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gli fosse consegnato, lo aveva aiutato a fuggire a Venezia; da Venezia l’Aretino gli inviava le sue composizioni in cambio di ricche regalie,

Nel documento LAMENTI DI ROMA 1527 (pagine 162-165)

pro-mettendo di scrivere un poema dinastico mantovano, come aveva fatto

l’Ariosto per gli Este con il Furioso; ma nel ’31 ci fu una rottura per cause

che non sono state charite.

[1]. l’arcivescovo Cornaro: a questa data l’unico membro della nobile e

ricchissima famiglia veneziana dei Cornaro o Corner (che diede alla chiesa

una pingue schiera di prelati) che fosse insignito del pastorale risulta essere

Andrea, che entrò nell’arcidiocesi di Spalato nel 1527, ma che deve esserne

stato investito assai prima (la sede era vacante dal 1524); messer... Quindi:

con alcuni dei più caratteristici vezzi lessicali della maniera petrarchevole

l’autore allude al Petrarca medesimo; e il passo consuona con i più

caratteri-stici spunti di polemica antipetrarchesca che l’Aretino sparse di gusto nella

sua opera e massime con il prologo della Cortigiana A (pp. 35 e 37) e del

Marescalco 5-6; poeti que pars est: è anche questa una locuzione ereditata

dal prologo della Cortigiana A (p. 35), buffonescamente dedotta – come ha

ben mostrato Innamorati (p. 137, n. 41) – da una vulgata grammatichetta

latina, la Ianua o Donatello, che didascalicamente interrogava: «Poeta, quae

pars est?» (‘Poeta, che parte [del discorso] è?’); lo spunto, tuttavia, era

prea-retiniano, atteso che risale almeno a Pasquinate 128 9-11: «Nominativo: hic

poeta e ’l matto, / el Donato moderno così dice, / che mutato ha l’antico

senno affatto», dove il poeta è l’abate Cosimo Baraballo da Gaeta, laureato

per beffa in Campidoglio il 27 settembre 1514; l’Aretino se ne appropriò e

lo ritemprò a suo modo facendone una delle divise più fortunate del suo

gergo irriverente (cfr. anche Frottola 440-441; Copia di una lettera, in

Pro-nostico, p. 156; Cortigiana B prol. 3, in Teatro, p. 98; Capitolo al re di

Francia 30; Lettere 1 26, p. 37, e 2 51, p. 313 ecc.); la locuzione ritorna –

derivata dall’Aretino? – nel Dialogo contra i poeti del Berni, con il corretto

rinvio – appunto – al Donatello (Berni, p. 281).

[2]. bona robba: locuzione familiare – o triviale senz’altro – con cui si

de-signava una femmina disponibile: già pasquinesca (cfr. Pasquinate 267

5-6), è frequentatissima dall’Aretino (qualche occorrenza a caso: Cortigiana

A 1 14, p. 50, e 3 6, p. 89; madrigale Per tutto l’or del mondo, v. 14;

Prono-stico, p. 25; Cortigiana B 2 19 2, in Teatro, p. 144; Sei giornate, pp. 118,

172, 180, 215, 257, 317; Orlandino 1 107); coda mundi: coda del mondo: la

trovata (che rovescia il caput mundi, attributo classico di Roma) risale

al-meno al Boccaccio (Decam. 5 3 4) e ritorna in Pronostico, pp. 29 e 155; Sei

giornate, p. 221; Cortigiana B 1 1 1, in Teatro, p. 101.

Commento

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[4]. Cartagine... Ierusalem... Troia: il solito armamentario stereoripato di

raffronti; ci sono... che uomeni: intende le innumerevoli profanazioni di

luoghi e oggetti sacri e sevizie di persone religiose che si verificarono

du-rante il sacco; amico... Chiesa: ufficialmente il marchese era capitano

gene-rale della Chiesa e dei Fiorentini, di fatto si limitava a intascare i lauti

pro-venti della carica, guardandosi bene dal “cavalcare” (dallo scendere in

cam-po) e comportandosi, in pratica, da neutrale, senza precludersi segreti e

pro-ficui maneggi con gli imperiali; così nel 1526 non solo aveva concesso ai

lanzi libero passaggio per il Mantovano, ma aveva fornito loro un buon

nu-mero di barche per passare il Po, mentre poneva seri ostacoli alle operazioni

dell’esercito della Lega e specie a Giovanni de’ Medici (che lo derideva

co-me capitano di paglia); quando, dopo il Sacco, non potrà esico-mersi

dall’ade-rire formalmente alla lega antimperiale, non deporrà per ciò la sua poco

no-bile doppiezza, affrettandosi nel contempo a garantire la sua immutata

fe-deltà cesarea (e ne ricaverà il titolo di duca nel 1530); suo fratello Ferrante e

altri minori congiunti avevano addirittura partecipato al sacco, alla testa di

feroci manipoli, giungendo in tempo per proteggere dalle orde dei

sacco-manni la madre, Isabella d’Este, rimasta intrappolata a Roma, e a combinare

qualche lucroso affaruccio (cfr. Frottola 568-570); la doppiezza dei

Gonza-ga è larGonza-gamente documentata in Luzio 1908.

