2.2 L’Oriente affascinante di Annie Vivanti ne La terra di Cleopatra
2.2.1 Il contenuto della narrazione
Il racconto è diviso in ventidue brevi capitoli a loro volta racchiusi in tre partizioni corrispondenti alle grandi tappe del percorso e ai diversi volti dell’Egitto antico e moderno: Verso gli inviolati silenzi del deserto, Presso le scroscianti cateratte del Nilo e Tra gli eterni splendori di Tebe. Il primo capitolo si intitola La partenza, in cui l’autrice comincia a raccontare da un sogno il desiderio di trasferirsi sulla terra d’Egitto tramite il viaggio come incantamento. Le sembrava di trovarsi in uno dei quei sogni stravaganti e pazzeschi che al risveglio non si ricordano. Sognava di essere nel “deserto libico, issata su un cammello, e mi avvio verso la tomba di Tut- Ankh-Amen. Davanti a me, sopra un altro cammello, dondola un arabo alto e solenne; e al mio fianco corre un negro in una lunga camicia azzurra, col turbante calato a sghimbescio sopra l’occhio sinistro, che è cieco; i suoi piedi nudi battono la sabbia con ritmo molle e veloce […] appaiono, in fila cupa sullo sterminato oro del deserto, delle figure femminili, alte, misteriose, ammantate di nero; alcune recano sul capo delle anfore stilanti d’acqua”.150
Da questo frammento di fantasmagoria, che vede Vivanti nell’inimmaginabile situazione di trovarsi su un cammello nel cuore del deserto con due servi, venne riportata alla realtà dagli otto gatti di giada verdi: “Non
donna: uno sguardo curioso sull’ambiente cosmopolita dei viaggiatori, più che un’avventura a rischio”, note 159, p. 140.
148
Cfr. AA.VV., Sirtori Marco, Viaggiando imparerem geografia, Annie Vivanti tra narrativa e
odeporica, cit., p. 210, note 39; Cfr. A. Urbanic, Picturing Annie’s Egypt, p. 104.
149
Per informazioni dettagliate sulla pubblicazione degli articoli, si veda, Ivi, p. 211, note 40. 150
88 è un sogno, questo? No, me lo dicono gli otto piccoli gatti di giada verde che tengo nelle mani”. Questo è l’incipit del racconto. La narrazione prende avvio da un dialogo con un’amica, Flora, nel quale Vivanti giudica il suo cappello parigino “orrendo”. Questa parola rivaleva il suo stato d’animo di apatia patologica e si malessere, Annie si recò dal suo medico che le prescrisse una cura a base di “Silenzio e solitudine per due mesi”,151
le consigliò di fare un viaggio. Vivanti pensò alle città italiane, ma avendo già visitato gran parte di queste, vagò più oltre con il pensiero: Londra, Parigi, Berlino, Vienna e New York, dappertutto però aveva trovato solo “folla e rumore, turbine e tumulto”. Subito dopo ancora pensò al deserto, e il medico le consigliò di andare in Egitto, dove Vivanti non ebbe occasione di conoscere nessuno se non la solitudine e il silenzio, e dove sarà lontana dalla mondanità occidentale. Qui ci troviamo di fronte allo stesso caso di Sanya, la malattia e quindi la fuga del mondo occidentale verso quello orientale. Il tema del viaggio terapeutico non è nuovo nel genere odeporico, ma Vivanti fece qualcosa di più: portò con sé tutti i suoi amici per dimostrare loro l’altro punto di vista del turista tradizionale. Il secondo capitolo è La Traversata, in cui vengono descritte tutte le persone che si trovavano a bordo dell’Helouan, tra loro vi furono tre incontri particolari: prima di tutto con l’immigrazione degli ebrei, dove Vivanti incontrò un gruppo di ragazzini ebrei polacchi “tutti giovanissimi: occhi lucenti, capelli ricciuti, e il caratteristico profilo curvilineo del popolo eletto e da secoli disperso. […] Allora con veemenza e passione quei giovani mi narrano le loro sofferenze, il loro spasimo, la loro speranza di riprovare e di ricostruire finalmente la patria antica”;152
l’altro caso invece è l’incontro con il Lord Meston, membro del Consiglio della Società Nazioni, che si recava in Sudan per l’incarico del Governo inglese. Questo chiese un’opinione a Vivanti, senza prima presentarsi, sull’atteggiamento inglese nel Sudan e sulla Società delle Nazioni, ed ella rispose: “io mi affretto a dire dell’uno e dell'altra tutto il male che penso”.153
Ed infine, il terzo caso fu la conoscenza dello scopritore della tomba di Tutankhamon, Howard Carter,154 al quale ella dedicò tutto 151 Ivi, p. 13. 152 Ivi, p. 21, sg. 153 Ivi, p. 22. 154
La Tomba di Tutankhamon: “Nella Valle dei Re, tra decine di grandiosi ipogei, si trova la piccola tomba di un faraone che morì in giovane età, e che quindi fu uno dei meno importanti dell'Egitto. Si tratta della tomba di Tutankhamon, che Howard Carter ritrovò intatta nel 1922, impiegando poi dieci anni per estrarne tutti i tesori, che si trovano oggi nel Museo egiziano del Cairo e nel Museo di Luxor. La scoperta fece di Carter il più celebre degli archeologi e di Tutankhamun il più celebre
