heritage as the Common Heritage of Humankind: A Critical Reevaluation, in

«The Comparative and International Law Journal of Southern Africa», Vol. 40, 2007, n.

1, pp. 124-151; F. Francioni, A Dynamic Evolution of Concept of Scope: From Cultural Property to Cultural Heritage, in A.A. Yusuf, Standard Setting in UNESCO, vol. I, Normative Action in Education, Science and Culture, Leida-Paris 2007, pp. 221-236; M.

Frigo, Cultural property v. cultural heritage: A “battle of concepts” in international law?, in «International Review of the Red Cross», Vol. 86, 2004, n. 854, pp. 367-378; M.S.

Giannini, I beni culturali, in «Riv. trim. dir. pubbl.», 1976, p. 3-38; A. Massaro, Illecita esportazione di cose di interesse artistico: la nozione sostanziale di bene culturale e le modifiche introdotte dalla legge n. 124 del 2017, in «Dir. pen. cont. – Riv. trim.», 2018, n. 5, p. 111-128; J.H. Merryman, “Protection” of the Cultural “Heritage”, in «The American Journal of Comparative Law», vol. 38, 1990, pp. 513-522; G. Pitruzzella, La nozione di bene culturale (artt. 1, 2, 3 e 4 d.lg. 490/1999), in «Aedon», 2000; L.V. Prott – P. O’Keefe,

‘Cultural Heritage’ or ‘Cultural Property’, in «International Journal of Cultural Property», vol. 1 , n. 2, 1992, pp. 307-320; G. Sciullo, I beni, in Diritto e gestione dei beni culturali, a cura di C. Barbati – M. Cammelli – G. Sciullo, il Mulino, 2011, Bologna, pp. 21-52; T. Scovazzi, La notion de patrimoine culturel de l’humanité dans les instruments internationaux, in The Cultural Heritage of Mankind, a cura di J.A.R. Nafziger – T.

Scovazzi, Brill-Nijhoff, 2008, Leida-Boston, pp. 3-144; A. Visconti, La tutela penale del patrimonio culturale mobile: esigenze di riforma alla luce degli impulsi internazionali, in Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale: un’analisi di diritto interno, comparato e internazionale, Giuffrè, 2015, Milano, pp. 137-184, spec. pp. 137-153.

* Università degli Studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli�

F. Di Bonito

e di riserve durante il processo di elaborazione del sistema di tutela penale del patrimonio culturale, soprattutto in ambito internazionale.

La ragione è intuibile: l’indiscriminata estensione dell’ambito di applicazione della nozione di bene culturale trascina con sé una conseguente indiscriminata estensione di tutti gli ambiti di tutela, compresa l’area del penalmente rilevante. È naturale, dunque, che il profilo definitorio sia stato il primo problema ad aver impegnato gli Stati all’atto della stipula delle più importati convenzioni internazionali.

Tralasciando, per il momento, il dibattito sorto sulla definizione di bene culturale, si intende evidenziare, allo stato, che la predetta incontrollata espansione della penalità assume maggior pregnanza e desta ancor più allarme in un periodo storico caratterizzato dall’utilizzo irrefrenabile del diritto penale. È accaduto, infatti, che questo legislatore si sia (giustamente) interessato alla tutela penale dei beni culturali, ma non con l’obiettivo di rafforzare e migliorare la tutela penale già esistente, bensì con quello di ampliare pericolosamente il novero delle condotte penalmente rilevanti2.

In tutte le proposte di riforma avanzate – e puntualmente arenatesi – il problema definitorio ha rappresentato lo sfondo per interventi nel senso della creazione di nuove fattispecie incriminatrici, della revisione delle cornici edittali e della corresponsabilizzazione dell’ente. Pertanto, il ricorso ad espressioni generiche e locuzioni suscettibili di interpretazione estensiva, che rischiano di sconfinare nel campo minato dell’analogia, richiamano il penalista al compito di contenere l’espansione ‘istrionica’ del diritto penale.

