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lungamente l’imprescindibilità sia in relazione alla formazione del genere, sia alla sua trasformazione.

Per Derrida (schema 1) la contaminazione che si verifica nelle opere ha un effetto immediato sugli stessi generi; anzi li condiziona, riducendone il potere. È evidente che non si tratta di una contaminazione originatrice di generi come per Bachtin. Perché l’effetto di liberazione propugnato da Derrida si compia è necessario che il genere sia concepito sempre come una classe, accentuando soprattutto il suo carattere normativo, sedimentatosi a partire dalla teoria aristotelica. Solo così il genere può assumere quel ruolo di guardia sotto cui l’occhio vigile l’opera deve evadere. Ma altrettanto, perché la fuga sia praticabile, il genere dev’essere privato di qualche arma a suo vantaggio. Tale riduzione passa appunto per una bonifica del lungo consolidamento temporale ottenuto dai generi come forme storiche: in Derrida, infatti, i generi sono classi sprovviste di temporalità. Egli ne compie l’espulsione, né potrebbe essere

Contaminazione

Generi

(Classi a-

temporali)

Opere

Schema 1

altrimenti se i generi devono proiettarsi a livello delle opere, dove agire come ingredienti di un inviluppo combinatorio che li conduce al loro auto- annullamento; se cioè s’astraggono dalle loro strutture storiche per divenire tessere mobili della struttura dell’opera. In sostanza, la contaminazione dell’opera giunge in Derrida a combaciare con la dimensione diacronica del genere, al punto che la contaminazione stessa copre le loro trasformazioni, cancella le loro tracce temporali e appiana i segni della loro continua contaminazione con altri generi. Il significato di contaminazione di Derrida scavalca il suo mero valore di fenomeno formale, che appare nelle opere attraverso il medium collettivo del loro genere, per assurgere a genere a sé stante. Dapprima la contaminazione significa un fenomeno a livello delle opere e poi, allorché Derrida ne indaga i rapporti con la nozione di genere letterario, raddoppia il proprio valore come meta-genere complessivo, ed è considerata e significa gli stessi generi.

Al contrario, non solo per il genere, ma anche per la contaminazione si dovrà procedere secondo una doppia modalità nuovamente esprimibile attraverso un ordine visivo, in cui il senso dell’interpretazione non procede circolarmente come in Derrida. La contaminazione deve essere seguita secondo una progressione bipartita del suo significato che illustri in maniera indipendente modi di contaminazione diversi (schema 2). La contaminazione insegue infatti due referenti di destinazione distinti, appartenenti a regimi diversi i generi e le opere.

La contaminazione deve restare una possibilità della forma, non un principio estetico o, peggio, di poetica postmodernista, e deve essere integrata dai concetti di diacronia e sincronia perché la sua comprensione possa avvenire per tutti e due i versanti: sia in relazione ai generi, sia in relazione all’opera. Se s’afferma che un genere subisce un processo di contaminazione ci si vuol riferire in realtà alla sua trasformazione nel tempo: si tratta quindi della dimensione diacronica della contaminazione. Quando si dice invece che un’opera presenta una contaminazione tra generi s’assume che quell’opera sottoponga il proprio genere a una contaminazione con un altro regime generico: si tratta della dimensione sincronica della contaminazione.

Per capire in che modo avvenga la contaminazione in un’opera, e quali siano i concetti in gioco, si può partire da due paradigmi di Genette, che distingue tra transpositions génériques e transmodalisations, entrambe parte del più generale fenomeno della “trasposizione” (linguistica, prosodica, generica…152). La trasposizione generica definisce i passaggi di tema da un genere a un altro

152

Genette 1982: 323. A tutt’oggi si tratta di una terminologia ampiamente diffusa, come dimostra ad esempio il suo impiego in Guéret-Laferté, Mortier 2008: 8-9.

Contaminazione

Diacronica

Sincronica

Generi

Opere

senza modificazioni del modo di rappresentazione (per esempio dall’epica al romanzo), la transmodalisation invece si usa per indicare i passaggi di tema che investono un cambiamento del modo di rappresentazione, come avviene nell’adattamento intermediatico dal romanzo al teatro o al cinema. Eppure un terzo termine compare subito dopo in Genette, che definisce esplicitamente la contamination générique come il processo di contaminazione di due generi in un’opera (per esempio epopea carolingia e romanzo arturiano in Boiardo ed Ariosto), la quale dev’essere tenuta distinta dalla contaminazione di due testi singoli (come nel caso di Terenzio studiato nel primo capitolo153). Del senso appuntato da Genette tratterremo non tanto l’idea di contaminazione tra due generi in un’opera, il cui senso per la contaminazione qui intesa appare ancora troppo vago, quanto l’idea che essa trovi, appunto, il suo stato di realizzazione dentro un’opera, la quale restarà il frammento privilegiato dell’analisi.

