Fin dall’introduzione di questo elaborato si è posto in luce come il crescente sviluppo dell’e-commerce necessiti di una valutazione diversa e più attenta della tutela dei segni distintivi. Medesima attenzione occorre in materia di contraffazione di marchio online, soprattutto alla luce dell’importanza della tutela dell’origine geografica del prodotto.
Internet, da un lato, rende senza dubbio più semplici scambi commerciali fra luoghi diversi e lontani ma, dall’altro, si osserva come “l’ambiente digitale crei un contesto nel quale spesso diventa difficile per i titolari dei marchi ottenere un risarcimento del danno dal contraffattore … Infatti, i soggetti che effettuano vendite online possono assumere identità fittizie; e del resto anche quelle reali possono apparire difficile da ricostruire; essi possono operare a partire da Paesi lontani, visto che la rete è dappertutto ed in nessun luogo in particolare85; possono
con facilità cessare le proprie operazioni e riprenderle sotto un nome (ed un nome a dominio) diversi; in ogni caso, il contrasto all’attività di contraffazione può
senza autorizzazione un marchio identico al marchio UE registrato per tali prodotti o che non può essere distinto nei suoi aspetti essenziali da detto marchio.”
84Sul punto si veda C.GALLI, L’ambito di protezione del marchio: problemi risolti, problemi
ancora aperti e nuovi problemi, in Il Dir. indu, II, 2017.
85Questa è una caratteristica che sembra essere propria della rete, la quale sembra essere avulsa da
elementi di territorialità in senso fisico. Ciò ha indotto alcuni a considerarla addirittura una realtà del tutto delocalizzata, virtuale, destinata ad una regolamentazione sua propria. Come osserva S. MAGELLI, Contraffazione nella rete profili processuali di giurisdizione competente, legge
119
comportare costi esorbitanti quando essa sia frammentata fra un grande numero di micro-operatori illeciti.86”
Una problematica esclusiva del commercio online è quella relativa alla responsabilità degli internet service provider (d’ora in avanti ISP), e non solo dei contraffattori diretti. Ci si pone quindi la domanda se sorga o meno una responsabilità in capo a questi qualora ospitino sulla propria piattaforma attività contraffattorie o servizi (si pensi a quelli bancari, in particolar modo quelli di pagamento) che si collocano a monte rispetto al comportamento illecito.
Del regime di responsabilità degli ISP si è occupato il legislatore europeo mediante la Direttiva 2000/31/CE87 ( “Direttiva sul commercio elettronico”) che è
stata recepita dal legislatore italiano mediante il D. Lgs. n. 70 del 2003. Si sono individuate aree di immunità (safe harbors) all’interno delle quali si esclude la responsabilità del provider88 e si è sancito l’assenza di un obbligo generale di sorveglianza per gli ISP ( ex art. 15).
Le attività beneficiarie dell’immunità sono tre: il c.d. mere conduit ( ex art. 12), il
caching ( ex art. 13) e l’hosting (ex art. 14).
Il servizio di mere conduit è quello che prevede la minore partecipazione del
provider, se non addirittura di totale passività. Egli si limita a veicolare
l’informazione, trasmettendo su una rete di comunicazione informazioni fornite da un destinatario del servizio, o fornendo un accesso alla rete di comunicazione. È
86 M. RICOLFI, Contraffazione di marchio e responsabilità degli internet service providers, in Il
Dir.indu, 2013, III, 237.
87 Il legislatore mostra in alcuni considerando una grande fiducia verso la rete, quale strumento
importantissimo per lo sviluppo del mercato, in particolar modo si veda i considerando n.1 e n.2. 1-(….) lo sviluppo dei servizi della società dell’informazione nello spazio senza frontiere interne è uno strumento essenziale per eliminare le barriere che dividono i popoli europei.
2-Lo sviluppo del commercio elettronico nella società dell’informazione offre grandi opportunità per l’occupazione nella Comunità, in particolare nelle piccole e medie imprese . Esso faciliterà la crescita delle imprese europee, nonché gli investimenti nell’innovazione ed è tale da rafforzare la competitività dell’industria europea a condizione che Internet sia accessibile a tutti.
88La ratio della creazione di queste aree di immunità è quello di “evitare che la minaccia di
sanzioni per comportamenti degli utenti cui gli operatori di rete siano rimasti estranei sotto un profilo funzionale possa disincentivare l’investimento e l’innovazione tecnologica online” M.RICOLFI, Contraffazione di marchio e responsabilità degli internet service providers, in Il
120
garantita l’immunità dell’ISP purché egli non dia origine alla trasmissione, non selezioni il destinatario della trasmissione e non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse.
