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La punibilità del fenomeno c.d dell‟iscrizione del pubblico ufficiale a libro paga o della corruzione a futura memoria.

OPERA DELLA PRASSI GIURISPRUDENZIALE COME INDICE DELLA NECESSITÀ DI UNA RIFORMA

3. La portata pratico-applicativa dell‟orientamento giurisprudenziale che intende la corruzione come «mercimonio della funzione».

3.1. La punibilità del fenomeno c.d dell‟iscrizione del pubblico ufficiale a libro paga o della corruzione a futura memoria.

Una delle prime conseguenze applicative derivanti da tale nuova impostazione è la creazione, per tale via, di uno strumento idoneo a fronteggiare il fenomeno del pubblico ufficiale a libro paga o, se si preferisce, della corruzione a futura memoria.

Come già detto in precedenza29, l‟iscrizione del pubblico ufficiale a libro paga è una situazione piuttosto insidiosa, concretizzandosi non già in un tradizionale episodio di corruttela, bensì in un evento corruttivo dai tratti più articolati e complessi, più pericoloso e maggiormente riprovevole di una corruzione che segue lo schema grezzo.

Infatti, a differenza che nella corruzione tradizionale, la corruzione a futura memoria è caratterizzata non da un‟unica dazione per uno specifico atto, quanto da dazioni periodiche sganciate da controprestazioni specifiche: ciò che viene acquistato, in questo caso, non è l‟atto, ma la benevolenza del pubblico ufficiale, cioè a dire l‟impegno del funzionario ad attivarsi quando se ne presenti la necessità; ed ecco che si spiega la felice denominazione “iscrizione del pubblico ufficiale a libro paga”.

La descrizione del fenomeno è già di per sé sufficiente per comprendere l‟impossibilità di riconduzione sotto l‟alveo applicativo dei delitti di corruzione, se non a determinate condizioni30.

L‟attuale configurazione codicistica presuppone che la dazione indebita abbia come referente un «atto»; nel caso di specie, invece, il sinallagma è tra la dazione e un impegno: oggetto della finalizzazione – dunque – non è più un atto dell‟ufficio, bensì la captatio benevolentiae del funzionario. Siamo, pertanto, fuori dalla fattispecie quando si riconosce la corruzione nel generico impegno a mettersi a disposizione.

29 Al riguardo, v. amplius retro, cap. I, sub § 5.

30 Riassume bene i limiti di ammissibilità della questione, Trib. Roma, 13 marzo 2006, in Giur.

merito, 2006, p. 2730: «Nel delitto di corruzione assume rilievo la condotta del pubblico ufficiale che riceve una controprestazione in cambio di un concreto esercizio dei poteri dell‟ufficio, ben determinato nel suo contenuto, anche se non individuabile in uno specifico atto». In argomento, v. retro, Cap. II, sub § 4.

Ciò, ovviamente, fino a che ci si voglia attenere ad un‟interpretazione compatibile, o comunque in qualche misura compatibile, con la vigente configurazione legislativa dei delitti di corruzione.

Nondimeno, da un lato esigenze di natura repressiva, dall‟altro la perdurante inerzia del legislatore circa quell‟eventuale ma inutilmente attesa modificazione degli artt. 318 e 319 c.p., hanno portato la giurisprudenza ad elaborare soluzioni ermeneutiche che consentano – comunque – di fronteggiare il fenomeno, data la sua capillarità nella realtà odierna.

Un atto di forza ed al tempo stesso di supplenza della giurisprudenza, insomma, che attraverso un iter interpretativo talvolta anche abbastanza articolato, ha veramente ridisegnato il volto della corruzione, così da creare una fattispecie di corruzione di diritto vivente che più nulla ha in comune con quella legale.

Così si è affermato che «L‟ipotesi delittuosa della corruzione si attua non solo con riferimento a fatti di mercimonio dei doveri dell‟ufficio per atti squisitamente formali ma anche alla condotta, in genere, di sistematico e generalizzato favoritismo del pubblico ufficiale»31.

Più precisamente, una volta superato l‟ostacolo normativo costituito dall‟individuazione dell‟atto compravenduto, e sulla premessa che l‟atto d‟ufficio non va inteso in senso formale, comprendendo la locuzione «qualsiasi comportamento che violi i doveri di fedeltà, onestà, imparzialità, che chiunque eserciti una pubblica funzione deve osservare»32, diventa facile concludere che tale è anche la condotta di sistematico e generalizzato favoritismo, e perciò che «l‟accordo corruttivo diretto al condizionamento dell‟attività di un pubblico ufficiale integra il reato di corruzione propria, senza la necessità di individuare uno specifico atto contrario ai doveri»33.

