• Non ci sono risultati.

EUROSCETTICISMO E PROSPETTIVE DELL'UE(Titolo provvisorio)

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "EUROSCETTICISMO E PROSPETTIVE DELL'UE(Titolo provvisorio)"

Copied!
128
0
0

Testo completo

(1)

U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

D

IPARTIMENTO DI

S

CIENZE

P

OLITICHE

C

ORSO DI

L

AUREA

M

AGISTRALE IN

S

TUDI

I

NTERNAZIONALI

(LM

52)

T

ESI DI

L

AUREA

E

UROSCETTICISMO E PROSPETTIVE DELL

’UE

R

ELATORE

:

C

ANDIDATO

:

C

HIAR

.

MO

P

ROF

.

R

AFFAELE

G

RAZIANO

M

ARCO

C

INI MATR

.

500209

C

ORRELATORE

C

HIAR

.

MO

P

ROF

.

L

UCA

M

ICHELINI

(2)

1

Sommario

ABSTRACT ... 2

INTRODUZIONE ... 3

CAPITOLO 1 ... 5

L’UNIONE EUROPEA NELLA MENTE DEI FONDATORI E L’ELEMENTO FONDAMENTALE: L’EURO ... 5

1.1. La musa ispiratrice dell’Unione Europea: Il Manifesto di Ventotene ... 5

1.2. L’Europa dei popoli e delle culture ... 9

1.3. Lo sviluppo dell’unificazione tra gli Stati europei ... 14

1.4. Il Mercato Comune e l’integrazione economica ... 17

CAPITOLO 2 ... 24

L’ INTEGRAZIONE EUROPEA ... 24

2.1. Il percorso verso la moneta unica ... 24

2.2. L’euro e il processo di integrazione economica europea ... 37

2.3. L’identità costituzionale dell’integrazione europea ... 42

2.4. La contraddizione di una moneta unica in assenza di un governo europeo ... 46

CAPITOLO 3 ... 51

LA CRISI E L’EURO QUALE FATTORE DI SQUILIBRIO. ... 51

3.1. L’insorgere della crisi ... 51

3.2. Le sfide... 60

3.3. L’origine degli squilibri: il mercantilismo monetario e il ruolo della Germania ... 66

3.4. Come potrebbe essere l’Europa senza eurozona ... 76

3.5. Uscire dall’euro? ... 79

CAPITOLO 4 ... 84

L’ EUROSCETTICISMO ... 84

4.1. La crisi e le cause dell’euroscetticismo ... 84

4.2. L’Euro di Maastricht e la teoria del “falso euro” ... 91

4.3. L’atteggiamento della politica nei confronti della teoria del “falso euro” ... 99

4.4. Scenari italiani ed europei nell’ambito dell’euroscetticismo ... 107

4.5. Un’altra Europa: utopia o realtà? ... 110

CONCLUSIONI ... 118

BIBLIOGRAFIA ... 121

(3)

2

ABSTRACT

Nel cominciare questo lavoro ben conoscevo le difficoltà a cui sarei andato incontro perché il tema dell’euroscetticismo è complesso, potendo le motivazioni pro-venire da tante cause e provocare atteggiamenti diversificati.

Ho potuto constatare, infatti, durante il corso del mio studio, il sopraggiungere in continuazione di nuovi fatti, che hanno indotto gli osservatori a fare e rivedere con-siderazioni sull’argomento, a distanza di pochi giorni. Alle cause iniziali dell’euroscet-ticismo riconducibili principalmente alla crisi economica, se ne vanno aggiungendo altre che ne alimentano la crescita.

Partendo dalle idee nella mente dei Padri fondatori, esposte nel manifesto di Ventotene, in cui si propugnavano gli ideali alla base della visione unitaria per l’Eu-ropa, quella dei popoli e delle culture come forza per un progetto comune, ho tracciato brevemente il percorso dell’integrazione economica e monetaria con la creazione di un Mercato Comune. Ho descritto il percorso verso la moneta unica, iniziato con la fine del sistema monetario di Bretton Woods e la crisi petrolifera degli anni ’70, pas-sando per la nascita del Sistema monetario europeo (SME) e la sua crisi, che ha acce-lerato il percorso verso la moneta unica.

Sono passato, poi, ad evidenziare la contraddizione di una moneta unica in mancanza di un governo europeo procedendo, quindi, a delineare l'insorgere della crisi e degli squilibri dovuti al mercantilismo monetario, soprattutto evidenziando il ruolo della Germania.

Ho analizzato, quindi, come potrebbe essere l'Europa senza Eurozona e la pos-sibilità di uscire dall'euro, riportando il pensiero di alcuni studiosi euroscettici.

Ho descritto, successivamente, le cause dell'euroscetticismo a partire da Maa-stricht, soffermandomi sull’analisi della cosiddetta teoria del "falso euro", cioè sulla illegittimità della introduzione della moneta unica mediante l'applicazione di un sem-plice "regolamento" a modifica dei trattati vigenti, come esposta da uno scritto di un noto giurista.

Ho tracciato, infine, gli scenari che vanno delineandosi nell’ambito dell’euro-scetticismo e la possibilità di avere un altro modello di Europa, anche riportando le opinioni di alcuni studiosi.

(4)

3

INTRODUZIONE

Nella Tesi ho affrontato un tema quanto mai attuale e interessante denominato “euroscetticismo”, riflettendo anche sul riscontro che tale fenomeno ha avuto e conti-nua ad avere nell’ambito delle relazioni internazionali.

E’ chiaro che non si tratta di una corrente di pensiero nata di recente, né di una moda diffusasi per caso. Per euroscetticismo si intende un “Atteggiamento critico nei confronti delle politiche dell’Unione Europea”1. In principio era associato alle scelte

compiute dal governo inglese, mostratosi sin da subito molto diffidente nei confronti della Comunità Europea e del processo di integrazione. E, difatti, il motore trainante del processo di unificazione aveva visto protagonisti la Francia, l’Italia e la Germania, sia a livello istituzionale che a livello popolare. Successivamente però l’euroscettici-smo si è andato diffondendo anche in questi paesi di cultura e tradizione maggiormente europeiste.

Il fenomeno euroscettico ha iniziato ad assumere particolare rilevanza nei primi anni ‘90 del secolo scorso, quando decisivi passi nel processo d’integrazione si anda-vano compiendo, in particolare col Trattato di Maastricht del 1992. Dopo la crisi eco-nomica, accentuata in alcuni paesi che hanno adottato l’euro, e a fronte della crisi del debito pubblico, molti hanno cavalcato questo orientamento di critica non solo per acquisire consenso elettorale.

(5)

4

Si potrebbe anche ascrivere l’atteggiamento critico verso l’UE a una più gene-rale crisi delle organizzazioni internazionali, come risultato della difficile situazione economica dell’Occidente, della fragilità del sistema di regole internazionali e degli effetti sociali e culturali della globalizzazione. Certo è pure che, alla base dell’euro-scetticismo, c’è l’idea che l’integrazione, tanto ricercata, finisce per indebolire lo Stato, lo Stato-Nazione.

La questione della sicurezza legata al fenomeno dell’immigrazione, a cui non si riesce a dare risposte chiare e convincenti, le successive crisi in tutta l’Africa medi-terranea che hanno ripercussioni economiche e politiche sull’Europa tutta, sono ele-menti che vanno accentuando il fenomeno euroscettico.

Se negli ultimi tempi viene messo addirittura in discussione il diritto di libera circolazione delle persone e dei beni introdotto col trattato di Schengen, principio fon-dante dell’Unione, vuol dire che il problema è molto serio e si avvia verso sbocchi imprevedibili.

Nel ricercare testi, saggi e opinioni sull’argomento, ho ritenuto di esporre le tesi di alcuni studiosi del fenomeno euroscettico. Tra gli altri, ho fatto riferimento alle tesi esposte da Angelo Polimeno in “Non chiamatelo euro. Germania, Italia e la vera storia di una moneta illegittima”, da Alberto Bagnai, nel suo libro “Il tramonto dell’euro” e sul blog Goofynomics, da Fabio Serricchio, in “Perché gli italiani diven-tano euroscettici”. Inoltre ho esaminato le interessanti tesi del prof. Giuseppe Guarino sulla cosiddetta teoria del “falso euro”.

(6)

5

CAPITOLO 1

L’UNIONE EUROPEA NELLA MENTE DEI FONDATORI E

L’ELEMENTO FONDAMENTALE: L’EURO

1.1. La musa ispiratrice dell’Unione Europea: Il Manifesto di Ventotene

Una condizione di equilibrio tra Stati sovrani che, nei secoli precedenti, poteva considerarsi pura utopia, prese forma e iniziò a concretizzarsi nel periodo storico che vide la nascita dei totalitarismi e la Seconda Guerra mondiale, uno dei momenti più difficili della storia del nostro continente. Esattamente nel 1941, alcune illuminate menti del panorama intellettuale italiano composero quello che verrà ricordato come il Manifesto di Ventotene.

