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La contraddizione di una moneta unica in assenza di un governo europeo

L'unione monetaria richiedeva, oltre alla convergenza iniziale, anche il suo mantenimento. La nascita dell’euro aveva creato la situazione contraddittoria di un mercato unico, di una moneta unica e di una moltitudine di politiche economiche e fiscali nazionali, in assenza però di un governo europeo dell'economia. Eppure, vi era una certezza comune nelle élites politiche ed economiche federaliste, fin dai tempi di Maastricht: l'impossibilità di sopravvivenza a lungo termine di una moneta unica in assenza di una contemporanea unione politica ed anche di un unico governo federale europeo.72

La nascita dell’Euro mise allora l’Europa su una strada obbligata verso una sorta di stato federale europeo. Inoltre, i criteri di convergenza prima, e il Patto di stabilità dopo, avrebbero provveduto a limitare le sovranità nazionali in materia di bi- lancio. Tali limiti, però, col tempo si rivelarono insufficienti, anche a causa del fatto che Francia e Germania li violavano continuamente. L’Euro, nonostante tutto ciò, ebbe fin da subito uno straordinario successo, che permise di ignorare queste contraddizioni, tanto che il Trattato costituzionale e poi i Trattati di Lisbona, non previdero la crea- zione di un potere federale di governo dell’economia, né l’attribuzione all’Unione dei

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poteri fiscali, di cui disponeva già perfino la stessa CECA. Le resistenze nazionali erano rimaste troppo forti.73

La svolta arrivava, ancora una volta, da uno shock esogeno, una crisi: lo scop- pio della crisi finanziaria negli USA, ultima conseguenza della fine del sistema mone- tario di Bretton Woods e degli squilibri da essa causati.

Non è possibile, in questa sede, tentare un'analisi completa del legame tra quei processi così distanti tra loro nel tempo. Sul fatto, però, che il sistema monetario suc- cessivo alla fine di Bretton Woods sia la condizione di possibilità della crisi contem- poranea, c'è però ampia convergenza.74

La crisi finanziaria scoppiò negli Stati Uniti a causa di una politica monetaria espansiva, costante dal 1971, ma che dopo l’11 Settembre 2001 si affiancò ad un forte aumento della spesa pubblica, ad una sensibile riduzione delle tasse e al conseguente aumento del debito pubblico. A tale crisi si rispose con misure volte ad immettere liquidità nel sistema ma, in un contesto in cui l'economia reale non offriva buoni ren- dimenti, una quota consistente di quella liquidità cercò occasioni di natura speculativa per remunerarsi. Quella ricerca favorì il trasferimento della crisi dagli USA all’Europa, nella quale il debito pubblico è nazionale, cioè degli Stati, ma nella quale la BCE ha poteri e compiti più limitati della Federal Reserve (la banca centrale USA) e, inoltre, non è affiancata dal Tesoro di un governo federale.75

73 M. Sarcinelli, UEM ed Euro: i successi del passato e le sfide del futuro, Studi sull’integrazione euro- pea, vol. IV n. 2, 2009.

74 G. Carli, “Il crollo di Bretton Woods”, 1981 in www.bpp.it/Apulia/html/archivio 02/06/11 ed E. Hellerein, States and the reemergence of global finance: from Bretton Woods to the 1990s, Cor-

nell University Press, New York, 1996.

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L’introduzione della moneta europea aveva comportato all’inizio una forte ri- duzione, fin quasi alla scomparsa del differenziale dei tassi di interesse sul debito pub- blico da parte dei Paesi membri, il cosiddetto “spread”, nonostante la situazione debi- toria dei vari Stati fosse assai differente. Questo fatto aveva comportato grandi bene- fici, in termini di riduzione dei costi per gli interessi sul debito, in special modo per i Paesi maggiormente indebitati, come l'Italia. La contraddizione di una moneta senza governo, però, investiva in maniera diversa i Paesi dell'UE, in quanto dieci Stati mem- bri non facevano parte dell'Euro, e due di questi, Danimarca e Gran Bretagna, avevano il diritto di non aderirvi, anche qualora fossero rientrati nei parametri di convergenza, in virtù di uno specifico opting out76. La crisi del debito sovrano, perciò, produsse un

altro risultato politicamente rilevante che fu quello di mettere in evidenza che l'Euro costituiva la base per un’Europa a due velocità.77

Il trattato per la creazione dello European Stability Mechanism78 venne, infatti,

firmato dai soli Paesi dell'Eurozona, mentre l’Euro-Plus Pact79 e il Trattato sulla sta-

bilità il cosiddetto Fiscal Compact, il coordinamento e la governance dell’Eurozona vide la partecipazione anche di altri Stati membri.

