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Considerazioni sul processo

Nel documento Giustizia di transizione (pagine 151-155)

2. IL PROCESSO DI LA SPEZIA

2.4 Considerazioni sul processo

La sentenza del 22 giugno non fu soltanto un evento importantissimo per la vita dei sopravissuti e dei parenti delle vittime, poiché riconosciute come tali, ma fu un vero e proprio evento storico. Infatti, le diverse consulenze di cui il tribunale si è servito non solo hanno permesso di fare giustizia, ma hanno messo in chiaro che la strage è stata un crimine di guerra esercitato su dei civili inermi estranei al contesto bellico. Inoltre il processo ha negato che la strage potesse considerarsi come un’azione legittima contro le

bande partigiane e quindi riconosciuta dalle normative consuetudinarie del diritto alla rappresaglia. La sentenza del tribunale, allineandosi ai risultati della ricerca storica, giudicò quindi nullo il nesso causale tra l’ordine di sfollamento tedesco e la mancata

evacuazione dovuta alle rassicurazioni e alle promesse di difesa dei partigiani che per

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anni avevano caratterizzato il pensiero della comunità santannina colpevolizzando gli stessi partigiani.

Probabilmente il più grande dilemma dal punto di visto storico e forse frettolosamente accantonato dalle indagini del P.M. De Paolis, è quello di capire quale rapporto vi sia stato proprio fra l’ordine di sfollamento, il volantino delle brigate d’assalto Garibaldi (il quale esortava la popolazione a non obbedire all’ordine), con il

mancato sfollamento e la strage. Secondo le ricerche di Pezzino è innegabile che i volantini, quello dei tedeschi prima e dei partigiani dopo, siano esistiti, ma si è finito per utilizzare il manifesto partigiano come una spiegazione “semplice” della strage. Pezzino

sottolinea come molti degli abitanti avessero lasciato il paese dopo l’ordine tedesco, senza seguire il consiglio delle bande partigiane. Al contrario gli stessi abitanti che abbandonarono il paese ci fecero ritorno perché rassicurati da un non meglio identificato comando tedesco e non da pressioni partigiane. Proprio per questo motivo il mancato sfollamento non può essere considerato la causa principale della strage. Inoltre i tedeschi non potevano sapere con certezza se avessero trovato dei partigiani, dal momento che non sapevano dello scioglimento delle brigata Garibaldi e del loro spostamento113. Proprio per questo, per il Prof. Pezzino la strage era stata pianificata tempo prima, forse prima ancora dello scontro di Farnocchia di alcuni giorni prima e dell’allontanamento dei partigiani dalle montagne di Sant’Anna. La colpa non deve

essere per questo attribuita ai partigiani. Anche se fossero stati trovati dei partigiani in paese, questo non avrebbe risparmiato la vita ai civili. Al contrario si può constatare come «nell’azione scattò quell’identificazione fra popolazione civile e partigiani che

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ritroviamo in tutte le maggiori stragi compiute in Italia. Un fatale “pregiudizio”, l’ha

definito Carlo Gentile, diffuso a tutti i livelli fra le truppe di occupazione, che fu fra le maggiori cause dei crimini perpetrati nel nostro paese”»114.

La sentenza ha anche evidenziato quello che molte ricerche storiche avevano già certificato. In primis l’abbandono di due ipotesi che per anni sono circolate tra i

santannini e non solo, ovvero la vendetta di alcuni fascisti locali per dei parenti uccisi dai partigiani e soprattutto quella che individuava nel ferimento di un soldato tedesco la causa dell’eccidio. Ma probabilmente il merito più importane che si può attribuire alla

ricerca storica unita a quella giudiziaria è stato quello di far comprendere alla comunità santannina «l’evento totale che l’aveva sorpresa e colpita a morte e si è sentita assolta

dalla colpa che negli anni aveva sentito gravare su di sé, quella di aver provocato la reazione tedesca per aver sfamato i partigiani e per no aver rispettato l’ordine di evacuazione»115. Quindi si può considerare la sentenza del Tribunale militare di La Spezia come un dovere nei confronti dei santannini, ai quali venne consegnata la verità e finalmente vennero riconosciuti i responsabili dell’eccidio, anche se con oltre mezzo secolo di ritardo. Probabilmente il maggior successo di questa sentenza è stato quello di riconoscere le vittime dell’eccidio, le quali hanno riacquistato la loro identità. Inoltre la sentenza ha fatto in modo che la tragica storia di un piccolo paesino di montagna sia riuscita ad uscire dal proprio isolamento e appartenga ora anche alla storia dell’intera nazione.

Infine insisto col considerare la sentenza del tribunale spezzino come un episodio di giustizia di transizione in cui la ricerca storica ha svolto un ruolo

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Ivi, p. 130. 115

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fondamentale ai fini del giudizio finale. Ma perché considerare una sentenza avvenuta ben sessantuno anni dopo i fatti, come giustizia di transizione quando ovviamente la transizione è stata effettuata ormai da tempo? Sicuramente la risposta a questo quesito non deve essere rintracciata nella dimensione temporale in cui si è consumata questa giustizia. Piuttosto a mio avviso la sentenza, così come l’intero processo, devono

considerarsi come la prosecuzione di quella giustizia di transizione avviata in Italia al termine del conflitto, sia dai tribunali alleati che da quelli italiani, e frettolosamente messa da parte. Il ritrovamento dei fascicoli nell’”armadio della vergogna”, hanno

permesso di dare vita a una nuova fase di giustizia per i crimini dei nazisti in Italia, che doveva essere consumata nella fase di transizione del Paese ma che per via di considerazioni politiche non si è mai realizzata, mostrando in pieno tutte le falle di questo tipo di giustizia. Finalmente messe da parte quelle stesse considerazioni che guidavano quel periodo storico (siamo nel pieno avvio della Guerra Fredda) in cui avrebbe dovuto aver luogo la giustizia per i santannini, si è potuto riconsiderare quel caso con un minor coinvolgimento politico internazionale. Ecco perché pur non essendo più in un epoca transitoria la sentenza di La Spezia può considerarsi come la conclusione della stagione giudiziaria transitoria iniziata nel 1946.

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Nel documento Giustizia di transizione (pagine 151-155)

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