Guardando alla normativa interna ed internazionale, “patrimonio nazionale”, “antichità e belle arti”, “patrimonio storico-artistico”,

“patrimonio culturale”, “bene culturale”, “cultural heritage” e “cultural property” costituiscono solo alcune delle molteplici espressioni adottate negli atti interni e nei documenti internazionali. Un tale affastellamento ha ingenerato incomprensioni e sovrapposizioni che hanno richiesto appositi interventi regolativi e specifiche interpretazioni giurisprudenziali, adottati anche con l’obiettivo di assecondare l’abbandono di una concezione conservativa di bene culturale per aprirsi ad un sentimento di fruibilità universalmente condivisa dell’elemento culturale. Una nozione, come si vedrà, in costante evoluzione, il cui ambito applicativo necessita di continue ‘puntellature’, perché espressiva di una naturale commistione tra aspetti particolaristico-identitari di una determinata nazione e aspetti

2 Il riferimento è ai discutibili disegni di legge che si sono alternati in materia di reati contro il patrimonio culturale, su tutti il d.d.l. A.C. 4220, sul quale si rimanda alla dettagliata audizione alla Camera di Manacorda, 4 maggio 2017, reperibile su www.

camera.it, pp. 3, 14-15.

Il problema definitorio del «bene culturale» tra ‘reale’ e ‘dichiarato’

universalmente condivisi da tutti i popoli e i Paesi. Questa commistione tra profili identitari e profili universali consegna un concetto di bene culturale quantomai intuitivo e sfuggente3, che ha preteso l’impiego di una pluralità di disposizioni definitorie, finalizzate a individuare i specifici beni oggetto di regolamentazione, ora per mezzo di onnicomprensive formulazioni, ora attraverso disposizioni particolareggiate4.

Che si voglia discorrere di cultural property o cultural heritage, bisogna comunque constatare un tratto comune: questa tutela afferisce a beni percepiti come tra i più rilevanti interessi della comunità universale, in cui la materialità della cosa si fonde con la sua culturalità5, dando vita a ciò che giuridicamente viene riconosciuto come un bene collettivo o a titolarità diffusa6.

L’obiettivo di un breve contributo non può essere l’individuazione dell’esatta nozione di «bene culturale» dalla pletora di definizioni astrattamente ipotizzabili, né possono essere individuate con precisione le coordinate ermeneutiche che dovrebbero guidare l’interprete verso l’accoglimento dell’una o dell’altra nozione.

Dopo un doveroso excursus sulle origini del sintagma (par. 2), l’analisi prenderà le mosse dalla dicotomia tra bene culturale “reale” e bene culturale

“dichiarato” (par. 3). L’accento verrà poi posto sulle possibili strade, legislative e giurisprudenziali, da percorrere per contenere l’espansione straripante della penalità, convalidando le soluzioni che sembrano più rispettose dei principi penalistici (par. 4 e 5).

3 Forrest, International Law and the Protection of Cultural Heritage, cit., p. 1 e ss.

4 Scovazzi, La notion de patrimoine culturel de l’humanité dans les instruments internationaux, cit., p. 3 e ss.; Visconti, La tutela penale del patrimonio culturale mobile:

esigenze di riforma alla luce degli impulsi internazionali, cit., p. 137.

5 È ancora fondamentale la configurazione unitaria dei beni culturali elaborata da Giannini, I beni culturali, cit. L’illustre A. prende le mosse dalla distinzione fra cosa e bene giuridico, vale a dire tra un’entità che forma parte del mondo fisico o dello spirito e la sua attitudine a soddisfare un interesse umano (e quindi a essere qualificata e disciplinata dal diritto). La cosa che costituisce il supporto del bene culturale è oggetto di una doppia qualificazione giuridica: in quanto possibile oggetto di interessi economici - e quindi di diritti reali o obbligatori - essa è bene patrimoniale, come tale disciplinata dalle norme dettate dal codice civile o di carattere speciale in tema di diritti patrimoniali; in quanto portatrice di un «valore culturale», rilevabile da chiunque o accertato in sede di individuazione, è bene culturale, come tale assoggettata alle norme contenute (fondamentalmente) nel codice dei beni culturali, che conferiscono al potere pubblico delle potestà concernenti non l’utilizzazione patrimoniale della cosa, ma la sua conservazione alla cultura e la «fruibilità nell’universo culturale».

6 In questi termini, V. Manes, La tutela penale, in Diritto e gestione dei beni culturali, cit., pp. 289-312, spec. p. 291.

