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Si consideri, anzitutto, il profilo del tempo – il «quando» – della conclusione del contratto

Non interessa qui rammentare che il contratto si conclude nel momento in cui il proponente ha conoscenza della accettazione (art. 1326, comma 1, c.c., da leggere in comb. disp. con la presunzione di cui all’art. 1335 c.c.): tale dato, infatti, rileva soltanto nella dimensione statica della fattispecie già compiuta, ai fini, per esempio, della individuazione della legge applicabile in base al criterio tempus regit actum o del momento in relazione al quale valutare la sussistenza della capacità di agire in capo ai contraenti, ovvero ai fini degli artt. 1182, comma 2, e 1477, comma 1, c.c.

Nella prospettiva procedimentale del negozio ancóra in fieri, è importante, inve-ce, rilevare che, quando l’offerente indirizza all’oblato una proposta, ha interesse – oltre, ovviamente, a che questi vi aderisca, anche – a che lo stato di incertezza in ordine alla conclusione del contratto non si protragga oltre un limite ragionevole.

Ha interesse, in altre parole, a non restare vincolato all’infinito alla propria proposta, di modo che, se l’oblato non vi aderisce con prontezza, egli possa volgersi altrove, per cercare di concludere lo stesso contratto con un altro soggetto, senza essere espo-sto al rischio che, dopo averlo concluso, l’oblato gli faccia pervenire la sua accetta-zione, così perfezionando un vincolo negoziale che più non gli interessa

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Esigenza, questa, che il legislatore soddisfa per mezzo del criterio della tempesti-vità dell’accettazione, la quale «deve giungere al proponente nel tempo da lui stabi-lito o in quello ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare o secondo gli usi» (art. 1326, comma 2, c.c.).

propria dell’azione del dichiarare e del manifestare – materiale e una realtà – propria, invece, del regolamento d’interessi, che è da quelle rappresentato e significato – immateriale (ideale o spirituale o intellettuale) [Falzea, L’atto negoziale nel sistema dei comportamenti giuridici, cit., p. 46, riportando, in proposito, un pensiero del Kohler, avverte che il negozio giuridico è «non soltanto un atto naturale (Naturact), ma anche un atto spirituale (Geistesact)»].

26 A.M. Benedetti, Autonomia privata procedimentale, cit., p. 285; Roppo, Il contratto, cit., p. 105.

L’accettazione tardiva – quella, cioè, che perviene oltre il termine appena indica-to – non è di per sé sola, al di fuori del meccanismo «recuperaindica-torio» dell’immediaindica-to avviso di cui al comma 3 dell’art. 1326 c.c., idonea a determinare la conclusione del contratto, quand’anche – in ipotesi – fosse perfettamente conforme alla proposta sotto l’aspetto contenutistico

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L’analisi del problema del «quando» già consente di rilevare l’esistenza, nella fase dell’iter procedimentale, di un tipo di interesse – legato, appunto, al tempo della ricezione dell’accettazione – da cui dipende la conclusione del contratto.

Anche tale interesse, quindi, rifluisce nel problema del «se» del contratto, al pari degli interessi «finali», ma su un piano di piena autonomia rispetto a questi ultimi,

27 L’accettazione tardiva, di per sé sola considerata, è inidonea a determinare il perfezionamento del contratto (per tutti, A.M. Benedetti, op. ult. cit., pp. 286 e 300): sul punto non può sussistere alcun dubbio, atteso che l’art. 1326, comma 3, c.c. subordina – espressamente e senza possibilità di equivoci – l’efficacia (id est:

l’idoneità a determinare il perfezionamento della fattispecie contrattuale) di tale accettazione a un immediato avviso in tal senso del proponente; dal che si può chiaramente arguire che, in mancanza di esso, l’accettazione è, appunto, inefficace.

