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Manufatti archeologici lignei contenenti sali instabili e materiali consolidanti: indagine chimica e valutazione dello stato di degrado

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale

Corso di Laurea Specialistica in Chimica

Curriculum Analitico

“Manufatti archeologici lignei contenenti sali instabili e materiali

consolidanti: indagine chimica e valutazione dello stato di degrado”

Controrelatore

Relatori

Professor Valter Castelvetro

Professoressa Francesca Modugno

Dottoressa Jeannette J. Łucejko

Candidato

Giacomo Ribolini

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RINGRAZIAMENTI

Ringrazio la Professoressa Maria Perla Colombini che mi ha dato la possibilità di svolgere questo lavoro di Tesi su un argomento per me molto interessante.

Ringrazio la Professoressa Francesca Modugno per la pazienza e la disponibilità con la quale mi ha seguito durante tutte le fasi del mio lavoro.

Ringrazio il Professor Valter Castelvetro per la sua disponibilità.

Ringrazio la Dottoressa Francesca Gambineri per la disponibilità e per avermi dato la possibilità di utilizzare il suo laboratorio.

Ringrazio il Dottor Diego Tamburini e la Dottoressa Jeannette Jacqueline Łucejko che con pazienza mi hanno accompagnato durante tutto il mio lavoro.

Ringrazio tutto il gruppo del laboratorio di ricerca: Anna, Alessia, Jacopo, Marco Z., Marco M., Francesca per i consigli e la bella compagnia.

Ringrazio la prima persona che ho conosciuto il primo giorno di università, Maria Bulfaro, con la quale ho stretto un bellissimo rapporto di amicizia… anche se ancora oggi sto aspettando la sua “Parmigggiana”!

Ringrazio Pietro Tognotti mio compagno di laboratorio e di viaggio. Colgo anche l’occasione per ringraziare Marco Galli, disc jockey di Radio 105, che ogni mattina durante il tragitto per

l’università, con il programma tutto esaurito, ci ha sempre fatto iniziare la giornata con un sorriso!

Ringrazio i miei compagni universitari Andrea, Francesco, Sergio, Giuliana, Cosmiana, Sara, Lucia con i quali ho trascorso due anni splendidi.

Giungere alla fine di questo traguardo è stata per me una grande soddisfazione. Un grazie di cuore va alla mia famiglia che mi ha permesso di poter arrivare fin qua. Ringrazio anche tutti i miei amici: Jacopo, Elena, Nicola, Sara,Alessandra, Cristian e Francesca, Massimiliano e Alice, Massimiliano e Gaia, Marco e Ilaria, Manua, Giulia, Chiara, Luca e Giusy, Gabriele, Giovanni e Francesca, Camilla, Silvia, Martina, Michele con i quali ho potuto condividere tutte le mie emozioni. Ringrazio anche l’ultimo arrivato… la gioia più grande..il piccolo Emanuele. Un ringraziamento speciale lo rivolgo alla mia “Zia” Tania che con pazienza mi ha aiutato a portare a termine questa Tesi.

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INDICE

Riassunto……….1

Introduzione………..………4

Bibliografia………..…...8

Capitolo 1 – Stato dell’arte………..12

1.1 Il legno……….12

1.2 Morfologia del legno……….12

1.3 Proprietà fisiche del legno……….15

1.4 Composizione chimica del legno………..………..….15

1.4.1 La cellulosa……….……….………..16

1.4.2 L’emicellulosa………..….………..16

1.4.3 La lignina………..………...17

1.4.4 Gli estrattivi………...20

1.5 Legno archeologico e i processi degradativi……….21

1.5.1 Degradazione del legno in ambienti acquosi……….…………22

1.5.2 Degradazione legata alla presenza di sali inorganici………...24

1.6 Conservazione del legno archeologico imbibito d’acqua………25

1.7 Metodologie analitiche per il legno……….………...29

1.7.1 Tecniche microscopiche……….………..………29

1.7.2 Tecniche spettroscopiche……….………..30

1.7.3 Tecniche analitiche per la determinazione delle componenti inorganiche………..33

1.7.4 Tecniche basate sulla pirolisi analitica……….34

Bibliografia………..…37

Capitolo 2 – Materiali, metodi e strumentazione……….………..45

2.1 Materiali……….……….……….45 2.1.1 Reagenti………...45 2.1.2 Materiali di riferimento……….………...45 2.1.3 Legni archeologici………...45 2.1.3.1 Il sito di Oseberg………..………..47 2.1.3.2 Le imbarcazioni danesi……….…..………...49 2.1.3.3 Le imbarcazioni francesi………...50

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2.2 Strumentazione e metodi……….…………..………..……….51

2.2.1 Py (HMDS)-GC/MS……….52

2.2.2 EGA-MS……….……….53

2.2.3 Spettroscopia di emissione al plasma accoppiato induttivamente: ICP-OES………54

2.2.4 Cromatografia ionica con rivelatore a conducibilità: IC-LC-conducibilità…….………55

2.2.5 PCA………56

Bibiliografia………....57

Capitolo 3 – Studio dei campioni archeologici con EGA-MS……….59

3.1 Materiali di riferimento………...59

3.2 Attribuzione dei frammenti m/z dei prodotti di pirolisi……….62

3.3 Analisi di materiali consolidanti presenti nei campioni studiati nel progetto ArCo……66

3.3.1 PEG 4000………66

3.3.2 Sebacato di sodio……….67

3.3.3 Allume………..68

3.4 Analisi dei campioni archeologici……….69

3.4.1 I Campioni provenienti dalla collezione di Oseberg ………69

3.4.2 I Campioni provenienti dalle imbarcazioni francesi: L’Aimable Grenot, Lione e La Lomellina………..71

3.4.3 I Campioni provenienti dalle navi danesi: Nydam e Skuldelev..……….………….77

Osservazioni……….79

Bibliografia……….………..80

Capitolo 4 –Analisi tramite Py(HMDS)-GC/MS……….……….81

4.1 Analisi dei materiali di riferimento………...82

4.2 Analisi semi-quantitativa e valutazione del degrado del legno……….90

4.2.1 Il rapporto H/L………90

4.2.2 Categorizzazione dei prodotti di pirolisi………...91

4.3 Analisi dei campioni archeologici………..………..94

4.3.1 I Campioni provenienti dalla collezione di Oseberg ……….94

4.3.2 I Campioni provenienti dalle imbarcazioni francesi: L’Aimable Grenot, Lione e La Lomellina……….………..98

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Osservazioni……….…111

Bibliografia……….………112

Capitolo 5 – Analisi dei componenti inorganici presenti nel legno archeologico mediante ICP-OES e IC-LC-conducibilità...113

5.1 I Campioni provenienti dalla collezione di Oseberg ………...113

5.2 I Campioni provenienti dalle imbarcazioni francesi: L’Aimable Grenot, Lione e La Lomellina ……….117

5.3 I Campioni provenienti dalle navi danesi: Nydam e Skuldelev………123

5.4 Analisi delle componenti principali………124

Bibliografia……….………..…..127

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RIASSUNTO

La conoscenza dello stato di degrado dei legni archeologici è importante in quanto è necessaria nella scelta di eventuali trattamenti conservativi. Le alterazioni del materiale ligneo sono molteplici ed ogni caso dovrebbe essere valutato singolarmente. Il lavoro di ricerca è stato inserito nel progetto Europeo ArCo il cui scopo è quello di comprendere i processi di deterioramento del legno dopo i trattamenti conservativi in presenza di sali inorganici. I campioni provengono da vari ed importanti reperti archeologici quali: la collezione norvegese Oseberg, i relitti francesi quali L’Amable Grenoit, Lione e la Lomellina, nonché le imbarcazioni danesi Nydam e Skuldelev. I campioni analizzati sono stati trattati con diversi trattamenti conservativi quali allume (KAl(SO4)2∙2 H2O) e polietilenglicole (PEG). Inoltre in un secondo step,

gli oggetti in studio sono stati sottoposti all’invecchiamento artificiale nella camera climatica, per cui è stato possibile osservare diversi tipi di degrado dovuti sia al trattamento consolidante, sia alla presenza dei sali inorganici che ai cambiamenti indotti durante l’invecchiamento artificiale.

