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L’esilio di Contini a Millesimo nella soffitta di Villa Lamberti era scandito dalle stagioni, il caldo estivo e l’eccessivo freddo invernale accompagnavano le sue

giornate, insieme alla fame che rodeva lo stomaco e alla solitudine che si faceva

sempre più cocente. In una lettera a Curzio Malaparte Contini descriveva bene la sua

situazione di estrema indigenza e sconforto; lo scrittore cercava ovunque

comprensione ed elemosinava un lavoro che potesse aiutarlo a risollevare la sua triste

sorte:

                     

5 Lettera di Ennio Contini ad Angelo Barile su cinque fogli impiegati solo sul recto, manoscritta,

autografa, datata «27 ottobre 1954». La lettera è conservata nell’archivio privato di Angelo Barile a Savona.

6 In una lettera a Contini Adriano Grande scriveva: «Caro Contini, mi addolora pensare che lei sia in

attesa di tonare in carcere. E trovo che mettere in libertà dei prigionieri – specie politici, vittime delle vicende e non dei propri torti – per poi ricacciarli in prigione, sarebbe una grossa mascalzonata, e disumana» (AC, lettera di Adriano Grande a Ennio Contini, dattiloscritta, autografa, su un foglio impiegato solo sul recto, datata «Roma, 18 giugno 1954»).

Al Chiarissimo ed Illustre scrittore Curzio Malaparte

Avrò quarantanni il 31 di questo mese e da venti giorni sono in fuga: ora le sto scrivendo da un piccolo paese ch’è a cavallo dell’Appenino ligure-piemontese, là dove iniziano le Alpi Marittime. Ora però le sto scrivendo perché ho qualcosa da dirle. Qualcosa che devo dire a tutti i costi a un qualunque cuore capace di intendere. Ho scelto lei anche perché, politicamente, è un mio nemico. Dovrei dire “era un nemico”, dal momento che io non appartengo più ad un partito politico. Attualmente sono ospite di una famiglia di sconosciuti.

La mia cameretta è situata nella breve torretta della villa e dal mio balcone vedo, in questo momento, un po’ dei tetti del paese, e sulla sinistra, un fiume carico di storia napoleonica […]. Io che da ragazzo avevo disertato quasi tutte le adunate del passato regime, e non avevo mai scritto una poesia civile o un articolo laudativo del regime, e non avevo avuto alcuna prebenda dal passato regime, il 17 marzo 1945, […] io mi sono arruolato volontariamente nell’esercito della repubblica sociale italiana. E da soldato ho fatto il mio dovere, quello che credevo dovesse essere il mio dovere. L’11 luglio, subito dopo la Liberazione, venivo condannato a morte dalla corte di Assise Speciale di Savona. Essendo che i miei due legali si rifiutarono di assistermi in sede di ricorso presso la Corte di Cassazione, la stessa confermava la sentenza di Savona. Rimasi due anni e mezzo nella condizione di condannato a morte; e i due ordini di esecuzione furono sospesi perché, in fondo, loro lo sapevano che ero completamente innocente […]. Nel dicembre 1953 il molto (davvero) onorevole Pella promulgava un nuovo decreto di amnistia e io venivo scarcerato […]. Subito dopo la mia liberazione, mi sono dato da fare per vivere. Scrissi due soggetti cinematografici, e questi mi vennero letteralmente rubati: mi fruttarono la cospicua somma di… cinque pacchetti di sigarette Nazionali […] ho cercato lavoro ovunque, d’impiegato, portiere, giornalista… ma tutti i miei sforzi terminarono con un nulla di fatto. Ora, poi, il decreto emanato nel dicembre 1953 era stato male interpretato dalle varie Procure Generali: a noi ergastolani, dice, non spettava la libertà e pertanto ha ordinato l’arresto di tutti noi. Sicché io dovrei ritornare in carcere per scontarvi un residuo di pena di circa due anni. Come conseguenza m’è venuta spontanea una specie di riflessione: «Non v’è pace per noi?» Chiedo: «Non v’è pace per un povero diavolo che non è mai stato un criminale e che solo desidera di essere lasciato tranquillo per ricostruirsi una vita?». Sembra però che non ve ne possa essere. Io, male o bene, sono anche un poeta: «Non v’è pace per un poeta?». Lo chiedo a lei, illustre scrittore, pur sapendo che mi risponderete «Non v’è pace per voi. Soprattutto non vi potrà mai essere pace per un poeta!». Ma una domanda precisa posso porgliela: «Cosa devo fare? Devo darmi la morte?». Ora è maggio, alla fine del mese compirò quarantanni. E maggio, da queste parti, è meraviglioso. Intorno a me una lunga fuga di colline verdi… ma io posso