Tali strumenti ebbero, però, il limite di continuare la logica di Maastricht: si provvedeva a sostituire il governo europeo dell’economia con l’applicazione di vincoli

76 Clausola derogatoria in base alla quale alcuni Stati membri della Comunità si sono astenuti dal parte- cipare a determinate politiche.

77 G.Rossolillo, 2012, Fiscal Compact, Meccanismo Europeo di Stabilità ed Europa a due velocità: pro-

poste istituzionali per un governo della zona Euro, in «Il Federalista», LIV, 1-2 (2012), pp. 10-23

78 European Stability Mechanism - ESM - Il Meccanismo europeo di stabilità, detto anche Fondo salva- Stati, istituito dalle modifiche al Trattato di Lisbona approvate il 23 marzo 2011 dal Parlamento eu- ropeo e ratificate dal Consiglio europeo a Bruxelles il 25 marzo 2011, nasce come fondo finanziario europeo per la stabilità finanziaria della zona euro.

79 Il Patto Euro Plus inizialmente chiamato anche Patto per l'euro è un piano del 2011 con cui al- cuni stati membri dell'Unione europea si sono impegnati a mettere in atto una serie di riforme politiche per migliorare la solidità fiscale e la competitività.

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sempre più stringenti sulle politiche di bilancio nazionali, affiancati da strumenti di monitoraggio ed a sanzioni più automatiche e meno sottoposte a decisione politica. Tutto ciò non aveva risolto la crisi: il problema di affiancare alla BCE una qualche forma di governo economico dell’Europa, con adeguati poteri e risorse fiscali, rima- neva sempre attuale.

L'insuccesso della gestione della crisi del debito sovrano rappresentava un fal- limento del metodo intergovernativo, ovvero dei governi nazionali80.

Indicativo in tal senso fu il contrasto Sarkozy-Merkel (Francia-Germania) lad- dove il primo rivendicava l'esigenza di un governo economico per l'Eurozona e la se- conda riteneva che tale governo ci fosse già ed era quello tedesco: il metodo intergo- vernativo dell’Eurozona era fallito. Poi vi furono tante sessioni del Consiglio Europeo dedicate alla gestione della crisi, tutte evidentemente senza successo.

Le conseguenze sociali ed economiche della crisi hanno incrementano gli im- pulsi alla chiusura e allo sviluppo di forze politiche populiste nazionali. Di contro è avvenuto lo svuotamento delle democrazia nazionale, dovuto alla inevitabile cessione di sovranità relativa all’adesione all'unione monetaria, resa ancora più evidente dal Fiscal Compact.

Non appare possibile alcun ritorno indietro: nell'economia globale gli attori principali, USA e BRICS81, sono a dimensione continentale. Nessuno Stato europeo è

in grado di competere sul mercato mondiale, e solo uniti essi avranno la possibilità di sfruttare il loro potenziale. L'UE, infatti, è la seconda economia del mondo, il secondo

80 S. Fabbrini, 2012b, Intergovernmentalism and its outcomes: the implication of the Eurocrisis on the

European Union, mimeo, paper presentato a Berkeley e alla Scuola Superiore Sant'Anna nella pri-

mavera 2012 (testo consultabile presso http://eucenter.berkeley.edu/files/Fabbrini).

81 BRICS è un acronimo a rappresentare le iniziali delle maggiori economie emergenti: Brasile, Russia, India, Cina,

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centro di risparmio, ha un sistema di istruzione di base tra i migliori. In altre parole, l'UE avrebbe le potenzialità per garantirsi ancora una crescita economica e un ruolo mondiale significativo, ma la sua divisione lo impedisce.

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CAPITOLO 3

LA CRISI E L’EURO QUALE FATTORE DI SQUILIBRIO.