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Consiglio Presbiterale del 24 novembre 2011

Si è svolta giovedì 24 novembre 2011, presso il Seminario Arcivescovile di Bologna, con inizio alle ore 9,30, la seconda riunione del 16° Consiglio Presbiterale dell’Arcidiocesi, presieduta da S. E. il Cardinale Arcivescovo.

1. Dopo il canto dell’Ora Terza l’Arcivescovo ha introdotto il Consiglio con il riferimento alla prima lettura della messa, ritenen-dola illuminante per iniziare a trattare il tema all’ordine del giorno.

Si tratta della liberazione di Daniele dalla fossa dei leoni, per dirci la situazione dei credenti e qual è la loro fiducia nel Signore che non abbandona quelli che confidano in lui. Affrontando il tema della fede e impegnandoci per far sì che il primo impegno sia quello della evangelizzazione, dobbiamo guardarci dall’insidia dello scoraggia-mento. Il compito che ci attende è grande: ricostruire il tessuto culturale unitario generato da una fede forte (cf Porta fidei, n. 2)

2. Il Pro-vicario generale introduce il tema con una rilettura sintetica degli interventi del magistero bolognese e della CEI dalla nota pastorale “Guai a me”, fino al motu proprio “Porta fidei”. Seguono gli interventi dei presenti.

Occorre individuare una vera priorità, impegnandosi nella quale, di conseguenza, possono cambiare anche altri aspetti. Dire che sono priorità alcune attenzioni che riguardano ad esempio “i giovani, le famiglie e gli adulti”, in effetti significa ancora considerare il tutto con il rischio di non indicare la priorità.

Facciamo attenzione alla trasmissione dei contenuti alla nostra gente, evitando che restino cose di élite; pertanto occorre pensare al metodo e al linguaggio.

Leggendo i documenti si percepisce come ci sia un’attenzione via via più concentrata al problema della fede. Il cuore della pastorale integrata è la comunione tra di noi che ha il vertice sacramentale nell’eucaristia. Ci sono troppe divisioni ancora tra di noi. Il Biennio della fede suscitò un movimento anche al di fuori della chiesa con il sorgere dei centri di ascolto nelle famiglie e con le missioni al popolo, offrendo indicazioni su come essere missionari. Si auspica che l’Anno della fede susciti un movimento dalla chiesa verso il mondo, quindi un’attitudine di evangelizzazione.

C’è necessità di mettere di più Gesù nella vita della gente e di incrementare la vita comunitaria. Occorrono pure luoghi di vita di fede che i giovani possano frequentare.

Il Papa invita tutti a leggere e imparare il CCC, come fare a mettere in atto questo nelle nostre comunità, forse sono necessarie indicazioni concrete invitando tutti a seguirle

La catechesi degli adulti può essere presentata in modo nuovo considerando i passaggi della vita come luoghi della fede: il matrimonio, la nascita di un figlio, la precarietà del lavoro e della casa, l’esperienza della fragilità e del peccato, il mistero della sofferenza e del dolore, la morte. Si va a toccare tutta la vita dell’uomo e come il Signore abbia da dirci qualcosa. In effetti si tratta dei sacramenti, quindi siamo pienamente nella tradizione della Chiesa, ma detti in maniera nuova: sono i passaggi della fede che recupero la vita dell’uomo.

Non esiste evangelizzazione (tanto meno nuova evangelizzazio-ne) se non si richiama fortemente ogni battezzato ad una vita spirituale profonda, formata e consapevole, ad un discernimento capace di disporre il cuore ad una purificazione, da parte di Dio, dal peccato (vizi capitali) che impedisce ogni ascolto personale del Vangelo della Grazia e ogni testimonianza viva dello stesso. E' necessario questo per evitare un assenso puramente nozionale alle verità della fede e una visione puramente tecnico-organizzativa delle proposte di annuncio e testimonianza della fede stessa.

Puntare sul nucleo della fede in Cristo, morto e davvero risorto e comunicare che l’incontro con il Signore dà luce alla vita quotidiana.

Il rapporto tra carisma e istituzione nel ministero del presbitero.

Noi studiamo strategie per agevolare il cammino dello Spirito, che deve arrivare a toccare la ragione e il cuore dell’uomo; ma nel pre-sbitero vi è una dimensione carismatica che va riscoperta. S. Paolo parla di fragilità e potenza del ministero dove la potenza è lo Spirito.

Evangelizzare vuol dire pensare meno agli spazi interni alla parrocchia e di più a quelli esterni. Fuori, nel mondo, vivono i laici i quali evangelizzano forse più di quanto pensiamo. Manca nelle nostre comunità un luogo e un tempo dell’ascolto dove raccontarsi i frutti, belli, e anche le fatiche della evangelizzazione, come avveniva invece nella comunità apostolica.

Siamo in un tempo propizio per la evangelizzazione: il mondo è in difficoltà, disperazione e solitudine. C’è bisogno del vangelo, soprattutto in certe situazioni cruciali della vita.

Noi sappiamo che l’uomo è “capace di Dio” eppure oggi l’uomo appare spento e che questa capacità sia riempita da altre cose.

