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DELLE FATTISPECIE CODICISTICHE DI CORRUZIONE

1. Considerazioni introduttive

Nel precedente capitolo abbiamo esaminato i reati di corruzione sotto un profilo prevalentemente storico e socio-criminologico: appurato che la tensione applicativa vissuta oggi da tali reati è un fatto assolutamente pacifico, così come pacifica era la loro perfetta conferenza rispetto al sistema per il quale tali fattispecie furono pensate, normale è stato chiedersi cosa nel frattempo sia accaduto.

E di eventi in un arco temporale di quasi ottanta anni ne sono certamente successi parecchi.

La caduta dello Stato Fascista con tutto il suo apparato ideologico e l‟entrata in vigore della Costituzione repubblicana sicuramente sono stati accadimenti certo di non poco rilievo nella vita di queste fattispecie.

A partire dall‟entrata in vigore della Costituzione, infatti, hanno cominciato a presentarsi tutte le problematiche connesse al profilo dell‟oggettività giuridica tutelata

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Successivamente, con l‟affermazione del principio di offensività come principio tendente sempre di più al riconoscimento della propria rilevanza costituzionale, è entrata in crisi anche la configurazione strutturale di tali reati: l‟eccessiva rilevanza, nella loro struttura offensiva, dell‟elemento psicologico, id est del dolo specifico, conduce inequivocabilmente ad una forte “soggettivizzazione” delle condotte criminose che, se certo era perfettamente consentanea al perseguimento degli scopi propri dello Stato in cui tali fattispecie furono ideate, si pone adesso in forte tensione col principio di offensività, soprattutto se inteso quale canone di criminalizzazione.

Il mutamento dell‟assetto dello Stato, con tutto ciò che ne è seguito in termini di carta dei valori, ha così finito, già di per sé, per segnare l‟anacronismo di tali fattispecie.

Tanto che non è stato un caso che già a far data dagli anni ‟70 dalla dottrina si fossero sollevate voci in favore di una già auspicabile riforma2.

Riforma che avrebbe dovuto ispirarsi alla tutela dei valori sostanziali indicati nella Carta fondamentale, cioè a dire del buon andamento e dell‟imparzialità dell‟amministrazione, e che avrebbe dovuto realizzarsi attraverso la ricostruzione delle fattispecie come reati di evento: più precisamente, come reati «con evento alternativo di danno per la pubblica amministrazione ovvero di danno per le posizioni dei cittadini di fronte al pubblico potere o alla par condicio civium»3.

1 V. infra in questo capitolo, sub § 2. 2 In questo senso, v. P

ALAZZO F.C., Funzionalità e correttezza della pubblica amministrazione

controllo penale e alternative,cit., p. 213.

3 P

ALAZZO F.C., Funzionalità e correttezza della pubblica amministrazione controllo penale e alternative,cit.,p. 214.

D‟altra parte, per quanto sotto il profilo della configurazione strutturale i reati di corruzione versassero già in una situazione di crisi, data la difficoltà, nonostante ogni possibile operazione di ortopedia giuridica, di individuare una reale offesa al bene giuridico protetto4, nondimeno quest‟ultimo era un versante della crisi apprezzabile unicamente avuto riguardo ai principi-cardine del sistema, id est privo di ricadute concrete sulla effettiva capacità reattivo-applicativa dei reati di corruzione.

Come si è tentato di dimostrare nel precedente capitolo, infatti, l‟ineffettività sostanziale di tali reati è dipesa da altri e ben diversi fattori.

L‟analisi storica delle fattispecie ha portato alla luce come il codice del ‟30, incentrando il paradigma criminoso sull‟ „atto dell‟ufficio‟, non abbia fatto altro che recepire, in materia di corruzione, quella che senza mezzi termini si può ben definire una „tradizione giuridica consolidata‟.

Né avrebbe potuto essere diversamente, stante i tratti episodici che presentava (rectius, che continuava a presentare) il fenomeno corruttivo in quegli anni.

Questa perfetta corrispondenza tra fattispecie tipica e referente criminologico, tuttavia, si è visto essersi persa col tempo.

Soprattutto i fatti di “Tangentopoli” hanno dimostrato che l‟idea carrariana della corruzione come «baratteria», immagine sottesa alle fattispecie codicistiche, per quanto ancora oggi funzionale alla repressione di determinate realtà empiriche, tuttavia mal si presta a controbattere la corruzione, quando il fenomeno si presenta nei suoi tratti di sistematicità.

A questo punto, dunque, l‟anacronismo delle fattispecie di corruzione, proprio perché oramai divenuto bifronte, avrebbe dovuto condurre ad una riforma della materia, diretta a restituire ai reati de qua razionalità strutturale e congruità politico- criminale.

E la riforma è stata attuata con la nota l. n. 86 del 1990.

Ma come si è avuto modo di osservare in precedenza, per quanto con la l. n. 86 del 1990 siano state riscritte le norme sulla corruzione, al di là di alcune innovazioni dettate da ragioni di ordine tecnico, non è stata realizzata alcuna novità che attenga alla struttura dei reati o alla punibilità dei loro autori. E ciò, si badi, nonostante fosse

stata segnalata autorevolmente «l‟inefficacia delle norme concernenti la corruzione, in relazione alla vastità del fenomeno»5 e la conseguente necessità di ristrutturare le fattispecie ad essa attinenti6.

Posto dunque che rispetto al passato nulla è cambiato, si tratta adesso di analizzare più nel dettaglio il funzionamento di queste fattispecie nel nostro ordinamento e, in particolare, il profilo concernente l‟elemento strutturale „atto d‟ufficio‟, stante la sua assoluta centralità entro il paradigma criminoso sostanziale di tali norme.

Appurata, cioè, la discrasia tra l‟immagine della corruzione sottesa alle fattispecie codicistiche e il referente criminologico odierno, in questo capitolo esamineremo la nozione di atto d‟ufficio (o del servizio), da sempre al centro di un dibattito ancora molto aperto, soprattutto a causa delle problematiche afferenti a tale elemento normativo di fattispecie. Tale analisi dovrebbe condurre a mettere in luce la sfera di applicazione «consentita» delle fattispecie di corruzione; id est conforme ai principi-caposaldo del sistema penale.

Nondimeno la necessità di delineare con precisione la sfera di problematicità dei reati di corruzione ci spinge a riprendere una questione sopra soltanto accennata e ad affrontarla in via preliminare: ovverosia la questione dell‟oggettività giuridica tutelata da questi reati.

Ciò non soltanto per dovere di completezza, ma anche perché sterile appare l‟analisi dell‟elemento „atto dell‟ufficio‟ senza dare anche conto dei loro contenuti di disvalore.