Per raggiungere lo scopo sono state applicate le tecniche pirolitiche con particolare attenzione ai cambiamenti chimici ed alle alterazioni dei polimeri costituenti il materiale ligneo come la cellulosa, emicellulosa e lignina. Le tecniche di decomposizione termica sono particolarmente indicate per questo tipo di materiale, in quanto non richiedono pretrattamento del campione, utilizzano una quantità di campione molto piccola (0,1 mg), sono sensibili e veloci e permettono di analizzare macromolecole complesse, come i polimeri costituenti il legno.

La tecnica EGA-MS è stata applicata per la prima volta ai materiali complessi come il legno archeologico trattato con i consolidanti. La tecnica ha consentito di osservare le regioni di degrado termico di diversi materiali presenti nel singolo campione, sia dei polimeri presenti nel legno sia dei materiali consolidanti applicati per la conservazione. La pirolisi analitica accoppiata alla gascromatografia e spettrometria di massa permette di ottenere le informazioni a livello molecolare tramite l’osservazione dei specifici prodotti di pirolisi.

La tecnica Py-GC/MS con silanizzazione in situ termicamente assistita ha permesso di valutare lo stato di conservazione della componente polisaccaridica e ligninica del legno tramite il confronto con un legno di riferimento sano, determinando il rapporto H/L (rapporto tra la somma delle aree dei prodotti di pirolisi dell’olocellulosa e della lignina). Inoltre grazie alla

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categorizzazione dei prodotti di pirolisi, in base alla loro struttura molecolare, è stato possibile valutare più in dettaglio le alterazioni subite dai singoli biopolimeri.

È noto dai studi effettuati sul legno archeologico imbibito d’acqua che il degrado del legno non è sempre dovuto solo agli agenti biotici, come funghi e batteri o meccanici come la solubilizzazione della componente polisaccaridica, ma può essere indotto anche dai sali inorganici presenti sia nell’ambiente di giacitura che provenienti dai trattamenti conservativi. Al fine di valutare quanto la presenza dei sali inorganici incida sui processi degradativi subiti dal legno archeologico sono state effettuate indagini della componente inorganica tramite le tecniche spettroscopia di emissione atomica accoppiata induttivamente (ICP-OES) e la cromatografia ionica con rivelatore a conducibilità (IC-LC-conducibilità).

È stato quindi possibile valutare le differenze tra i vari campioni, concludendo che i processi di degradazione non sono gli stessi per tutti i campioni. La maggior parte degli oggetti di legno trattati con allume presenta una forte diminuzione della componente polisaccaridica e la rimanente lignina ha subito un forte degrado di tipo ossidativo. Gli oggetti trattati con il PEG presentano una riduzione più o meno importante della componente polisaccaridica e la lignina ha subito la depolimerizzazione cosi come i fenomeni di ossidazione, ma il grado di alterazione cambia da reperto a reperto. Dopo l’invecchiamento artificiale i cambiamenti osservati sono poco rilevanti per quanto riguarda il legno.

Il trattamento statistico dei dati tramite l’analisi dei componenti principali ha permesso di cogliere alcune similitudini e differenze tra i campioni: la maggior parte dei campioni trattati con allume ha subito un degrado simile, con perdita della componente dell’olocellulosa e ossidazione dei composti della lignina.

I campioni prelevati da diverse parti dello stesso reperto hanno evidenziato degradi differenti, confermando che il degrado del legno dipende da moltissimi fattori e può cambiare anche all’interno dello stesso oggetto.

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INTRODUZIONE

Grazie alla sua reperibilità ed alle sue proprietà, il legno è stato da sempre utilizzato per la realizzazione di utensili, mobili, strutture architettoniche, imbarcazioni e manufatti artistici. I reperti in legno sono quindi una preziosa fonte per gli archeologi e gli storici per ricostruire la vita quotidiana e gli usi e i costumi delle popolazioni che utilizzavano questi manufatti. Sebbene il legno sia uno dei materiali organici più resistenti, i reperti archeologici in legno sono relativamente rari e si conservano per lunghi periodi di tempo solo in particolari condizioni, come ambienti saturi d’acqua o ambienti aridi. Il legno, infatti, nei sedimenti è sottoposto all’attacco di agenti biologici, come batteri e funghi. Negli ambienti acquatici invece le basse temperature e le basse concentrazioni di ossigeno fanno sì che il processo di biodeterioramento ad opera di funghi ed insetti sia inibito, e di conseguenza in questi ambienti i legni sono spesso ben conservati. Tali condizioni si verificano per esempio, in caso di relitti di imbarcazioni che mantengono la loro forma originale e le loro caratteristiche, anche dopo aver passato centinaia di anni sott’acqua. Un esempio è il relitto navale Vasa ritrovato nel 1961 nei pressi del porto di Stoccolma e risalente al XVII secolo.

Tuttavia, alcune specie di batteri anaerobi sono in grado di attaccare il legno anche in ambienti acquatici, sfruttando principalmente la cellulosa e l’emicellulosa come fonti di nutrimento [1-4]. Questo processo a lungo termine porta a fenomeni di deterioramento che compromettono gravemente la stabilità dei manufatti, in particolare nella fase di recupero ed asciugatura. Quest’ultimo è un processo importante per il legno archeologico imbibito d’acqua, durante il quale è necessario avere la massima accortezza: durante l’asciugatura le forze capillari sono molto forti e le fibre del legno possono cedere, danneggiando la struttura del legno e compromettendo il recupero dell’oggetto [5-7].

La conservazione del legno archeologico bagnato presenta ulteriori problematiche tra le quali la presenza di abbondanti quantità di sali, riscontrata in numerosi casi tra cui le navi Mary Rose, Vasa e Batavia [8-10]. In particolare, l’accumulo di composti solforati, problematici per la conservazione, è stato dimostrato essere correlato all’azione di batteri solfato-riduttori, che operano in ambiente marino. Un’altra fonte di sali inorganici sono alcuni trattamenti conservativi come il trattamento con sali d’allume, impiegato all’inizio del ‘900 in alcuni casi nel Nord Europa tra cui gli oggetti in legno provenienti dal ritrovamento di Oseberg [11-13]. Questo trattamento in presenza di ossigeno e di umidità induce ad una serie di reazioni che portano

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alla formazione di solfati di ferro e acido solforico all’interno della struttura del legno. Queste reazioni coinvolgono gli ioni ferro presenti sotto forma di chiodi, viti ed altri parti metalliche. Come risultato finale si ha il rischio di cristallizzazione di sali instabili sulla superficie e all’interno degli oggetti. Il deposito può causare la deformazione o nel peggiore dei casi la rottura dell’oggetto stesso (Figura 1). Inoltre la formazione di acido solforico favorisce l’idrolisi della componente polisaccaridica e a lungo termine anche il degrado della lignina [14].

