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Le conseguenze nelle politiche linguistiche in seguito alla rivoluzione del

Gli sconvolgimenti politici generati dalla morte di Moḥamed Bū ‘azīzī, immolato il 17 dicembre 2010 a Sidi Bouzid, città della Tunisia centrale, hanno provocato in gran parte dei paesi arabi un ribaltamento dei regimi autoritari allora in carica. La Tunisia, con la Rivoluzione dei Gelsomini, ha il merito di avere squarciato per prima il velo di Maya che per troppi anni aveva oscurato la vista del popolo tunisino, generando una serie di moti rivoluzionari che dal Marocco sono arrivati fino alla penisola arabica.

Innumerevoli pagine sono state scritte sui moti rivoluzionari rinominati dalla stampa occidentale come Primavera araba. Non si ha l’ambizione di entrare nel merito delle ragioni e delle modalità dei moti rivoluzionari in maniera approfondita, ma si cercherà solamente di analizzare il fenomeno rivoluzionario in Tunisia considerando la posizione della questione linguistica in tale contesto cercando di individuare quali conseguenze abbia causato la Rivoluzione sulle politiche linguistiche del paese.

La questione della lingua in tempi di cambiamento politico si ricollega inevitabilmente al processo di costruzione identitaria in cui la lingua è considerata componente fondante ed è utilizzata come arma propagandistica alla stregua di altri fattori di carattere socio-culturale, quali possono essere le appartenenze etniche o religiose. In un paese democratico almeno sul piano teorico, la valenza politica dell’elemento linguistico risulta di maggiore importanza nel momento in cui le lingue diventano dei veicoli grazie ai quali è possibile accedere a specifiche risorse sociali a prescindere dalle diverse appartenenze religiose ed etniche costituzionalmente riconosciute e rispettate. Il fil rouge costituito dal fattore linguistico accomuna il principio di rivendicazione identitaria e la possibilità d’accesso alle risorse nell’ambito delle motivazioni che hanno spinto gran parte della popolazione tunisina a scendere in piazza spinta dalla pretesa del cambiamento di un sistema corrotto e illiberale. Se da un lato l’ineguaglianza nella distribuzione dei beni e l’ineguaglianza nell’accesso alle risorse sono state le cause primarie dello scoppio delle rivolte nella regione tunisina, dall’altro si è potuto osservare come la volontà e la richiesta di apertura politica hanno dato spazio al ripensamento e alla rinegoziazione di un’identità che deve avere come prerogativa massima la sua aderenza alla realtà e alla pratica sociale cercando di evitare effimere operazioni simboliche sponsorizzate dalle élites politiche. Di conseguenza, laddove la possibilità di accedere alle conoscenze e di sviluppare abilità linguistiche in una determinata lingua, viene negata, limitata, svalorizzata, la libertà dell’individuo ad accedere in precise sfere della vita sociale è fortemente influenzata, ridotta e la completa realizzazione nella vita sociale dell’individuo non è rispettata. La funzione divulgatrice della lingua

crea legittime giustificazioni che mirano al riconoscimento di ogni lingua, lingua ufficiale o minoranza linguistica, che permette ad ogni individuo l’accesso alla vita sociale in una posizione primaria. 61 Applicando questo concetto nel contesto tunisino postrivoluzionario si osserva una chiara incongruenza basata sulla discordanza tra le direttive imposte dall’alto e le effettive pratiche linguistiche che genera una situazione di ineguaglianza in cui la possibilità d’accesso a determinate risorse risulta essere la cartina al tornasole. In particolare, è evidente come il mancato riconoscimento di alcune varietà linguistiche e dunque l’assenza di esse all’interno dei programmi scolastici, ponga in una situazione di assoluto svantaggio coloro i quali posseggano le competenze linguistiche attive e passive esclusivamente in quegli idiomi. In particolare, all’interno del contesto dello sviluppo educativo, l’UNESCO ha definito come “assiomatico” il fatto che la lingua madre sia la lingua più adatta per l’alfabetizzazione e lo studio per gli individui, il mezzo d’istruzione che permette di raggiungere i benefici pedagogici stabiliti62, necessari in età adulta all’ottenimento del maggior numero di opportunità di vita offerte dalla società.