guardare questo solo con l’occhio dello schiavo, con la pupilla della selvaggina braccata. Ed è tutto un brutto vivere, mi creda. Ora è lontano il tempo in cui potevo esclamare «La vida es sueño»… ora so, al contrario, che aveva ragione García Lorca: «La vida es agonia, agonia!». Da lei, illustre scrittore, non mi attendo un miracolo. Attendo semplicemente un po’ di comprensione. Ho scritto a lei, perché lei ha cuore per intendere e intelligenza per capire. Le accludo dei racconti. Se lei potesse farmeli pubblicare, io potrei, poi, comprarmi una camicia. So che, tutti insieme, non valgono una camicia, ma io ho bisogno di una camicia. E lei capirà subito il resto. La ringrazio anticipatamente di avermi ascoltato e sono e rimarrò per tutta la vita il suo devotissimo e affezionatissimo

(Ennio Contini)8

Ma Contini, uomo determinato e dotato di grande forza d’animo, come sempre

nella sua vita era riuscito a ribaltare la sofferenza in ispirazione e proprio il

periodo trascorso in incognito

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nell’entroterra savonese aveva fruttato diverse

collaborazioni e inaspettate opportunità. Non tutti gli amici lo avevano

abbandonato e molti si erano prodigati per aiutarlo a trovare una piccola

occupazione, tra questi Antonio Pinghelli

10

che aveva nuovamente messo in

contatto Contini con Garibaldo Marussi

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, in quegli anni a capo dell’agenzia

letteraria «Mercurio». Grazie alla collaborazione con Marussi i racconti di

Contini erano stati infatti pubblicati, tra il 1954 e il 1957, su diverse testate

nazionali: la «Gazzetta di Parma», la «Gazzetta di Mantova», «L’Unione Sarda»

di Cagliari e «Il Piccolo Sera» di Trieste solo per citarne alcuni. Questi racconti,

che Contini aveva scritto negli anni successivi alla sua scarcerazione, erano il

frutto della sua capacità di trovare nuova ispirazione nel dolore e nelle

difficoltà. La recente ferita del carcere – che come lui stesso scriveva «rimarrà

per sempre uno dei miei fantasmi» – aveva lasciato nel giovane Contini una

forte urgenza di scrivere, di raccontare la propria sofferenza e il proprio

                     

8 AC, lettera di Ennio Contini a Curzio Malaparte, dattiloscritta, autografa, su quattro fogli impiegati

solo sul recto, datata «maggio ’54». Dopo l’intestazione Contini aveva inserito nella missiva questi versi di Cardarelli dalla poesia Distacco, che sentiva molto affini al suo stato d’animo: «Io non so più qual era / il porto a cui miravo. / Per tanti luoghi inaspettati e strani / mi trattenne l’amore, ch’è nemico / ad ogni alto destino / come il vento contrario al navigare: / dove persi il mio tempo / e logorai le forze del mio cuore. / Luoghi a cui, disertati / non tornerò giammai».

9 Una cartolina inviata a Contini riportava nell’indirizzo lo pseudonimo: «Egr. Signor John Oliva,

presso Villa sorelle Lamberti, Millesimo, Savona».

10 Antonio Pinghelli (Savona, 1910-Milano,1999) è stato un poeta, scrittore e giornalista ligure. Amico

di Arturo Martini e Angelo Barile, Pinghelli esordì nel mondo artistico e letterario nel 1933 con la pubblicazione di alcune sue poesie su «Circoli» diretta da Adriano Grande. Fu direttore della rivista «Motociclismo».

11 Garibaldo Marussi (Fiume, 1909-Trieste, 1973) era stato il fondatore della rivista «Termini» e fu

collaboratore de «La Fiera letteraria» e del «Meridiano di Roma». Nel 1948 a Milano, dove era giunto in fuga da Fiume, aveva fondato l’agenzia «Mercurio».

travaglio interiore. All’esperienza del carcere, quello più duro del condannato a