Anche il trattamento conservativo con il polietilenglicole (PEG), il più diffuso, presenta problematiche poiché questo materiale è sensibile all’umidità e quindi favorisce la corrosione dei metalli e l’instabilità dei sali.

Figura 1 Efflorescenza salina sulla superficie di legno archeologico bagnato (nave Lione)

Lo studio della composizione chimica dei reperti archeologici in legno fornisce preziose informazioni riguardo le trasformazioni chimiche a cui sono andati incontro le principali componenti del legno quali cellulosa, emicellulosa e lignina. Le informazioni ottenute da queste indagini, rilevanti nella scelta degli interventi di conservazione, hanno dimostrato che il legno saturo d’acqua presenta una perdita consistente delle sue componenti polisaccaridiche: cellulosa ed emicellulosa [7,15,16].

La ricerca di nuove tecniche e metodi per conservare e stabilizzare gli oggetti archeologici in legno imbibito d’acqua è di importanza notevole per la conservazione del patrimonio culturale,

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I trattamenti di conservazione del legno saturo d’acqua, soprattutto per i relitti navali, sono tecnicamente difficili e costosi, nonché generalmente irreversibili in quanto richiedono spesso l’impiego di materiale polimerico consolidante [4]. Questi trattamenti necessitano di tempi molto lunghi, ed inoltre, l’ambiente di conservazione deve poi essere tenuto sotto controllo atmosferico, in quanto alcuni consolidanti sono sensibili all’umidità.

Lo scopo di questo lavoro di Tesi è la valutazione chimica dello stato di conservazione dei reperti in legno provenienti da diversi siti archeologici europei, che presentano problematiche dovute al degrado e all’effetto di trattamenti consolidanti, in presenza di sali inorganici. Lo studio è volto alla caratterizzazione della composizione chimica delle componenti principali del legno archeologico contenente sali inorganici e materiali consolidanti, al fine di valutare l’interazione tra il trattamento conservativo, il legno e la componente inorganica presente nel legno archeologico degradato.

Il lavoro di ricerca si è inserito nel progetto europeo ArCo, Ageing Study of Treated Composite Archeological Waterlogged Artifacts (2014 – 2016), (JPI – JHEP Joint Pilot Transnational Call for Joint Research Projects on Cultural Heritage), coordinato dal Professor Hartmut Kutzke dell’università di Oslo (Norvegia) (en.natmus.dk/historical-knowledge/research/research-projects/arco/). Ne fanno parte, oltre all’Università di Pisa, il Museo Nazionale della Danimarca, l’ARC-Nucléart di Grenoble (Francia) ed i Laboratori Archa di Pisa.

Gli obiettivi del progetto ArCo possono essere così riassunti:

- investigare i processi di deterioramento e l’influenza degli agenti di consolidamento e dei sali instabili;

- contribuire alla comprensione del comportamento del legno archeologico trattato con specifici consolidanti;

- contribuire alla pianificazione di trattamenti di conservazione futuri.

In letteratura sono descritte varie tecniche analitiche per la caratterizzazione dei legni archeologici che vanno da quelle classiche basate sul trattamento a umido del campione, sfruttando l’isolamento selettivo e successiva quantificazione dei componenti principali del legno (metodi TAPPI) [18,19], a più avanzate tecniche strumentali come: la microscopia ottica ed elettronica a trasmissione (TEM) ed a scansione con dispersione di energia (SEM-EDS), [20-24]; la spettroscopia infrarossa con trasformata di Fourier (FT-IR) [13,25,26]; le tecniche che sfruttano le caratteristiche dei raggi X come la diffrazione dei raggi X (XRD e µ-XRD) e la microtomografia (µ-CT) a raggi X [24,27-30]; la risonanza magnetica nucleare (NMR) allo stato liquido e allo stato solido [31-34].

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Tuttavia queste tecniche forniscono risultati parziali e solo in pochi casi quantitativi, richiedendo spesso grandi quantità di campione. Queste caratteristiche le rendono non sempre applicabili nel campo dei beni culturali e mostrano che non sono una valida alternativa ai metodi classici per l’analisi di campioni archeologici.

Le tecniche di pirolisi come Py(HMDS)-GC/MS, Py-MS e EGA-MS si sono dimostrate utili per lo studio di un materiale polimerico complesso come il legno [35-40] e in particolare per il legno archeologico e le sue problematiche [34,41-45]. La pirolisi analitica permette lo studio di macromolecole complesse attraverso l’identificazione delle molecole a basso peso molecolare prodotte del cracking termico (prodotti di pirolisi) [46].

Le tecniche analitiche utilizzate durante questo lavoro di Tesi per l’analisi della composizione chimica dei componenti del legno sono: analisi dei gas evoluti accoppiata alla spettrometria di massa (EGA-MS) e la pirolisi analitica accoppiata alla gas cromatografia e spettrometria di massa (Py(HMDS)-GC/MS) eseguita in presenza di HMDS (esametildisilazano), per la derivatizzazione termicamente assistita in situ dei prodotti di pirolisi per quanto riguarda la composizione chimica dei componenti del legno. La determinazione dei componenti inorganici presenti nel legno è stata effettuata mediante spettroscopia di emissione atomica accoppiata induttivamente (ICP-OES) e cromatografia ionica (IC-LC) con rivelazione a conducibilità presso i laboratori Arca.

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CAPITOLO 1

STATO DELL’ARTE

1.1 Il legno

Il legno è un materiale usato fin dall'antichità per ogni tipo di necessità: dalla manifattura di utensili di uso quotidiano a costruzioni architettoniche e suppellettili, nonché come combustibile. Gli artefatti archeologici in legno conservano tracce della società del passato. Per conservare ed eventualmente trattare i reperti archeologici in legno è necessario conoscere il loro stato di conservazione, capire quanto la struttura legnosa sia alterata, e se possibile individuare gli agenti responsabili del degrado [1].

1.2 Morfologia del legno

In botanica gli alberi si classificano in due tipologie: Gymnosperme e Angiosperme. I legni più utilizzati sono quelli che si ricavano dalle conifere (legni dolci o “softwood”) e dalle latifoglie (legni duri o “hardwood”). Queste ultime appartengono alle angiosperme (betulla, faggio, salice), mentre le conifere fanno parte delle gimnosperme (pino, abete, cipresso) (Figura 1.1)[2]. I due tipi di legno differiscono per la struttura, per il tipo di cellule e anche per la composizione chimica del legno.