Talvolta, poi, il ragionamento è ancora meno articolato, esaurendosi per intero nell‟idea della corruzione come mercimonio della pubblica funzione.

31 Cass. pen., Sez. VI, 16 aprile 1996, Squillante, in D‟

AVIRRO A.(a cura di), I delitti dei pubblici

ufficiali contro la pubblica amministrazione, cit., pp. 224 – 225.

32 V., Per tutte, Cass. pen., Sez. VI, 15 febbraio 1999, Di Pinto, cit..

Semplici e chiare, alla luce di questa nuova visione, le affermazioni contenute in una recente pronuncia della Cassazione: «Ai fini della configurabilità del delitto di corruzione propria, il parametro da adottare per valutare se la condotta del pubblico ufficiale sia o meno contraria ai doveri, non è quella del giudizio dei singoli atti compiuti in relazione alla competenza formalmente assegnatagli, ma al servizio reso nel suo complesso. Anche se ogni atto di per sé considerato dovesse corrispondere ai requisiti di legge, l‟asservimento della funzione (risultante dal pactum sceleris) per denaro o altra utilità agli interessi del privato, concretizzerebbe comunque il reato in questione, realizzandosi la violazione del dovere d‟imparzialità assistito da tutela costituzionale»34.

Non mancano, infine, pronunce che pur muovendo da interpretazioni astrattamente condivisibili, giungono poi ad un loro completo snaturamento tramite conclusioni incompatibili con le premesse.

Mette conto ricordare al riguardo una recentissima Cassazione35, la quale dopo aver ribadito il principio di diritto in sé corretto per cui non sarebbe necessario in tema di corruzione propria l‟accertamento dell‟atto contrario ai doveri d‟ufficio nei suoi connotati specifici, essendo sufficiente la sua individuazione in funzione della competenza e della concreta sfera d‟intervento del pubblico ufficiale, così da essere suscettibile di specificarsi in una pluralità di atti, anche non preventivamente fissati o programmati, ma pur sempre appartenenti al genus previsto, traccia poi questo parallelo: «Come quando il pubblico ufficiale si ponga a disposizione del privato in violazione del dovere di imparzialità, onestà e vigilanza e il privato miri ad assicurarsi un atteggiamento di favore da parte di quello»36.

34 Cass. pen., Sez. VI, 29 gennaio 2003, n. 13619, in Cass. pen., 2004, p. 2300, con nota di R

AMPIONI

R., «Evanescenza» del contenuto dell‟offesa e «mobilità» del momento consumativo nei delitti di

corruzione nelle divagazioni giurisprudenziali in tema di competenza per territorio; con identiche parole, Cass. pen., Sez. VI, 14 luglio 1998, Nottola, ivi, 2000, p. 50

35 Cass. pen., Sez. VI, 26 marzo 2007, n. 22205, in Guida al diritto, 2007, f. 29, p. 99.

36 Ancora più evidente la forzatura ermeneutica in Cass. pen., Sez. VI, 3 novembre 1998, Giovannelli,

in Riv. pen., 1999, p. 48: «L‟individuazione dell‟atto o del comportamento contrario ai doveri

d‟ufficio ricorre anche quando la controprestazione sia costituita da un comportamento del pubblico ufficiale ben determinato nel suo contenuto, anche se gli atti in cui si specificherà non sono stati né previsti né programmati al momento dell‟accordo. Ciò che basta ai fini dell‟integrazione del reato, infatti, non è che l‟atto venga individuato nei suoi precisi connotati, ma che sia individuabile in funzione della competenza e della concreta sfera d‟intervento del pubblico ufficiale, così da essere suscettibile di specificarsi in una pluralità di singoli atti non preventivamente fissati, ma pur sempre

Tutto ciò precisato, evidente appare l‟esito cui tale percorso conduce: riconoscere la presenza del delitto di corruzione anche quando si sia accertata una sola dazione od una sola promessa di denaro al soggetto pubblico, non si sia riusciti a provare quale atto d‟ufficio sia stato compiuto dal soggetto pubblico per corrispondere alla promessa o alla dazione predetta, ma nemmeno il soggetto pubblico sia riuscito a fornire una ragione plausibile del pagamento effettuato o promesso per cui sembra giocoforza presumere la sua natura illecita.

Nondimeno, de iure condito, data la palese incompatibilità con la lettera della legge e con la ratio dell‟incriminazione, tale prospettazione appare ovviamente inaccettabile37.