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Capitolo 1 – Stato dell’arte

1.6 Conservazione del legno archeologico imbibito d’acqua

Sebbene il legno archeologico imbibito d’acqua possa apparire esteriormente in un discreto stato di conservazione, in realtà, a causa dei processi di degrado descritti nella precedente sezione, è un materiale poroso e spugnoso, povero di cellulosa ed emicellulosa, e saturo d'acqua, la cui asciugatura può compromettere l'integrità degli oggetti con cambiamenti dimensionali anche notevoli. La maggior parte dei trattamenti conservativi applicati agli oggetti archeologici in legno bagnato mira alla sostituzione dell'acqua presente nelle cavità con materiali consolidanti, in maniera tale da scongiurare un collasso della struttura [28].

L’iter per la scelta dei trattamenti di conservazione di un oggetto in legno può essere così suddiviso:

- valutazione delle condizioni dell’oggetto in esame mediante analisi meccaniche, fisiche e chimiche;

- interruzione dei processi di deterioramento chimici e biologici per quanto possibile;

- salvaguardia da danni meccanici, intervenendo durante l’asciugatura con consolidanti specifici.

La procedura di conservazione risulta complessa e può essere lunga inoltre, la penetrazione del consolidante avviene lentamente. Per i legni imbibiti d’acqua con elevato grado di porosità

conservazione del legno fu sviluppato da C.B. Herbst nel 1850 e venne applicato a reperti di legno saturo d’acqua altamente degradati rinvenuti a Viemose, in Danimarca [34]. La procedura per la conservazione consisteva nel trattamento del legno con soluzioni concentrate calde di sali di allume (solfato di alluminio e potassio dodecaidrato-KAl(SO4)2∙12H2O). Il consolidamento

con sali di allume era allora uno dei pochi metodi disponibili per la cura dei reperti archeologici in legno degradato saturo d’acqua e ottenne riconoscimento in diversi musei [35]. E’ stato anche utilizzato per la conservazione di alcuni reperti in legno vichingo rinvenuti in Norvegia nel sito di Oseberg ed oggetto di studio nell’ambito di questa Tesi. Durante il periodo dell’uso del metodo con sali di allume, furono applicate diverse varianti al trattamento di oggetti di legno bagnato. Concentrazioni variabili del sale d’allume e l’aggiunta di altri composti, come il glicerolo, sono stati testati e documentati [34,35].

Il legno trattato con allume risulta attualmente molto acido (pH circa 1-2.5) ed indebolito meccanicamente dopo circa 100 anni dalla sua conservazione [35,36]. E’ stato ipotizzato il degrado dell’allume con formazione di composti che rendono l’ambiente acido, secondo la reazione chimica:

3 KAl(SO4)2 + 12 H2O → KAl3(SO4)2(OH)6 + 2 K+ + 4 SO4-2 + 6 H3O+ [35]

Si presume che la decomposizione e il degrado dell’allume sia dovuto alla copresenza di ioni metallici come Fe, Zn e Cu [36].

Alcune indagini svolte da conservatori presso musei in Norvegia, Danimarca e Svezia hanno dimostrato che il metodo di trattamento del legno con sali di allume ha causato danni gravissimi ai reperti [35-37] e, le nuove generazioni di specialisti di conservazione si trovano ad affrontare ed a garantire lo stato delle opere trattate con sali d’allume [36-38].

Sono stati testati numerosi altri metodi di conservazione, e Grattan ne ha paragonati molti per evidenziare vantaggi e svantaggi [39]. I sali d’alluminio vennero sfruttati come trattamento consolidante per i legni provenienti dagli ambienti umidi fino alla fine del 1950, quando furono sostituiti dal consolidante organico polietilenglicole (PEG) che sembrava offrisse un’ alternativa migliore. Il metodo, sicuramente il più largamente studiato ed utilizzato, è quello che usa il PEG a diversi pesi molecolari disciolto in diversi solventi: il t-butanolo, il metanolo e l’acqua sono i più comuni. Il grado di penetrazione del PEG nel legno dipende sia dal peso molecolare medio, sia dalla concentrazione, perciò ogni trattamento ha bisogno di essere valutato singolarmente. Il più famoso esempio di applicazione di questo polimero è il caso del vascello svedese Vasa,

ritrovato nel 1961 nei pressi del porto di Stoccolma e risalente al XVII secolo: la nave è stata interamente trattata con PEG ed è visibile al Vasa Museum di Stoccolma dal 1990 [13].

Un altro esempio di utilizzo del PEG risale al 1994, per la conservazione della nave Mary Rose, irrorata con una soluzione acquosa di PEG 200, fatta penetrare attraverso la struttura del legno, fino al 2006. In quell’anno lo spray fu sostituito con PEG 2000 che a temperatura ambiente si presenta come un solido ceroso. Questo è solubile in acqua calda ed agisce come un consolidante, fornendo supporto strutturale, dal momento che riempie il lume delle cellule degradate ed indebolite all’interno del legno. Il trattamento con PEG è stato poi interrotto nel 2013, e seguito dall’asciugatura in condizioni controllate dello scafo della nave.

Il PEG è molto sensibile all’umidità ed quindi è necessario installare costosi impianti di controllo ambientale, in quanto l’igroscopicità del PEG può favorire la corrosione del ferro e l’instabilità dei sali [29,40].