L’attività di caching invece, consiste nella memorizzazione automatica, intermedia e temporanea di informazioni, ma in questo caso, per poter rientrare nell’area di immunità, è necessario rispettare dei requisiti più gravosi. Infatti, è necessario che l’ISP non modifichi le informazioni, si conformi alle condizioni di accesso alle informazioni, si conformi alle norme di aggiornamento delle informazioni, indicate in un modo ampiamente riconosciuto e utilizzato dalle imprese del settore, non interferisca con l'uso lecito di tecnologia ampiamente riconosciuta e utilizzata nel settore per ottenere dati sull'impiego delle informazioni. Inoltre, è necessario che agisca prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato, o per disabilitare l'accesso, non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le informazioni siano state rimosse dal luogo dove si trovavano inizialmente sulla rete o che l'accesso alle informazioni sia stato disabilitato oppure che un organo giurisdizionale o un'autorità amministrativa ne abbia disposto la rimozione o la disabilitazione dell'accesso.
Un maggior livello di partecipazione, si ha nel servizio di hosting, che consiste nell’allocare pagine o siti web su un server, rendendoli accessibili mediante la rete web. In questo caso, l’ISP non sarà responsabile delle informazioni memorizzate, a condizione che egli non sia effettivamente al corrente del fatto che l'attività o l'informazione sia illecita e, per quanto attiene ad eventuali azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l'illegalità dell'attività o dell'informazione, o agisca, non appena al corrente dei fatti, immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l'accesso.
Questa terza fattispecie è quella che ha posto maggiori problemi per gli interpreti, i quali sono arrivati ad una soluzione affermando che l’essenza della loro esenzione da responsabilità può essere racchiusa in una formula: memorizzazione senza conoscenza (storage but not knowledge). Non è
121
sempre facile comprendere quando si tratti di una semplice memorizzazione e quando invece il provider svolga un ruolo attivo e sul punto si è osservato che “il ruolo svolto dal provider non è attivo …(qualora) si limiti alla fornitura “neutra” del servizio, mediante un trattamento puramente tecnico, automatico e passivo dei dati ad esso forniti dai suoi clienti, sempreché, va sottolineato, tale trattamento non sia atto a conferirgli una conoscenza o un controllo dei dati in questione”. Mentre il provider diventerà responsabile “quando si renda partecipe della strategia dei suoi clienti nella redazione del messaggio commerciale che accompagna il link pubblicitario, nella determinazione e selezione delle parole chiave per quanto concerne il servizio di posizionamento dei risultati di un motore di ricerca e nella ottimizzazione della presentazione di offerte di vendita e della loro promozione per quanto concerne i mercati elettronici89.”
La disciplina europea, dunque, fa una scelta importante, quella di precludere agli Stati membri di imporre agli ISP che esercitano le attività sopra descritte un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano ed un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite (ex art.15).
Quanto detto fino ad adesso induce a sostenere che le problematiche relative alla contraffazione online non siano facilmente risolvibili. Infatti, la difficoltà maggiore sta nel fatto che, non sempre il provider sarà in grado di capire se i beni offerti dal cliente siano muniti di segni legittimi o se, invece, siano contraffatti90. Potrà,inoltre,trovarsi a dover decidere se il cliente faccia un uso
lecito del marchio altrui, oppure, in ragione della non armonizzazione del diritto dei marchi, il provider potrà essere chiamato a individuare preliminarmente la disciplina applicabile nel caso concreto.
89 M.RICOLFI, Contraffazione di marchio e responsabilità degli internet service providers, in Il
Dir.indu, 2013,III,237.
90Si pensi con quanta difficoltà il provider dovrà riconoscere, in particolar modo se dispone
solamente di immagini fotografiche, le merci contraffatte all’interno di siti che effettuano vendite “promiscue”. Si chiamano in questo modo i negozi virtuali in cui vengono offerti prodotti originali accanto ad altri, la cui originalità è discutibile.
122
Queste sono solo alcune delle problematiche che il provider si troverà a dover affrontare in materia di contraffazione di marchi online.
In dottrina91, si è individuato un rimedio più rapido, il cd. notice-and-take- down, con la speranza di risolvere le problematiche sopra evidenziate. Esso è
basato su più passaggi, mediante i quali l’avente diritto notifica al provider il file contestato e le ragioni di tali contestazioni, successivamente l’ISP interpellerà il suo cliente per potere valutare le ragioni dei due soggetti e decidere se rimuovere il contenuto o meno. Le speranze affidate a questo sistema sono state in realtà disattese, in ragione del fatto che il sistema della notifica non esclude che il provider continui ad avere dei dubbi sulla legittimità o meno della condotta. Inoltre, il sistema della notifica colloca in una posizione alquanto scomoda il provider, perché rischia, da un lato, di perdere l’immunità risarcitoria, mentre, dall’altro, rischia di subire un azione da parte del proprio cliente a titolo di responsabilità contrattuale per aver rimosso il proprio file.
