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I L CONTENUTO E IL MONDO CONCETTUALE 1 Contenuto dell'opera

Per dare un'idea complessiva del contenuto del Commento, ritengo necessario includere anche brevi sommari dei capitoli degli Harmonica tolemaici.

Dedica a Eudossio

Le principali scuole di armonica sono la pitagorica e l'aristossenica; delle altre, sia anteriori sia posteriori ad Aristosseno, si è persa memoria. Un commento agli Harmonica di Tolemeo è necessario sia perché non tutti hanno le conoscen- ze matematiche necessarie per comprendere il trattato, sia per mostrare l'eccel- lenza dei risultati raggiunti dall'autore grazie all'uso della matematica e il mo- do in cui è riuscito a superare le divergenze tra le suole del passato. Per il commento Porfirio si servirà di materiali preesistenti, ove disponibili, e in al- cuni punti indicherà le fonti che Tolemeo ha utilizzato senza citarle.

1 Düring 1932: XXXVI. 2 Barker 2007: 447.

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Libro I

I, 1 – I criteri della scienza armonica

L'armonica è una facoltà conoscitiva (δύναμις καταληπτική) esercitata sulle differenze di altezza tra i suoni; il suono si origina allorché l'aria è interessata da un impatto (πληγή). L'armonica si fonda sull'azione congiunta della perce- zione (ἀκοή, αἴσθησις) e della ragione (λόγος). La ragione è in grado di rime- diare alle insufficienze della percezione, che si manifestano allorché è necessa- rio operare confronti tra grandezze che richiedano una serie complessa di pas- saggi, oppure riguardino parti molto piccole.

Commento

Definizioni della scienza armonica; ragioni per le quali la definizione adottata da Tolemeo è da preferirsi rispetto alle altre. Differenze semantiche tra «suo- no» (ψόφος) e «voce» (φωνή). I Pitagorici iniziano lo studio dell'armonica a partire dal suono, gli Aristossenici dalla voce. Distinzione aristossenica tra voce «continua» o «parlante» (συνεχής, λογική) e voce «discreta» o «diastema- tica» (διαστηματική). Ruolo della percezione uditiva (ἀκοή) e della ragione (λόγος) nella formazione del giudizio nella scienza armonica: la ragione coglie la forma (εἶδος) e la causa (αἴτιον), l'udito invece la materia (ὕλη) e l'affezione (πάθος); diverse accezioni del termine λόγος. Stadi successivi della formazio- ne del giudizio: percezione (αἴσθησις), apprensione (ἀντίληψις), pensiero congetturale (δοξαστικὴ ὑπόληψις), immaginazione (φαντασία), concetto (ἔννοια), intelletto (νοῦς). Ragione e percezione stanno tra loro come un re e il suo messaggero; i sensi colgono la realtà a un livello superficiale e grossolano, mentre la ragione la coglie con precisione. Diversi modi di intendere il concetto di «intelligibile» (νοητόν); in particolare i fenomeni sensibili, poiché per co- glierli la ragione ha bisogno della percezione, sono «intellegibili attraverso la percezione» (δι αἰσθήσεως νοητά). La ragione è semplice, pura e sempre u- guale a sé stessa, mentre la percezione è mutevole; la ragione assiste la perce- zione soprattutto quando quest'ultima, per valutare differenze quantitative, deve operare confronti su parti piccole o compiere parecchie operazioni in suc- cessione.

I, 2 – Compito dello studioso di armonica

Lo studioso di armonica, come l'astronomo, deve conciliare i dati dell'esperien- za sensibile (φαινόμενα) con i fondamenti (ὑποθέσεις) della disciplina. Il suo strumento è il canone. Le scuole del passato hanno fallito lo scopo di conciliare i dati dell'esperienza con la ragione a causa di errori di segno opposto: i Pitago- rici per aver adoperato criteri numerici a volte in contrasto con la percezione, e

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gli Aristossenici per aver trascurato del tutto l'aspetto razionale nella loro ana- lisi dei suoni.