Il documento, dal titolo ”Per un’Europa libera e unita. Progetto di un manifesto”, fu originariamente redatto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi insieme con Eugenio Colorni e Ursula Hirschmann quando, per motivi politici legati alla loro contrapposizione all’ideologia fascista, furono confinati presso l’isola di Ventotene sul Mar Tirreno.

Il Manifesto di Ventotene è, storicamente, un documento fondamentale perché traccia le linee guida di quella che sarà la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”. L’attenzione fu posta sul fatto che, ormai, i princìpi nati dalla Società delle Nazioni, in seguito alla Prima Guerra Mondiale, avevano lasciato il posto ad

(7)

6

aspirazioni di carattere nazionalista ed imperialista delle maggiori potenze, sulla circostanza che gli ordinamenti democratici si erano ormai svuotati del loro senso più profondo, lasciando spazio a tendenze plutocrate e monopolistiche.

In tale documento fu ipotizzata la caduta dei poteri totalitari ed auspicato che, dopo le esperienze traumatiche della prima metà del Novecento, i popoli sarebbero riusciti a sfuggire alle subdole manovre delle élites conservatrici, che miravano a di ristabilire l’ordine prebellico.

“…. Per far ciò, si sarebbe dovuta fondare una forza sovranazionale europea, in cui le ricchezze avrebbero dovuto essere redistribuite e il governo si sarebbe deciso sulla base di elezioni a suffragio universale. L’ordinamento di questa forza avrebbe dovuto basarsi su una terza via economico-politica, che avrebbe evitato gli errori di capitalismo e comunismo, e che avrebbe permesso all’ordinamento democratico e all’autodeterminazione dei popoli di assumere un valore concreto.”2

Il manifesto propugnava, quindi, ideali di unificazione dell’Europa in senso federale, fondandosi sui concetti di pace e libertà e sulla teoria del federalismo hamil-toniano3:

“La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l'uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita”.

Veniva affermato l'eguale diritto per tutte le Nazioni di organizzarsi in Stati indipendenti: ogni popolo, individuato nelle sue caratteristiche etniche, geografiche, linguistiche e storiche, doveva trovare nell'organismo statale, creato per proprio conto secondo la sua particolare concezione della vita politica, lo strumento per soddisfare

2 A. Spinelli, E. Rossi, E. Colorni, Il Manifesto di Ventotene, Milano, Italialibri, 2004.

3 Alexander Hamilton politico ed economista statunitense dal 1783 rappresentante dello stato di New York presso il Congresso degli Stati Uniti d'America. Divenuto esponente di rilievo dei federalisti, sotto lo pseudonimo di Publius pubblicò assieme a John Jay e James Madison una serie di articoli in difesa del progetto della costituzionale di Filadelfia.

(8)

7

nel modo migliore i suoi bisogni.Lo Stato si configurava quale sintesi delle mutevoli esigenze economiche ed ideologiche di tutte le categorie sociali liberamente espresse.4

I Padri Fondatori dell’Europa in cui oggi viviamo, Adenauer, Churchill, De Gasperi, Schumann, Spinelli, erano un gruppo eterogeneo di persone mosse dagli stessi ideali: la pace, la libertà e il progresso economico.

Negli ultimi tempi, però, a privare le politiche europee dello slancio necessario a una più intima prospettiva unitaria sono stati gli egoismi nazionali, i faziosi interessi di parte, le miopi contrapposizioni, l’assenza di visione unitaria. E allora è inevitabile che il dibattito europeistico si sia isterilito e sia diventato incapace di rendere l’Europa vera protagonista politico nel mondo.5

Alcide De Gasperi buon profeta ammoniva dal

“… rischio di involuzione insito nel costruire soltanto amministrazioni comuni, senza una volontà di politica superiore”,

e aggiungeva anche che

“… senza vita ideale, senza calore, la costruzione europea potrebbe anche apparire ad un certo momento una sovrastruttura superflua e forse anche oppressiva quale appare in certi periodi del suo declino il Sacro Romano Impero”.

In questo caso, sottolineava,

“… le nuove generazioni […] guarderebbero alla costruzione europea come ad uno strumento di imbarazzo e oppressione”6.

4 A.Spinelli, E.Rossi, E.Colorni, Il Manifesto di Ventotene, cit.

5 F.Frattini, Europa: la visione dei padri fondatori, Editoriale del 2011 da 30giorni, mensile internazio-nale.

(9)

8

De Gasperi aveva ragione se si guarda alla percezione di ciò che rappresenta oggi l’Europa, soprattutto per i più giovani.

(10)

9

1.2. L’Europa dei popoli e delle culture

Il continente europeo è sottoposto oggi ad una quantità di tensioni, il cui po-tenziale dirompente non ha paragoni in questo dopoguerra. La caduta del muro di Ber-lino e il conseguente crollo catastrofico dei regimi economici e politici comunisti dell’est europeo ha scatenato processi di riconversione delle economie, di ricostru-zione dei sistemi politici, di disgregaricostru-zione e ricomposiricostru-zione delle identità sociali e nazionali, la cui portata e le cui conseguenze, molto probabilmente, continuano a sfug-girci e a essere quindi pericolosamente sottovalutate.

Dall’est e dal sud intere popolazioni, il cui orizzonte di vita è drammaticamente ristretto dalla scarsità delle risorse disponibili e dalla difficoltà di accrescerle in tempi accettabili, premono sulle economie ricche e potenti dell’Europa, scatenando reazioni ambigue e incontrollabili nelle popolazioni, costrette a confrontarsi inaspettatamente con la presenza inquietante della miseria e della fame e ad accettare all’improvviso di convivere con una molteplicità di etnie estranee. All’interno dell’Europa, lo stesso processo di integrazione, spontanea e istituzionale, delle economie e delle società at-tenua, fino quasi a cancellarlo, il ruolo regolatore degli Stati-nazione e fa emergere una sorta di nuovo protagonismo delle realtà regionali, specialmente di quelle più di-namiche, che può avere effetti disgregatori disastrosi, non necessariamente perseguiti, sul precario tessuto delle differenziazioni territoriali, sul difficile equilibrio tra aree avanzate e aree arretrate7.

(11)

10

Il ruolo, ormai decisivo, assunto dalla ricerca scientifica e dall’innovazione tec-nologica nel contesto della competizione globale richiede l’impiego di quantità cre-scenti di risorse economiche e intellettuali che vano ben al di là delle possibilità di una singola economia, per quanto significativa essa possa essere. Così come pure sfuggono alle capacità e possibilità di controllo di un singolo paese le conseguenze indesiderate del progresso tecnologico sul lavoro, la società, l’ambiente, l’economia. Tutto questo avviene in presenza, e in parte anche a causa, di un’accresciuta competizione fra si-stemi in uno spazio mondiale fattosi sempre più ristretto e interdipendente, mentre il crollo della grande contrapposizione politico-ideologica fra capitalismo e socialismo fa venir meno i suoi potenti influssi disciplinatori sull’ordine internazionale.8

Ciascuno di questi problemi, preso da solo, richiede la possibilità di un’area decisionale di dimensione europea. Solo la presenza di istanze di governo, che siano in grado di rappresentare la volontà democraticamente espressa dall’intera popola-zione europea e di coordinarne i comportamenti, permetterà di affrontare e risolvere le problematiche del nuovo contesto globale. Potrebbe anche essere che, pure in una di-mensione europea, essi si rivelino di difficile risoluzione, ma è certo che solo a quel livello si potrà tentare di governarli e determinarli.

L’unione dell’Europa rappresenta, per così dire, la condizione necessaria, an-corché non sufficiente. C’è dunque una domanda d’Europa che è nelle cose ancora prima che nella volontà delle persone o nei programmi dei partiti.

(12)

11

C’è un bisogno d’Europa che prima o poi la stragrande maggioranza dei citta-dini del continente riconoscerà come il prerequisito necessario della sua sopravvi-venza. È questa la ragione di fondo che oggi deve spingere a pensare e volere le con-dizioni per il mantenimento di quel grande spazio europeo, economico, politico e so-ciale, che si è creato fin qui.

Proprio per la complessità delle sfide che sono coinvolte in questo difficile pro-cesso di costruzione e di sviluppo dell’Europa, appare del tutto inaccettabile che la responsabilità di segnare la rotta, di indicare i traguardi, di dettare i tempi e i modi, sia completamente lasciata agli operatori economici, alle grandi imprese, ai gruppi finan-ziari, alle banche.

Eppure è esattamente questo il processo che è venuto avanti in questi anni. Se è vero, come ancora di recente ricordava il sociologo Giuseppe De Rita, che

“… da sempre, fin cioè dagli anni ’50, la costruzione europea è stata vista in tre modi (e tempi) diversi: un modo affidato all’integrazione fra popoli [...], un modo affidato alla responsabilità e alle decisioni dei poteri politici [...], un modo, rapido e politica-mente meno faticoso, concentrato nella delega all’economia e in particolare agli stru-menti finanziari e monetari”9

Non vi è dubbio che gli anni ’80 hanno visto prevalere decisamente quest’ultimo modo.

