A più di cinque anni di distanza dalla conclusione degli interventi formativi più di un terzo degli individui osservati non è ancora occupato. L’indagine mostra come, nel corso di questi anni, i percorsi professionali o di vita seguiti da queste persone siano stati piuttosto diversificati: alcuni hanno sempre lavorato prima di trovarsi nell’attuale condizione di disoccupazione; altri, hanno alternato stati di occupazione a stati di disoccupazione; altri hanno sempre gravitato nell’area dell’inattività o in quella degli studenti; altri, infine, sono transitati dall’area dell’inattività a quella dell’attività o vice-versa. Una quota di individui non marginale (17%), però, pur restando in tutto questo tempo attivamente alla ricerca di un’occupazione, non ha mai svolto nessun tipo di esperienza lavorativa, neppure per brevi periodi o in forma saltuaria.
Dal punto di vista socio-anagrafico, tra tutta la popolazione “in cerca di lavoro”, la categoria dei “sempre in cerca” costituisce quella dai connotati più problematici: rispetto agli altri sottogruppi, infatti, ci troviamo di fronte ad individui di età più elevata (più della metà supera i 35 anni e circa un terzo è ultra 45 enne: un’incidenza più che
doppia rispetto agli altri sottogruppi), vetustà delle competenze acquisite, fortissima componente di genere in età matura (la concentrazione di donne ultra quarantenni è del 49,3% contro una media del 30%) e con carichi famigliari, modesti titoli di studio (più della metà dispone appena di una licenza media).
Dal punto di vista dei comportamenti, si conferma tale connotazione critica: assenza di forme di aggiornamento/manutenzione delle competenze (solo il 16,3% ha frequen-tato corsi ulteriori, un dato poco rilevante considerato il lungo periodo considerato), insuccesso nella ricerca continuativa di lavoro (ricorso ad una ristretta rosa di canali reiterati nel tempo), intermittente o blando rapporto con le Istituzioni (spesso in conseguenza di una delusione originatasi dal primo contatto con i cpi), preminenza di forme artigianali di orientamento pur partendo da un contesto socio–anagrafico così modesto da far apparire del tutto necessaria un’attività di supporto nelle fasi di transizione da un passaggio all’altro della vita professionale (formazione-lavoro). Anche da questo punto di vista, dunque, si può dire che questa sottopopolazione rappresenti la zona più critica del target osservato, i cui comportamenti oscillano tra una blanda attività e un limitare sulla soglia dello scoraggiamento, senza tuttavia possedere la co-erenza della convinzione del target composto per esempio dagli inattivi-studenti o da coloro che hanno alternato inattività ad attività, per motivi di studio o di famiglia. Al contrario di questi ultimi, infatti, l’insieme dei comportamenti espressi dalle persone “sempre in cerca” delinea una condizione nella quale, man mano che passa il tempo, si assiste ad un affievolimento della percezione della propria critica condizione nel mercato del lavoro, o se si vuole ad una condizione di rassegnazione ad essa. Tale condi-zione risulta probabilmente diluita all’interno degli equilibri raggiunti da ogni singolo individuo all’interno delle altre dimensioni della propria vita, che nel frattempo si sono consolidate con la costruzione di una famiglia, oppure con la scelta di accudire figli e/o famigliari, ecc.; nello stesso tempo, la stessa condizione tende a cronicizzare per l’assenza di altre prospettive o di stimoli di carattere formativo, presenti invece nel caso della componente studentesca.
Emerge in conclusione d’indagine un profilo generico di popolazione più esposta al rischio di marginalizzazione lavorativa, propensa allo scoraggiamento e, con il tra-scorrere del tempo, sempre più difficilmente intercettabile dai radar degli operatori del mercato del lavoro e della formazione. Tale ritratto corrisponde a quello di donne, in età avanzata (over 40), con alle spalle carichi familiari (almeno un figlio, in alcuni casi più di uno), modesti titoli di studio (al massimo licenza media), e in alcuni casi di origine straniera. Questo target di popolazione presenta una scarsa propensione a seguire forme di aggiornamento delle competenze e, in linea di massima, una modesta capacità di pianificazione delle attività di ricerca, in parte anche a causa di impegni o impedimenti familiari (cura dei figli, assistenza ai parenti, ecc.). Per le stesse ragioni, è spesso vincolato a selezionare proposte di lavoro che non prevedono un’eccessiva mobilità geografica oppure orari lavorativi part time. A fronte di un quadro già molto complesso e problematico, questo target mostra enormi difficoltà a diversificare l’offerta dei canali di accesso al mercato del lavoro, e una tendenza a ripetere costantemente nel tempo le stesse azioni e gli stessi atteggiamenti, nonostante in passato si siano rilevati inutili e poco efficaci.