Commento

Lo strumento ideale per lo studio dell'armonica è il canone (κανών); i fonda- menti dimostrati per mezzo di questo strumento sono comuni anche all'aritme- tica e alla geometria. Sulla priorità tra ragione e percezione si misura la diffe- renza tra Pitagorici e Aristossenici. In realtà nella natura nulla è a caso e il compito dello studioso è dimostrare che i fondamenti della ragione sono in accordo con le percezioni dei due sensi più importanti, la vista e l'udito. Testi- monianze di Tolemaide, Didimo e Archestrato. Esagerazioni di segno opposto dei Pitagorici e degli Aristossenici nella preferenza accordata rispettivamente alla ragione e alla percezione.

I, 3 – Come si costituiscono l'acutezza e la gravità dei suoni

I parametri fondamentali del suono (intensità, timbro, altezza) dipendono da precise caratteristiche degli oggetti che lo producono. Poiché il suono si origina da un impatto, la forza dell'impatto stesso condiziona il volume del suono. Quanto alle caratteristiche fisiche dei corpi che collidono, alcune, come la levi- gatezza o il suo opposto, danno origine a particolari timbri, mentre altre, che dipendono dalla quantità di materia, come la pesantezza o la leggerezza, la densità e la rarefazione, si ripercuotono sull'altezza. La variazione di altezza dei suoni, quindi, ha natura quantitativa. Lo si vede anche dai tubi sonori, in cui a distanze maggiori corrispondono suoni più gravi e vice versa. La trachea si comporta come una sorta di aulos naturale.

Commento

Secondo i Pitagorici l'altezza dei suoni ha natura quantitativa: testimonianza di Eraclide Pontico. Primato della vista e dell'udito sugli altri sensi: testimonianza di Archita. Differenze di funzionamento tra vista e udito: testimonianza di Democrito. Suoni acuti e gravi corrispondono a movimenti veloci e lenti rispet- tivamente e i rapporti tra note di diversa altezza equivalgono ai rapporti tra le velocità dei loro movimenti: testimonianza di Eliano. Acutezza e gravi- tà sono attributi accidentali (συμβεβηκότα) dei suoni. Nell'impatto (πληγή) che genera il suono sono coinvolti tre fattori: la forza dell'agente percuziente, le caratteristiche dell'oggetto percosso e quelle del corpo attraverso il quale av- viene l'impatto. Le variazioni dell'oggetto percosso, cioè l'aria, non modificano l'altezza dei suoni, mentre la forza dell'agente percuziente determina il volume del suono ma non la sua altezza. Le caratteristiche fisiche del corpo attraverso il quale avviene l'impatto (p. es. le configurazioni assunte dall'apparato fonato- rio umano o animale, oppure le caratteristiche di uno strumento musicale)

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hanno conseguenze sul suono, ma limitatamente alle sue cosiddette «qualità passive» (παθητικαὶ ποιότητες), cioè al suo essere un «fracasso» o un «rim- bombo», ecc., oppure al suo essere dolce od aspro, denso o rarefatto, spesso o sottile, pesante o leggero. Poiché densità e rarefazione, spessore e sottigliezza derivano dalla maggiore o minore quantità di materia, se ne deduce che la va- riazione di quantità può avere conseguenze sul piano qualitativo. Perciò Tole- meo è in errore quando sostiene che acutezza e gravità dei suoni siano quanti- tà. Platone nel Timeo non dice che la velocità e la lentezza sono rispettivamente cause del suono acuto e grave, ma solo che il suono acuto è veloce e il grave è lento. Invece Aristotele nel De anima sostiene che il veloce è causa dell'acuto e il lento lo è del grave. Tuttavia, se si presuppone che ciò che secondo Aristotele riguarda la causa, cioè la velocità e la lentezza, sia preesistente rispetto al cau- sato, cioè al suono acuto o grave, si potrebbe conciliare la posizione aristotelica con quella platonica secondo la quale il suono acuto è veloce e il grave è lento. Riprendendo le posizioni di Aristotele, Tolemeo stabilisce un legame tra ogget- ti più sottili e più densi e suoni più acuti, e tra oggetti più spessi e rarefatti e suoni più gravi. Tuttavia ha torto nel legare le qualità della sottigliezza e dello spessore rispettivamente alla maggiore e alla minor tensione. La distanza tra il corpo percuziente e il percosso modifica l'altezza del suono nella misura in cui influisce sulla forza dell'impatto: testimonianza di Archita. È chiaro dunque che Tolemeo segue la posizione pitagorica; ma non si rende conto che la varia- zione di altezza dei suoni è dovuta a una qualità che ha conseguenze quantita- tive. A sostegno delle sue tesi Porfirio cita un lungo passo dal Περί μουσικῆς di Teofrasto, secondo il quale la causa della variazione di altezza dei suoni consiste in una qualità ad essi intrinseca (ἰδιότης), non riconducibile né alla «pluralità» (πλῆθος) né agli «intervalli» (διαστήματα). Per Teofrasto la melo- dia nasce da un particolare movimento (κίνημα μελοδητικόν) che l'anima compie allorché si libera dei mali e delle passioni. Anche per Panezio l'interval- lo tra le note non sta nella grandezza, ma tuttavia l'utilizzo dei rapporti per- mette di ovviare alla debolezza della percezione. Chiude la discussione la cita- zione del trattatello Sugli oggetti dell'udito (Περὶ ἀκουστῶν) attribuito ad Ari- stotele.

