CONSERVAZIONE EX SITU DI SPECIE ERBACEE 1 Biologia del seme
4. Conservazione dei campion
La conservazione a medio-breve periodo serve per una molteplicità di scopi, quali ad esempio, lo scambio di materiali con l’esterno, l’attività di sperimentazione e ricerca, la rigenerazione periodica, ecc. Per questa ragione all’IGV si conservano circa 10 buste di materiale per ciascun campione. Le temperature di conservazione sono in genere prossime a 0°C e per evitare gocciolamento o brinatura dovuti alla condensa dell’umidità esterna, la cella viene mantenuta ad una umidità relativa di circa 35% UR utilizzando un sistema “sorption dryier” simile a quello utilizzato per la essiccazione dei semi. Le buste vengono aperte solo per le necessità sopra esposte. Il periodo di conservazione previsto per questo tipo di campioni viene stimato superiore a 10 anni, ma recenti esperienze compiute all’IGV dimostrano che questa è una stima pessimistica, in quanto se ben essiccati il “life span”, ovvero il periodo in cui la maggior parte dei semi resta vitale, può essere molto superiore, in relazione alla specie.
Per la conservazione di lungo termine si usano temperature più basse, ovvero attorno a -20°C. In queste condizioni i semi dovrebbero teoricamente avere un lifespan (durata della vita) superiore agli stessi campioni conservati a 0°C di un fattore attorno a 4, cioè dovrebbero mantenersi ben vitali per tempi di circa 40 anni o più. Tuttavia, dati certi su base sperimentale non esistono, in quanto la più vecchia banca dei semi (quella di Vavilov di Leningrado, Russia) è stata istituita nel 1925, ma la tecnologia delle celle a -20°C è molto più recente, risalendo ai primi anni 1970. Di
fatto, quindi, sono disponibili al momento campioni che hanno al massimo una quarantina di anni e sono ancora in genere ben vitali, come atteso.
Gli impianti di conservazione oggi sono basati su tecnologie del freddo molto mature, perché la loro progettazione non si discosta troppo da quella utilizzata dalle catene del freddo per i prodotti alimentari. Questo significa anche una maggiore sicurezza degli impianti, in quanto su tutto il territorio nazionale esistono ditte in grado di mettere in essere una rapida riparazione che dovesse rendersi necessaria. Oggi si affacciano al mercato anche nuove tecnologie del freddo che potrebbero giocare nel futuro un ruolo di particolare interesse nel migliorare la sicurezza delle collezioni esistenti.
Come è possibile osservare nel dettaglio delle buste e dei barattoli (figura 4.1), le informazioni rilevanti relative al campione vengono riportate sull’etichetta al fine di facilitare l’attività degli operatori. Tuttavia, per le collezioni questo non è sufficiente, ma occorre mantenere un database riportante le informazioni relative al campione. Prima di tutto, ciascun campione viene identificato da un numero (numero di accessione) che lo identifica univocamente. Tutte le informazioni relative a questo campione debbono fare riferimento a questo numero.
Figura 4.1. Barattoli e buste in dettaglio (foto Cifarelli)
Occorre far notare che, contrariamente a quanto spesso usa, la parola “accessione” non ha alcun significato genetico o scientifico in generale. Essa significa semplicemente un “oggetto” che si
aggiunge ad una collezione. Infatti, anche gli oggetti museali o i libri di una biblioteca hanno il loro “numero di accessione”. Quindi il termine accessione descrive solo un determinato campione all’interno di una collezione, senza fornire indicazioni sullo status genetico di quel campione. La gestione dei campioni in conservazione normalmente prevede una rigenerazione periodica dei campioni in campo. Questa fase di rigenerazione può essere dovuta a perdita di vitalità del seme, a depauperamento del campione per motivi di scambio o attività di ricerca, al troppo lungo periodo di conservazione rispetto ai modelli previsionali, o qualsiasi altro motivo che ponga in pericolo l’integrità del campione stesso. Infatti, attraverso un programma di campionamento, si monitora periodicamente la vitalità delle collezioni effettuando screening a random periodici. Occorre porre in atto precauzioni al fine di minimizzare effetti intrinseci di questo processo che potrebbero alterare l’integrità genetica del materiale, ad esempio attraverso la riduzione della diversità genetica a causa dell’adattamento ad un ambiente differente da quello di origine, o a causa di fecondazione incrociata con altri campioni conspecifici.
La moltiplicazione avviene normalmente in porcelline delle dimensioni di 1x5 m o in file lineari. Comunque sia, occorre moltiplicare un numero di individui rappresentativo (circa 400-500) della variabilità genetica presente nel campione. Per le specie autogame non sono necessarie speciali precauzioni, mentre per le specie allogame occorre mettere in atto misure di isolamento opportune per evitare flusso genico non desiderato (figura 4.2.). Questo comporta un aumento delle spese per mettere in opera le necessarie strutture di isolamento.
Figura 4.2. Semplici strutture di isolamento parcellare per allogame ad impollinazione entomofila (Foto Pignone)
Per le piante ad impollinazione entomofila si possono disporre tunnel o isolatori costruiti con strutture metalliche o di legno e tessuto-non-tessuto o rete anti-afidi, per impedire che pronubi provenienti da altre parcelle si diffondano. Può essere necessario inserire pronubi negli isolatori
per favorire l’impollinazione. Occorre installare gli isolatori quando i primi fiori sono ancora in boccio e rimuoverli solo dopo la fine della fioritura.
Per le piante ad impollinazione anemofila, queste strutture potrebbero essere inadeguate. Occorre quindi predisporre uno schema di campo in cui le parcelle di piante allogame siano sufficientemente spaziate per evitare la fecondazione incrociata (figura 4.3). La distanza dipende da specie a specie e da altri fattori quali la presenza di barriere naturali, come siepi frangivento, l’abito delle specie che si frappongono fra le parcelle, ecc.
Figura 4.3. Schema di campo per moltiplicazione di allogame. Parcelle in rosso contengono piante allogame, quelle in blu piante autogame; la distanza (frecce rosse) dipende dalla specie
Per fare un esempio, in un campo pianeggiante ed in assenza di barriere, è stato riportato che nel mais il 98% del polline cade al suolo entro 25 metri dalla sorgente, mentre entro 100 metri quasi il 100% del polline è al suolo. Questo significa che in condizioni normali, una distanza di 100 metri tra parcelle di mais dovrebbe essere sufficiente a garantire un buon livello di isolamento genico. Infine, occorre fare attenzione in fase di trebbiatura dei campioni. Le trebbie sperimentali (figura 4.4), infatti, idonee alla trebbiatura dei campioni di germoplasma, oltre alla possibilità di cambiare il battitore, il setaccio e la velocità in funzione della dimensione e forma del seme da trebbiare, hanno tutte le parti ispezionabili (una parete rimovibile in plexiglass) proprio per evitare che semi di un’accessione possano residuare all’interno della trebbietta e mescolarsi ai futuri campioni.
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