La fede deve essere accompagnata dalla carità: la situazione ci interpella fortemente sul versante della carità, che può essere la parola che oggi la gente può comprendere e accogliere di più per aprire il cuore all’annuncio cristiano.

Per noi preti la carità e anche la disponibilità all’ascolto delle persone, senza frettolosità.

Vivere la carità significa aiutare le persone a vivere in comunio-ne; se si è da soli le esigenze della carità non si affrontano, bisogna affrontarle insieme. La conoscenza di Gesù porta alla condivisione.

Fede e carità; e la carità della verità. Già San Tommaso a metà del XIII secolo vedeva i sacramenti come le tappe della vita umana vissute nella prospettiva della grazia: ricomprendiamo oggi cose antiche.

Evitiamo l’angoscia del fare, perché la preoccupazione di continuare a gestire le cose può diventare una contro-testimonianza.

Verifichiamo i segni che poniamo e che denotano uno stile: il segno della gestione di poteri, di economie rischia di smentire l’annuncio che è l’amore del Padre e l’accoglienza dei poveri. Le nostre comunità dentro alle nostre città di che cosa sono segno?

Risulta evidente che nella comunicazione c’è un emittente e un ricevente. Tra chi annuncia e chi riceve il messaggio la comunica-zione è poco curata e non funziona: non accade un vero incontro.

Siamo d’accordo di fare delle scelte essenziali, ma poi si è pressati da molto altro. Ci aiutano molto ad agire nella pastorale quegli strumenti che alleggeriscono da impegni amministrativi o di carattere prettamente tecnico.

L’evangelizzazione ci costringe a cercare “una casa nuova” senza accontentarci di cambiare l’arredamento. La questione antropologica è presente dalle prime pagine del catechismo che si apre con l’uomo capace di Dio, cioè con l’integrazione tra fede e vita. La svolta di Verona è stata decisiva per confermare questa direzione. Inoltre si potrebbe recuperare la dinamica della traditio e della redditio, noi siamo molto preoccupati di dare, ma siamo meno attenti alla riconsegna che invece fa parte della vita cristiana. Anche questo significa valorizzare la dimensione pienamente umana

Arcivescovo – Alcune immediate reazioni: 1) Nonostante le difficoltà, che avvertiamo, il tempo che stiamo vivendo è favorevole alla evangelizzazione: molteplici occasioni di incontro con le persone, in particolare giovani, mi fa affermare questo. 2) Ci sono verità di due tipi: quelle che non provocano alcuna decisione e

quelle che provocano la libertà perché sono una proposta di vita. Per assentire a queste non basta sapere, ma è necessario sentire che sono vere e questo avviene quando si avverte che rispondono ai bisogni più profondi. 3) L’essere evangelizzatori non è diverso o di più che essere credenti in Cristo: io evangelizzo se nella fede nei sacramenti ho incontrato realmente la persona di Cristo, perché questo incontro mi ha veramente trasformato la vita, cioè nella verità, per cui non posso non dirlo anche agli altri. Non è che, per l’Anno della fede, dobbiamo preparare gli evangelizzatori o fare chissà quali programmazioni, ma abbiamo bisogno che le persone abbiano incontrato Gesù Cristo. In fondo è quanto leggiamo nel primo capitolo del vangelo di Giovanni quando Andrea, dopo aver incontrato il Messia, lo va a dire a Pietro, che si fa condurre da Gesù.

4) Gesù dice chiaramente che i terreni su cui cade il seme della Parola di Dio sono di 4 diversi tipi: strada, sassi, spine e terreno buono. Annunciato il Signore, io ho finito, non mi si chiede di più non sono io che converto le persone a Cristo, è lo Spirito Santo e la libertà delle persone. Questo lo dobbiamo sempre tenere presente.

Conclusione. Può essere che sia necessario proprio un impianto nuovo. Intendo dire questo quando nel Direttorio post-sinodale scrivo che «È necessaria da parte di tutti una vera e propria trasformazione di mentalità, là dove e se al centro della preoccupazione evangelizzatrice e catechetica fosse la persona del bambino». Non è questione di oggetto materiale è questione di oggetto formale. È il modo nuovo in cui si guarda alla Chiesa e al mondo e quindi si individuano delle priorità.

3. Viene presentata la proposizione n. 3 sul Diaconato permanente (non approvata nel Consiglio precedente) che è stata formulata ex novo: «Nel discernimento vocazionale e nella preparazione spirituale e teologica al diaconato permanente si tenga conto che, pur rimanendo il riferimento ad una precisa comunità, esso include la reale disponibilità alle necessità pastorali della diocesi, secondo il mandato del vescovo e nella prospettiva della pastorale integrata». Il Consiglio vota e approva all’unanimità. La discussione sul modo di procedere alla revisione del Direttorio diocesano per il Diaconato Permanente viene rimandata al Consiglio successivo.

Dopo l’intervallo i consiglieri si dividono nelle commissioni.

Con questa modalità si conclude la mattinata.

CRONACHE DIOCESANE