I, 4 – Le note e le loro differenze

All'interno del grande insieme dei suoni (ψόφοι) gli isotoni (suoni di altezza costante per la loro intera durata) si distinguono dagli anisotoni (suoni di altez- za variabile); questo secondo gruppo si divide a sua volta in anisotoni continui (συνεχεῖς) e discreti (διωρισμένοι). Solo agli ultimi spetta la qualifica di «note»

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(φθόγγοι), nel senso di suoni utilizzabili in musica: essi possono essere reci- procamente consonanti (σύμφωνοι) o dissonanti (διάφωνοι).

Commento

Le altezze dei suoni sono infinite in potenza, ma in atto sono limitate sia dalle possibilità di emissione dell'apparato fonatorio e dei diversi strumenti, sia dal- le capacità percettive di chi ascolta: testimonianze di Platone e Aristosseno. Nozione di «nota musicale» (φθόγγος). Diverse accezioni del termine τόνος e in particolare suo significato nella definizione aristossenica di «nota». Valore dei termini «isotono» (ἰσότονος) e «anisotono» (ἀνισότονος). Distinzione tra suoni «continui» (συνεχεῖς) e «discreti» (ὡρισμένοι). I suoni anisotoni continui sono estranei all'armonica, mentre gli anisotoni discreti sono le note. differenza tra le definizione di «nota» secondo gli Aristossenici e secondo Tolemeo. Relazione tra le note. Concetto di «rapporto» (λόγος). La nozione di «rapporto» ha senso solo tra note di altezza diversa ed è compatibile con la concezione qualitativa dell'altezza propugnata da Porfirio. Classificazione del- le relazioni tra le note in «consonanti» (σύμφωνοι) e «dissonanti» (διάφωνοι), «melodiche» (ἐμμελεῖς) e «non melodiche» (ἐκμελεῖς).

I, 5 – Le teorie dei Pitagorici sui fondamenti delle consonanze

I Pitagorici sostenevano l'eccellenza dei rapporti superparticolari – cioè nella forma (n+1)/n – e stabilivano un preciso criterio di corrispondenza tra intervalli musicali e rapporti matematici.

Commento

Citazione di parte della sezione introduttiva della Sectio canonis attribuita a Euclide. Differenze tra i concetti di «rapporto» e «intervallo». Rassegna di au- tori che hanno ritenuto i due termini come sinonimi e di altri che hanno espres- so opinioni contrarie. Concezione aristossenica dell'intervallo come «distanza nello spazio» (διάστημα τοπικόν). Diversi concetti di «intervallo» a seconda del tipo di grandezze alle quali ci si riferisce. Definizione di «consonanza»: citazioni da Adrasto ed Eliano. Numero delle consonanze (sei secondo Tole- meo, otto secondo altri autori). Consonanze semplici e composte. Antiche de- nominazioni delle consonanze e loro spiegazione: citazioni da Teofrasto ed Eliano. Classificazione dei rapporti matematici in multipli, superparticolari e superparzienti; relazione tra la gerarchia dei rapporti matematici e quella degli intervalli musicali. Lunga citazione dalla Sectio canonis (proposizioni 1-16). I, 6 – Per quali ragioni i Pitagorici non si espressero correttamente sulle cause delle