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2. Da L’Aia a Nicosia: il bene culturale nel diritto sovranazionale

Il sentimento di protezione del patrimonio comune a tutta l’umanità scaturisce dagli sconvolgimenti della prima metà del XX secolo, momento storico in cui il rapporto simbiotico tra essere umano e territorio viene bruscamente alterato. È dapprima l’ambiente internazionale a sentire forte la pressione di danni irreparabili al patrimonio mondiale culturale e naturale, contestualmente alla presa di coscienza dell’inestimabile valore, ad un tempo identitario e universale7, di tutte le manifestazioni materiali ed immateriali che hanno subito distruzioni, saccheggi e dispersioni nel corso dei due conflitti mondiali. In un simile contesto, il traffico illecito di beni culturali aveva trovato terreno fertile, in considerazione della semplicità con cui si poteva entrare in possesso di beni, molto preziosi, appartenenti a musei o altre istituzioni8.

Nel seguire l’ordine cronologico dei documenti normativi internazionali, il punto di partenza può essere individuato nella Hague Convention for the Protection of Cultural Property in the Event of Armed Conflict, firmata a L’Aia il 14 maggio 1954, entrata in vigore il 7 agosto 1956, come reazione agli atti di barbarie commessi durante la seconda guerra mondiale9. È la prima volta che viene impiegata la locuzione «cultural property», che trova una compiuta, seppur embrionale, definizione all’interno di un intero articolo (non a caso, il primo)10. Si tratta di un accordo che, insieme ai

7 Il rapporto viscerale tra beni culturali e identità delle nazioni ha trovato diverse conferme nel corso della storia. Spesso, infatti, la distruzione di importanti beni culturali è stata propagandata come un segno di rivoluzione, di indipendenza o di rovesciamento degli equilibri di potere; ne sono un esempio la distruzione della biblioteca di Sarajevo o la devastazione dei templi di Bel e Baalshamin nel sito archeologico di Palmira da parte dell’ISIS. Sul punto, S. Manacorda, Criminal Law Protection of Cultural Heritage:

An International Perspective, in Crime in Art and Antiquities World, a cura di Id. e D.

Chappell, Springer, 2011, New York, pp. 17-50, p. 23.

8 Un affresco delle conseguenze di queste azioni in A. Chechi, The Gurlitt Hoard: An Appraisal of the Role of International Law with Respect to Nazi-Looted Art, in The Italian Yearbook of International Law Online, Brill-Nijhoff, 2014, Leida-Boston, vol. 23 – n. 1, pp. 199-217.

9 Sulla Convenzione dell’Aia ed in tema di beni culturali minaccati da conflitti, J.

Toman, The Protection of Cultural Property in the Event of Armed Conflict: commentary on the Convention for the Protection of Cultural Property in the Event of Armed Conflict and its Protocol, signed on 14 May 1954 in The Hague, and on other instruments of international law concerning such protection, Routledge, 1996, Londra.

10 L’art. 1 della Convenzione definisce così il bene culturale: «The term ‘cultural property’

shall cover, irrespective of origin or ownership:

(a) movable or immovable property of great importance to the cultural heritage of every

Il problema definitorio del «bene culturale» tra ‘reale’ e ‘dichiarato’

suoi due Protocolli, rappresenta il primo sforzo verso una protezione internazionale dei beni culturali11, con un limitato utilizzo anche dello strumento penale12. Nella Convenzione, in particolare, il bene culturale viene individuato sulla base di un sistema normativo composito, che prevede una protezione generale ai beni (mobili e immobili) «di grande importanza per il patrimonio culturale di ogni popolo», cui si combina una protezione speciale: questa protezione, cioè, può funziona solo a condizione che i predetti beni di grande importanza siano stati registrati nel «Registro internazionale dei beni culturali sotto protezione speciale»13.

La Convenzione de L’Aia segna, dunque, il passaggio da una profonda insensibilità, la cui massima espressione si era verificata nel corso dei due conflitti mondiali, alla presa di consapevolezza dell’importanza della conservazione e fruibilità del patrimonio mondiale comune. Dopo l’accordo dell’Aia, questo sentimento di protezione diviene sempre più sentito e

people, such as monuments of architecture, art or history, whether religious or secular;

archaeological sites; groups of buildings which, as a whole, are of historical or artistic interest; works of art; manuscripts, books and other objects of artistic, historical or archaeological interest; as well as scientific collections and important collections of books or archives or of reproductions of the property defined above;

(b) buildings whose main and effective purpose is to preserve or exhibit the movable cultural property defined in sub-paragraph (a) such as museums, large libraries and depositories of archives, and refuges intended to shelter, in the event of armed conflict, the movable cultural property defined in sub-paragraph (a);

(c) centers containing a large amount of cultural property as defined in sub-paragraphs (a) and (b), to be known as ‘centers containing monuments’».