È, dunque, soltanto l’immediato avviso del proponente all’oblato di voler considerare efficace l’accettazione tardiva a determinare la chiusura del ciclo formativo della fattispecie contrattuale [è, questa, l’opinione nettamente dominante nella più recente dottrina: per tutti, Donisi, Il contratto con se stesso, cit., p. 95, nota 151; Verdicchio, Forme volontarie ed accordo contrattuale, cit., p. 206 ss.; D’Angelo, Proposta e accettazione, cit., p. 97 (secondo cui l’avviso de quo «è elemento costitutivo della fattispecie formativa, perché, senza di esso, il contratto non potrebbe dirsi concluso»); Rizzi, L’accettazione tardiva, cit., p. 322. Soltanto in apparenza contrario a tale conclusione è A.M. Benedetti, Autonomia privata procedimentale, cit., allorché afferma che «L’avviso non segna la conclusione del contratto (…) né conclude il procedimento di formazione»

(p. 302); tale affermazione è infatti vistosamente contraddetta dai seguenti espliciti riconoscimenti: «L’avviso rappresenta (…) il modo (l’unico) che il proponente ha per far nascere un contratto che, altrimenti, non poteva concludersi a causa dell’inidoneità dell’accettazione» (p. 302); «L’omissione dell’avviso ha nella mancata formazione del contratto la sua conseguenza naturale» (p. 303); l’omissione dell’avviso «impedisce la conclusione del contratto» (p. 306); «decidere se avvisare o no rapidamente equivale a decidere se concludere o meno un contratto che – sino al momento dell’avviso – ancora non è venuto ad esistere» (p.

307)].

Tale ricostruzione non è messa in crisi dall’effetto retroattivo che, secondo l’opinione sostanzialmente pacifica degli studiosi, l’avviso de quo determina, dovendosi ritenere che il tempo e il luogo di conclusione del contratto restino comunque quelli in cui l’accettazione tardiva è pervenuta al proponente; quest’ultimo rilievo, infatti, è inidoneo a infirmare la conclusione poc’anzi raggiunta, secondo la quale tale accettazione è, di per sé sola, assolutamente incapace di perfezionare il vincolo negoziale, perché non intacca il fatto che è soltanto l’avviso a chiudere la sequenza procedimentale e, quindi, a determinare la venuta a esistenza del contratto.

Né l’opinione fin qui sostenuta resta vulnerata dal rilievo che, una volta giunta l’accettazione tardiva a conoscenza dell’offerente, l’oblato resta vincolato – sebbene per un tempo brevissimo: l’avviso, infatti, deve essere «immediato» – al potere riconosciuto a quest’ultimo di determinare ugualmente la chiusura del contratto (si tratta, in fondo, di un potere che presenta qualche analogia con quello derivante dal patto di opzione ex art. 1331 c.c.). Tale rilievo potrebbe, infatti, condurre a ritenere che effetto dell’accettazione tardiva sia, tutt’al più, l’attribuzione all’offerente del détto potere di scelta, ma non certo quello di determinare ex se la conclusione del contratto, che conseguirà soltanto all’«immediato avviso», costituente, appunto, l’atto di esercizio di quel potere (proprio come – per proseguire nell’accostamento – l’attribuzione all’opzionario del potere di concludere il contratto finale non ne determina, di per sé sola e in mancanza di un successivo atto di esercizio, il perfezionamento).

com’è dimostrato dal fatto, già rilevato, che l’accettazione tardiva non riesce, da sola, a perfezionare la fattispecie contrattuale neanche se è, nel contenuto, perfettamente conforme alla proposta.

Siffatto interesse va, quindi, a integrare il piano della convenienza che l’operazio-ne l’operazio-negoziale deve complessivamente realizzare, arricchendolo di un autonomo pro-filo; è evidente, infatti, che l’interesse dell’offerente a vincolarsi contrattualmente – id est: la sua convenienza – dipende non soltanto dal contenuto dell’accettazione, ma anche dal fatto che questa gli pervenga entro un certo termine

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Si può già fissare, quindi, una prima conclusione: nell’àmbito della tecnica pro-cedimentale scolpita dall’art. 1326 c.c., il perfezionamento o il mancato perfeziona-mento – il «se» – del contratto dipende sempre da almeno due distinti piani d’inte-resse, il piano degli interessi «finali» e quello dell’interesse temporale

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. Il primo

28 Si può dire, con maggiore precisione, che il piano dell’interesse temporale del proponente – che concorre, come chiarito, a determinare la convenienza complessiva dell’affare negoziale – è tutelato dal legislatore attraverso il ricorso a una sorta di meccanismo presuntivo: decorso il termine di cui al comma 2 dell’art.