89 il terzo capitolo, in cui Carter raccontò la storia della scoperta della tomba e della morte del Lord Carnavon, la sua scelta non cadde a casa in quei momenti infatti era molto diffusa la notizia delle “Maledizioni dei Faraoni” e si narrano racconti relativi alla presunta vendetta dei faraoni, che in realtà erano, per la nostra autrice, solo una forma "degenerata delle storie dei fantasmi”. Numerosi tuttavia erano coloro che erano convinti che gli anatemi pronunciati più di tremila anni fa dagli antichi Egizi avessero conservato i loro poteri malefici. La lista delle persone decedute in seguito a contatti diretti o indiretti con le tombe o con le mummie dei faraoni era in realtà sconcertante. Vivanti fece raccontare da Carter su queste maledizioni, enunciando la storia del suo canarino e di come questo cantava, ma “ ecco che il giorno in cui aprimmo la cripta, quel canarino tacque d’un tratto, e rimase muto fino al momento che ai nostri occhi apparve il sarcofago! Allora improvvisamente si rimase a cantare a squarciagola”, il canarino è stato mangiato da un cobra, e non è a casa perché “quando aprimmo il cofano, là, sulla fronte della maschera d’oro che ricopre il Faraone, vediamo scolpito, tra fiori di loto perfettamente conservati […] il sinuoso contorno d’un cobra”155
. Queste storielle misteriose raccontate da Carter, catturarono l’attenzione degli amici di Vivanti a bordo dell’Helouan (come ella li descrisse), e senz’altro avrebbero catturato anche l’attenzione del lettore, essendo una misteriosità dell’Oriente, che è una caratteristica che ogni lettore per forza debba trovarla nei testi che parlino e racconto dell’Oriente.
Sempre, in questo capitolo troviamo un esempio del nazionalismo italiano di Vivanti. A bordo della nave vi era anche un professore di storia degli Arte dell’università di Torino, Lionello Venturi, che ella confrontò con Carter e disse: “io non posso a meno di questo giovane (Carter) cui i suoi connazionali hanno fatto una cosa così enorme fama, col il silenziane che avvolge uno scienziato nostri, grande e modesto, cui sono dovute delle scoperte di ben altra importanza”.156
Subito dopo Annie Vivanti citò il nome del grande egittologo italiano Ernesto Schiaparelli, e il suo rimpianto per l’impresa di Abydos che gli era stata affidata, ma “quando la spedizione era già pronta alla partenza, un cambiamento di governo, l’arrivo di un
dei faraoni. Successore di Akhenaten, suo patrigno, Tutankhamun abolì l'eresia amarniana ripristinando il culto di Amon e riportando la capitale da Tellel - Amarna a Tebe”.
http://www.oltreilmistero.altervista.org/tutankhamon.html. (marzo 2014) 155
Vivanti, La Terra di Cleopatra, cit., p. 29. 156
90 nuovo ministro, la arrestò e la vietò. «Ma che idea, voler andare a scavare in Egitto, con tutto quello che c’è da fare qui!...». […] E la gloria delle scoperte di Abydos non fu dell’Italia”.157
Dopo l’arrivo in Egitto, l’autrice si rifiutò di seguire il programma con i suoi amici, e decise di andare a vistare il grande leader nazionalista Zagloul Pascià, venne però a scoprire che Zagloul era prigioniero dell’autorità britannica nel Mena House Hotel, sotto l’accusa di aver incoraggiato gli assassini del britannico Sir Lee Stack. Vivanti aveva conosciuto Zaglou Pascià a Parigi durante la Conferenza della Pace,158 e quando lo rivide in Egitto era uguale a quando l’aveva conosciuto, scrisse infatti Vivanti:
Egli mi apparve tale e uguale l’avevo conosciuto a Parigi cinque anni prima: né gli onori né le disgrazie, né il potere né la prigionia, né gli osanna né i vituperi hanno alterato di una linea il forte viso lievemente olivastro, il fiero portamento della persona alta e magrissima, lo sguardo a un tempo indomito e inesorabile di quei suoi straordinari occhi infossati, occhi che sembrano scrutare fino in fondo l’anima di chi gli sta distanzi. (Vivanti, p. 60)
Annie Vivanti fu molto colpita ed addolorata dalla notizia dell’arresto di Zagluol Pascià e dalla crudele sorte che aveva colpito lui e il suo paese, sebbene non avesse espresso questi sentimenti a parole, Zagluol la comprese ugualmente, poiché “al mio silenzio rispose d’un tratto il suo sorriso luminoso, così raro in quel volto austero e travagliato”.159
Fecero una lunga conversazione, nella quale entrambi si trovarono d’accordo, ma Vivanti non ci raccontò tutto quello di cui parlarono perché si sentì addolorata per leder egiziano, che era un mito per lei:
Non lo so. So che quando mi congedai, nelle grandi pupille della soave donna brillava il pianto […] Uscii di là con l’anima sconvolta, pensando a tutto ciò che il grande statista egiziano aveva ideato e tentato, e che gli avversi fati avevano così spietatamente distrutto. (la Vivanti venne a
scoprire che l’orologio di Zagloul andava un’ora in anticipo, ella disse meravigliata) L’orologio di Zagloul batteva dunque le ore in anticipo?