Altri autori92 tendono, invece, ad avere una visione estremamente più ottimista, volta a metter in luce i vantaggi che l’accessibilità universale alla rete internet ha creato, soprattutto in materia di onere probatorio. Si pensi alla prova del preuso di un marchio di fatto, alla prova della notorietà di un marchio per poter usufruire della tutela ultramerceologica di cui all’art.20, coma1 lett. c) c.p.i., o alla prova dell’uso effettivo di un marchio al fine di evitarne la decadenza ex art.24 c.p.i.
Si93 afferma, inoltre, che la rete internet ha consentito la definitiva affermazione della funzione pubblicitaria del marchio, al fine di colpire tutte
91M.RICOLFI, Contraffazione di marchio e responsabilità degli internet service providers, in Il
Dir.indu, 2013, III, 237.
92G.CICCONE, Contraffazione nella rete, know how e riservatezza delle informazioni: i profili
processuali,in Il Dir.indu, 2015, II, 186 ss., sottolinea come “i problemi conseguenti alla rete e
all’informatica,ovviamente, non mancano, ma si tratta di problemi che, con interpretazioni aperte delle norme, possono essere superati o comunque alleviati.” L’autore, quindi, non riscontra l’esigenza di creare nuove regole, quanto piuttosto di interpretare in modo estensivo quelle presenti in modo coerente con gli elementi di novità introdotti dall’era di internet.
93G.CICCONE, Contraffazione nella rete, know how e riservatezza delle informazioni: i profili
123
le forme di sfruttamento parassitario del “valore di comunicazione” di un segno distintivo da parte di un soggetto non autorizzato. Si ricordi anche come la rete sia stato terreno di proliferazione di nuove fattispecie di concorrenza sleale, non tipizzate dal legislatore ma estremamente frequenti quali: il domain grabbing, l’uso illecito dei cd. metatag, e il linking94.
Oltre a ciò, la rapidità95 con cui si possono compiere gli illeciti e la gravità a
cui possono arrivare i danni derivanti da tali condotte ha portato la giurisprudenza a rafforzare la tutela cautelare chiesta dal titolare del marchio per evitare l’altrui contraffazione, inducendola a valutare più benevolmente il
periculum in mora rispetto alla valutazione che viene fatta di solito nei
procedimenti ex art. 700 c.p.c.96
4-Interventi dell’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato
L’origine geografica di un prodotto assume rilevanza anche all’interno di una particolare disciplina del diritto industriale, quella della pratiche commerciali scorrette. Essa è stata inserita all’interno del titolo III, capo II del D.lgs. n.206 del 6 settembre 2005, il cd. Codice del consumo, per mezzo del D.lgs. n.146 del 2 agosto 2007. Quest’ultimo è lo strumento con il quale si è dato attuazione alla direttiva 2005/29/CE, la quale aveva come obiettivo quello di armonizzare la disciplina dei vari Stati europei in materia di pratiche commerciali scorrette, dal
94Il domain grabbing consiste nell’utilizzo del marchio altrui come parola chiave all’interno di un
nome a dominio di un sito internet appartenente a un soggetto diverso dal titolare del marchio, lo scopo di tale pratica è quello di attirare il pubblico sul proprio sito (keyword advertising).
Il metatag, invece consiste in un operazione più sofisticata rispetto alla prima, che si realizza mediante l’inserimento del marchio altrui all’interno del proprio codice sorgente.
Il linking, (che si distingue a sua volta in due fattispecie distinte: il surface linking e il deep
linking) è una pratica assai sgradita dagli internauti che causa il passaggio automatico e
involontario da una pagina web all’altra.
95S.MAGELLI, Contraffazione nella rete profili processuali di giurisdizione competente, legge
applicabile e legittimazione passiva, in Il Dir.indu, 2015, II, 198 ss., osserva che “i procedimenti
in materia di conflitti a mezzo di internet richiedono rapidità perché rapidi sono i comportamenti, rapidi sono gli illeciti e rapidi quindi, devono essere anche i rimedi”.
96Si veda come si è espresso sul punto il Tribunale di Napoli, il 1 luglio 2007, in Il Dir. indu,
2007,VI, 573 ss. Il periculum in mora per le misure del c.p.i “neanche coincide con il rischio di un pregiudizio imminente e irreparabile proprio dei procedimenti ex art. 700 c.p.c” dal momento che “a fronte di un rischio di pregiudizio anche meramente patrimoniale, suscettibile di incontrollabile espansione o-comunque- non agevolmente quantificabile ai fini del successivo risarcimento”
124
momento che queste “ledono direttamente gli interessi economici dei consumatori e, quindi, indirettamente gli interessi economici dei concorrenti legittimi97”.
