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6. Genere saggistico e modo narrativo.

Il romanzo è il meridiano di riferimento dell’intero campo letterario contemporaneo. Si consideri di nuovo come l’intera letteratura appare in libreria (e spesso anche in teoria) come una succursale commerciale della fiction: i due termini vengono a volte usati quasi come un’identità. Un genere qualsiasi deve posizionarsi, misurare la capacità della sua diffusione a partire dalle coordinate di quel genere particolare. Difesa l’idea che solo la fiction, almeno nel campo della prosa, sia costitutivamente letteraria, essa resta anche l’unico elemento condizionante i testi nelle loro pretese di letterarietà. Mentre si propone come paradigma di definizione costituzionale della letteratura, la fiction funziona anche come necessità condizionante i restanti generi letterari se questi vogliono dirsi letterari. Più che un genere, il romanzo funziona allora come sineddoche per letteratura; trascende la stessa genericità ponendosi a significazione di un ordine più vasto, svincolato e in qualche modo superiore alla categoria dei generi letterari: l’idea stessa di letterarietà.

Perciò il genere del saggio è stato interpretato secondo due alternative inconciliabili per una scelta disgiuntiva: è o non è finzione. Anzi, la difficoltà a definirlo morfologicamente diventa in parte il risultato di questo ripiegamento teorico. Si è arginato il problema di stabilire se esista una sua “genericità letteraria” tramite la verifica, certo più comoda, della presenza di contenuti

di conferirgli o fargli pervenire tutti i necessari requisiti della letterarietà. Spesso, questa verifica è stata condotta in modo da approdare a risultati affermativi.

Esaminiamo l’idea per la quale il saggio sarebbe una finzione316. Già negli anni Sessanta Bruno Berger, nel libro Der Essay. Form und Geschichte, accomunava la forma dell’epica e quella del saggio, a suo dire entrambe discendenti dall’Epica antica317. Il paragone è utile non certo per indicare una

filiazione inesistente, ma come indizio di un rapporto che dura tutt’oggi. Sembra esserci una sorta di simultaneità dei percorsi dei due generi che procedono appaiati nella loro costituzione, sostiene Vincent Ferré. Costui ha attirato l’attenzione su una prima coincidenza temporale, osservando che cronologicamente l’apparizione del saggio e quella del romanzo si collocano pressoché nelle stesse date, con la pubblicazione degli Essais di Montaigne negli anni Ottanta del Cinquecento e l’elaborazione del Don Qujote di Cervantes tra il 1605 e il 1615318. Successivamente, i due generi sembrano disegnare un andamento complementare. La contaminazione del saggio col romanzo appare nella storia del genere nel corso dell’Ottocento, proprio quando il romanzo raggiunge il suo grado di classicità (almeno) generica319 e continua poi in tutto il

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Si segnala ancora una volta il Québec come il contesto geografico in cui questa teoria ha preso piede ed è stata rilanciata con forza: «Parmi les diverses conceptions de l’essai et ses modalités d’énonciation, une hypothèse semble avoir séduit de nombreux critiques, principalement au Québec, depuis un certain nombre d’années: la fiction de l’essai» (Riendeau 2000: 47).

317 Berger 1964: 102. 318

Ferré 2003: 39. La tesi di dottorato di Ferré (su cui ritorneremo) risulta in qualche modo speculare a questo studio, poiché riguarda l’altra faccia del fenomeno della contaminazione tra saggio e romanzo nel Novecento, vale a dire l’inserimento di “saggi” in una finzione.

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Il romanzo ottocentesco, come scrive Donata Meneghelli, produce un tipo di «“racconto ben fatto”, dove tutti i conti tornano, costituito da un flusso temporale non ne-

reinvenzione delle proprie forme tradizionali320. Anzi, in questo secolo – come

argomentavamo – il saggio stesso sembra a volte poter sostituire il racconto come scrittura rappresentativa del mondo.

Ad ogni modo, dalla teoria quel parallelismo è stato spesso ridotto a un’inclusione. Claude Brouillette e Jean Terrasse ascrivono il saggio alla finzione partendo dall’idea di un’opposizione proclamata distintamente soprattutto a partire dagli anni Sessanta del Novecento, quella tra due culture diverse e irrimediabilmente divise nei metodi di ricerca, due sistemi di pensiero inconciliabili per il loro approccio al mondo: la scienza e la letteratura321.