L’Unione economica e monetaria (Uem) riconosciuta solennemente a Maastri-cht e oggi esposta a crisi, attacchi e ripensamenti, unisce nel bene e nel male il punto chiave di questa evoluzione. Preceduta dal completamento del grande mercato interno

9 www.manifestolibri.it, recensione del libro L.Berti, A.Fumagalli, L’antieuropa delle monete – Un brano, 1993.

(13)

12

essa dovrebbe tenere a battesimo, nell’intenzione di chi l’ha concepita e voluta, la na-scita di una vera e propria unione politica che abbracci, almeno in prospettiva, tutti i popoli che dal punto di vista geopolitico fanno parte della comunità europea.

Si tratta forse di una grande utopia, certo di grande fascino, che a oltre duecento anni dopo le appassionate perorazioni di Hume e di Smith, ripropone l’idea del mercato anche come elemento decisivo per la pace e l’integrazione dei popoli.

L’unione di culture diverse come forza di un progetto comune

L’unità europea è stata ed è tuttora un’idea mal condivisa, forse dalla persona di strada, da chi cioè, volente o nolente, contribuisce economicamente a mantenere strutture ed apparati politico-burocratici di cui non capisce bene le finalità, gli scopi, le mansioni e soprattutto quali vantaggi il cittadino possa ricavarne. Egli ha visto e constatato quanti obblighi e gravami sono pesati sulle sue spalle, quanti individualismi sono sorti, quanti veti incrociati hanno affondato validi principi di collaborazione e fattiva utilità del comune cittadino.

Anche il sorgere di tutti quegli apparati, pur necessari alla vita della Comunità Europea, ha dato solo una parvenza di democraticità e di coinvolgimento delle persone, facendo scegliere al popolo le rappresentanze politiche. Tutto si è fermato a questo punto perché le rappresentanze elette sono andate via via perdendo ogni contatto con la quotidianità dei cittadini.

Inoltre, a livello interstatale, non si è mai abbandonato il vecchio individuali-smo nazionalistico, l’antica smania di grandezza di qualche Nazione, né la paura di quelli che temono di restare uno scalino più in basso degli altri.

(14)

13

Tutto ciò per una serie complessa di ragioni politiche, sociali, economiche. Fatto sta che si va delineando sempre più chiaramente una nuova evidente divisione sui più disparati problemi, che potrebbe minare la stabilità dell’unione politica, non solo economica, di questa Europa da poco nata.

Dovrebbe oggi animare le azioni dei leader la volontà di una radicale riforma della politica e dell’etica politica, del modo di risoluzione dei problemi della gente, partendo da ciascuna Nazione, con lo stesso entusiasmo con il quale i Padri fondatori si posero a discutere e sottoscrivere le carte costituzionali di ciascun Paese.

Ma il linguaggio e la mentalità di coloro che oggi ci governano in Europa sono il frutto, sono l’emanazione di quanto esiste nella politica di ciascun Paese dell’Unione. Potrebbe essere che, adattando una frase di D’Azeglio, ripresa da Maz-zini10, sarà necessario costruire le Nazioni prima di costruire l’Europa: la

consapevo-lezza di appartenenza ad una forte realtà nazionale e non nazionalista potrebbe far de-collare l’idea di una nuova Europa.

Solo oggi comincia ad apparire qualche timido segnale di cambiamento.

(15)

14

1.3. Lo sviluppo dell’unificazione tra gli Stati europei

Il tema dell'unificazione tra gli stati europei è presente nella storiografia da molto tempo (B.Croce, F.Chabod, G.Spadolini)11 ed ha acquisito dignità politica dopo

la Prima Guerra Mondiale, in seguito alla formazione delle prime organizzazioni eu-ropeiste, come Pan-Europa,12 e la riflessione sul tema nell'ambito della Società delle

Nazioni e da parte di molti leader europei. Celebre la frase del deputato francese Ga-ston Riou13, secondo cui la scelta per l'Europa è tra "s'unir ou mourir" [unirsi o morire].

L'Europa, tuttavia, come entità autonoma sovranazionale non esisteva e gli Stati na-zionali europei preferirono “mourir”, provocando la Seconda guerra mondiale. La conclusione del conflitto segnò l'inizio di un sistema mondiale bipolare dominato da due soli Stati, gli USA e l'URSS e, allo stesso tempo, la fine della centralità europea. Gli Stati europei, infatti, persero l’autonomia e vennero assoggettati a due aree d’influenza facenti riferimento alle due super-potenze; impossibilitati perfino a deter-minare il proprio regime interno, oltre che la propria collocazione internazionale e di politica estera.

Luigi Einaudi14, nel 1948, scrisse:

11 B.Croce, Storia d'Europa nel secolo XIX, Laterza, Bari, 1932 - F.Chabod, Storia dell'idea di Europa, Laterza, Bari,1964. - G.Spadolini, (a cura di), Per l'unità europea: dalla Giovine Europa al manifesto

di Ventotene, Le Monnier, Firenze, 1984.

12 Nel 1922, l’aristocratico Koudenove-Kalergi fonda la Paneuropa (o Unione Paneuropea) con lo scopo di impedire un nuovo conflitto continentale.

13 Edmond Gaston Riou è uno scrittore e politico francese nato 7 gennaio 1883 a Vernoux-en-Vivarais (Ardèche) e morì 12 LUGLIO 1958 a Lablachère famoso per questa citazione.

(16)

15

"la necessità di unificare l'Europa è evidente. Gli Stati esistenti sono polvere senza sostanza".

Più di recente Zbigniew Brzezinski15 li definiva

"protettorati militari de facto" americani o sovietici prima e solo americani poi, a di-spetto dei risultati dell'integrazione16.

Gli sviluppi tecnologici e le loro implicazioni economiche e militari, tra la fine del XIX e il XX secolo, condussero al passaggio da un sistema europeo ad un sistema mondiale degli Stati. Per ragioni economiche e militari, era necessario un territorio più ampio ed una popolazione più numerosa che in passato per essere grande potenza.

Le unità del sistema internazionale non erano più gli Stati nazionali di gran-dezza limitata, ma gli Stati di dimensioni “continentali”, come sostanzialmente gli USA e l'URSS. La Cina e l'India, invece, pur disponendo fin dall'inizio di sufficienti dimensioni, dovevano far fronte alla loro debolezza economica; la loro ascesa fu suc-cessiva, legata al processo di industrializzazione.

Questo cambiamento del sistema internazionale, corrispondente alla crisi degli Stati nazionali europei, costituiva la condizione per l'avvio del lungo processo di uni-ficazione. Dopo essere stati per secoli padroni del mondo, era difficile per gli europei accettare un ruolo di semplici comparse. Essi, inoltre, cercavano attraverso l'integra-zione di recuperare in maniera collettiva un ruolo importante sul piano economico e, in prospettiva, politico.

15 Zbigniew Brzezinski (Varsavia, 28 marzo 1928) politico e politologo statunitense di origini polacche, consigliere per la sicurezza nazionale durante la presidenza di Jimmy Carter, dal 1977 al 1981. 16 Z. Brzezinski, Living with a New Europe [2000], in Bergner, Jeffrey T. (a cura di), The Next American

Century: Essays in Honor of Richard C. Lugar, Rowman & Littlefield, Lanham MD, 2000-2003, pp.

(17)

16

Il processo di unificazione europea costituiva perciò una risposta regionale, da parte degli Stati europei, alle trasformazioni avvenute nel sistema internazionale mon-diale e, per questo, non può essere studiato soltanto in riferimento ai rapporti tra gli stessi Stati europei e alle loro vicende politiche interne.

Le crisi dei poteri nazionali e l'emergere di problemi che non trovavano solu-zione nel quadro nazionale, costituirono opportunità per l'avanzamento del processo di unificazione.17

17 R.Castaldi, Lo sviluppo dell’Unione Europea e la sua crisi nel contesto globale – XXVI Convegno SISP – Università di Roma III – 13-15 settembre 2012.

(18)

17

1.4. Il Mercato Comune e l’integrazione economica

Il primo tentativo di riflessione comune sull’unità europea, al Congresso de L'Aia del 1948, prese la forma tradizionale della cooperazione internazionale e portò alla creazione del Consiglio d'Europa. Un grande europeista, Paul-Henri Spaak18,

venne chiamato a presiederne l’assemblea e tentò subito di trasformarla nel luogo di elaborazione di una costituzione europea19. Il tentativo fallì mostrando tutte le

diffi-denze e le resistenze nazionali in tale direzione.