Figura 1.1 A sinistra esempio di alberi di conifera. A destra esempio di alberi di latifoglia

Il legno nella pianta è generalmente classificato in due zone, ciascuna delle quali svolge una funzione distinta. La porzione attiva del tronco, in cui le cellule sono ancora vive e matabolicamente attive, viene indicato come alburno, ossia la zona di colore chiaro adiacente alla corteccia. Il durame, invece, è il legno di colore più scuro che si trova all’interno

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dell’alburno, costituito da cellule che hanno concluso il loro ciclo vitale (Figura 1.2). Le cellule in vita sono conosciute come parenchima e sono più abbondanti nei legni giovani; svolgono diverse funzioni, tra cui la fotosintesi. Le cellule del legno sono costituite da una parete cellulare che circonda il lume cellulare e possono essere di diversi tipi. Nelle conifere il 95% circa delle cellule è costituito da tracheidi, di forma allungata, con una lunghezza che può superare anche di cento volte il diametro. Le tracheidi delle conifere sono orientate nella direzione parallela all'asse del tronco e svolgono due funzioni principali: sostegno e conduzione. Nelle latifoglie, invece, queste funzioni vengono svolte da due tipi di cellule: le fibre/vasi e i pori. Le prime contribuiscono a dare forza e resistenza al legno e sono caratterizzate da una parete abbastanza spessa. I vasi servono per il trasporto, sono caratterizzati da una parete cellulare sottile e hanno una distribuzione che varia da specie a specie [1,3]. Alcuni tipi di cellule sono comuni sia alle conifere che alle latifoglie, quelle che costituiscono i raggi, responsabili della conduzione della resina. Questi ultimi si estendono radialmente e sono osservabili ad occhio nudo [3].

Le caratteristiche morfologiche del legno, tramite l’osservazione al microscopio, permettono generalmente di riconoscere la specie di legno, se questo è ben conservato.

Il legno è composto da cellule interconnesse in modo complesso, in un sistema che è continuo dalla radice fino ai rami. Le cellule sono specificatamente orientate in due sistemi separati: il sistema assiale e il sistema radiale. Le cellule del sistema assiale hanno l'asse parallelo all’asse dell’organo che costituiscono, mentre, le cellule del sistema radiale, invece, hanno il loro asse perpendicolare all’asse dell’organo che costituiscono e sono orientate come i raggi in un cerchio, dal nucleo alla corteccia (Figura 1.2).

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L’incremento delle cellule dipende dalla stagione: si possono distinguere, infatti, incrementi cellulari distinti che il legno produce durante la crescita. Il legno prodotto in un periodo vegetativo è organizzato insieme da entità riconoscibili e distinguibili, chiamati anelli annuali o anelli di crescita [2].

La parete della cellula del legno ha una struttura regolare, costituita da tre regioni principali: la lamella mediana (ML), la parete primaria (P) e la parete secondaria (S) (Figura 1.3). Le pareti sono costituite da tre componenti fondamentali: le microfibrille di cellulosa, l'emicellulosa, ed infine, la pectina nelle pareti primarie e la lignina nelle pareti secondarie [2]. La parete cellulare è composta da tre strati (Figura 1.3). Il primo strato S1, adiacente alla lamella mediana, è molto sottile ed è costituito da microfibrille di cellulosa disposte in modo elicoidale. Lo strato successivo della parete, chiamato S2, è più importante per determinare le proprietà della cellula e quindi le proprietà del legno a livello macroscopico. E’ il più esteso della parete secondaria e contribuisce maggiormente alle proprietà globali della parete cellulare. È caratterizzato da una bassa percentuale di lignina. Internamente allo strato S2 c’è lo strato S3, relativamente sottile (Figura 1.3). Questo strato ha la più bassa percentuale di lignina di qualsiasi altro strato della parete cellulare secondaria. La composizione chimica delle varie parti è funzionale alla fisiologia della pianta. Per il trasferimento dell’acqua è necessaria un'adesione tra le molecole di acqua e le pareti della cellula. La lignina è una macromolecola idrofobica quindi la sua bassa concentrazione nello strato S3 consente l’adesione di acqua alla parete cellulare per facilitare la traspirazione.

Figura 1.3 Struttura semplificata della parete cellulare del legno. Dall’esterno: lamella mediana ML;

parete cellulare primaria P; parete cellulare secondaria S1 (esterno), S2 (al centro), S3 (interno); W strato verrucoso. La percentuale di lignina è maggiore in S3 e nella lamella mediana ML. Modello adattato da Cotè [4]

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1.3 Proprietà fisiche del legno

Le proprietà fisiche del legno sono fondamentali per il suo impiego. Il legno, a seconda delle proprietà, è sia un materiale anisotropo sia isotropo, per cui è necessario prendere in considerazione i diversi piani longitudinale, radiale e tangenziale [5]. Le proprietà meccaniche del legno comprendono le proprietà elastiche, correlate alla resistenza, alla deformazione e alla torsione. Queste proprietà non sono isotrope e dipendono da molti fattori [5].

Il contenuto di umidità viene espresso come rapporto percentuale tra il peso del legno tal quale e il peso dopo essiccamento in stufa, ad una temperatura di 60 °C circa. L’acqua è presente in due forme nel legno: una porzione chiamata “acqua legata”, che costituisce circa il 30% di acqua presente, è legata tramite interazioni forti e nel legno vivente satura le pareti cellulari; l’altra porzione è chiamata “acqua libera” e riempie le cavità delle cellule [5].

Un parametro decisivo per effettuare previsioni sulla stabilità del legno archeologico bagnato dopo l’asciugatura è la quantità di acqua presente. In particolare, quando si scende sotto la soglia del livello di saturazione della fibra si ha il fenomeno della contrazione, mentre al di sopra del punto di saturazione si ha il fenomeno del rigonfiamento [5,6]. L’allontanamento dell’acqua causa variazioni nella struttura e nell’aspetto del legno.

Un altro parametro fisico significativo è la densità. Nel caso del legno bagnato è difficoltoso definirla, poiché bisogna tenere conto anche del contenuto di acqua presente, per cui si preferisce parlare di densità specifica [5]. Quest’ultima è definita in modo non univoco nel settore della tecnologia del legno, ma più spesso intesa come rapporto tra il peso del legno essiccato e il volume del legno bagnato, oppure del legno ad un certo grado di umidità [5].

1.4 Composizione chimica del legno

Dal punto di vista chimico il legno è costituito da tre polimeri principali: - cellulosa (35-50% peso a secco)

- emicellulosa (20-40%) - lignina (11-30%) [7]

Le proporzioni dei tre polimeri sono variabili a seconda della specie e della porzione della pianta. Cellulosa, emicellulosa e lignina sono connesse tramite legami di tipo covalente [8]. La loro composizione chimica è descritta in dettaglio nei seguenti paragrafi. Oltre a questi tre polimeri sono presenti composti minori, chiamati estrattivi idrofili e lipofili (solitamente 4-10%) e sostanze inorganiche.

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1.4.1 La cellulosa

La cellulosa è un omobiopolimero (polisaccaride) lineare, insolubile in acqua e ad elevato peso molecolare composto da residui di D-glucosio, legati da legami β(1-4) glicosidici. L'unità ripetitiva è composta da due molecole di glucosio legate, e prende il nome di cellobiosio (Figura 1.4) [2]. La cellulosa contiene carbonio (44,44%), idrogeno (6,17%) e ossigeno (49,39%). La formula chimica è (C6H10O5)n, dove n rappresenta il grado di polimerizzazione medio (PD) che

ha un valore di circa 15000. La cellulosa è principalmente situata nella zona intermedia della parete cellulare e ha la tendenza a formare legami ad idrogeno, che le assicurano una struttura relativamente rigida, dato che le catene si organizzano in microfibrille e successivamente in fibrille. Questa caratteristica conferisce alla cellulosa una struttura semi-cristallina che funziona da scheletro per le cellule del legno. La tendenza della cellulosa a formare legami ad idrogeno rende il legno igroscopico, in quanto la cellulosa lega le molecole di acqua [7].

