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Il conte Ermenulfo ed Eremberto (II) al servizio di Ludovico II (866)

2.2.1. Il conte Ermenulfo II nella spedizione meridionale (866) Negli anni Sessanta la corte di Lodovico II, nella quale anda- vano assumendo rilevanza nuovi consiliarii, distinti dalla vecchia aristocrazia comitale ed avvicinabili per la condizione sociale ai vassi regi e imperiali (69), veniva riorganizzandosi e assumendo un’importanza quale strumento di governo (70), come mostra un placito dell’860 (71), svoltosi durante una spedizione di Ludovico II nel territorio spoletino, che ci fornisce il solo elenco, parziale, di ufficiali palatini. Il tribunale imperiale era così composto: Adalberto comes stabuli ovvero connestabile, Hucpold conte palatino, che muove anche l’accusa, Hechideo pincerna primus o coppiere – quest’ultimo, quando appone il signum manus nell’e- scatocollo, viene definito comes e primus pincerna –, Dructemiro archinotarius, Winigiso armiger, Begeri nobilis optimas, Bebo consiliarus, Reginario cappellano «vel de reliquis quampluribus palatii» (72).

(69) Keller, Zur Struktur cit., p. 141, e cfr. sopra, t. c. note 8-9. (70) Delogu, Strutture politiche cit., p. 169.

(71) Manaresi, I placiti cit., I, n. 65, 860 marzo; B.Z, n. 183. Cfr. Delogu,

Strutture politiche cit., p. 170; Keller, Zur Struktur cit., p. 144; Bougard, La cour

cit., pp. 258-259.

(72) Tra gli uffici rivestiti dai “molti rimanenti di palazzo”, non menzionati specificatamente nel placito dell’860, è attestato poco più tardi, alla fine dell’età carolingia, quello di mansionarius, indicante l’ufficiale del palazzo reale incarica-

Ludovico II, attribuita ad Ermenulfo nel Chronicon, che non trova ovviamente rispondenza nel contratto di vendita, sottolinea gli stretti rapporti del conte con l’imperatore e lo avvicina all’Autprando, sul quale ci siamo soffermati poco sopra (82). Questo Autprando (83), che fu anche latore all’imperatore bizanti- no Basilio I di una lettera di Ludovico II (84), è ricordato da una cronaca quale «Auprand fidelis ac familiaris homo noster» (85), una qualificazione, quella di homo noster (86), che integra e supe- ra quelle di fidelis e familiaris, indicando il personaggio come un vassallo in stretto rapporto con il suo senior.

nella cronaca di Reginone viene definito quale «Caroli quondam imperatoris familiarissimus et consiliarius a secreto» (Reginonis abbatis Prumiensis chroni-

con cum continuatione Treverensi, in SS in usum scholarum, Hannover, 1890,

anno 901, p. 148). Raramente l’appellativo viene impiegato nei privilegi per destinatari italici: da una considerazione rapida, condotta sugli Indici dei DD e dei Regesta degli imperatori carolingi, abbiamo potuto constatare che l’appellati- vo familiaris è utilizzato per destinatari italici solo una volta, in relazione all’in- tercessione di Eberardo del Friuli – dilectissimus dux et familiaris Everardus – in un privilegio per il duca veneziano (DD Ludovici II, n. 19, 856 marzo 23); cfr. Hlawitschka, Franken cit., p. 170, e Delogu, Strutture politiche cit., p. 151. L’appellativo è impiegato anche per designare i membri del seguito dei due re, Ludovico il Tedesco e Ludovico II, nell’incontro di Trento: «cum suis familiari- bus reges exercebant» (DD Ludovici II, n. 85, anno 857). Segnaliamo, infine, che nell’arenga di un privilegio dell’874, sollecitato dall’imperatrice Engelberga, indirizzato a Gumberto, vassallo, ministeriale e gastaldo, si ricordano coloro che assistono il re con maggiore ‘familiarità’, familiarius, rispetto agli altri: DD

Ludovici II, n. 65, 874 ottobre 9, Corteolona.

(82) Cfr. sopra, par. 2.1.3.

(83) L’ipotesi di identificazione è già prospettata da Jarnut, Bergamo cit., p. 34, nota 62. Cfr. Castagnetti, Un propietario longobardo cit., parr. 5-6.

(84) Cfr. sopra, t. c. note 99-100 di cap. I.

