Prima di eseguire la sua opera a Milano, ci sono testimonianze della presenza di uova all’interno dell’operato di Piero Manzoni, a giugno 1960, all’inaugurazione della mostra Luftskulptur, Billeder, 9 linier, alla Galleria Køpcke a Copenaghen. In questo frangente l’artista espone sei Achromes, quattro corpi d’aria, nove linee e un gruppo di uova, sei delle quali sono contrassegnate dall’impronta del suo pollice. Le uova, alcune crude, al- tre sode, sono collocate su un tavolo e inserite in un imballo portauova di cartone dipin- to di nero, considerate da Manzoni come vere e proprie sculture e vendute per quindici corone, se cotte, mentre regalate, se crude168. In una lettera indirizzata a Gianpaolo Maccentelli, a fine giugno ’60, Manzoni scrive «Caro Gianpaolo, preparati! Ultima novità (da tenersi segreta perché in Italia non si sa ancora) le sculture da mangiare (per creare un più diretto rapporto tra opera e spettatore). A Copenaghen ho avuto un successo che mi ha stupefatto. Galleria piena, articoli su tutti i giornali!»169. Ancora, a Shozo Yamaza- ki, il giorno successivo all’esposizione di Milano, riporta «En plus, le 21 juillet, hier, j’ai donnè a manger mon art au public: j’ai exposès 150 oeuf, signès avec mon impronte di- gitale: le pubblique a avalè ces oeuvres consacrèes comme ça par la personalitè de l’artiste»170
Il 21 luglio 1960 a Milano, nella galleria Azimut, Piero Manzoni realizza l’opera Consuma-
zione dell’arte dinamica del pubblico divorare l’arte: dopo aver fatto bollire diverse uova,
ne imprime sul guscio la sua impronta digitale e le consegna al pubblico affinché le man- gi. L’azione si svolge nel giro di settanta minuti, in presenza di un nutrito gruppo di per-
168 Giorgio Zanchetti, Piero Manzoni, Consumazione dell’arte dinamica del pubblico divorare l’arte, Milano, 2000,p.8
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Brano tratto dalla lettera di Piero Manzoni a G. Maccentelli, tratta da: Giorgio Zanchetti, Piero Manzoni,
Consumazione dell’arte dinamica del pubblico divorare l’arte, Milano, 2000, pp. 28-29
170 Brano tratto dalla lettera di Piero Manzoni a Shozo Yamazaki, tratta da: Giorgio Zanchetti, Piero Man-
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Figura 21: uovo n° 16 nel suo contenitore originale, Piero Manzoni, 1960
sone a cui Manzoni riferisce di aver dato da consumare centocinquanta uova “consacra- te dalla sua personalità d’artista” per mezzo della sua impronta171. Alcune fonti testimo- niano che alcuni giorni prima dell’evento fossero state eseguite delle riprese, oggi per- dute, negli studi del Filmgiornale Sedi, cosa che induce a pensare che le operazioni ese- guite da Manzoni siano state due: una pubblica, caratterizzata dalla presenza di un di- sordinato e chiassoso gruppo di amici provenienti da Brera; la seconda privata e compo- sta, documentata nei video di Maccentelli e dalle foto di Giuseppe Bellone172. Le due oc- casioni dimostrano anche un duplice approccio all’opera: il primo di carattere ludico e conviviale, il secondo determinato da un atteggiamento più serio e deciso da parte di Manzoni, che si riappropria del ruolo quasi sacerdotale dell’artista, spiegando gli aspetti rituali della consacrazione dell’uovo per mezzo della sua im- pronta digitale, che trasforma la materia biologica degradabile in opera. Grazie alla fecondazione di energia data dal contatto con l’artista, l’uovo raggiunge uno sta- dio superiore alla sua materialità e diviene fonte di scambio energeti- co tra autore e spettatore, quest’ultimo non rilegato ad una condizione di osservatore passivo, ma portato ad essere parte attiva di un processo spirituale di comunione con l’artista, o invitato ad astenersi del tutto173. L’arte, persa ogni possibilità di permanenza oggettuale, diventa nutrimento per il corpo e per lo spirito per poi trasformarsi in escremento, il quale comunque non perde la sua aura, grazie alla Merda d’artista.