Figura 1.4 Struttura parziale della cellulosa. Tra parentesi è mostrata l’unità di cellobiosio

1.4.2 L'emicellulosa

L'emicellulosa è un polimero organico simile alla cellulosa, dalla quale si differenzia per il più basso grado di polimerizzazione e per essere costituita anche da monosaccaridi diversi dal glucosio, più specificatamente da unità di zuccheri esosi (galattosio, mannosio, ramnosio, fruttosio), pentosi (xilosio, arabinosio) e acidi uronici (Figura 1.5). È un polimero ramificato e non fibroso [2].

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β-(+)-Xilosio O OH H OH H HO HO H H H H O H OH OH H HO H H OH H H α-L-Arabinopiranosio O H OH H HOH2C H OH H OH α-L-rabinofuranosio O OH H H HOH2C H HO OH H H OH β- D-glucosio O OH H H HOH2C HO HO H H H OH β-D-mannosio O H OH OH HOH2C HO H H OH H H α-D-galattosio O H OH OH HOOC HO H H OH H H α-D- acido galatturonico O H OH OH HOOC HO H3CO H H H H α-D-4-acido metilglucorico O OH H H HOOC H HO OH H H OH α-D-acido glucorico O H OH OH H H H OH OH H α-L-ramnosio O H OH H H H HO OH H OH α –L-fucosio β-(+)-Xilosio O OH H OH H HO HO H H H H β-(+)-Xilosio O OH H OH H HO HO H H H H O H OH OH H HO H H OH H H α-L-Arabinopiranosio O H OH OH H HO H H OH H H α-L-Arabinopiranosio O H OH H HOH2C H OH H OH α-L-rabinofuranosio O H OH H HOH2C H OH H OH α-L-rabinofuranosio O OH H H HOH2C H HO OH H H OH β- D-glucosio O OH H H HOH2C H HO OH H H OH β- D-glucosio O OH H H HOH2C HO HO H H H OH β-D-mannosio O OH H H HOH2C HO HO H H H OH β-D-mannosio O H OH OH HOH2C HO H H OH H H α-D-galattosio O H OH OH HOH2C HO H H OH H H α-D-galattosio O H OH OH HOOC HO H H OH H H α-D- acido galatturonico O H OH OH HOOC HO H H OH H H α-D- acido galatturonico O H OH OH HOOC HO H3CO H H H H α-D-4-acido metilglucorico O H OH OH HOOC HO H3CO H H H H α-D-4-acido metilglucorico O OH H H HOOC H HO OH H H OH α-D-acido glucorico O OH H H HOOC H HO OH H H OH α-D-acido glucorico O H OH OH H H H OH OH H α-L-ramnosio O H OH OH H H H OH OH H α-L-ramnosio O H OH H H H HO OH H OH α –L-fucosio O H OH H H H HO OH H OH α –L-fucosio

Figura 1.5 Monosaccaridi costitutivi delle emicellulose [9]

La sua struttura chimica dipende dal tipo di tessuto da cui proviene e quindi è più corretto parlare di emicellulose piuttosto che emicellulosa. Sebbene alcuni dati indichino che le emicellulose esercitano una funzione di stoccaggio, la combinazione emicellulosa, lignina e cellulosa aumenta la resistenza alla degradazione enzimatica della parete cellulare [9].

1.4.3 La lignina

La lignina è un biopolimero complesso e reticolato in cui il gruppo fenilpropilico costituisce l’unità monomerica fondamentale. L’anello fenilico presenta uno o due gruppi metossilici come sostituenti, mentre la catena propilica è ossidrilata in posizione 3. La lignina appartiene alla classe dei cosiddetti composti fenilpropanoidi, non ha quindi carattere di carboidrato ma rientra nella classe dei composti aromatici. In particolare i monomeri costituenti la lignina sono: - l'alcol p-cumarilico (alcol 4-idrossicinnamilico)

- l'alcol coniferilico (alcol 4-idrossi-3-metossicinnamilico) - l'alcol sinapilico (alcol 4-idrossi-3,5-dimetossicinnamilico).

Quando questi composti sono incorporati nel polimero vengono chiamati anche rispettivamente unità p-idrossifenilica (H), guaiacilica (G) e siringilica (S) e si differenziano sulla base del numero di sostituenti -OCH3 presenti sull’anello. Le loro strutture sono mostrate in

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guaiaciliche mentre la lignina delle piante angiosperme (latifoglie) è composta principalmente da unità guaiaciliche, siringiliche e tracce di unità p-idrossifeniliche [10].

Le unità monomeriche sono unite tra loro in modo vario: attraverso ponti di ossigeno tra due gruppi propilici o fenilici, tra un gruppo fenilico e uno propilico o anche tramite legami carbonio-carbonio tra i medesimi gruppi (Figura 1.7).

OH OH OH OH OCH3 OH OH OCH3 H3CO H G S OH OH OH OH OCH3 OH OH OCH3 H3CO H G S

Figura 1.6 Precursori monomerici della lignina: unità p-idrossi-fenilica (H), unità guaiacilica (G), unità

siringilica (S)

Le unità fenil-propanoiche possono subire sostituzione in α, β o γ con formazione di legami esterei o legami C-C. Il legame più frequente è il β-O-4’. Altri legami sono β-5, β-β, 5-5, 5-O-4 e β-1, più resistenti del precedente [11]. Solitamente la guaiacil-lignina è maggiormente reticolata rispetto alla siringil-lignina grazie alla posizione 5 libera dai gruppi metossilici, a disposizione per i legami intermonomerici (Figura 1.7). La lignina può interagire con la cellulosa e l’emicellulosa tramite legami ad idrogeno, data la presenza di funzionalità idrossiliche o tramite interazioni di tipo non covalente per la presenza degli anelli aromatici [12].

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Figura 1.7 Principali legami intermonomerici presenti nella lignina: β-O-4 (A), β-5 (B), β-β (C), 5 (D),

5-O-4 (E), β-1 (F)

A causa di questa varietà di legami intermonomerici, la struttura della lignina non è stata ancora completamente chiarita [10]. Negli ultimi due decenni di ricerche dedicate allo studio della struttura della lignina, sono stati proposti una decina di modelli strutturali. In Figura 1.8 sono riportati i modelli della lignina di una conifera (A) e di una latifoglia (B), che ne mettono in evidenza la struttura complessa [10].

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Figura 1.8 Modelli della struttura della lignina di conifera (A)[12] e di latifoglia (B)[11]

1.4.4 Gli estrattivi

Gli estrattivi sono sostanze presenti sia nelle conifere che nelle latifoglie e possono trovarsi nel durame o nell’alburno. Possono essere estratti con solventi e vengono classificati in estrattivi organici ed acquosi [2]. La loro composizione chimica varia in funzione della specie e della parte della pianta [2]. Gli estrattivi organici sono costituiti principalmente da gliceridi, acidi grassi, fenoli, terpeni, steroidi, cere ed altri composti minori. Alcuni estrattivi, come le resine di conifera, sono stati utilizzati per molti secoli come materiali impermeabilizzanti o come vernici.

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Trovano applicazione anche in medicina, cosmesi e come conservanti [2]. Gli estrattivi sono responsabili di numerose caratteristiche peculiari delle specie legnose, come ad esempio il loro colore. Rappresentano inoltre una difesa contro l’attacco di funghi ed insetti essendo a volte dotati di potere antimicrobico. In generale, i legni dolci hanno un più alto contenuto di estrattivi rispetto ai legni duri.