All’interno di questo capitolo si cercherà di esaminare l’evoluzione del dibattito e delle effettive modifiche in merito alla pianificazione linguistica prendendo in considerazione le differenti varietà singolarmente ad eccezione di un caso. Si è scelto di valutare solamente le peculiarità degli idiomi che in termini di numero di locutori risultano più numerosi come l’arabo tunisino e il francese e di quelle varietà come l’arabo classico, l’inglese e il Tamazight che, nonostante non rappresentino la lingua madre per un numero di individui considerevole, occupano oggigiorno un ruolo importante nel panorama tunisino.

Sarà inoltre inevitabile non tralasciare i rapporti e le condizioni di complementarietà o subordinazione che le varietà linguistiche hanno tra di loro come ad esempio accade con la situazione di diglossia, presente in Tunisia così come negli altri paesi arabi, la quale secondo la definizione di Ferguson, due codici linguistici riconducibili alla stessa origine filologica possiedono due diverse funzioni comunicative e ai quali vengono dunque assegnate due associazioni identitarie dissimili. Secondo il modello di Ferguson l’arabo standard o ancora meglio l’arabo classico, costituisce la varietà alta, la lingua standardizzata, formale, prevalentemente utilizzata sotto forma scritta, raramente impiegata in

61 De Schutter Helder, “The Liberal Linguistic Turn: Kymlicka’s Freedom Account Revisited”, Dve

domovini//Two Homelands, no.44 (2016), pp.51-65.

62 Robinson Clinton e Hogan-Brun Gabrielle, “UNESCO and Language Policy and Planning”, The

forma orale non costituendo la lingua madre per nessun individuo.63 Al contrario, l’arabo tunisino, dialetto tunisino, derja o chelha, rappresenta la varietà bassa, è la lingua delle interazioni quotidiane, familiari, inutilizzata in contesti pubblici sotto forma di lingua scritta. Il modello iniziale di Ferguson, brevemente sunto nelle righe precedenti, non può tuttavia considerarsi del tutto esauriente a causa dell’eccessiva enfasi posta sull’elemento dicotomico e sulla stabilità dei due codici linguistici e sulla mancanza di attenzione verso le frequenti variazioni nei codici nei processi comunicativi all’interno di contesti sociali multilinguistici.64

L’altro fenomeno linguistico che bisogna tenere in considerazione è proprio una delle tipologie di variazione linguistica riscontrabili in Tunisia, il code-switching, definito da Van Herk con le seguenti parole:

“A common occurrence in bilingual and multilingual communities, codeswitching refers to instances in which people alternate between at least two languages or language varieties in a single conversation (Across sentences or clause boundaries). Sometimes called code-mixing.”65

Il fenomeno del code-switching è attualmente molto diffuso in Tunisia e si può considerare una naturale conseguenza delle diverse politiche linguistiche attuate nel corso degli anni che hanno creato un quadro sociolinguistico variegato e multilingue dove, a seconda delle classi sociali, a seconda delle generazioni, il livello di competenze di una o dell’altra lingua differisce e risulta necessario integrare prestiti francesi in un discorso iniziato in arabo e viceversa.

- Il dibattito sulla lingua: disuguaglianza delle possibilità e fattore identitario

L’analisi è rivolta alla comprensione di come le diverse correnti politiche si relazionano con il problema linguistico, cercando di individuare le modalità che collegano la preferenza ed il favoreggiamento di un codice linguistico a scapito di un altro. In particolare, si noterà come in nome

63 Ferguson Charles, “Diglossia”, Word, no.15 (1959), pp.325-340.

64 Lachman M. Khubchandani, “Diglossia Revisited”, Oceanic Linguistic Special Publications, no.20 (1985), pp.199-211.

65 Van Herk Gerard, What Is Sociolinguistics? Hoboken, New Jersey, Wiley-Blackwell, 2012, p.199.

di ragioni politico-identitarie, queste varietà linguistiche possono direttamente o indirettamente contribuire a generare un sistema sociale ricco di contraddizioni e disuguaglianze.

Il dibattito riguardo la manipolazione del panorama linguistico in Tunisia nel periodo a cavallo della rivoluzione si estende su vari livelli che precludono in ogni caso il concetto di inclusione ed esclusione che il favoreggiamento di una lingua sull’altra causa inevitabilmente generando differenze di classe giustificate da una politica elitaria.