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I Pitagorici considerano adatti ad esprimere le consonanze solo i rapporti che si presentino nelle forme superparticolare o multipla; tuttavia il rapporto di un- dicesima (1 ottava + 1 quarta, ossia 2/1 x 4/3 = 8/3), pur non essendo espresso da un superparticolare, è manifestamente consonante alla percezione. Inoltre essi definiscono l'ordine di eccellenza tra le consonanze per mezzo di un algo- ritmo (detto calcolo degli ἀνόμοια, ossia delle «dissimiglianze») che consiste nella sottrazione dell'unità da ciascun termine del rapporto e poi nella somma dei valori così ottenuti. Tale procedimento è ridicolo, poiché tiene conto solo dei rapporti nella forma ridotta ai minimi termini (πυθμήν). Quindi l'interval- lo di undicesima (8/3), pur non essendo superparticolare, va inserito tra le con- sonanze.

Commento

Le note in ottava non differiscono tra loro per funzione (δύναμις) e sono dette anche «antifone»; quindi se l'ottava viene aggiunta a qualsiasi altra consonan- za, non ne modifica le caratteristiche, così come la decina, aggiunta una o più volte a un numero, non ne modifica la forma. Esemplificazione per mezzo delle note del sistema perfetto. I Pitagorici (Archita e Didimo) scelgono i rapporti a cui collegare le consonanze in modo arbitrario ed effettuano il calcolo delle «dissimiglianze» (ἀνόμοια). Spiegazione del procedimento di calcolo e sua confutazione.

I, 7 – Come definire più correttamente i rapporti delle consonanze

Sarebbe più corretto suddividere gli intervalli in omofoni (ottava e suoi multi- pli), consonanti (quinta, quarta e loro composti con l'ottava) e melodici (dal tono di 9/8 in poi).

Commento

Gli errori dei Pitagorici non sono imputabili al metodo razionale in sé, ma al cattivo uso che costoro ne fecero. Le relazioni tra le note vanno invece suddivi- se in base ai diversi gradi di piacevolezza all'ascolto: prima la sensazione di massima identità (unisono), o di quasi-identità (ottava e suoi multipli) all'ascol- to simultaneo, quindi la semplice somiglianza (consonanze di quinta e quarta e loro composti con l'ottava o i suoi multipli), infine la sensazione di piacevolez- za all'ascolto diacronico (intervalli melodici minori della quarta). Tolemeo, diversamente da Tolemaide ed altri, introduce una differenza tra note «isotone» (cioè all'unisono) e «omofone» cioè distanti una o più ottave l'una dall'altra. Analogamente, i rapporti matematici possono essere disposti secon- do una gradazione che va dall'assoluta identità (1=1) a livelli via via inferiori di vicinanza all'identità: 2/1, 4/1, 8/1, 16/1, corrispondenti all'ottava e ai suoi mul- tipli fino alla quadrupla ottava; poi 3/2 e 4/3, corrispondenti alla quinta e alla

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quarta; quindi i rapporti derivanti dalla composizione di quelli del primo gruppo con quelli del secondo (p. es. la dodicesima = 1 ottava + 1 quinta = 2/1x3/2 = 3/1); infine i rapporti che dividono il rapporto 4/3 nelle parti più pros- sime all'uguaglianza.

I, 8 – Come dimostrare in modo incontrovertibile i rapporti delle consonanze per mezzo

del canone monocordo

I tubi sonori e le corde con gravi appesi non possono essere strumenti di inda- gine sulle consonanze; è molto più appropriato il canone monocordo, qui det- tagliatamente descritto. Se preparato nel modo indicato, lo strumento garanti- sca l'assoluta corrispondenza tra le lunghezze individuate sul regolo (il κανών propriamente detto) e quelle riportate sulla corda.