Precorreva gli eventi? Cioè mi parve quasi un simbolo. E pensai: il tempo
157
Ivi, p. 31, s. 158
“[…] facendo da assistenza alla delegazione irlandese a Versailles nel 1919, dove strinse un rapporto d’amicizia personale anche con Zagloul Pascià d’Egitto”, Carlo Caporossi, Introduzione, in Annie Vivanti, Racconti Americani, Palermo, Sellerio, 2005, p. 20.
159
91 inesorabile cammina. La fatidica ora giungerà. (Vivanti, p. 65, corsivo
mio)
Dopo l’incontro con Pascià, Vivanti fu incaricata da Zagluol di portate i suoi saluti al suo popolo. Ovunque la donna andava portava i saluti e le parole del patriota egiziano, ed quella venne accolta delle gente con grande apprezzamento ed onore. Teniamo in presenza che il capitolo dell’incontro con Zagluol e quello successivo, sono tra i capitoli più particolari del diario, in cui troviamo la forte emozione dell’autrice per l’Egitto e il suo punto di vista sul colonialismo.
Il viaggio continuò verso Assuan, città miracolosa per gli ammalati di tristezza, come venne descritta nel testo. L’entusiasmo e la passione della viaggiatrice la portarono in svariati luoghi ed isole: l’isola Elefantina sulla quale avvenne l’incontro con il profetico nella sabbia, con l’incantatore Soleman (un cacciatore di scorpioni e serpenti), l’isola Moribonda perla d’Egitto, sposa del Nilo-File, l’elegia desertica e i coccodrilli. Queste avventurose esperienze vennero descritte in modo efficiente, capace di catturare l’attenzione del lettore che viene spinto così a vistare quei posti. A volte la stessa scrittrice non trovò le parole per esprimere la bellezza di quei luoghi, scrisse infatti descrivendo l’Assuan:
Assuan, la greca Sylene! [...] Qui vengono gli ammalati di petto a cercare la guarigione; qui dovrebbero venire gli ammalati di tristezza a cercare la gioia - la gioia di vivere in una terra di tanta indescrivibile bellezza. «Sfolgorante, trascendentale, sublime!...» Cerco un’espressione che si adatti a questo luogo; e non trovo. Qui lo spirito affonda in un silenzioso stupore; qui la Fede – che il moderno tumulto ha resa incerta, cieca, titubante – ritrovo le ali, spalanca gli occhi e si slancia verso i cieli. (Vivanti, p. 78)
Per limitarci solo a citare i nomi dei luoghi visitati da Annie Vivanti durante il suo soggiorno: le piramidi di Ghizeh (Cheope, Khefren e Menkewre) e la Sfinge, il Tempio di Amenophis, il Nilometro, il Tempio di Iside, la Tomba di Tu-Ankh-Amen e il Tempio tolemaico di Deir-el-Medinh. Inoltre, all’autrice nutrendo il desiderio di ritornare in Egitto, il barcaiolo le disse: “chi beve l’acqua del Nilo deve ritornare”, ed ella subito rituffò entrambe le mani nel Nilo dicendo:
Ch’io ritornai a te, o Egitto, terra ammaliatrice! Al tuo desolato splendore, alle tue giornate vampanti, alle tue notti di velluto, ai tuoi tramonti di fiamma!... ch’io ritornai, o Egitto, a te!
92 E bevo. Bevo a piccoli sorsi l’acqua fresca e leggera, la magica acqua che
lascia nell’anima le sete inestinguibile del ritorno. (Vivanti, p. 149)
Infine il testo si chiude salutando l’Egitto nella stessa atmosfera onirica con cui venne presentato nelle prime pagine:
Con questa visione, in questi sogni, io ti lascio, Egitto, terra di splendore. Per quante meraviglie tu mi possa ancora rivelare prima che le azzurre acque del Mediterraneo mi portino lontana, nulla potrà uguagliare il tuo fulgore in questo istante. Qui, nell’ora tua più trionfale, nel luogo tuo più sacro, mi accomiato da te.
[…] come un immenso sussurro, come un gigantesco frusciar d’ali sorge il vento del Sahara e passa turbinando sopra le sabbie.
È forse lo spirito del Deserto che mi saluta? O Egitto, terra di poesia, terra d’incanti… addio!