Reem Bassiouney critica il fatto che nei momenti di sconvolgimenti politici avvenga un processo di inclusione-esclusione, affermando che lo stesso fenomeno linguistico è considerabile a priori come una risorsa parzialmente progettata e distribuita in modo ineguale, così come vale per la maggior parte delle risorse, dipendendo esse da fattori ideologici che non aderiscono in tutti i casi alla realtà.66 Bassiouney prosegue sostenendo che nei momenti di conflitto politico le ideologie linguistiche risultano motivate da cause in un qualche modo più aderenti alla realtà, rispecchiando una visione politica di una parte di individui che richiede un capovolgimento politico di un sistema che ha interrotto il collegamento diretto con la reale situazione del paese.67

Si potrebbe porre una critica a quest’ultima affermazione poiché non viene considerato l’impeto della dinamica del processo rivoluzionario che prevede in molti casi un cambiamento totale della concezione dell’apparato statale, generando idee, progetti, talvolta estremamente radicali, che risultano semplicemente in antitesi con quelle precedentemente in voga. Il medesimo meccanismo è quello che porta all’adesione di un’ideologia diversa da quella dell’autorità aderendo in toto alle scelte politiche di un’opposizione che fa leva sul sentimento di avversione dei cittadini nei confronti della maggioranza politica. La via del compromesso viene spesso dimenticata, considerata insufficiente al fine di invertire la rotta, lasciando spazio a visioni spesso stereotipate, ad immagini fisse che apparentemente inculcano sicurezza e speranza nell’animo del cittadino.

La Tunisia è il caso studio protagonista della ricerca, ma una notevole quantità di avvenimenti, sviluppi e caratteristiche sono applicabili, secondo ogni particolarità del caso, a molti dei paesi che hanno vissuto nello stesso periodo un processo di violenta transizione politica.

La situazione diglossica è infatti comune a tutti i paesi arabi così come il valore sociale dell’arabo standard di cui per esempio secondo Niloofar Haeri “gli egiziani sono custodi ma non possessori”, essendo la lingua del Corano, di tutti i musulmani, ma non la lingua padroneggiata da tutti gli egiziani,

66 Bassiouney Reem, Language and Identity in Modern Egypt, Edinburgh, Edinburgh University Press, 2014, pp.296-297.

nondimeno da tutti i cosiddetti arabi,68 tenendo in considerazione che l’equivalenza tra l’arabo coranico e l’arabo standard è puramente ideologica e convenzionale. Le due varietà, seppur simili, differiscono l’una dall’altra a vari livelli tra cui quello lessicale, dove l’arabo standard presenta molti lemmi moderni inesistenti nell’arabo coranico, nella pronuncia di parole o insiemi di parole, nell’uso di diversi termini a seconda di contesi diversi. 69Se però lo studio di alcuni fenomeni linguistici e sociolinguistici come la diglossia, la variazione diatopica, gli atteggiamenti linguistici dei parlanti nei paesi arabi sono materia d’interesse notevole in ambito accademico a partire dalla metà del secolo scorso, lo studio delle politiche linguistiche del periodo contemporaneo emerge come campo d’interesse solo negli ultimi anni a causa della precedente diffusa e presunta convinzione che la situazione nel periodo post-coloniale sia il risultato incondizionato dell’eredità del periodo coloniale e delle scelte intraprese all’indomani dell’indipendenza.70 A mio parere sarebbe più corretto affermare che lo studio e i riferimenti al passato coloniale sono importantissimi ed inevitabili, ma risulta altrettanto basilare analizzare con il medesimo interesse i processi politico-economici dell’epoca post-coloniale e post Primavera Araba se si intende comprendere a pieno le motivazioni per cui le autorità politiche in carica hanno optato e optano per una specifica politica linguistica di cui le istituzioni scolastiche costituiscono lo strumento più diretto.

Per quanto riguarda il nostro oggetto di studio, Nabiha Jerad parla di irreversibilità delle scelte che sono state prese nel periodo coloniale dal momento che quest’ultime non solo hanno determinato le pratiche linguistiche del paese, ma hanno influenzato il settore economico e dunque sociale della Tunisia.71

La teoria della Jerad appare superficiale perché non viene preso in causa un elemento che meriterebbe invece un posto di rilievo e cioè l’estrema complessità delle dinamiche politico-educative negli anni ’70, anni in cui lo stato-nazione tunisino inizia il suo vero e proprio consolidamento politico ed economico. Le riforme, i dibattiti, le pubblicazioni in questo periodo vedono spesso la lingua francese come protagonista o antagonista, ma un ruolo centrale è occupato dal conflitto linguistico generato dalla condizione diglossica della popolazione tunisina. La dinamicità del dibattito e le diverse riforme