1.5 Legno archeologico e i processi degradativi

Non esiste una definizione precisa di “legno archeologico”. In generale esso viene definito come un legno “morto”, adoperato e trasformato dall’uomo per le proprie attività, ed avente valore storico ed antropologico. Storicamente il legno veniva utilizzato per costruire una grande varietà di oggetti di uso quotidiano rendendoli così rappresentativi del periodo storico di riferimento. Gli oggetti in legno, se conservati, forniscono quindi preziose informazioni riguardo l’evoluzione della società umana, della cultura e della tecnologia del passato [10].

I reperti archeologici in legno sono d’altra parte molto rari a causa dell’instabilità del legno nei sedimenti e della degradazione causata da incendi, microrganismi, funghi e insetti. Il legno, infatti, si conserva per lunghi periodi di tempo solo in particolari condizioni. Gli ambienti umidi rappresentano condizioni favorevoli per la sua conservazione, in quanto le condizioni sature d’acqua sono caratterizzate da basse temperature e basse concentrazioni di ossigeno, in cui funghi e insetti non sono attivi. Un esempio è rappresentato dai relitti navali conservati presso musei di tutto il mondo, tra cui il Vasa, nave da guerra recuperata nel 1961 dopo 333 anni di permanenza dalle acque del Mar Baltico e conservata al Vasa Museum di Stoccolma [13] e le Navi Romane di Pisa [10]. Tuttavia anche in condizioni sature d’acqua, alcuni tipi di batteri possono degradare lentamente il legno, causando soprattutto la perdita di cellulosa ed emicellulosa e formando cavità riempite di acqua. Durante questo processo si ipotizza che possa venire alterata anche la lignina. Il risultato è una struttura porosa e fragile, povera di polisaccaridi e composta principalmente da lignina residua [10]. Generalmente la parte interna dei reperti in legno è meglio conservata rispetto alla parte esterna. Una struttura con queste caratteristiche durante l’asciugatura può subire facilmente contrazioni e deformazioni o addirittura un collasso della struttura. Per questo motivo, per la sua conservazione e stabilizzazione, sono necessari interventi di consolidamento specifici. Al fine di preservare il legno degradato e sviluppare e applicare un trattamento di conservazione, è necessario conoscere i processi fisici e chimici che avvengono durante la degradazione.

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1.5.1 Degradazione del legno in ambienti acquosi.

La principale causa dei processi di degrado di manufatti lignei nei sedimenti è dovuta ai microorganismi (funghi e batteri) e agli insetti. I principali fattori che controllano i processi di degradazione batterica e fungina sono l’ossigeno, l’umidità e la temperatura [14]. Negli ambienti saturi di acqua invece il legno appare spesso molto ben conservato, e mantiene la sua integrità fisica: colore, ornamenti e segni di utensili [15]. I reperti devono però essere maneggiati con cura dopo lo scavo poiché è stato osservato che l'asciugatura porta a fenomeni di deformazione [16]. Fino agli anni ’90 erano al centro dell’attenzione i processi di degrado causati dall’idrolisi durante l’esposizione a lungo termine in un ambiente impregnato d’acqua [17]. Studi più recenti dei biologi sulla degradazione dei tessuti [14] hanno dimostrato che la degradazione batterica è dominante nel degrado del legno saturo d’acqua [15,18].

I batteri responsabili del degrado sono classificati in base al modo in cui aggrediscono il legno e vengono classificati come: erosion, tunneling e cavitazione. I batteri di erosione sono i maggiori responsabili del degrado del legno sepolto o immerso in acqua, in quanto sono i più resistenti alla mancanza di ossigeno e possono compiere due tipi di azione: l’erosione “striata” e quella “conica”. La prima mostra la presenza di depressioni nel legno lungo la direzione parallela a quella delle microfibrille, per cui il legno, se si osserva in sezione trasversale, appare striato. La seconda, invece, produce cavità a V, che però possono unirsi rendendo difficoltosa l’individuazione di questo tipo di degrado. I batteri di erosione non attaccano la lamella mediana.

I batteri di tunneling, invece, producono piccoli tunnel all’interno della parete cellulare secondaria, sono molto penetranti e degradano la lamella mediana, metabolizzando parzialmente anche la lignina [19]. I batteri di cavitazione, infine, agiscono solitamente in direzione perpendicolare all’asse delle cellule, creando cavità simili alla forma di un piccolo diamante, quando il degrado raggiunge uno stadio avanzato [20-22]. La Figura 1.10 mostra un esempio di decadimento prodotto da batteri. I batteri di tunneling e quelli di cavitazione non agiscono in ambienti acquosi, infatti, molti reperti imbevuti d'acqua presentano una degradazione superficiale avanzata, mentre all'interno il legno si presenta sostanzialmente integro.

Il processo di erosione è attivo fin quando vengono utilizzate tutte le zone ricche di cellulosa [15].

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Figura 1.10 Degrado batterico del legno: A degrado causato da batteri di tunneling, che attaccano la

parete cellulare secondaria e la lamella mediana; B degrado da parte dei batteri di erosione; C attacco da parte dei batteri di cavitazione. A e B sono immagini ottenute al TEM; C è un immagine acquisita al SEM [23].

Un altro tipo di degrado del legno è prodotto dai funghi classificati come “marciume bianco” (white-rot), “marciume marrone” (brown-rot) e “marciume molle” (soft-rot) [23]. I funghi del marciume bianco sono in grado di degradare tutti i componenti della parete cellulare, lignina compresa, attraverso un processo ossidativo che vede impegnati enzimi come ad esempio la fenol-ossidasi e la lignina-perossidasi, provocando demetossilazione e rottura dei legami C-C e C-O [24]. Questi microrganismi sono in grado di metabolizzare anche la lignina. Alcune specie di funghi sono in grado di rimuovere preferenzialmente solo la cellulosa, solo la lignina o entrambe contemporaneamente, facendo apparire il legno indebolito e scolorito. In acqua l’attività dei funghi del marciume bianco è abbastanza ridotta.

I funghi del marciume marrone, attivi in alcuni casi anche in ambienti marini, attaccano preferenzialmente la cellulosa depolimerizzandola, lasciando un residuo ligneo molto fragile di colore marrone costituito prevalentemente da lignina, che ha subito demetilazione dei gruppi metossilici.

La Figura 1.12 mostra alcune immagini acquisite al SEM di legni che hanno subito attacco da funghi.

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Figura 1.12 Attacco da parte di funghi del marciume marrone (A): la cellulosa è stata quasi interamente

degradata e si osserva la lignina residua. Attacco da parte di funghi del marciume bianco (B): tutte le componenti del legno sono altamente degradate. Attacco da parte di funghi del marciume molle (C) che lasciano delle cavità nella parete cellulare secondaria. Le immagini sono state acquisite al SEM [23].

I funghi del marciume molle attaccano principalmente la parete cellulare secondaria, lasciando il legno in uno stato di estrema fragilità (Figura 1.13) [23]. Questi funghi sono attivi anche in ambienti marini, lasciando il legno molto morbido a causa della loro azione [25].

Gli archeologi e i conservatori applicano diversi metodi di trattamento, con lo scopo di stabilizzare e preservare il legno, in modo tale che il danno sia minimo dopo l’essiccazione e il reperto mantenga il più possibile le sue caratteristiche superficiali e dimensionali [15].