Un metodo di conservazione alternativo fu sviluppato da McKerrell e prevedeva l’uso di colofonia disciolta in acetone: il legno veniva dapprima immerso in acetone per eliminare l’acqua e successivamente impregnato con una soluzione satura di colofonia al 66% in peso, in acetone a 52 °C. Dopodiché si sottoponeva il tutto a condizionamento per allontanare l’acetone, fino a che il peso non risultava costante [95]. I tempi di impregnazione sono molto lunghi ed il risultato riportato è che circa il 75% del volume di acqua è rimpiazzato dalla colofonia [41].

Di seguito sono riportati alcuni trattamenti, testati come possibili alternative al PEG ed ancora in fase sperimentale, che prevedono la polimerizzazione in situ. Uno di questi è il metodo di Munnikendam che prevede la polimerizzazione in situ del monomero idrossietil-metacrilato, che, una volta diffuso nella matrice lignea, viene polimerizzato tramite irradiazione con raggi γ [42]. I risultati di questo metodo non sono stati soddisfacenti. Un’alternativa migliore è offerta dalla kauramina, una resina termoindurente a base di urea e formaldeide con aggiunta di melammina. Questo trattamento conferisce al legno buone proprietà meccaniche e buon aspetto visivo ed è stato usato per la conservazione dei reperti navali rinvenuti a San Rossore, Pisa [43].

Un'altra molecola testata dopo deidratazione del campione con acetone è il tetra-etil-orto- silicato (TEOS). Nella fase di essiccamento quest’ultimo idrolizza formando SiO2 e alcol etilico. Il

metodo di trattamento non è risultato completamente soddisfacente nel consolidare la struttura e lascia residui di silicati visibili in superficie [39].

Uno dei più recenti metodi di conservazione utilizza un approccio differente: I conservatori hanno pensato all’utilizzo di un materiale consolidante, più precisamente ad un composto in grado di penetrare la struttura legandosi ad essa a “ragnatela”, in modo tale da lasciare delle porosità a disposizione per un altro agente consolidante che potrebbe essere utilizzato in futuro. Tra questi il monomero isoeugenolo, solubile in soluzioni acquose di etanolo, è stato testato per il consolidamento di legni bagnati mediante polimerizzazione in situ, poiché ha una struttura simile all’alcol coniferilico che è un precursore della lignina. Il composto in esame ha proprietà antibatteriche e antimuffa. Il trattamento ha avuto discreti risultati poiché l’isoeugenolo si lega direttamente alla struttura del legno [44].

Si è pensato, quindi, a materiali aventi struttura simile alla lignina contenuta nel legno, impiegando lignina artificiale oppure lignina residua di processi di trattamento. La lignina estratta dal legno sembra conferire una maggiore resistenza rispetto al PEG. A tal proposito, sono state studiate le resine fenolo-formaldeide che hanno una struttura simile alla lignina, ma non hanno una buona capacità di penetrazione [43]. L’ARC-Nucleart di Grenoble ha sperimentato alcuni acidi grassi al fine di stabilizzare il legno archeologico. In particolare è stato testato l’acido azelaico poiché offre una buona resistenza all’idrolisi e all’ossidazione, un’ottima idrofobicità a temperatura ambiente e una buona idrosolubilità, anche ad alte temperature (> 70 °C). Inoltre ha buone capacità di consolidamento [45]. Tuttavia il trattamento non è risultato adatto poiché acidifica (pH=3) la soluzione impiegata per il trattamento, causando un attacco chimico al legno [46]. Un’alternativa è l’impiego dei sali dell’acido sebacico (Na2Seb e HNaSeb),

che avendo un effetto tampone intorno a valori di pH compresi tra 4 e 7 (valori osservati anche per le soluzioni di PEG) consentono di controllare meglio l’acidità delle soluzioni impiegate per il consolidamento [47]. Questi materiali sono ancora in fase di sperimentazione e sono stati sperimentati nel corso del progetto JPI ArCo nell’ambito del quale si è inserita questa Tesi. Un altro esempio di trattamento consolidante è la biomineralizzazione ossia cercare di costruire degli scheletri in situ, usando, ad esempio, carburo di silicio. Questo tipo di applicazioni, in futuro, potrebbero essere sviluppate sfruttando le nano particelle [43]. Sono stati indagati anche composti polisaccaridici, compresa la cellulosa che però non è solubile in acqua ed inoltre non penetra bene nella struttura lignea. Per migliorare queste caratteristiche sono stati effettuati tentativi di funzionalizzazione del polimero, con aggiunta di gruppi carbossimetilici e allilici, fino ad un tentativo del copolimero cellulosa-chitosano [43].

Recentemente anche presso l’Università di Cambridge è stato sperimentato un nuovo materiale con lo scopo di risolvere le tre problematiche principali che vengono riscontrate dai

conservatori durante il metodo di conservazione, ossia, l’instabilità strutturale dovuta all’essiccamento, la degradazione biologica e chimica dovuta alla presenza dell’Fe+3 e dell’acido solforico. Si tratta del polimero denominato PolyCatNap, attraverso la molecola ospite cucurbit (8) Uril e due molecole ospiti, naftolo e catecolo [48]. Questo approccio è stato proposto in alternativa ai trattamenti di consolidamento con PEG. Tuttavia anche questo metodo è ancora in fase di sperimentazione.

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