Infine, l’elemento che suscita maggiore preoccupazione è costituito dal rapporto con le Istituzioni del mercato del lavoro e della formazione, risultato assai blando e infruttuoso e caratterizzato da un profondo senso di sfiducia da parte di questi individui: molto probabilmente ciò è dovuto a causa del primo inconcludente contatto verifica-tosi nella prima fase di ricerca di lavoro al termine del corso, nonché della modesta capacità di offerta e di proposta di opportunità, espressa successivamente dai cpi stessi.
La condizione abbastanza marginale dei cpi nel corso del tempo può essere letta da due versanti: il primo è legato alle condizioni di generale contrazione del mercato del lavoro proprio nel periodo nel quale le due tornate di indagine sono state svolte; si può pensare che ciò abbia ulteriormente ridotto la già bassa capacità di intermedia-zione diretta e che abbia condizionato in negativo – per assenza di domanda di lavoro generale – la capacità di intermediazione indiretta dei Servizi per l’impiego.
Il secondo versante attiene al perimetro dell’azione delle Istituzioni pubbliche. Queste ultime, operando in un contesto di forti vincoli di risorse umane, strumentali ed economiche esprimono una capacità funzionale limitata o, rispetto all’entità e alla qualità della domanda di servizi, “selettiva”. Ciò significa che a beneficiare dell’entità dei servizi disponibili sono anzitutto (e soprattutto) le componenti meno passive (se non più proattive) dell’eterogeneo gruppo delle “persone attualmente in cerca di lavoro”. Proporzionalmente, infatti, i cpi risultano più in grado di attrarre quelle por-zioni di popolazione che non sono rimaste ai margini del mondo del lavoro e, più in generale, che hanno potuto comunque contare agli inizi del percorso qui osservato su un rapporto non occasionale con altre istituzioni, soprattutto afferenti al mondo dell’Istruzione. Il riferimento va, nel primo caso alle persone che «Hanno alternato occupazione e disoccupazione», le quali si sono ritrovate senz’altro meno marginaliz-zate ed escluse tanto dal mercato del lavoro quanto dal contesto formativo e lavorativo (considerando l’esperienza lavorativa comunque un’occasione di aggiornamento e adeguamento di competenze e presentazione sul mercato del lavoro per l’individuo) di quanto non è stato osservato per le persone «sempre in cerca di lavoro». Nel secondo caso, il riferimento è alle porzioni di popolazione che hanno potuto orientarsi nella pianificazione del proprio percorso formativo e poi di ricerca di lavoro servendosi anche dell’apporto di altre istituzioni (scuola, università in primis), ovvero che hanno continuato negli anni le attività di studio e formazione, talvolta inframmezzandole con periodi di ricerca di lavoro o di vera e propria occupazione («Sempre inattivi o studenti», persone che «Hanno alternato inattività ad attività»). In questo caso, sia pure numericamente ridotto in rapporto all’ampiezza del target complessivo delle persone «attualmente in cerca di lavoro», è possibile intravedere il ruolo delle altre Istituzioni (scuola, università, formazione) nell’indirizzare le persone verso canali istituzionali e nel favorire comportamenti virtuosi anche nel lungo periodo.
Tutto ciò va a detrimento della fascia di popolazione più debole, meno dotata di capacità di iniziativa, in quanto progressivamente più rassegnata e dunque sempre meno in grado di formulare una domanda progettuale e di tradurla in azioni efficaci di ricerca di lavoro. Questa fascia di popolazione richiederebbe una capacità ed una intensità di azione che i cpi e le Istituzioni pubbliche non sembrano esser state in grado di fornire se, come si è potuto osservare, proprio i sottogruppi che più direttamente
costituisco-no i destinatari principali dei servizi offerti dai cpi, esprimocostituisco-no le quote di più elevata frequentazione occasionale degli stessi. La combinazione di questi fattori organizzativi con le caratteristiche ed i comportamenti osservati presso le fasce di popolazione più a rischio di emarginazione, finisce con il relegare tali porzioni di popolazione in una sorta di “zona grigia”, ai margini del perimetro operativo delle Istituzioni stesse, nella quale la capacità di intervento delle istituzioni preposte e la portata di tale intervento risulta frammentaria e di corto raggio, tanto più in un periodo di forte contrazione del mercato del lavoro e di richiesta di manodopera specialistica come quello a cavallo del quale si è svolta la presente indagine.
Per citare questo articolo: Giuseppe Di Battista e Roberto Landi, La ricerca del lavoro
tra strategie sbagliate e congiunture sfavorevoli: storia di un’occasione mancata, “Osservatorio