1.5.2 Degradazione legata alla presenza di sali inorganici

Un'altra problematica da affrontare nella conservazione dei reperti in legno bagnato è il fenomeno della degradazione dovuta alla presenza di sali inorganici. La loro presenza è dovuta a viti, chiodi e altre parti metalliche presenti nella struttura, ed inoltre da alcuni trattamenti conservativi con sali inorganici, come per esempio l’allume, utilizzato nei primi anni del ‘900 per la conservazione dei reperti archeologici nel nord Europa [26].

Nel legno archeologico si riscontrano spesso significative quantità di composti solforati, presenti principalmente sotto forma di tioli e disolfuri. Questi componenti inorganici derivano dal ciclo biogeochimico del ferro e dello zolfo in condizioni anaerobiche [27].

Durante l'essiccazione e l’esposizione all’aria, le componenti inorganiche cristallizzano e si ossidano, generando crepe ed efflorescenze. Questo fenomeno è accompagnato, in alcuni casi, da un aumento dell’acidità. Queste problematiche sono state osservate e studiate in alcuni relitti marini come nel caso della nave Vasa e Mary Rose [28-30] ed è stato messo in evidenza

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che l’ossidazione dello zolfo a sali di zolfo idrati comporta un'espansione del 5-10% del volume per ogni atomo di zolfo presente, causando quindi danni meccanici.

Anche il ruolo del ferro è rilevante nei processi di degradazione dovuta alla presenza di sali inorganici, in quanto, Fe+3 agisce da catalizzatore nell’ossidazione dei solfuri ed altri composti ridotti di zolfo, causando un aumento dell’acidità ed il degrado diretto della cellulosa [31]. In tutto ciò, la presenza di consolidante come il polietilenglicole (PEG) ha avuto, purtroppo, il ruolo di accelerare e favorire le varie reazioni. Infatti il PEG si comporta come elettrolita anche allo stato solido e contribuisce a portare in soluzione il ferro, favorendo, di fatto, la corrosione [27,32]. Inoltre il meccanismo più probabile di degrado del PEG è per l’ossidazione dei gruppi idrossilici terminali che porta alla produzione di acido formico. Il meccanismo rappresenta una sorta di unzipping del polimero. L’acido formico prodotto contribuisce ad aumentare l’acidità del legno. Anche questo fenomeno è stato per la prima volta descritto nel caso del vascello svedese Vasa, il cui avanzato stato di degrado è stato oggetto di intense ricerche negli ultimi anni [27,32].

1.6 Conservazione del legno archeologico imbibito d’acqua

Sebbene il legno archeologico imbibito d’acqua possa apparire esteriormente in un discreto stato di conservazione, in realtà, a causa dei processi di degrado descritti nella precedente sezione, è un materiale poroso e spugnoso, povero di cellulosa ed emicellulosa, e saturo d'acqua, la cui asciugatura può compromettere l'integrità degli oggetti con cambiamenti dimensionali anche notevoli. La maggior parte dei trattamenti conservativi applicati agli oggetti archeologici in legno bagnato mira alla sostituzione dell'acqua presente nelle cavità con materiali consolidanti, in maniera tale da scongiurare un collasso della struttura [28].

L’iter per la scelta dei trattamenti di conservazione di un oggetto in legno può essere così suddiviso:

- valutazione delle condizioni dell’oggetto in esame mediante analisi meccaniche, fisiche e chimiche;

- interruzione dei processi di deterioramento chimici e biologici per quanto possibile;

- salvaguardia da danni meccanici, intervenendo durante l’asciugatura con consolidanti specifici.

La procedura di conservazione risulta complessa e può essere lunga inoltre, la penetrazione del consolidante avviene lentamente. Per i legni imbibiti d’acqua con elevato grado di porosità

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conservazione del legno fu sviluppato da C.B. Herbst nel 1850 e venne applicato a reperti di legno saturo d’acqua altamente degradati rinvenuti a Viemose, in Danimarca [34]. La procedura per la conservazione consisteva nel trattamento del legno con soluzioni concentrate calde di sali di allume (solfato di alluminio e potassio dodecaidrato-KAl(SO4)2∙12H2O). Il consolidamento

con sali di allume era allora uno dei pochi metodi disponibili per la cura dei reperti archeologici in legno degradato saturo d’acqua e ottenne riconoscimento in diversi musei [35]. E’ stato anche utilizzato per la conservazione di alcuni reperti in legno vichingo rinvenuti in Norvegia nel sito di Oseberg ed oggetto di studio nell’ambito di questa Tesi. Durante il periodo dell’uso del metodo con sali di allume, furono applicate diverse varianti al trattamento di oggetti di legno bagnato. Concentrazioni variabili del sale d’allume e l’aggiunta di altri composti, come il glicerolo, sono stati testati e documentati [34,35].

Il legno trattato con allume risulta attualmente molto acido (pH circa 1-2.5) ed indebolito meccanicamente dopo circa 100 anni dalla sua conservazione [35,36]. E’ stato ipotizzato il degrado dell’allume con formazione di composti che rendono l’ambiente acido, secondo la reazione chimica:

3 KAl(SO4)2 + 12 H2O → KAl3(SO4)2(OH)6 + 2 K+ + 4 SO4-2 + 6 H3O+ [35]

Si presume che la decomposizione e il degrado dell’allume sia dovuto alla copresenza di ioni metallici come Fe, Zn e Cu [36].

Alcune indagini svolte da conservatori presso musei in Norvegia, Danimarca e Svezia hanno dimostrato che il metodo di trattamento del legno con sali di allume ha causato danni gravissimi ai reperti [35-37] e, le nuove generazioni di specialisti di conservazione si trovano ad affrontare ed a garantire lo stato delle opere trattate con sali d’allume [36-38].

Sono stati testati numerosi altri metodi di conservazione, e Grattan ne ha paragonati molti per evidenziare vantaggi e svantaggi [39]. I sali d’alluminio vennero sfruttati come trattamento consolidante per i legni provenienti dagli ambienti umidi fino alla fine del 1950, quando furono sostituiti dal consolidante organico polietilenglicole (PEG) che sembrava offrisse un’ alternativa migliore. Il metodo, sicuramente il più largamente studiato ed utilizzato, è quello che usa il PEG a diversi pesi molecolari disciolto in diversi solventi: il t-butanolo, il metanolo e l’acqua sono i più comuni. Il grado di penetrazione del PEG nel legno dipende sia dal peso molecolare medio, sia dalla concentrazione, perciò ogni trattamento ha bisogno di essere valutato singolarmente. Il più famoso esempio di applicazione di questo polimero è il caso del vascello svedese Vasa,

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ritrovato nel 1961 nei pressi del porto di Stoccolma e risalente al XVII secolo: la nave è stata interamente trattata con PEG ed è visibile al Vasa Museum di Stoccolma dal 1990 [13].

Un altro esempio di utilizzo del PEG risale al 1994, per la conservazione della nave Mary Rose, irrorata con una soluzione acquosa di PEG 200, fatta penetrare attraverso la struttura del legno, fino al 2006. In quell’anno lo spray fu sostituito con PEG 2000 che a temperatura ambiente si presenta come un solido ceroso. Questo è solubile in acqua calda ed agisce come un consolidante, fornendo supporto strutturale, dal momento che riempie il lume delle cellule degradate ed indebolite all’interno del legno. Il trattamento con PEG è stato poi interrotto nel 2013, e seguito dall’asciugatura in condizioni controllate dello scafo della nave.