68 Bassiouney Reem, cit in Language and Identity in Modern Egypt, Edinburgh, Edinburgh University Press, 2014, p.304.

69 https://www.arabacademy.com/quranic-arabic-vs-modern-standard-arabic/, visitato il 12/03/2020. 70 Jerad Nabiha, « La politique linguistique dans la Tunisie postcoloniale », Trames de langue,

Usages et métissages linguistiques dans l’histoire du Maghreb, Maisonneuve et Larose, Paris, 2004,

pp. 525-544. 71 Ibidem.

attuate nel corso degli ultimi quattro decenni consentono di ritenere che la politica linguistica tunisina contemporanea non sia solamente il risultato incondizionato degli stravolgimenti avvenuti in epoca coloniale e dei primi anni di indipendenza, ma sia il risultato sempre in divenire di una commistione di fattori in continua evoluzione come ad esempio le relazioni internazionali della Tunisia, in particolare con la Francia e i paesi arabi.

L’excursus storico proposto in precedenza dovrebbe essere utile per comprendere l’evoluzione del processo decisionale sulla questione linguistica in Tunisia parallelamente ad un sintetico studio delle cause e degli effetti che hanno contribuito alla formazione e al comportamento linguistico degli individui in primis su base generazionale e sociale.

Come si è descritto nel secondo capitolo, nel momento successivo alla proclamazione di Habib Bourguiba come presidente, il francese e le altre due lingue madri (arabo tunisino e Tamazight) presenti sul territorio sono state escluse ufficialmente dalla legislazione ufficiale del paese conseguentemente all’ufficializzazione dell’arabo come sola lingua nazionale.

I dati degli ultimi anni72 dimostrano come la Tunisia sia il paese nordafricano più omogeneo linguisticamente laddove l’arabo tunisino, considerato come un’unità omogenea nonostante le varianti regionali, è conosciuto e parlato da quasi la totalità dei residenti, la diffusione e la conoscenza della lingua francese è la più alta in tutto il Maghreb almeno dal punto di vista dell’oralità e della conoscenza passiva, mentre la diffusione del Tamazight è la più bassa tra i paesi maghrebini.73 La politica linguistica tunisina si trova evidentemente al centro di un doppio paradosso: oltre al fatto di autodefinirsi ufficialmente una nazione araba monolingue, postulato inaccettabile dal punto di vista sociolinguistico e ipocrita sul versante politico, le due lingue più diffuse secondo lo studio delle pratiche sociali, le lingue private di uno statuto ufficiale, il dialetto e il francese, si trovano in un rapporto di complementarietà esclusivamente nell’ambito dei rapporti informali, ma giungono ad uno scivolamento di posizioni gerarchiche in occasione di relazioni ufficiali dove anche l’arabo standard torna a ricoprire una posizione chiave in particolare per quanto riguarda la lingua scritta.

Indubbiamente il dualismo linguistico tra francese e dialetto è una traccia indelebile della politica educativa impiantata dall’amministrazione protettorale francese che ha causato nell’immediata epoca postcoloniale una discrepanza tra la popolazione in termini di uguaglianza delle possibilità, favorendo le classi più agiate che avevano precedentemente approfittato del sistema educativo francese.

72 https://www.worldatlas.com/articles/what-languages-are-spoken-in-tunisia.html, visitato il 23/01/2020.

73 Suleiman Yasir, Language and Identity in the Middle East and North Africa, Oxon, Routledge, 1996, p.62.

Come si è visto nel capitolo 2, l’intenzione della Francia era quella di favorire la diffusione della scolarizzazione in Tunisia, ma le possibilità economiche della maggior parte della popolazione non permettevano alle famiglie di far intraprendere ai figli un percorso scolastico che le avrebbe private di una forza lavoro aggiuntiva. Parallelamente i figli delle famiglie appartenenti all’élite che frequentano scuole private al giorno d’oggi sono indirizzati precocemente ad un’iniziazione alla cultura francese tramite l’ambiente quotidiano, la prescolarizzazione e la scolarizzazione con un insegnamento bilingue se non, alcune volte, trilingue, e successivamente accedendo ai licei piloti stabiliti dal sistema tunisino. Questi studenti, una volta ottenuta la laurea si trovano in una posizione privilegiata nel trovare un’occupazione in quei settori lavorativi dove la Tunisia presenta una forte relazione con la Francia. Sono agevolati anche nel caso in cui volessero continuare gli studi all’estero, in particolare in Francia o in altri paesi francofoni economicamente più sviluppati come ad esempio Belgio e Canada. Nel caso invece i medesimi studenti decidessero di rimanere nella loro terra d’origine, essi si pongono in una situazione privilegiata nel caso in cui volessero intraprendere una carriera lavorativa negli ambiti della medicina, nel management o dell’economia in generale, ambiti nei quali la conoscenza del francese risulta indispensabile.