La possibilità di avviare un percorso verso l'unità europea, quindi, anche per i soli Stati europei occidentali, dipendeva innanzi tutto dalla pacificazione totale, vin-colante e duratura tra la Francia e la Germania20.

In tale direzione, fu Jean Monnet che propose di creare un’Autorità sovrana-zionale per la gestione del carbone e della siderurgia, principalmente il bacino della Ruhr21. Per il controllo di esse, Francia e Germania avevano combattuto tre guerre in

meno di un secolo.

Adenauer e Schumann accettarono l'idea per cui si arrivò alla Dichiarazione Schumann del 9 maggio 1950, con la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA) tra Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo.22

18 Paul Henri Spaak, nato il 25 gennaio del 1899 a Schaerbeek, in Belgio, è cresciuto in un’eminente famiglia belga, molto attiva in politica. Suo nonno, Paul Janson, era stato membro di rilievo del Par-tito liberale, mentre sua madre, la socialista Marie Janson, fu la prima donna a sedere nel Senato Belga. E’ stata una figura chiave nella formulazione dei contenuti del Trattato di Roma.

19 P.H.Spaak, La pensée européenne et atlantique, a c. di Paul-F. Smets, Goemaere, Bruxelles, 1980. 20 S.Pistone, (a cura di), I movimenti per l'unità europea dal 1945 al 1954, Jaca Books, Milano, 1992. 21 J.Monnet, Mémoires, Fayard, Paris,1976.

(19)

18

Si trattava solo apparentemente di un'integrazione economica, perché le finalità e le ragioni della scelta di quello specifico settore economico erano eminentemente politiche, come mostra un'analisi attenta della Dichiarazione Schumann. Tra l’altro egli diceva:

Il contributo che un'Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà è indispen-sabile per il mantenimento di relazioni pacifiche. La Francia, facendosi da oltre vent'anni antesignana di un'Europa unita, ha sempre avuto per obiettivo essenziale di servire la pace. L'Europa non è stata fatta: abbiamo avuto la guerra.

L'Europa non potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sor-gerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto. L'unione delle nazioni esige l'eliminazione del contrasto secolare tra la Francia e la Germania: l'azione intrapresa deve concernere in prima linea la Francia e la Germania.

A tal fine, il governo francese propone di concentrare immediatamente l'azione su un punto limitato ma decisivo. Il governo francese propone di mettere l'insieme della produzione franco-tedesca di carbone e di acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un'organizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei. La fusione della produzioni di carbone e di acciaio assicurerà subito la costituzione di basi comuni per lo sviluppo economico, prima tappa della Federazione europea, e cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fab-bricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime.

La solidarietà di produzione in tal modo realizzata farà sì che una qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania diventi non solo impensabile, ma materialmente impossibile. La creazione di questa potente unità di produzione, aperta a tutti i paesi che vorranno aderirvi e intesa a fornire a tutti i paesi in essa riuniti gli elementi di base della pro-duzione industriale a condizioni uguali, getterà le fondamenta reali della loro unifi-cazione economica.23

23 Disponibile su http://europa.eu/about-eu/basic-information/symbols/europeday/schuman-decla-ration/ index_it.htm.

(20)

19

Lo scoppio della Guerra di Corea, paese diviso in due, ed il timore che una cosa simile potesse ripetersi in Germania, anch’essa divisa in due, portò alla determinazione americana di un possibile riarmo per Germania Ovest.

La Francia soprattutto, ma anche gli altri Stati europei, erano ancora timorosi della eventuale ricomposizione di un esercito tedesco. Il ricordo della guerra era ancora vivo nella mente di chi l’aveva vissuta. Cosicché la Francia, nel 1950, lanciò la propo-sta di costituire un esercito integrato europeo, alimentato da un unico bilancio e gui-dato da un ministro della Difesa europeo, sotto forma di una Comunità Europea di Difesa (CED)24, il cosiddetto piano Pleven, dal nome del Primo Ministro francese del

tempo. Ancora una volta era l'evoluzione della situazione mondiale e la crisi, di carat-tere militare, che essa comportava, a determinare il settore rispetto al quale gli Stati europei tentavano un avanzamento del processo di unificazione. Ma quella crisi mili-tare, che aveva fatto nascere il progetto, venne meno con la fine della guerra di Corea nel 1953.

Una guerra tra Germania Ovest ed Est non appariva a quel punto più un evento probabile, e questo fatto rendeva meno urgente la necessità di creare un esercito euro-peo. Riprendevano vigore le resistenze nazionali a cedere la sovranità militare, spe-cialmente in Francia, Paese formalmente tra i vincitori della Seconda guerra mondiale.

La morte di Stalin, inoltre, sopraggiunta nel 1954 favorì la nascita di un'aspet-tativa per una fase di possibile distensione nei rapporti est-ovest, rendendo ancora meno urgente la necessità della creazione di un esercito europeo.

24 B. Olivi, R.Santaniello, Storia dell’integrazione europea. Dalla guerra fredda alla Costituzione

(21)

20

L'unità europea, però, costituiva la sola possibile prospettiva per allargare gli spazi di libertà nel nuovo sistema internazionale e ciò permise, pur con una così grave battuta d'arresto, al processo di non essere interrotto definitivamente.

Si arrivò, così, ai Trattati di Roma nel 1957 e alla creazione della CEE, che prevedeva la realizzazione di un mercato comune, l'abolizione dei dazi e delle tariffe interni, assieme ad un'unione doganale e ad una limitata circolazione dei lavoratori.

Nel frattempo Monnet aveva convinto i governi dei Sei della CECA a realizzare anche una Comunità Europea per l'Energia Atomica, l’EURATOM, nella previsione che gli sviluppi degli studi sull’energia atomica risultassero fondamentali per l'econo-mia europea e che, in prospettiva, si potesse arrivare ad un controllo europeo del nu-cleare, anche a fini militari. Ma l’elezione di De Gaulle in Francia fece cadere tali aspettative.25

Il successo della CEE nel realizzare, comunque e in poco tempo, il Mercato Comune e nel garantire buoni tassi di crescita economica, spinse presto altri Stati eu-ropei a richiedere di poter aderire.

L’opposizione ferma di De Gaulle all'ingresso britannico, però, fece in modo che il primo allargamento a Regno Unito, Danimarca e Irlandasi compiesse soltanto nel 1973. Forte di quel successo e delle norme dei Trattati, che prevedevano l'avvio del voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio solo al termine del periodo transitorio di creazione del mercato comune, la Commissione Hallstein26 formulò altre

proposte per politiche favorevoli all’allargamento dell’unione.

25 R. Castaldi, Lo sviluppo dell’Unione Europea e la sua crisi nel contesto globale – XXVI Convegno SISP – Università di Roma III – 13-15 settembre 2012- cit.

26 La Commissione Hallstein fu la prima Commissione Europea. Rimase in carica dal 10 gennaio 1958 al 1º settembre 1962.

(22)

21

La Francia di De Gaulle continuò ad opporsi sempre a tali proposte: soprattutto con l’entrata in vigore del voto a maggioranza qualificata, disertava le riunioni della CEE aprendo la cosiddetta “crisi della sedia vuota”, che si concluse solo con il Com-promesso di Lussemburgo del 1966: di fatto un prolungamento del diritto di veto per gli Stati membri27.

In definitiva, lo scontro tra nazionalisti ed europeisti vide la prevalenza dei primi, grazie soprattutto alla leadership emergente di Charles De Gaulle.

L’inizio del percorso di integrazione economica e monetaria

La Commissione europea, fin dal 1981, aveva sollecitato l’attenzione del Con-siglio Europeo sui problemi posti dall’insoddisfacente funzionamento del mercato in-terno. Ci si era concentrati su tre ordini di problemi, che sembravano essere l’ostacolo principale alla creazione di un vero e proprio mercato europeo.

In primo luogo, venivano considerate le misure che ostacolavano gli scambi, che imponevano oneri di vario tipo agli operatori economici che intendevano oltrepas-sare le frontiere.

In secondo luogo, venivano poste sotto accusa quelle regole che, come le nor-mative e gli aiuti statali, comportavano, di fatto, effetti protezionistici.

Si indicava, infine, la sostanziale chiusura dei mercati nazionali, per quanto concerne il settore degli appalti pubblici, dei trasporti e dei servizi. 28

27 Sandholtz, Wayne e Sweet, Alec Stone e Fligstein, Neil, The Institutionalization of Europe, Oxford University Press, Oxford, 2001.

(23)

22

Purtroppo a causa della situazione di stallo politico con l’Inghilterra, per via del contenzioso sul contributo del finanziamento del bilancio comunitario, tutte le sol-lecitazioni si persero nel nulla.