Il PEG è molto sensibile all’umidità ed quindi è necessario installare costosi impianti di controllo ambientale, in quanto l’igroscopicità del PEG può favorire la corrosione del ferro e l’instabilità dei sali [29,40].

Un metodo di conservazione alternativo fu sviluppato da McKerrell e prevedeva l’uso di colofonia disciolta in acetone: il legno veniva dapprima immerso in acetone per eliminare l’acqua e successivamente impregnato con una soluzione satura di colofonia al 66% in peso, in acetone a 52 °C. Dopodiché si sottoponeva il tutto a condizionamento per allontanare l’acetone, fino a che il peso non risultava costante [95]. I tempi di impregnazione sono molto lunghi ed il risultato riportato è che circa il 75% del volume di acqua è rimpiazzato dalla colofonia [41].

Di seguito sono riportati alcuni trattamenti, testati come possibili alternative al PEG ed ancora in fase sperimentale, che prevedono la polimerizzazione in situ. Uno di questi è il metodo di Munnikendam che prevede la polimerizzazione in situ del monomero idrossietil-metacrilato, che, una volta diffuso nella matrice lignea, viene polimerizzato tramite irradiazione con raggi γ [42]. I risultati di questo metodo non sono stati soddisfacenti. Un’alternativa migliore è offerta dalla kauramina, una resina termoindurente a base di urea e formaldeide con aggiunta di melammina. Questo trattamento conferisce al legno buone proprietà meccaniche e buon aspetto visivo ed è stato usato per la conservazione dei reperti navali rinvenuti a San Rossore, Pisa [43].

Un'altra molecola testata dopo deidratazione del campione con acetone è il tetra-etil-orto-silicato (TEOS). Nella fase di essiccamento quest’ultimo idrolizza formando SiO2 e alcol etilico. Il

metodo di trattamento non è risultato completamente soddisfacente nel consolidare la struttura e lascia residui di silicati visibili in superficie [39].

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Uno dei più recenti metodi di conservazione utilizza un approccio differente: I conservatori hanno pensato all’utilizzo di un materiale consolidante, più precisamente ad un composto in grado di penetrare la struttura legandosi ad essa a “ragnatela”, in modo tale da lasciare delle porosità a disposizione per un altro agente consolidante che potrebbe essere utilizzato in futuro. Tra questi il monomero isoeugenolo, solubile in soluzioni acquose di etanolo, è stato testato per il consolidamento di legni bagnati mediante polimerizzazione in situ, poiché ha una struttura simile all’alcol coniferilico che è un precursore della lignina. Il composto in esame ha proprietà antibatteriche e antimuffa. Il trattamento ha avuto discreti risultati poiché l’isoeugenolo si lega direttamente alla struttura del legno [44].

Si è pensato, quindi, a materiali aventi struttura simile alla lignina contenuta nel legno, impiegando lignina artificiale oppure lignina residua di processi di trattamento. La lignina estratta dal legno sembra conferire una maggiore resistenza rispetto al PEG. A tal proposito, sono state studiate le resine fenolo-formaldeide che hanno una struttura simile alla lignina, ma non hanno una buona capacità di penetrazione [43]. L’ARC-Nucleart di Grenoble ha sperimentato alcuni acidi grassi al fine di stabilizzare il legno archeologico. In particolare è stato testato l’acido azelaico poiché offre una buona resistenza all’idrolisi e all’ossidazione, un’ottima idrofobicità a temperatura ambiente e una buona idrosolubilità, anche ad alte temperature (> 70 °C). Inoltre ha buone capacità di consolidamento [45]. Tuttavia il trattamento non è risultato adatto poiché acidifica (pH=3) la soluzione impiegata per il trattamento, causando un attacco chimico al legno [46]. Un’alternativa è l’impiego dei sali dell’acido sebacico (Na2Seb e HNaSeb),

che avendo un effetto tampone intorno a valori di pH compresi tra 4 e 7 (valori osservati anche per le soluzioni di PEG) consentono di controllare meglio l’acidità delle soluzioni impiegate per il consolidamento [47]. Questi materiali sono ancora in fase di sperimentazione e sono stati sperimentati nel corso del progetto JPI ArCo nell’ambito del quale si è inserita questa Tesi. Un altro esempio di trattamento consolidante è la biomineralizzazione ossia cercare di costruire degli scheletri in situ, usando, ad esempio, carburo di silicio. Questo tipo di applicazioni, in futuro, potrebbero essere sviluppate sfruttando le nano particelle [43]. Sono stati indagati anche composti polisaccaridici, compresa la cellulosa che però non è solubile in acqua ed inoltre non penetra bene nella struttura lignea. Per migliorare queste caratteristiche sono stati effettuati tentativi di funzionalizzazione del polimero, con aggiunta di gruppi carbossimetilici e allilici, fino ad un tentativo del copolimero cellulosa-chitosano [43].

Recentemente anche presso l’Università di Cambridge è stato sperimentato un nuovo materiale con lo scopo di risolvere le tre problematiche principali che vengono riscontrate dai

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conservatori durante il metodo di conservazione, ossia, l’instabilità strutturale dovuta all’essiccamento, la degradazione biologica e chimica dovuta alla presenza dell’Fe+3 e dell’acido solforico. Si tratta del polimero denominato PolyCatNap, attraverso la molecola ospite cucurbit (8) Uril e due molecole ospiti, naftolo e catecolo [48]. Questo approccio è stato proposto in alternativa ai trattamenti di consolidamento con PEG. Tuttavia anche questo metodo è ancora in fase di sperimentazione.

1.7 Metodologie analitiche per il legno

Il legno è un materiale molto complesso e la degradazione ne complica ulteriormente la composizione chimica. Allo stato dell'arte attuale non è disponibile ancora un quadro completo dei cambiamenti che avvengono in seguito ai processi di degrado. Le metodologie analitiche sviluppate per la caratterizzazione del legno sono state applicate anche ai legni archeologici [49]. I metodi classici di analisi del legno si basano prevalentemente sull’isolamento selettivo per via umida e successiva quantificazione gravimetrica dei componenti quali olocellulosa (cellulosa e emicellulosa), lignina, estrattivi e ceneri. Tecniche di questo tipo sono state standardizzate dalla Technical Association of Pulp and Industry (TAPPI) e poi utilizzate anche per il legno archeologico: per esempio il metodo Klason, basato sull’isolamento e determinazione della lignina dopo idrolisi della componente polisaccaridica con acido solforico [50], il metodo di Norman e Jenkins [51] per la determinazione dell’olocellulosa, la quantificazione delle ceneri in seguito a calcinazione sono tutti metodi utilizzati anche per il legno archeologico [52-55]. Le analisi di tipo classico applicate al legno archeologico, dove le caratteristiche chimiche e la solubilità differiscono dal legno non degradato, presentano d’altra parte alcuni aspetti problematici quali: (i) uso di una consistente quantità di campione e di reagenti; (ii) separazioni tra le componenti del legno (estrattivi, lignina, cellulosa ed emicellulose) che possono essere influenzate dallo stato di degrado e (iii) tempi di analisi lunghi e laboriosi. Diverse tecniche analitiche strumentali sono state applicate per ridurre al minimo la preparazione e la quantità del campione.

1.7.1 Tecniche microscopiche

Tecniche microscopiche come la microscopia ottica (MO), la microscopia elettronica a trasmissione (TEM) e la microscopia a scansione con microanalisi a dispersione di energia (SEM-EDX) sono particolarmente utili sia per indagare le caratteristiche morfologiche del legno

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