Commento

Vari modi in cui i Pitagorici si servirono di strumenti per studiare la teoria del- le consonanze (σύριγγες, αὐλοί, gravi appesi alle corde, vasi riempiti di liqui- do a vari livelli). Lo strumento migliore è però, a parere di molti, il canone mo- nocordo. Ragioni per le quali i tubi sonori non possono considerarsi strumenti attendibili. Struttura del canone monocordo e dimostrazione delle ragioni per le quali le distanze segnate sull'asticella di legno sono esattamente uguali a quelle riportate sulla corda vibrante. Corrispondenza tra numeri e distanze. I, 9 – Ragioni per le quali gli Aristossenici sbagliano a misurare le consonanze con gli

intervalli e non con le note

La teoria aristossenica ha il difetto di non definire gli intervalli in modo soddi- sfacente, ma di utilizzare una serie di definizioni circolari, per cui ogni inter- vallo è definito mediante il rimando a un altro. Inoltre non si rendono conto che non si possono definire gli intervalli per mezzo delle eccedenze, poiché lo stesso intervallo, se considerato in posizioni e altezze differenti, produrrà di- verse eccedenze.

Commento

Citazione di Aristosseno a proposito del concetto di intervallo come «grandez- za» (μέγεθος). Difetti logici della concezione aristossenica. A parità di interval- lo, le distanze sulle corde variano a seconda che la tessitura sia più acuta o più grave. Per questo motivo le «eccedenze» (ὑπεροχαί) tra le differenti lunghezze o distanze che producono le note non hanno tra loro alcun rapporto in grado di generare gli intervalli musicali.

I, 10 – Ragioni per le quali non è corretto stabilire che la consonanza di quarta sia

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Gli Aristossenici ritengono che la quarta si possa misurare con due toni e un semitono. Tuttavia si può dimostrare che l'eccedenza della quarta rispetto al ditono è pari al cosiddetto leîmma (256/243), che è minore di un semitono.

Commento

Procedimento aristossenico per dimostrare che la quarta è composta da due toni e un semitono. Spiegazione del procedimento di calcolo usato da Tolemeo per mostrare che invece la differenza tra la quarta e il ditono (λεῖμμα) è minore della metà di un tono. Non si tratta di una contraddizione tra ragione e perce- zione, ma piuttosto di uno di quei casi in cui la ragione interviene a rettificare la percezione su quantità molto piccole.

I, 11 – Come dimostrare per mezzo della percezione che l'ottava è minore di sei toni

interi servendosi di un canone ad otto corde

Sempre gli Aristossenici sostengono che l'ottava si possa misurare in sei toni interi. Anche in questo caso, si può utilizzare un canone ad otto corde per di- mostrare come in effetti sei toni presi in successione eccedano la misura di un'ottava. Affinché l'esperimento sia affidabile è necessario che le corde del canone siano accordate perfettamente all'unisono, in modo che le eventuali differenze di spessore e densità siano compensate con adeguate variazioni di tensione.

Commento

Accordando un canone ad otto corde in modo che tra una corda e la successiva vi sia un tono di 9/8 e ripetendo l'operazione per sei colte, si percepirà che l'in- tervallo tra la prima e la sesta corda è maggiore dell'ottava presa normalmente secondo il rapporto doppio. Come preparare lo strumento in modo che le cro- de abbiano esattamente lo stesso comportamento e l'esperimento sia assoluta- mente attendibile.

I, 12 – La divisione dei generi e di ciascuno dei tetracordi secondo Aristosseno

Riepilogo della struttura dell'ottava. Note fisse e note mobili nel tetracordo. Modulazione di genere. Distinzione tra diatonico, cromatico ed enarmonico e tra «molle» (μαλακόν) e «teso» (σύντονον). Descrizione dei generi secondo Aristosseno (tre cromatici, il molle, l'emiolio e il tonico, e due diatonici, il molle e il teso). Distinzione tra generi con e senza πυκνόν.