Vi era una contrapposizione tra l’attivismo della Commissione, alimentata ol-tretutto dall’autonomia che essa aveva nei confronti dei governi nazionali, e la vischio-sità decisionale del Consiglio Europeo, che era invece la riproduzione degli impulsi particolaristici derivanti dagli interessi politici ed economici dei vari governi nazio-nali.29

Qualcosa cominciò a muoversi nel 1984 quando l’allora presidente di turno del Consiglio europeo, François Mitterrand affermò la sua volontà di rilancio di un pro-cesso di costruzione politica. In tal senso importanti furono i lavori del comitato Dooge30, in cui fu articolata un’agenda per l’obiettivo di realizzare il mercato unico

entro il 1990.

Il Presidente della Commissione Delors si assunse la responsabilità di orientare il programma della Commissione verso l’obiettivo di completare il mercato interno entro il 1992. Importante fu sicuramente anche la presentazione di un suo Libro bianco che stabiliva i principi e i modi per l’eliminazione delle barriere fisiche, tecniche e fiscali.

L’altro passo in avanti, per il processo di integrazione, fu rappresentato dall’Atto Unico europeo (AUE), firmato a Lussemburgo il 17 febbraio 1986 da nove Stati membri e il 28 febbraio 1986 dalla Danimarca, dall'Italia e dalla Grecia, costituiva la prima modifica sostanziale del trattato istitutivo della Comunità economica europea

29 L. Berti, A. Fumagalli, op.cit

(24)

23

(CEE). Esso modificava le regole di funzionamento delle istituzioni europee ed am-pliava le competenze comunitarie, in particolare nel settore della ricerca e sviluppo, dell'ambiente e della politica estera comune.

Si era arrivati al momento in cui si avvertiva la percezione che le dinamiche messe in movimento fin dalla costruzione del mercato unico avrebbero richiesto rapidi avanzamenti verso ulteriori stadi di integrazione e che questo obiettivo rappresentasse un necessario passaggio per l’avvio dell’unione economica e politica dell’Europa.

Ma nuovi scenari si delineavano all’orizzonte: la caduta del muro di Berlino ed il rapido crollo dei regimi dell’Europa dell’est, ridisegnavano l’assetto geopolitico eu-ropeo e imponevano la necessità di risposte rapide e capaci di fronteggiare gli eventi. Adesso più che mai occorreva rilanciare il ruolo politico della Comunità e il processo di integrazione.

(25)

24

CAPITOLO 2

L’ INTEGRAZIONE EUROPEA

2.1. Il percorso verso la moneta unica

Per molti anni l’idea di trasformare la Comunità economica europea in un’unione monetaria ha accarezzato politici ed economisti.

L’esigenza di stabilizzare i rapporti economici e monetari all’interno dell’area europea, non solo quella strettamente comunitaria, è stata il filo che ha percorso tutti i processi d’integrazione che sono stati tentati.31

In particolare, un certo grado di integrazione monetaria, che imponesse un qualche coordinamento delle politiche monetarie, era la condizione fondamentale per far cessare o attenuare il bellum omnium contra omnes, che poteva scatenarsi nelle relazioni economiche internazionali.

Il progetto di portare a termine la costruzione dell’unione economica e mone-taria dell’Europa si era già affacciato sulla scena europea alla fine degli anni ’60. Al summit europeo dell’Aja, nel dicembre del 1969, fu presa la decisione di compren-dere le vie e i modi per giungervi. È interessante rileggere le valutazioni e le motiva-zioni espresse dai capi di governo in quell’occasione:

31 M. Draghi, Presidente della BCE alla Facoltà di Economia dell’Università La Sapienza, Roma, 24 maggio 2012.

(26)

25

«Valutando il cammino già percorso, e constatando che forse mai si è avuto tra Stati indipendenti un così alto grado di cooperazione, i capi di Stato e di Governo hanno ritenuto all’unanimità che precisamente a causa dei progressi realizzati la Comunità è oggi pronta a una svolta della propria storia [...] Essi hanno affermato la loro volontà di fare progredire più rapidamente lo sviluppo ulteriore necessario al rafforzamento della Comunità e al suo sviluppo in una unione economica [...] A questo scopo, essi hanno convenuto che [...] verrà elaborato un piano [...] in vista della creazione di una unione economica e monetaria». 32

Gli anni '70 rappresentarono, in realtà, una fase di rallentamento o di “euro-sclerosi”.33

Un’ attenta analisi del processo di unione di quegli anni e della sua interazione con gli eventi sul piano mondiale e sul quello interno agli Stati membri ci porta a con-siderarlo un decennio decisivo, per il successivo processo di creazione dell'Euro.34

Dopo un periodo di inflazione interna, dovuto al finanziamento della guerra del Vietnam ed all’aumento delle spese per lo stato sociale, nell’agosto del 1971 gli Stati Uniti abbandonarono la convertibilità del Dollaro in oro.

La “Dichiarazione di Nixon” sulla inconvertibilità, rappresentava la fine del sistema monetario di Bretton Woods ed il passaggio dalle parità monetarie fisse a quelle fluttuanti. 35

32 Estratto dal sito http://europa.eu/publications/official-documents/index_it.htm.

33 M.Monti, Una nuova strategia per il mercato unico Rapporto al Presidente della Commissione eu-ropea José Manuel Barroso - 9 maggio 2010.

34 R. Castaldi "La moneta unica e l'unione politica” disponibile su http://www.sisp.it/files/pa-pers/2012/ roberto-castaldi-1376.pdf".

35 II sistema istituito a Bretton Woods era ancora formalmente legato all’oro, ma di fatto l’oro vi svol-geva solo un ruolo di ancoraggio tramite la valuta chiave che era il dollaro (gold echange standard). Il valore del dollaro, infatti, era definito da un rapporto fisso con l’oro, nel senso che le autorità mone-tarie americane, fin dal 1934, si erano impegnate a vendere o acquistare oro al prezzo di 35 dollari l’oncia di fino. Le altre monete cartacee facenti parte del sistema non erano convertibili in oro, ma lo erano in dollari e, naturalmente, fra di loro secondo rapporti di cambio fissi. A Bretton Woods si con-frontarono due progetti di organizzazione del sistema monetario internazionale: uno di parte britan-nica, che portava la firma di Keynes, e uno di parte americana, redatto dal sottosegretario al Tesoro

(27)

26

Da quel momento i cambi internazionali, ovviamente anche quelli europei, ri-presero a fluttuare. Gli USA avevano la possibilità di pagare i propri debiti principal-mente stampando moneta-dollaro, senza che questo andasse a provocare, come in un libero mercato dovrebbe avvenire, una grave perdita di valore da parte del dollaro stesso. La massa monetaria in dollari aumentava enormemente senza provocare infla-zione interna e svalutainfla-zione nel cambio con le altre monete, a differenza di quanto avveniva, e avviene ancora, per tutti gli altri Stati.

Tutto questo comportò, negli anni ‘70, una crisi del Mercato comune europeo, che aveva avuto fino ad allora il dollaro come moneta di riferimento. Tale mise in evidenza l’esigenza di rilanciare il processo d’integrazione economica e monetaria, fino ad arrivare all'approvazione del Piano Werner36 per la realizzazione dell’Unione

monetaria entro il 1980. Esso formulava un programma assai ambizioso e impegnativo e può essere considerato come l’apri-strada di tutti i successivi progetti di integrazione. Prendeva, infatti, con favore la creazione di un mercato unico, in cui “i beni, i servizi, le persone e i capitali circoleranno liberamente, esenti da distorsioni di concorrenza senza per questo generare squilibri strutturali o regionali” con adozione di una sola moneta e la costituzione di un centro di decisione per la politica economica a livello europeo. Il tutto previsto entro il 1980.

Harry Dexter White. Il piano di Keynes prevedeva la creazione di una vera e propria banca centrale

internazionale cui attribuire il compito di regolare i rapporti di debito e di credito tra le varie economie originati dalle transazioni internazionali. Strumento di questa regolazione avrebbe dovuto essere una moneta di conto emessa dalla stessa banca, il bancor, dal francese banque-or, ovvero «oro bancario». Il piano americano, meno ambizioso, prevedeva un semplice fondo di stabilizzazione dei tassi di cam-bio. Il risultato delle discussioni fu un compromesso che prese la forma del Fondo monetario interna-zionale e della Banca mondiale. Del progetto di Keynes furono abbandonati gli elementi più innovatori e più audaci, ma, forse, anche più adeguati: l’idea di una banca centrale internazionale e di un nuovo mezzo di pagamento da essa emesso.

36 Il Consiglio affidò nel 1970 ad un comitato di esperti, presieduto dal presidente e ministro delle fi-nanze del governo lussemburghese Pierre Werner, il compito di presentare un progetto di coopera-zione economica e monetaria.

(28)

27

In Europa si tentò una prima forma di legame valutario tra i paesi della comu-nità: nel 1972 nacque il “serpente nel tunnel”, un accordo con cui le autorità monetarie europee si impegnarono a garantire una variazione del 2,25% di una valuta rispetto all’altra (serpente), con il limite di una variazione congiunta di tutte le valute rispetto al dollaro (tunnel).37

Il serpente monetario europeo strisciava dentro il tunnel del dollaro.