Al contrario, gli studenti della scuola pubblica approcciano la lingua francese direttamente a scuola, tra i 7 e gli 8 anni di età, il più delle volte con dei primi maestri aventi loro stessi delle insicurezze linguistiche essendo stati formati nell’epoca postcoloniale dell’arabizzazione, il tutto in un contesto che appare raramente suscettibile alla creazione di un contatto col francese.74

- Fattore identitario

I moti rivoluzionari sono stati l’espressione non tanto delle disuguaglianze sociali interne al paese ma più che altro delle rappresentazioni identitarie associate alle diverse varietà linguistiche. La prima indicazione di questa pluralità si ritrova proprio nell’elemento linguistico durante il periodo in cui sono avanzate le proteste popolari nei confronti del governo tunisino. Un elemento significativo che si nota in questi mesi di frenesia rivoluzionaria è come la lingua predominante utilizzata dal popolo tunisino durante le molteplici fasi della rivoluzione non viene ad essere l’arabo, ma bensì il francese. Il motto simbolo della rivoluzione è infatti un termine francese “Dégage”, espressione esaustiva di

74 - Bouhdiba Sofiane, L’arabe et le français dans le système éducatif tunisien : approche

démographique et essai prospectif, Rapport de recherche, Observatoire démographique et statistique

un popolo che non sopporta più un certo tipo di malgoverno, che necessita l’emancipazione da un potere corrotto. Altri slogan visibili nelle strade tunisine presentavano chiare invocazioni al cambiamento in un’altra lingua europea, l’inglese: motti come “Game over” o “Freedom” rappresentato un’ulteriore testimonianza di come l’identità del popolo tunisino in termini linguistici sia ben più complessa di quella che era stata descritta e promossa nei vari settori della società fino a quel momento. Nelle immagini sottostanti è possibile osservare alcuni esempi di slogan presenti nel panorama cittadino tunisino in questo periodo:

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75 Lefigaro.fr, visitato il 12/03/2020. 76 Kapitalis.com, visitato il 12/03/2020.

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È bene sottolineare che tra i vari slogan, scritte e motti invocati e sventolati nelle strade di Tunisi la lingua araba standard è presente sia in forma scritta che in forma orale, ma in misura minore rispetto al francese. Uno studio di Sonia Shirianalizza in modo dettagliato ed esaustivo l’utilizzo delle lingue negli slogan durante il periodo rivoluzionario e ci mostra come l’evolversi e il diversificarsi delle lingue utilizzate nelle proteste corrisponda alla dinamica e al cambiamento delle richieste e degli obbiettivi che i cittadini intendevano invocare e ottenere.79 Ci viene descritto come nei primi giorni di protesta le scritte erano in arabo80 e facevano riferimento a rivendicazioni lavorative, accuse di corruzione verso il presidente, sdegno verso l’uccisione dei civili e solidarietà verso Moḥamed Bū ‘azīzī, considerato il martire della Rivoluzione. L’evolversi e l’inasprirsi delle proteste a causa della

77 Voxeurop.eu, visitato il 12/03/2020. 78 Webdo.tn, visitato il 12/03/2020.

79 Shiri Sonia, “Constructing Dissent in the Transient Linguistic Landscape: Multilingual Protest Signs of the Tunisian Revolution”, in Conflict, Exclusion and Dissent in the Linguistic Landscape, 2015, pp.239-259.

repressione dello stato hanno causato il cambiamento delle richieste da parte del popolo tunisino. Si può affermare che i riferimenti scritti su cartelloni e striscioni nelle piazze della capitale e in molti altri centri urbani del paese si sono tramutati da “locali”, specifici, in rivendicazioni sociali riconoscibili e legittimabili su scala internazionale. Così come i contenuti, anche la lingua della richiesta è cambiata: se in un primo momento l’arabo, inteso sia come arabo standard sia come dialetto tunisino, era la lingua maggioritaria della proposta, ora le parole d’ordine vengono ad essere scritte in francese e in inglese. L’uso delle due lingue europee citate è stato sicuramente indispensabile e

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