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Giorgio Zanchetti, Piero Manzoni, Consumazione dell’arte dinamica del pubblico divorare l’arte, Milano, 2000, p.11
172 Ibidem. 173 Ivi, p. 12
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Vi è una sorta di rito eucaristico nel quale l’artista martire si sacrifica per portare alla beatificazione se stesso e gli altri, come Gesù muore per salvare l’umanità e trasforma il suo corpo in pane e il suo sangue in vino, così Manzoni si prende carico di essere da me- diatore divino, e feconda le uova sode con la propria aura artistica, offrendola in sacrifi- cio al pubblico e mangiandone lui medesimo. Apponendo la sua impronta digitale, Man- zoni testimonia l’autenticità dell’opera d’arte e la sua unicità, la sagoma del dito quindi diventa una firma vera e propria.
Accanto all’aspetto sacrificale e di dono dell’opera allo spettatore da parte dell’artista, c’è un secondo stadio da considerare, cioè la mostra, che Manzoni realizza, di una serie di uova, definite da lui tutte originali poiché ogni uovo possiede un numero e una firma, custodito, avvolto nella bambagia, in una scatoletta di legno appositamente costruita. L’artista conferma in questo caso l’autonomia dell’oggetto, indipendentemente dal fatto che poi venga consumato: l’uovo con impronta diventa opera d’arte a tutti gli effetti, può essere acquistato e conservato, non necessariamente consumato, come veniva ri- chiesto all’interno della performance.
Manzoni produce una serie di 51 esemplari numerati e firmati. La scelta delle uova non è casuale: devono essere tutte bianche e della stessa misura, per mantenere una pro- porzione armoniosa tra l’impronta digitale e il volume dell’oggetto. Anche il metodo di cottura viene sperimentato: dapprima le uova vengono cucinate per bollitura, ma il risul- tato non è buono poiché l’impronta del pollice ha una presa disomogenea sul guscio, si opta così per una cottura lenta al forno, che provoca l’evaporazione dell’acqua contenu- ta all’interno dell’uovo e la conseguente essicazione della massa interna, cosicché si ot- tiene una sorta di imbalsamatura del tuorlo. Prima della cottura Manzoni pulisce accura- tamente il guscio con dei solventi per rimuovere eventuali sostanze grasse che provo- cherebbero un imbrunimento o impedirebbero una corretta presa dell’inchiostro174. L’artista si offre come entità sacrificale e si fa ritrarre mentre tiene in mano il suo spiri- to, che è incarnato nella scatoletta di merda d’artista, nelle feci, nei bisogni corporali. Manzoni utilizza materiali biologici, decomponibili e non duraturi, oggetti di vita quoti- diana che blocca nei suoi Achromes, come le michette di pane o le fibre di cotone, o of-
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fre allo spettatore da mangiare o da tenere, come le uova: tutti materiali vivi, che testi- moniano un passaggio da creature viventi, oggetti che consumiamo o che produciamo, ma che normalmente non sono destinati a rimanere. L’artista invece li fa diventare da un lato eterni, perché li innalza ad opere d’arte, ma dall’altro ci induce a considerare che non sono più utilizzabili nel loro uso naturale, non si possono più mangiare o toccare come prima, Manzoni li cattura come in una fotografia che ci mostra l’immagine veritie- ra di un momento di vita vissuta, ci fa ricordare come eravamo e cosa pensavamo, ma non può restituire quell’istante, quell’attimo che è passato; lo possiamo osservare in un fotogramma o in un’opera manzoniana, ma non è più vita. Manzoni in tutto il suo per- corso celebra se stesso come artista, vendendo le sue tracce corporali fatte di fiato d’artista, merda d’artista, impronte digitali e il prototipo di sangue d’artista, ma in realtà compie un inno alla vita e alla sua irripetibilità utilizzando proprio gli elementi più bassi e più semplici: innalza il passaggio terreno dell’uomo esponendo e dando rilievo alle se- crezioni del corpo, sintomo visibile e tangibile di vita. Manzoni si avvale non solo dei se- gni dell’arte, come quello della firma, ma appunto si serve dei segni del corpo, a partire da quello antropologico e burocratico dell’impronta digitale, che è una testimonianza di identità: l’impronta è astratta e concreta, è oggettuale, ma dimostra una qualità menta- le175.
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Figura 22: Manzoni firma una delle sue Sculture Viventi, 1961