Il progetto della moneta unica rappresentava, come già accennato, la risposta europea al crollo del sistema monetario di Bretton Woods, che amplificava il potere di "signoraggio" del dollaro e che favorì lo sviluppo degli squilibri globali col peggiora-mento del deficit pubblico e della bilancia dei pagamenti americano.

Si arrivò, così, nel 1973 ad un nuovo shock esogeno che provocò il fallimento del primo tentativo di unificazione monetaria: la crisi petrolifera (oil shok).

L'improvviso e rapido aumento del prezzo del greggio deciso dall’OPEC38, cui

gli Stati europei non potettero far fronte, come fecero invece gli USA stampando la loro moneta, perché, non sorrette dalla domanda internazionale, comportò inflazione all’interno e svalutazione sul mercato dei cambi. Gli Stati europei furono costretti, perciò, a pagare di più il petrolio, con tutto ciò che questo comportava in termini di costi di produzione e trasporto e ad acquistare sempre più dollari per prendere il petro-lio. In definitiva lo shock petrolifero di quegli anni comportò un trasferimento di ri-sorse dall’Europa e dal Giappone (nella stessa condizione dell’Europa) verso gli Stati Uniti ed i Paesi dell'OPEC. Fu allora che i tassi di disoccupazione tra gli Stati Uniti

37 A. Steinherr, (a cura di), 1994, 30 years of European Monetary Integration. From the Werner Plan to EMU,

Longman, London.

38 OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries) fondata nel 1960, comprende attualmente dodici

(29)

28

d’America ed i Paesi europei cominciarono a differenziarsi, a tutto danno dell’Europa e che iniziò, in diversi Paesi europei tra cui l’Italia, la grave economica composta da inflazione, debito pubblico, perdita di competitività e svalutazione della moneta. Tra il 1972 ed il 1974 le valute più deboli uscirono dall’accordo: il serpente nel tunnel fu abbandonato prima dalla sterlina e dalla lira irlandese, nel 1972, poi dalla lira italiana, nel 1973, e dal franco,1974. Con la svalutazione del dollaro del 1973, si eliminò il “tunnel” del sistema europeo, che rappresentava il collegamento ad un dollaro ormai svalutato, fornendo alle monete europee la prima vera e propria autonomia valutaria: le monete europee non dovevano più fare riferimento al dollaro, ma potevano fluttuare in autonomia. In realtà, le forze di mercato riuscirono subito a individuare tra le valute europee la nuova moneta guida: iniziò l'ascesa del marco tedesco, la moneta gestita dalla Bundesbank con una politica monetaria molto restrittiva che favorì la continua rivalutazione del marco nei confronti delle altre valute europee.39

Per la Germania, il vantaggio di divenire un leader valutario fu quello di creare una politica economica basata principalmente sulle scelte di politica monetaria, spin-gendo le imprese tedesche ad investire in innovazione e internazionalizzazione al fine di superare il vincolo di continue perdite di competitività di prezzo causate dalla riva-lutazione del marco.

Era una crisi, dunque, che colpiva i Paesi europei in maniera diversa, a seconda delle differenti politiche energetiche ed economiche messe in atto come risposta alla crisi.40

39 G. Vitali, La Politica monetaria nell’Unione europea, Consiglio Nazionale delle Ricerche – CERIS, 2011.

(30)

29

Italia e Germania costituirono, al riguardo, due esempi opposti. La prima lan-ciava, proprio in quel periodo, grandi e costose riforme sociali, sanità pubblica e uni-versità per tutti e lo faceva stampando moneta e provocando, di conseguenza, aumento dell'inflazione e del debito pubblico. La seconda, invece, prendeva coscienza della si-tuazione che si era creata e facendo fronte alla recessione con riduzioni della spesa e aumento di produttività.41

Lo shock petrolifero, dunque, costrinse gli europei a scegliere se fare un passo in avanti verso l’unione economica e monetaria, per fronteggiare insieme le nuove situazioni con un nuovo spirito di solidarietà tra i vari Paesi, oppure continuare una serie di risposte nazionali non coordinate rinunciando al Piano Werner. I governi degli Stati europei scelsero questa seconda strada e il progetto di unione monetaria venne messo da parte.

Accanto alla scoordinata risposta europea nel settore economico e monetario, si manifestava la necessità di una risposta politico-istituzionale ed in questo si eviden-ziava la debolezza degli Stati europei e della CEE. Ancora una volta ci vollero delle personalità fortemente europeiste per prendere iniziative e rafforzare politicamente ed istituzionalmente la Comunità. Jean Monnet, prima di tutti, sottolineò la necessità di governare l’Europa proponendo la creazione di un “governo europeo provvisorio” e istituzionalizzando gli incontri al vertice, fino ad allora occasionali.42

Si arrivò così nel 1973 al prevedere che almeno avvenisse almeno un incontro in ciascuna presidenza semestrale di turno.43

41 R. Castaldi "La moneta unica e l'unione politica” op. cit.

42 http://www.thefederalist.eu/site/index.php?option=com_content&view=article&id=657%3Ai-pro- getti-di-riforma-delle-istituzioni-comunitarie&catid=33%3Ala-campagna-per-il-governo-euro-peo&lang=fr

43 Tratto da http://www.thefederalist.eu/site/index.php?option=com_content&view=artcle&id= 234&lang=it

(31)

30

La nascita dello Sistema Monetario Europeo

Nel marzo del 1979, si costruiva un coordinamento valutario molto più evoluto dei precedenti, con un’architettura complessa, che veniva giudicata molto robusta: il Sistema Monetario Europeo (SME). La principale caratteristica dello SME era l’ob-bligo per ogni valuta di rispettare una variazione massima del 2,25% su una parità centrale fissata nei confronti dell’ECU44. L’ECU era un paniere di valute europee che

serviva per far dialogare tra loro le banche centrali aderenti allo SME e per avere la base su cui calcolare l’eventuale divergenza della valuta deviante. Successivamente, grazie alla stabilità mostrata dall’ECU, essa divenne una moneta, pur sempre virtuale, molto utilizzata sui mercati finanziari europei e nazionali, e anche su quelli internazio-nali, per emettere titoli in una moneta ritenuta più stabile e prestigiosa di una singola valuta nazionale. Come già detto, nello SME la variazione di ciascuna valuta rispetto alla parità teorica con l’ECU era ammessa fino al limite del 2,25%. Per esempio, nel caso di una svalutazione strisciante della lira, quando quest’ultima superava il 75% della variazione consentita rispetto alla parità centrale con l’ECU la Banca d’Italia era obbligata a intervenire, comprando lire e vendendo valute europee, per riportare la moneta italiana nei pressi della parità centrale. E lo stesso intervento, chiaramente, di termine opposto, era richiesto a tutte le banche centrali dei paesi la cui moneta si stava rivalutando nei confronti della lira. 45

44 E' l'Unità di Conto Europea, l'antenato dell'Euro.

(32)

31

Rispetto al precedente serpente monetario la grande novità del meccanismo di stabilità del sistema valutario consiste proprio in questo obbligo “collettivo” al rispetto delle parità con l’ECU e quindi al mantenimento della stabilità valutaria europea.

La crisi dello SME avvenuta nel 1992 obbligò i paesi europei ad accelerare il passaggio del Mercato unico europeo verso l’Unione Economica e Monetaria. La crisi può essere espressa col paradosso del cosiddetto “quartetto inconciliabile”.46 I paesi

dell’Unione Europea si erano posti degli obiettivi economici tra di loro contrastanti, in quanto essi riguardavano quattro obbiettivi di cui tre, la liberalizzazione dei movimenti di merci, la mobilità dei capitali, un sistema di cambi fissi, incompatibili con il quarto: l’autonomia della politica monetaria.

Infatti, con cambi fissi in presenza di libertà di movimento dei capitali, anche i tassi di interesse nominali devono essere uguali nei paesi partner. Ma tali interessi divergono proprio a causa dell’autonomia delle diverse politiche monetarie, elemento che contrasta con i precedenti. Il libero movimento dei capitali spinge gli stessi verso i paesi con i tassi più alti, favorendone una rivalutazione del cambio e quindi minando la stabilità del sistema valutario a cambi fissi. Eliminare l’autonomia delle politiche monetarie significa, in sostanza, avere un'unica politica monetaria, cioè una sola banca centrale, cioè una Moneta unica.47

Poiché le risorse finanziarie necessarie a governare la riunificazione furono ot-tenute dal governo tedesco tramite emissione di titoli di debito e non con un aumento della tassazione, i notevoli finanziamenti richiesti determinarono un aumento del tasso

46 Definizione di T. Padoa Schioppa.

(33)

32

di interesse (nel luglio del 1992 il tasso di sconto tedesco passò dall'8% al l'8,75%) e, di conseguenza, una rivalutazione del marco tedesco.48

Rafforzamento che acuì i problemi strutturali delle valute più deboli.