Un des caractères fondamentaux de la fiction poétique, ce par quoi elle se distingue complètement d’un ouvrage scientifique ou philosophique, c’est sa polyvalence et sa plurivocité […] Si l’essai était un réaliste discours scientifique, il ne pourrait être qu’univoque et par conséquent dénotation, sur laquelle on tomberait très vite d’accord. (Brouillette 1972: 45-46)

La coppia denotativo-connotativo diviene il discrimine su cui si dovrebbe operare una divisione dei generi letterari da quelli “scientifici” e, in conclusione, anche una corretta sistemazione del saggio dal lato della finzione, ritenuta il

cessariamente lineare ma unitario, in cui gli eventi trovano posto; un flusso che è costruito in funzione della sua conclusione, che segue la misura degli orologi e dei calendari, che ci dà la certezza che qualunque buco, salto o frattura verrà prima o poi saturato» (Meneghelli 2012: 202).

320 Tra queste, si possono ricordare «il tramonto del narratore come centro di controllo

della materia del racconto. Il disintegrarsi della teleologia, che si compie grazie a molteplici procedimenti: dal monologo interiore (o flusso di coscienza) all’impossibilità non solo di strutturare gli eventi in un disegno coerente, ma addirittura di nominarli, di designarli o individuarli in quanto tali, e di trovare una fine che “redima” le vicende narrate» (ivi: 207).

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Si ricordi che la lettura di Charles P. Snow, The Two Cultures and the Scientific Revolution (Snow 1959), influenza il dibattito internazionale proprio a partire da questo periodo. Di recente, Jerome Kagan ha parlato di Three Cultures (Kagan 2009) (riprendendo un titolo di Wolf Lepenies), riproblematizzando l’opposizione biunivoca tra scienze e discipline umanistiche (che nella visione di Snow andava tutta a detrimento di quest’ultime) con l’aggiunta di un terzo termine, rappresentato dalla sociologia e dal suo parziale ruolo di mediazione.

genere deve sempre sfiorare l’espressione di un’ambiguità. Deve navigare nel regno del Possibile del Senso. Nella sua Rhétorique de l’essai littéraire, Terrasse fonda presupposti simili a questi:

Comme toute œuvre littéraire, l’essai relève de la fiction. Son discours est un discours opaque, non parce qu’il embrasse des choses, mais parce qu’il substitue les mots à la réalité. À l’inverse de l’écrivain, le savant cherche à rendre son discours transparent. (Terrasse 1977: 124)

La semplificazione del regime discorsivo tra denotazione e connotazione sfuma per fare posto a un’opposizione tra due scopi diversi: un’esposizione “trasparente” della realtà fenomenica contro un registro dell’immaginazione irriducibile a un’epistemologia sperimentale e piuttosto aperto alla creazione di storie e scenari contingenti. Il saggio si collocherebbe ovviamente dal lato di quest’ultima soluzione.

Dal canto suo, Pascal Riendeau approfondisce l’assimilazione del saggio alla finzione e parla di una fiction de soi propria del saggista. Egli ammette infatti che l’enunciatore di un discorso argomentativo possa diventare finzionale tanto quello di un romanzo, quando osserva che «l’essai met en scène un “je” textuel dont le statut n’est pas toujours clair: référentiel pour certains, strictement fictionnel pour d’autres»322. Personaggio fittizio e autore reale coinciderebbero nel saggio; si ritroverebbero riassunti entrambi dentro uno statuto paradossale:

Plutôt que d’affirmer que le “je” essayistique ne renvoie ni totalement à une unité fictive ni véritablement à un référent réel, peut-être devrait-on envisager qu’il est à la fois l’un et l’autre. Cette simultanéité contradictoire rejoint l’idée de créer une fiction de soi […] un sujet écrivant (un personnage, un énonciateur) fictif à l’intérieur d’un texte qui ne l’est pas et un espace de création ludique entre le sujet fictif du texte et l’auteur comme (im)possible référent hors textuel. (Riendeau 2005: 94)

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