La contaminazione generica in un’opera si presenta più probabilmente non nell’incontro di due generi, ma in condizioni più sfumate della loro apparizione154. Le invenzioni creative tali da unire due generi restano, all’occorrenza dei fatti, casi ideali, semmai rari nella storia delle letteratura: in virtù del processo storico del genere, il raggiungimento del genere dell’epica cavalleresca o della tragicommedia non si compie con la fusione di due generi in un’opera sola. Perché s’affermi un nome di genere, ancorché coniato dalla contaminazione di un’opera, serve lo stesso tipo di causa necessaria a un genere per modificarsi nel tempo senza l’intervento (fatto altrettanto plausibile) della contaminazione generica. Verosimilmente, il genere procede alla formazione di

153

Genette 1982: 371.

154 «Non è lo stesso contaminare generi – come la novella ed il racconto pastorale – o

fondere canali di presentazione – come la narrazione e il dramma – e scrivere o no in versi; e scrivere o no in prosa (Aristotele già sottolineò che Omero ed Empedocle non avevano niente in comune salvo il verso)» (Guillén 1992: 191). Cfr. Aristotele, Poetica: 1447 a, 1451 b 1-7.

un nuovo nome quando ragioni storico-culturali consentono di individuare nella sua contaminazione una nuova forma autonoma, nel concetto di invariante introdotto in precedenza. Fino a quel momento, nell’opera aperta alla contaminazione non si tarderà a individuare ancora i segni della sua appartenenza generica, tanto che non presenterà un problema ricondurla il più delle volte al proprio genere di riferimento, pur riconoscendone alcune inserzioni formali che saranno avvertite non come perturbazioni alla maniera di Hamon, ma come alterità.

La contaminazione di un’opera deve confrontarsi con una struttura generica già definita e rintracciabile nell’opera stessa se s’ammette la sua affiliazione a un genere letterario. Per queste ragioni, perché ci sia contaminazione risulta problematico pensare che un genere giunga all’incontro con un altro genere, vale a dire con una classe di uguale consistenza. Forse essi contrasterebbero ogni effetto creativo o impedirebbero all’opera il proprio spazio di libertà. Certamente, non consentirebbero il rilevamento nell’opera di tratti di contaminazione. In tal caso, negando anche Derrida, quell’opera davvero non avrebbe genere: sebbene né impossibile né inconcepibile, sarebbe un’interpretazione alquanto limitativa per l’opera e, di riflesso, per l’importanza e la storia dei generi nella letteratura. La contaminazione, piuttosto, resta l’aggiunta alla visione del mondo espressa da un genere di lenti derivate da un altro che ne amplificano la prospettiva: non è la sostituzione di una con l’altra. Non si negherà infatti, nello studio del saggio, che il genere rappresenti una strategia formale con cui l’uomo conduce un discorso per specifiche ragioni ermeneutiche: ognuna diverse dalle altre poiché corrisponde a canali di comunicazione alternativi tra di loro. Si vedrà allora che il genere si dispiega nel

tempo come una forma che si chiude ermeneuticamente attorno a una particolare interpretazione del mondo.

La contaminazione in un’opera dovrà essere studiata assumendo che si tratta dell’interazione di un genere con qualcos’altro. Un percorso utile per definire questo “altro” è approfondire una differenza tra la categoria di genere e quella di modo. Secondo John Frow, quest’ultimo, benché nasca dal genere, ne trascende il funzionamento:

The modes start their life as genres but over time take on a more general force which is detached from particular structural embodiments: tragedy moves from designating only a dramatic form and comes to refer to the sense of the tragic in any medium whatsoever; pastoral modulates from the georgic or the eclogue into a broader form which can be applied to any genre that deals with an idealised countryside populated by simple folk. (Frow 2006: 65-66)

Il modo diviene quindi il senso aggettivale, la qualificazione tematico- tonale che “colora” il genere155 mentre al genere viene ugualmente conservato il

carattere di classe: un’organizzazione specifica di testi con una dimensione tematica, retorica e formale. Genette soprattutto accentua la gerarchia tra modo e genere: «Les genres sont des catégories proprement littéraires, les modes sont des catégories qui relèvent de la linguistique»156. Gli studi cognitivi sui generi si

sono spinti oltre; hanno suggerito di connettere i generi a modelli non solo linguistici, ma addirittura propriamente mentali. Nell’interpretazione di Michael Sinding i generi rivestirebbero la funzione di prototipi: «Prototype effects arise from incongruities between our cognitive models and our experience of the world»157. In sostanza, i generi come modelli cognitivi si

155

Cfr. Fowler 1982: 88.