Tale fattore è evidente se consideriamo le risposte della Bundesbank ai vari momenti di crisi che si sono succeduti nello SME dal settembre 1992: la fuoriuscita delle valute di Italia, Finlandia, Svezia e Regno Unito, e la svalutazione di tutte le altre non indusse la Bundesbank ad abbassare i tassi di interesse, che furono finalmente ridotti solo quando la speculazione si accanì contro il franco francese nel febbraio del 1993, evitando così l’abbandono anche della Francia e quindi il venir meno dello SME stesso.

Altri importanti eventi contribuirono alla crisi dello SME, fra cui il crollo dell’Impero Sovietico oltre al già citato processo di riunificazione delle due Ger-mane.49

Il crollo dell'impero sovietico, assieme al varo della moneta unica, rese possi-bile la riunificazione tedesca. Inizialmente l’idea di una Germania riunificata suscitava timore in diversi statisti europei, compresi gli stessi Mitterrand50 ed Andreotti. Ma in

assenza di una qualsiasi opposizione da parte degli USA e dell’URSS, che avevano interesse a tenere la Germania unita in ambito europeo, gli Stati europei non ebbero alcuna possibilità di impedirla. Lo SME aveva trasferito a livello europeo i punti di forza della Germania, il marco e la sovranità monetaria, avvicinando quella grande nazione all’Europa, in una parola “europeizzandola”. Se la force de frappe51 era il

48 T. Padoa Schioppa, L'Europa verso l'unione monetaria. Dallo Sme al trattato di Maastricht, Torino, Einaudi, 1992.

49 F. Benvenuti, "Storia della Russia contemporanea" di Francesco Benvenuti; Laterza, 1999.

50 François Mitterrand (n. Jarnac, 26 ottobre 1916 m. Parigi, 8 gennaio 1996). È stato Presidente della Repubblica

francese dal 21 maggio 1981 al 17 maggio 1988 e poi, rieletto per un secondo mandato, fino al 17 maggio 1995.

(34)

33

simbolo della potenza francese, il marco lo era di quella tedesco e, inoltre, rappresen-tava uno strumento più fruibile ed efficace costituendo il fulcro del Sistema monetario europeo.

Fortunatamente, la riunificazione tedesca avvenne sotto la guida di un grande uomo politico, Helmut Kohl, che era tanto europeista e lungimirante da comprendere e fare suoi i timori europei verso una Großdeutschland 52 così da farsi promotore

dell’unificazione monetaria europea.

Allo stesso tempo la riunificazione costituiva l’anello che favoriva la possibi-lità, per la Germania, di rinunciare al marco, nell’ambito ed in cambio di un'integra-zione europea più forte.53

In effetti, quasi sempre è necessaria una crisi per favorire evoluzioni complesse della situazione politica. La caduta del muro di Berlino e la possibilità di riunificazione della Germania costituirono quella “crisi” che fecero diventare sufficienti quelle stesse ragioni che, in passato, non lo erano state, affinché le Nazioni europee, ma soprattutto Francia e Germania, vincessero le resistenze interne e cedessero almeno la sovranità monetaria.54

L’emergere di alcune leadership europeiste, Kohl, Delors e Mitterrand, fece il resto.

Con la crisi dello SME e l'emergere dei suoi limiti strutturali, il processo di creazione della Moneta unica europea, quasi paradossalmente, si rafforzò.

52 In tedesco letteralmento “Grande Germania” è un termine usato nel XIX Secolo, quando la Germa-nia era divisa in decine di Stati indipendenti, che si riferiva al concetto di creare un unico grande stato tedesco.

53 R. Castaldi, A Federalist Framework Theory of European Integration, CSF Research Paper, disponibile all'indirizzo http://www.csfederalismo.it/attachments/1360_a_federalist_framework_castaldi.pdf 54 M. Albertini, 1973-1999, Il problema monetario e il problema politico europeo [1973], in Albertini 1999.

(35)

34

Sulle modalità con cui realizzare il passaggio alla Moneta unica si accese un ampio ed appassionato dibattito tra gli economisti55. L’obiettivo di possedere un’unica moneta europea poteva essere perseguito tramite la sostituzione di tutte le valute na-zionali con una nuova valuta, come è realmente successo, oppure tramite la sostitu-zione delle valute nazionali con la valuta più forte a livello europeo, cioè quella che aveva la maggiore fiducia da parte dei mercati. Per ovvie ragioni politiche, non fu possibile perseguire questa seconda strada, perché quasi nessuna nazione volle affi-darsi al marco.

Tralasciando le più volte citate proposte del rapporto Werner degli anni ’60, al cui interno si auspicava un rapido passaggio alla Moneta unica, il percorso di ado-zione dell’Euro iniziò nel giugno del 1988, quando a Hannover il Consiglio europeo decise la nascita di un comitato per lo studio dell’Unione Economica e Monetaria, sotto la direzione del presidente Delors.

I risultati dello studio si ebbero nell’aprile del 1989 e diedero molta importanza ai criteri di convergenza economica, alle regole di partecipazione e all’indipendenza della banca centrale. Nel giugno 1989 a Madrid il Consiglio europeo prese la decisione di iniziare la prima fase dell’UEM nel luglio 1990, data che coincideva con la piena liberalizzazione del mercato dei capitali avvenuta in 8 dei 12 paesi membri. Nel di-cembre 1989 a Strasburgo si decise di far iniziare dal didi-cembre 1990 una Conferenza Inter-Governativa (CIG) per proporre le idonee modifiche da apportare al Trattato di Roma, inserendo in esso i vari aspetti istituzionali legati all’UEM. Il Consiglio europeo di Dublino del giugno 1990 convocò un'altra CIG che avrebbe risolto altri problemi istituzionali legati all'UEM. Le due CIG iniziarono nel dicembre 1990 e terminarono

(36)

35

con il Consiglio europeo di Maastricht nel dicembre 1991. Tale Consiglio approvò il Trattato di Maastricht, formalmente sottoscritto nel febbraio del 1992. 56

Nel 1990, con la piena circolazione dei capitali iniziò la prima fase di realizzo dell’UEM, che terminò il 1° gennaio del 1994 con la creazione dell'Istituto monetario europeo (IME), quando iniziò la seconda fase per durare fino al 1998.57

Nel Consiglio europeo di Madrid del dicembre 1995 si adottò lo scenario rela-tivo alla transizione, che fissava:

- per maggio del 1998 la verifica del rispetto dei criteri di convergenza economica e quindi la scelta dei paesi che avrebbero potuto partecipare all'UEM;

- per gennaio 1999 la fissazione dei tassi di conversione tra le singole valute e l'Euro; - per gennaio del 2002 l’inizio della distribuzione delle nuove banconote e monete in

Euro.

Dall’esame cronologico del percorso di costruzione dell’UEM, emerge come questa sia stata realizzata in modo lento ma progressivo.

I criteri di convergenza, noti anche come criteri di Maastricht, erano i seguenti: - Tasso di inflazione: non deve superare di un punto e mezzo percentuale la media

dei tre Paesi più virtuosi dell’ultimo anno.

- Deficit pubblico: non deve superare il 3% del Prodotto Interno Lordo.

- Debito pubblico: non deve superare il 60% del Prodotto Interno Lordo, o deve con-vergere in modo soddisfacente verso tale limite.

- Tassi di interesse a lungo termine: non devono superare di due punti percentuali la media dei tassi dei tre Paesi più virtuosi in termini di inflazione.

56 G. Vitali, La Politica monetaria nell’Unione europea, op. cit. 57 F.Marrazzi, Aspetti giuridici dell’integrazione europea, disp. 2007.

(37)

36

- Tassi di cambio: per almeno due anni (1996, 1997) una valuta deve rimanere stabile, cioè deve variare nell'intervallo di oscillazione (che dal 1993 è fissato nel 15%) intorno alla parità centrale dello SME.58

Lo sforzo di tutti i paesi europei di rispettare tali criteri fu molto elevato: con-trariamente alle previsioni iniziali, anche nei paesi finanziariamente meno solidi si raggiunsero gli obiettivi di risanamento, utilizzando generalmente lo strumento della riduzione della spesa pubblica e dell’aumento della tassazione. Pertanto, nel maggio del 1998 furono ammessi alla terza fase di realizzo dell’UEM gli 11 paesi che rispet-tavano i criteri di Maastricht. Tali paesi erano l’Austria, il Belgio, la Finlandia, la Francia, la Germania, l’Irlanda, l’Italia, il Lussemburgo, l’Olanda, il Portogallo, la Spagna. La Grecia, non essendo riuscita a risanare il proprio bilancio pubblico chiese di partecipare all’UEM dal 2001, la Slovenia nel 2007, Malta e Cipro nel 2008, Slo-vacchia nel 2009, Estonia nel 2011 e Lettonia nel 2014.