Commento

Porfirio sostanzialmente parafrasa il testo tolemaico, limitandosi ad anticipare la modifiche apportate dallo stesso Tolemeo al sistema dei generi. Inoltre i ge- neri tetracordali di Aristosseno sono rappresentati con valori numerici dimez- zati rispetto a Tolemeo.

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I, 13 – La divisione dei generi e dei tetracordi secondo Archita

Critiche alle divisioni tetracordali di Aristosseno. Descrizione dei generi di Archita, il quale prevede solo un enarmonico, un cromatico e un diatonico, tutti con il medesimo intervallo al grave.

Commento

Parafrasi del testo, con in più la spiegazione dei calcoli di Tolemeo e la tradu- zione nella nomenclatura delle note nel cosiddetto sistema perfetto.

I, 14 – Dimostrazione che né l'una né l'altra divisione rispetta la reale melodicità I tetracordi di Archita hanno dei difetti: innanzitutto contengono rapporti che non sono superparticolari; poi i vari intervalli non sono ben proporzionati all'interno del medesimo tetracordo; infine sono previste solo tre varietà, trop- po poche rispetto alla molteplicità di accordature usate nella realtà. Al contra- rio, Aristosseno definisce troppi generi cromatici e troppo pochi diatonici.

Commento

Parafrasi del testo con aggiunta di brevi incisi esplicativi.

I, 15 – Suddivisione dei tetracordi secondo il genere in accordo con l'eleganza matema-

tica e i dati osservabili

Proposta di un sistema originale di Tolemeo, il cui punto di partenza è la defi- nizione di tre coppie di rapporti che dividono la quarta in parti quasi uguali. Da ciascuna di queste coppie, mediante un'ulteriore divisione ora dell'uno, ora dell'altro dei suoi elementi, si ottengono tre coppie di generi, uno con pyknon e uno senza. In totale si hanno dunque sei tetracordi, tre πυκνά (enarmonico, cromatico molle, cromatico teso) e tre ἄπυκνα (diatonico molle, diatonico teso, diatonico tonico). Di questi, il diatonico tonico è costituito in deroga alle regole fissate da Tolemeo in apertura.

Commento

Parafrasi del testo, con l'aggiunta di una spiegazione del procedimento di cal- colo adottato da Tolemeo e illustrazione dettagliata dei calcoli necessari per ottenere i valori assoluti da collegare alle diverse note.

I, 16 – Quanti e quali sono i generi dei tetracordi più familiari all'orecchio

I generi più comuni (al tempo di Tolemeo) sono i diatonici e il cromatico teso. Possibilità di utilizzare un altro genere, detto diatonico «omogeneo». Relazione tra i generi descritti nel capitolo precedente e le accordature usate dai suonatori di lira e cetra. Descrizione e denominazioni di queste accordature. Descrizione

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di un altro genere diatonico, detto «ditonico» perché comprende due toni di 9/8 e un leîmma.

Commento

Manca. Libro II

II, 1 – Come si potrebbero cogliere i rapporti dei generi abituali anche per mezzo della

percezione

Con procedimento inverso rispetto al capitolo precedente, si mostra come le accordature più comuni in uso presso i musicisti pratici corrispondano perfet- tamente a quelle indicate da Tolemeo.

Commento

Parafrasi e spiegazione dei calcoli.

II, 2 – Uso del canone secondo lo strumento chiamato helikōn

Descrizione di un canone policorde dal telaio quadrangolare detto helikōn, che permette di ottenere simultaneamente tutte le consonanze fondamentali e l'in- tervallo di tono. Descrizione di un altro strumento, anch'esso quadrangolare ma dotato di un ponticello mobile imperniato a un'estremità, che consente di trasportare la medesima sequenza intervallare a diverse altezze.

Commento

Parafrasi.

II, 3 – Le specie delle consonanze fondamentali

Definizione di specie (εἶδος) di un intervallo, ossia delle varie posizioni in cui esso può venire a trovarsi all'interno di un sistema. Non tutte le specie di un intervallo sono sempre comprese tra due note fisse del sistema. Elenco delle

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