11 Per un’esaustiva ricostruzione di tutti i passaggi sovranazionali in tema di tutela penale dei beni culturali, v. Manacorda, Criminal Law Protection of Cultural Heritage:

An International Perspective, cit., pp. 17-50, sulla Convenzione dell’Aia, spec. p. 25 e ss.; v. anche, di recente, A. Chechi, Fighting and preventing offences relating to cultural property: existing rules and proposals for functioning regulatory systems, in Act for Heritage!

Promoting the Council of Europe Convention on Offences relating to Cultural Property, within governments and civil society, Atti del convegno (Nicosia 24-26 ottobre 2019), Council of Europe, 2019, Nicosia.

12 Trattandosi di un primo tentativo di contrasto ai crimini contro i beni culturali, gli obblighi di criminalizzazione previsti da questa Convenzione sono molto vaghi, limitati a vincolare gli Stati ad «impedire l’esportazione» o a «prendere in custodia i beni culturali importati nel proprio territorio». A tal riguardo, cfr. Cap. II, art. 8, par. 6, della Convenzione: «Special protection is granted to cultural property by its entry in the

‘International Register of Cultural Property under Special Protection’. This entry shall only be made, in accordance with the provisions of the present Convention and under the conditions provided for in the Regulations for the execution of the Convention».

13 Sui problemi relativi alla registrazione di questi beni, v. Toman, The Protection of Cultural Property in the Event of Armed Conflict, cit., pp. 108-109.

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condiviso, anche grazie alla spinta delle organizzazioni internazionali e delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite (rispettivamente UNIDROIT e UNESCO).

Sulla scia di questa palingenesi collettiva, vengono alla luce una serie di documenti internazionali con un uso sempre più crescente della locuzione

«cultural property». In tutti questi documenti, tuttavia, non si avverte la necessità di specificare il concetto, quanto piuttosto quella di rafforzare la tutela di beni esposti a pericolo nel periodo della Ricostruzione; né è un esempio la UNESCO Recommendation concerning the Preservation of Cultural Property Endangered by Public or Private Works, in cui non si fornisce una definizione di cultural property, ma si invitano gli Stati membri ad adottare nuovi reati relativi alla distruzione, al danneggiamento e al deterioramento del patrimonio culturale a seguito di lavori pubblici o privati14.

Si giunge così al documento che rappresenta il “cambio di marcia” nella tutela internazionale dei beni culturali. Il 14 novembre 1970 viene firmata a Parigi la Convenzione Unesco concernente le misure da adottare per vietare e interdire l’illecita importazione e trasferimento di proprietà dei beni culturali15, ancora oggi pietra miliare nella campagna contro il traffico illecito di beni culturali16. La Convenzione di Parigi deve essere riconosciuta come una vera e propria forza trainante, anche sul versante definitorio del bene culturale. Il problema dell’individuazione dell’esatta nozione di bene culturale, infatti, ha rappresentato il primo nodo da sciogliere da parte degli Stati nella fase di redazione delle singole disposizioni. La particolare tecnica redazionale adottata dalla Convenzione per la definizione di cultural property è riuscita a colmare il divario tra le due opposte istanze portate avanti dagli Stati17. Protagonisti della diatriba, da un canto, gli Stati appartenenti ai cc.dd.

market countries – Paesi più ricchi e, tendenzialmente, luogo di approdo del

14 Raccomandazione adottata alla quarantunesima riunione plenaria del 19 novembre 1968, che prevede al par. 27: «Member States should take steps to ensure that offences, through intent or negligence, against the preservation or salvage of cultural property endangered by public or private works are severely punished by their Penal Code, which should provide for fines or imprisonment or both».

15 La cui denominazione originale è UNESCO Convention on the Means of Prohibiting and Preventing the Illicit Import, Export and Transfer of Ownership of Cultural Property (da qui, Convenzione del 1970 o Convenzione di Parigi).

16 Sulla Convenzione del 1970, v. P.J. O’Keefe, Commentary on the UNESCO 1970 Convention, 2a ed., Institute of Art and Law, 2007, Crickadarn.

17 La ricostruzione di tutta la fase delle trattative è contenuta nel fondamentale lavoro di P.M. Bator, An Essay on the International Trade in Art, in «Stanford Law Review», vol.