156 Genette 1986: 142.

157 Sinding 2002: 193. «People learn categories from examples and judge things to be more

or less representative of the category by judging similarity to a prototype; it then explains such “prototype effects” as resulting from the conflict of our “idealized cognitive models” (ICMs)

strutturano all’interno delle opere secondo paradigmi di centralità o non- centralità158. Per Sinding, sarà proprio la centralità a permettere di decretare

l’appartenenza di un’opera a un genere; allo stesso tempo, l’opera può presentare altri elementi, di non-centralità, semplici variazioni nella costituzione dei personaggi o dei contesti d’ambientazione che testimoniano di un certo dinamismo generico. Una lettura cognitiva del genere apre certamente una via interessante per intendere la contaminazione, ma la teoria dei generi si può servire dei termini di genere e modo che esprimono già le medesime differenze evidenziate dai modelli cognitivi. Tanto vale impiegare vocaboli comunemente accettati senza sobbarcarsi anche al compito di tradurre in maniera adeguata nella teoria letteraria il concetto di prototipo delle scienze cognitive159.

Il modo, come espresso da Genette o da Frow, e il genere attraversano la contaminazione esattamente come i prototipi di Sinding, secondo una centralità del genere rispetto al modo e una non-centralità di quest’ultimo dentro l’opera. Per il Genette di Introduction à l’architexte (1979), addirittura i modi potrebbero costituire la struttura superiore da cui far innervare i generi storici alla maniera di Goethe, poiché si basano su assunti “naturali” del linguaggio umano. Ma anche se volessimo collocare genericamente un’opera basandoci sul modo corrispondente resta il problema, ammette lo stesso Genette, che non abbiamo

with our experience» (Sinding 2004: 378). Per gli ICM (Idealized Cognitive Models) vedi Lakoff 1987: 68 ss.

158 Ivi: 489 ss. 159

«Nuovi parametri con cui vedere il mondo vengono assunti per operare su realtà poste sperimentalmente, in laboratorio, attraverso astrazioni immaginative oppure nell’ambito di una realtà letteraria, ma possono essere inadatti per muoverci tra i fatti comuni, non perché rispetto ad essi siano falsi, ma perché in tale ambito possono risultare ancora più utili – almeno per ora – i parametri tradizionali usati da tutti gli altri esseri coi quali abbiamo quotidiano commercio» (Eco 1967: 207).

una divisione dei generi per i soli modi, oltre al fatto che uno studio diacronico dei modi letterari risulterebbe alquanto complicato da realizzare160.

Possiamo infine mostrare la pertinenza di un ultimo concetto con cui tradurre questa dialettica di centralità e non-centralità del genere dentro l’opera. Si tratta della nozione di dominante. Jakobson spiega che la struttura verbale di un messaggio dipende innanzitutto da qual è la sua funzione predominante161. Per potersi vedere attribuito un genere, anche l’opera deve conservare la dominante di un genere rispetto a uno o più modi secondari. Qualche esempio applicativo del concetto di dominante non è mancato nella teoria dei generi: proprio sulla base di un’assenza di dominante, Fowler interpreta l’ibridazione riscontrabile in un’opera162 e Jauss conferisce alla

contaminazione generica una buona dose di produttiva per l’intera letteratura163.

All’interno del saggio useremo i termini modo e genere secondo queste definizioni e in attinenza a tali modelli interpretativi per individuare quale dominante generica renda un’opera in aperta contaminazione ancora un saggio; come cioè mantenga tale la centralità del genere saggistico rispetto alla non- centralità di un altro modo generico, pur presente nell’opera. Allo stesso tempo

160

Cfr. Genette 1986: 150 ss.

161

Jakobson 1966: 186.

162 «The most obvious sort of generic mixture is the outright hybrid, where two or more

complete repertoires are present in such proportions that no one of them dominates. The com- ponent genres of a hybrid will necessarily be of the same scale: they are indeed neighboring or contrasting kinds that have some external forms in common» (Fowler 1982: 183).

163 «L’introduction de la notion de dominante qui organise le système d’une œuvre

complexe permet de transformer en catégorie méthodiquement productive ce qu’on appelait le “mélanges des genres”, et qui n’était, dans la théorie classique, que le pendant négatif des “genres pures” […] Il est donc possible de définir un genre littéraire au sens non logique, mais spécifiant des groupes, dans la mesure où il réussit de façon autonome à constituer des textes, cette constitution devant être saisie aussi bien synchroniquement dans une structure d’éléments non interchangeables que diachroniquement dans une continuité qui se maintient» (Jauss 1986: 45).

considereremo sempre il saggio come un genere espresso da un nome descrittivo di una forma: in quanto descrizione di una particolare struttura generica resta interpretabile attraverso le opere, ma in quanto nome è sottomesso alla lingua, quindi ai suoi mutamenti fatti dalla collettività del pubblico, nonché dalla storia culturale del campo letterario. La contaminazione che c’interessa per il saggio non sarà quella storicamente avvenuta fra generi letterari, ma quel fenomeno che ci costringe a servirci di diverse descrizioni a livello di lingua, forma e teoria letterarie per rendere conto della dinamica tra modi e genere in un’opera.

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