La posizione di Regno Unito, Danimarca e Svezia è diversa da quella della Grecia: tali paesi non hanno ancora manifestato l’intenzione di entrare nell’UEM, pur potendo rispettare, da tempo, i criteri di convergenza.

(38)

37

2.2. L’euro e il processo di integrazione economica europea

L’euro è ormai entrato a far parte della vita quotidiana dei cittadini di tutti i 19 Paesi dell’Unione Europea che hanno adottato la moneta unica.

In vigore dal 1 gennaio 2002, oggi l’euro è una valuta mondiale di grande im-portanza, seconda solo al dollaro. Esso è il risultato di un lungo processo, e la sua adozione ha rappresentato una tappa importante nella storia dell’integrazione europea, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Non vi è alcun altro caso di una intesa monetaria fra stati sovrani così larga e profonda.

Al di là della sua dimensione economica, l’euro è un simbolo forte e tangibile di unità, identità e cooperazione europea. Con il trattato di Maastricht si è sancita la creazione di un’Unione Economica e Monetaria (UEM), introducendo l’impegno, da parte dell’Unione, di portare avanti il processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa.59

Unione Economica e Monetaria è, in realtà, un termine generico inteso a pro-muovere la crescita nei Paesi aderenti e a preservare la forza e la stabilità dell’euro.60

Si riferisce alla politica monetaria (unione monetaria), alla politica di bilancio e alla politica economica (unione economica). Tali politiche sono gestite dalle istitu-zioni nazionali, dalle istituistitu-zioni europee o da una combinazione di entrambe.

59 http://europa.eu/pol/pdf/flipbook/it/economic_and_monetary_union_and_the_euro_it.pdf. 60 http://www.ispionline.it/it/europa_a_scuola/documenti/unione_economica_monetaria.htm.

(39)

38

La politica monetaria è di competenza esclusiva dalla Banca centrale europea, che agisce in modo indipendente.

La politica di bilancio (fiscalità e finanze pubbliche) è di competenza dei go-verni nazionali, anche se le decisioni relative alle finanze pubbliche dei singoli Paesi dell’Unione possono ripercuotersi su tutta l’UE.

L’Unione Economica e Monetaria determina, pertanto, alcune norme fonda-mentali relative alle finanze pubbliche, elaborate ed adottate congiuntamente da tutti i Paesi dell’UE e attuate dalla Commissione europea per garantire la stabilità econo-mica.

Il Patto di stabilità e crescita, adottato nel 1999 e ulteriormente rafforzato a partire dal 2011, rappresenta il principale strumento sul quale si basano le decisioni in campo economico degli Stati membri. Ai fini di un efficace funzionamento, esso fa affidamento su tutti i Paesi dell’UE, in particolare quelli dell’area dell’euro, tenuti a conformarsi alle norme stabilite di comune accordo, mantenendo in ordine le rispettive finanze pubbliche e garantendo un adeguato equilibrio tra spese ed entrate nei bilanci nazionali.

In ogni caso, l’UEM è un’esperienza storicamente straordinaria, sostenuta dalla volontà di quanti hanno condiviso l’intuizione di Jean Monnet, dall’impegno di politici e funzionari nel disegnare, prima, e far funzionare, poi, la nuova istituzione monetaria pluristatuale. Sostenuta anche dall’entusiasmo per l’Euro di molta parte della

(40)

popola-39

zione europea al momento del suo lancio come moneta prevalentemente per le transa-zioni finanziarie nel 1999, divenuta tre anni dopo moneta a corso legale ad ogni ef-fetto.61

Nacque anche circondata dallo scetticismo di economisti, soprattutto anglosas-soni o di scuola monetarista.62

In vari Paesi, compreso il nostro, si è andata tuttavia sviluppando una perce-zione sempre più critica dell’Euro, addebitando ad esso, in particolare, una scarsa cre-scita del reddito disponibile e un aumento dei prezzi ben maggiore di quello incorpo-rato negli indici ufficiali. Quello che è stato sul piano economico e politico un chiaro successo ha, così, innescato percezioni negative nel corpo sociale, che hanno portato ad addebitare alla nuova valuta responsabilità che appartengono, invece, al mancato aumento della produttività, all’invecchiamento della popolazione, all’insufficienza de-gli investimenti in istruzione, ricerca e sviluppo, all’abbandono di un disegno riforma-tore nel campo istituzionale come in quello gestionale.63

A oltre dieci anni di distanza, è doveroso interrogarsi su quali sfide si porranno nel prossimo decennio64 e constatare che alcune aspettative, come quelle sulla crescita,

sono andate parzialmente deluse.

61 M. Sarcinelli – UEM ed Euro: i successi del passato e le sfide del futuro, Rivista Studi sull’integrazione europea n. 2, 2009, p 341.

62 L. Jonung, E. Drea, The Euro: It Can’t Happen, It’s a Bad Idea, It Won’t Last. US Economists on the

EMU, 1989-2002, paper prepared for the AEA (American Economic Association) meeting, San

Fran-cisco, 3 gennaio 2009 (www.aeaweb.org, reperibile on line). 63 M.Sarcinelli, op.cit. p. 342.

64 M. Wolf, EMU’s Second 10 Years May Be Tougher, in FT.com, 27 maggio 2008 (www.ft.com, reperi-bile on line).

(41)

40

Il mancato sviluppo del ramo economico dell’UEM, nel confronto con quello monetario, ha anche alimentato la preoccupazione che l’Eurozona sia incapace di af-frontare le sfide fondamentali che le si parano dinanzi65.

A minare la coesione dell’UEM, oltre all’insufficiente crescita, contribuiscono differenze rilevanti e durevoli tra i Paesi membri, con riferimento all’inflazione, ai costi unitari del lavoro, ai conti pubblici.

Inoltre, il secondo decennio dell’UEM si trova di fronte all’invecchiamento della popolazione nei Paesi membri, con effetti sul rapporto tra la popolazione attiva e quella inattiva, sulla quota del Pil assorbita dal pagamento delle pensioni a una popo-lazione anziana, sulle spese sanitarie destinate ad espandersi per la crescente domanda terapeutica e di prevenzione da parte dell’intera popolazione, per il progresso nella diagnostica in generale e nella terapia di molte malattie in particolare.66

A queste sfide che si originano nella demografia l’Eurozona non sembra essere nelle migliori condizioni per rispondere adeguatamente.67

L’odierna percezione dell’UEM è che essa costituisca una struttura di vincoli e di obblighi istituiti, in gran parte, per permettere alla BCE di adempiere al suo man-dato: il mantenimento della stabilità dei prezzi. Tutti gli altri attori, dai governi ai sin-goli ministri, sono costretti ad agire in funzione di quell’obiettivo; ciò che ne consegue è che all’euro viene addebitata la scarsa crescita come pure un’inflazione percepita ben più elevata di quella statisticamente registrata. 68

65 Comunicazione della Commissione, del 7 maggio 2008, al Parlamento europeo, al Consiglio, al Co-mitato economico e sociale europeo, al CoCo-mitato delle regioni ed alla Banca centrale europea: UEM@10 – successi e sfide di un decennio di Unione economica e monetaria (COM (2008) 238 definitivo – non pubblicato nella Gazzetta ufficiale).

66 M. Sarcinelli, op.cit. p. 343.

67 A.M. Tarantola, M. Sarcinelli, T. Bianchi – Interventi su “Banca, Impresa e mercati: la sfida dello

svi-luppo” Perugia, 14 marzo 2009.

(42)

41

Non mancano, però, coloro che propongono una maggiore integrazione euro-pea attraverso una compiuta dimensione politica e una serie di riforme economiche che implichino ulteriori cessioni di sovranità da parte degli Stati membri. 69

Riferimenti

Documenti correlati

Ignazio, cioè, si sarebbe adoperato a favore di uno sconosciuto affetto da epilessia, giunto a Costantinopoli pochi giorni prima da Durazzo con indosso vesti da

Nel frattempo gli uomini di scienza medica dovrebbero iniziare a nutrire dubbi sul senso del proprio lavoro in questo ambito, non perché non sia corretto ciò che fanno (anche

over sizing of the CHP units resulting in poor efficiency in operation outside the nominal conditions 157 Electrical grid Secondary network Main pumping stations Users

Europe Direct Emilia-Romagna.

came into force (huge potential for energy efficiency gains in the EU building sector, includes measures that advance the rate of building renovation and enhance the

I quark e i leptoni sono davvero fondamentali, o sono a loro volta composti di particelle più elementari. Sappiamo che nell'universo ci deve essere molta più materia di quella

Vuole sapere se l` a la benzina costa cara e, per questo motivo, decide di calcolare a quanti quetzal/barile corrispondono 1.33 euro/litro.. Un corpo cade da una certa altezza

Dai tempi di Carosello, la plastica è diventata un complemento fondamentale delle nostre attività, materia prima della maggior parte degli oggetti utiliz- zati nella nostra