1326 c.c., la legge presume che per l’offerente non sia più conveniente restare legato all’impegno contrattuale e, all’uopo, depotenzia l’accettazione tardiva, privandola dell’idoneità a porsi quale atto conclusivo della sequenza procedimentale e, quindi, perfezionativo della fattispecie. Poiché, però, la valutazione del legislatore, fondandosi su un congegno (lato sensu) presuntivo, è operata in astratto, per cui potrebbe non corrispondere al vero, egli ha consentito al proponente, attraverso il ricorso all’avviso immediato di cui al comma 3 dell’art. 1326 c.c., di poter soddisfare l’eventuale interesse, che in concreto dovesse avere, a concludere egualmente il contratto, nonostante il decorso del termine di cui al comma 2 dell’art. 1326 c.c.

(per tutti, D’Angelo, Proposta e accettazione, cit., p. 96 s.).

È importante sottolineare che – come già rilevato nella nota precedente – l’accettazione tardiva comporta l’attribuzione all’offerente del potere di concludere il contratto; potere che, sebbene debba essere esercitato in un arco di tempo brevissimo, ben può essere qualificato come un vero e proprio diritto potestativo (si è già rilevata, sempre nella nota precedente, la simiglianza di questo potere a quello spettante all’opzionario).

La posizione dell’oblato che ha accettato tardivamente è, pertanto, notevolmente diversa da quella dell’oblato che ha emesso un’accettazione difforme dalla proposta nel contenuto: in quest’ultima ipotesi, infatti, l’imperfetto accettante diviene, a sua volta, proponente, per cui potrebbe sempre revocare – ai sensi dell’art.

1328 c.c. – l’accettazione difforme (divenuta, secondo il disposto dell’ultimo comma dell’art. 1326 c.c., nuova proposta) prima che gli pervenga la definitiva accettazione dell’originario offerente, la quale deve, oltretutto, giungergli nel termine di cui al comma 2 dell’art. 1326 c.c.; nella prima ipotesi, invece, colui che ha accettato tardivamente versa – sia pure per un lasso di tempo brevissimo (su tale termine, per tutti, A.M.

Benedetti, Autonomia privata procedimentale, cit., p. 303 ss.; Rizzi, L’accettazione tardiva, cit., p. 410 ss.) – in una situazione di vera e propria soggezione, essendo totalmente in balìa della scelta discrezionale del proponente e non avendo alcuna possibilità di potervisi sottrarre. Si può, quindi, ritenere che il legislatore abbia congegnato, nell’ipotesi di cui al comma 3 dell’art. 1326 c.c., un meccanismo più stringente di quello di cui al successivo comma 5, capace, cioè, di favorire maggiormente la conclusione del contratto. La ratio di tale trattamento normativo viene comunemente individuata nel fatto che il termine di cui al comma 2 dell’art. 1326 c.c. è previsto nell’esclusivo interesse del proponente, cosicché questi può sempre rinunciare alla inefficacia dell’accettazione tardiva, ch’è null’altro – come poc’anzi visto – che una misura protettiva di quell’interesse e, come tale, pienamente disponibile dalla parte tutelata (v., per tutti, C.M. Bianca, Il contratto, cit., p. 216 s.).

29 «Su un piano distinto (…) riposa la congruenza temporale: elemento, questo, che modifica completamente il piano della valutazione affiancando ad un giudizio di contenuto un giudizio di collocazione temporale dell’atto»: così Rizzi, L’accettazione tardiva, cit., p. 304 (corsivi originali).