34, 1982, n. 2, pp. 275-384.

Il problema definitorio del «bene culturale» tra ‘reale’ e ‘dichiarato’

bene culturale soggetto a traffico transnazionale – dall’altro, i cc.dd. source countries – Paesi che rappresentano “miniere” di beni culturali, tra cui figurano l’Italia e la Grecia18.

Come anticipato, l’adesione ad una nozione ampia di bene culturale, oltre ad estendere pericolosamente tutti gli ambiti di tutela, avrebbe implicato anche maggiori restrizioni e controlli sul mercato dell’arte e delle antichità. La plausibile conseguenza sarebbe stata una consistente diminuzione del volume di affari, a causa delle strategie difensive adottate dagli attori del mercato, che avrebbero temuto le conseguenze di acquisti avventati. D’altra parte, se è vero che una nozione più ristretta di beni culturali avrebbe avuto un’influenza meno negativa sul mercato lecito dell’arte, allo stesso tempo essa non avrebbe coperto tutte le condotte meritevoli di sanzione, soprattutto penale, favorendo il mercato illecito.

Poste queste premesse, non è difficile immaginare perché gli Stati importatori (market countries) si siano apertamente schierati contro una nozione ampia di bene culturale19, contrastati dai Paesi-fonte, che si sono espressi a favore di una nozione onnicomprensiva e molto dettagliata20.

Analizzando attentamente il primo articolo della Convenzione UNESCO del 1970, si può notare l’utilizzo di una doppia tecnica di redazione: viene prima redatta una nozione generale di beni culturali, per poi compendiare tutti i possibili beni culturali in un apposito catalogo.

Con questa tecnica, in sostanza, la Convenzione ha fornito una regola di carattere generale – secondo cui «the term “cultural property” means property which, on religious or secular grounds, is specifically designated by each state as being of importance for archaeology, prehistory, history, literature, art or science […]» – che copre la gran parte dei beni culturali immaginabili, salvo poi

18 Sulle due opposte tendenze, v. gli scritti contenuti in F. Desmarais (a cura di), Countering Illicit Traffic in Cultural Goods. The Global Challenge of Protecting the World’s Heritage, icom, 2015, Perpignano.

19 A questo proposito, è sufficiente citare le espressioni adottate dal Giappone e dagli Stati Uniti in risposta al Preliminary Draft della Convenzione UNESCO (doc. SHC/

MD/3, Parigi, 8 agosto 1969). Il Giappone riteneva che: «The definition of the term

“cultural property” adopted for the purpose of this convention should be re-examined and adjusted, since some of the items are ambiguous and the coverage of the term

“cultural property” itself is too wide». Sulla stessa linea, gli Stati Uniti ritenevano che:

«The definitions in Article 1 are not only too encompassing but also, in several cases, vague and ambiguous».

20 Leggendo le risposte al Preliminary Draft della Convenzione, Cecoslovacchia, Italia, Messico, Romania, Turchia e Ucraina si sono dichiarati favorevole all’adozione di una nozione ampia. In alcuni casi, alcuni paesi hanno finanche richiesto un’estensione del catalogo ad altri beni non inclusi in precedenza, come fotografie di alto valore e archivi musicali.

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integrare la definizione con un elenco puntato, specificando che questi beni devono comunque rientrare nelle categorie previste21.

Ricucire lo strappo tra istanze liberiste ed esigenze di criminalizzazione è valso alla Convenzione un largo apprezzamento e riconoscimento a livello internazionale22. La nozione è quindi sembrata un buon compromesso ed è stata adottata in tutti gli atti internazionali successivi. La si ritrova nella UNIDROIT Convention on Stolen or Illegally Exported Cultural Objects, firmata a Roma nel 1995, ed anche a livello regionale nella Council of Europe Convention on Offences relating to Cultural Property, firmata a Nicosia nel 201723. Non va sottaciuto, a questo riguardo, che proprio il grande successo

21 Art. 1: «[…] and which belongs to the following categories:

(a) Rare collections and specimens of fauna, flora, minerals and anatomy, and objects of palaeontological interest;

(b) property relating to history, including the history of science and technology and military and social history, to the life of national leaders, thinkers, scientists and artists

(b) property relating to history, including the history of science and technology and military and social history, to the life of national leaders, thinkers, scientists and artists

Nel documento IL DIRITTO DEI BENI CULTURALI (pagine 52-72)