(85) Chronicon Salernitanum cit., ed. Westerbergh, p. 120 = BZ, n. 326. (86) Ganshof, Che cos’è il feudalesimo? cit., p. 24 con riferimento ai Capitolari, e passim; Brancoli Busdraghi, La formazione cit., pp. 146, 148, 170.

console e duca Pietro di Roma una casa solariata in Roma con le pertinenze, fra le quali una cappella di S. Biagio, nonché una cur- tis in Tussiano sul Lago di Bracciano, inviò a Roma presso il ven- ditore il conte Ermenulfo, suo familiaris, con “infinita quantità di denaro” per procedere all’acquisto dei beni, che con altre compere e donazioni l’imperatore destinava alla fondazione di S. Clemente di Casauria (78). Il documento relativo di acquisto, redatto nell’a- prile dell’868 in Salerno (79), attesta che il comes Ermenulfo, mis- sus dell’imperatore, si recò a Roma e corrispose ottocento libbre d’argento (80) a Pietro, console e duca.

La qualificazione di “familiare”, familiaris suus (81), di

(78) L. Feller, Les Abruzzes médiévales. Territoire, économie et société en

Italie centrale du IXe au XIIe siècle, Roma, 1998, pp. 171-172.

(79) Chronicon Casauriense cit., p. 731, doc. 868 aprile 5, Salerno, e Liber

instrumentorum cit., cc. 74v-75r. Il documento, redatto da Pietro notarius domni imperatoris, segue uno schema ‘standardizzato’ dell’atto, in uso nell’Italia supe-

riore, con la dichiarazione ulteriore di avere ricevuto il prezzo della vendita dal- l’acquirente e la descrizione dei beni venduti, che sono liberi da impegni, «ab omni nexo publico privato», espressione quest’ultima già impiegata in un docu- mento longobardo (L. Schiaparelli [ed.], Codice diplomatico longobardo, voll. 2, Roma, 1929-1933, I, n. 38, 726 settembre (?), Pistoia, carta di vendita; cfr. Massetto, Elementi cit., p. 573), che rimane invero poco diffusa (A. Castagnetti,

La titolarità del comitato di Verona per il conte Egelrico [955-961] e l’incipiente dinastizzazione dell’ufficio da un documento del Mille, «Studi storici veronesi»,

LIII [2003], pp. 31-32, nota 122), né alienati in precedenza, e che sono stati lasciati liberi dai venditori, così che l’acquirente ne abbia la piena proprietà e la disponibilità per qualsiasi uso, non contrastato dai venditori, egli vorrà e potrà fare dei beni stessi, cui seguono le clausole della defensio. Sul notaio Pietro si veda sopra, nota 16.

(80) Si corregga la svista di BZ, n. 288, che legge 80 e non 800 libbre d’ar- gento.

(81) L’impiego dell’appellativo familiaris, che sottolinea i rapporti quotidia- ni propri di chi apparteneva alla corte imperiale, si riscontra nelle fonti narrative: senza pretesa di completezza, segnaliamo, oltre ovviamente ai casi di Ermenulfo ed Autprando, considerati nel testo, la qualificazione di Liutwardo, vescovo di Vercelli – su lui ci soffermiamo appresso: sotto, t. c. nota 106 di cap. III –, che

Fra i nomi dei comandanti preposti ai primi distretti non figu- rano persone che abbiano rivestito uffici comitali né vassalli impe- riali; ancor più, quasi tutti non sembrano altrimenti noti, per quan- to ci consta. Fra loro si trova un Eremberto, cui fu affidato il comando della zona fra Ticino ed Adda, proprio quella che a nord si stende fra il Lago Maggiore e il Lago di Como e, più a sud, comprende anche Milano. Nella zona settentrionale risiedeva, al limite occidentale, il vassallo regio Eremberto; in essa, da Stazzona e Leggiuno, sul lago Maggiore, a Stabio e a Limonta, sul lago di Como, agivano e agiranno i suoi figli, certi o presumibili, come constatiamo nei prossimi paragrafi: Ermenulfo, conte e fami- liaris di Ludovico II, e Appone, gastaldo regio e poi vassallo e ministerialis imperiale, e lo stesso Eremberto (II). Spontanea si presenta la proposta di identificazione di questo Eremberto con il figlio omonimo del vassallo regio Eremberto e fratello di Ermenulfo e di Appone.

Osserviamo in merito che, mentre del conte Ermenulfo si può supporre un rapporto vassallatico diretto con l’imperatore, il cui indizio è costituito dal beneficio ricevuto, e di Appone è documen- tata la condizione di vassallo regio, tale condizione non è dichiara- ta per Eremberto né sussistono indizi per dedurla.

2.3. Il conte Ermenulfo con i missi del re Carlomanno (879)