1-2. quella terribil tromba... il pianto: la tragica virtù poetica di Virgilio,

che nel II dell’Eneide aveva cantato la caduta di Troia; anche il Casio apre

la sua canzone invocando Virgilio («Se d’Omero e Vergilio avesse il

sti-le...») e aggiunge, per soprammercato, Apollo e i «primi tre toschi» (vv.

1-3); la rima tromba : rimbomba (vv. 1-5), già in Inf. 6 94-99 e Petr. RVF 187

3-7, ripullulerà negli scritti in versi dell’Aretino; qualche esempio a caso:

Epistola: Italia al re di Francia 95-99: Ternali in gloria di Giulio III 1

104-108; Orazia prol. 16-17.

8-9. ch’era... serva e doma: in Sei giornate, p. 220, il “barone romanesco”

prometterà alla tenera regina: «io ti narrarò come la imperadrice del mondo

diventò serva di gli Spagnuoli»; l’antitesi regina / serva ritorna in Casio

7-10: «[...] cantar sì come Roma, / già trionfante e del mondo regina, / fatta

serva e meschina / da barbar sia e italian crudeli»; Roma regina del mondo

è, ovviamente, apposizione vulgatissima; cfr., per esempio, Pasquinate, 143

85-86, 210 1-3, 269 25; Orazia 2 461-462 ecc.; doma: la rima Roma : doma

(e persino il nesso parasintattico Roma doma) ricorre fittamente negli scritti

aretiniani: Frottola 159, son. La non più bella Italia 11-13, ottave In laude

di Venezia 3 7-8, Epistola: Italia al re di Francia 227-229, Frottola di

Pa-Commento

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squino 53-54 e 242; la iunctura «serva e doma» ancora nel son. La non più

bella Italia 13.

10-13. Troia... Cartagine... Ierusalem: per i riscontri vedi nota a Successo

12 5-6.

15-16. Il dì sesto... e crudo: la puntuale datazione era di norma nella poesia

narrativa; così attacca il Casio la seconda strofa: «Nel ventisette e mille e

cinquecento, / di maggio il giorno sesto, / fu lo infelice, orrendo e flebil

ca-so [...]» (vv. 12-14; si apprezzi il ritorno degli aggettivi infelice e orrendo);

e vedi Berni, Innamorato 1 14 24 1-2, Romae lamentatio 32 ecc.; crudo:

‘crudele’.

18. drento: dentro, per metatesi.

21. in man dei cani: prestito da Petr. Trimph. Fam. 2 144.

22. donna: nella valenza etimologica di domina (‘signora’), frequente nella

tradizione poetica illustre.

23. inerme... d’armi: cfr. Epistola: Italia al re di Francia 144

(«poverissi-ma d’arme e di consigli»).

29. suo: suoi (forma invariabile toscana di possessivo).

34. languir facea le pietre: il soggetto è ancora madonna/Roma, come del

successivo vidde (v. 35), nonché della serie di vidde della quarta strofa; la

locuzione si può confrontare con Sei giornate, p. 222: «il cordoglio era a

udire i mariti che, fatti rossi dal sangue che gli usciva da le ferite,

chiama-vano le mogli perdute con una voce da far piangere quel sasso di marmo del

Coliseo il quale si atiene senza calcina»; e ancora con Angelica 2 67 6; in

senso ironico, cfr. anche la lettera a Giovanni de’ Medici del [15 febbraio]

1524, in Romei 2007, p. 47.

35-42. Vidde... sepolto: spiccate affinità in Angelica 2 37 1-5: «Il mio nido

arse e uccisemi il fratello / su gli occhi al padre, e la madre infelice / dinanzi

al figlio, e passò d’un coltello / in grembo a me, semplice traditrice, / chi

l’esser diemmi»; il furibondo Marte: la furia dei soldati (già nella

“dispera-ta” Vego già preparar dell’Opera nova, v. 83); la rima squadre : padre in

Orazia prol. 29-30; martíre: tormento; terrefatta: atterrita.

43-45. Vidde... il coltell’empio: «Pensate che cordoglio era de quelle

pove-re gentildonne romane vedersi nanti li occhi amazarse il marito, fratelli et

figlioli et non poterli aiutar, et quod peius est, che ancor loro in quello

istan-te erano amazaistan-te» (letistan-tera di tale Scipion Ari... da Urbino, 20 maggio 1527,

in Sanudo XLV, col. 187); acceso: ‘innamorato’.

46-48. vidde... essempio: «Et uno gentiluomo romano, non havendo tempo

di salvare doe sue figliole vergini, tutte due con le sue mani le ha scanate;

Commento

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alché sopravenendo todeschi, esso insieme hanno morto» (lettera di Aurelio

Nel documento LAMENTI DI ROMA 1527 (pagine 162-165)