Le pratiche commerciali scorrette98, si distinguono dagli atti di concorrenza sleale, in quanto pongono al centro della propria tutela non il competitor, ma il consumatore e sarà, infatti, il punto di vista di quest’ultimo quello che rileverà ai fini della valutazione della scorrettezza del comportamento posto in essere. All’interno di questa fattispecie si distinguono due categorie: le pratiche commerciali ingannevoli e quelle aggressive, ma è la prima categoria quella che interessa ai fini della presente analisi.
Si considera ingannevole99 il comportamento del professionista100, che sia idoneo
a orientare il comportamento economico del consumatore e che si basi su informazioni false o mediante una rappresentazione alterata della realtà, circa l’individuazione di elementi, relativi al prodotto o al servizio, ritenuti dal consumatore fondamentali per la sua scelta d’acquisto.
Il legislatore si preoccupa di creare un elenco di pratiche che sono di per sé considerate ingannevoli, una sorta di black list, che non mira a essere un numerus
clausus di fattispecie, bensì vuole indicare comportamenti che senza dubbio sono
da considerarsi tali.
L’elenco è assai ricco di ipotesi, ma quella che interessa, è quella che si individua alla lettera b) in cui si inserisce, fra le pratiche ingannevoli, la falsa indicazione dell’origine geografica, in quanto, lo stesso legislatore gli riconosce il merito di essere una caratteristica principale del prodotto.
97Considerando n.6 della direttiva 2005/29/CE.
98Art.20 comma 2: Una pratica commerciale e’ scorretta se e’ contraria alla diligenza
professionale, ed e’ falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori.
99L’art. 21 comma 1: E’ considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene
informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o e’ idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o piu’ dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o e’ idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
125
Di seguito, si andrà a vedere alcuni casi101 in cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (d’ora in poi AGCM) ha ritenuto avere di fronte a sé una pratica commerciale ingannevole, proprio perché si era andati a dare false o scorrette indicazioni circa l’origine del prodotto.
Questa è un’ occasione che ci permette di vedere da una diversa visuale il problema dell’origine geografica di un prodotto, infatti, il punto di vista non è più quella del produttore, che soffre l’agganciamento parassitario altrui, bensì quella del consumatore che viene indotto a fare valutazioni del tutto errate e magari viene così convinto a fare una scelta d’acquisto che altrimenti non avrebbe fatto. L’AGCM è un’Autorità amministrativa indipendente102, istituita con la legge n.
287 del 10 ottobre 1990, recante "Norme per la tutela della concorrenza e del mercato”. I compiti di tale Autorità sono molti e diversi fra loro, infatti, oltre a offrire tutela verso le pratiche commerciali scorrette, l’AGCM si occupa (ed era quello il suo originario compito103), di controllare che nel mercato non vi siano violazioni della libera concorrenza.
Nel tempo si sono aggiunti altri compiti, infatti, l’Autorità controlla che non si verifichino situazioni di conflitto di interesse104, in cui possono incorrere i titolari di cariche di governo e attribuisce alle imprese, che ne facciano richiesta, il rating di legalità105.
101Gli interventi dell’AGCM sono molteplici, di seguito è stata fatta una selezione di quei casi che
sono stati ritenuti più importanti.
102Si parla di indipendenza spuria, per il fatto che non essi sono nominati dai Presidenti di Camera
e Senato.
103Viene anche chiamata Autorità Antitrust.
104Questo compito è stato attribuito con la Legge n. 215 del 2004.
105È stato aggiunto questa funzione con Decreto legge n.1 del 2012, art. 5-ter. È un istituto che
mira a incentivare la promozione e l'introduzione di principi di comportamento etico in ambito aziendale. Questo avviene tramite l’assegnazione di un giudizio sul rispetto della legalità da parte delle imprese, che viene convenzionalmente misurato con delle “stellette” ( a differenza del tradizionale sistema di rating che si esprime per mezzo di valori alfa-numerici). Del rating, che viene attribuito dall’AGCM, si tiene conto in sede di concessione di finanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, nonché in sede di accesso al credito bancario.
126
Il primo provvedimento è il n. 16785, FILÙ e FERRU DI L.S.M. del 26 aprile 2007. Nel 2006 era stata segnalata l’ingannevolezza di un messaggio pubblicitario riportato sulla confezione di liquore Filù e Ferru, prodotto ed imbottigliato dalla società L.S.M.
Il segnalante sosteneva che il messaggio inducesse in errore il consumatore, portandolo a credere che, contrariamente al vero, il prodotto fosse un’acquavite o grappa tipica della Sardegna, distillata secondo una metodologia tradizionale di tale regione.
In particolar modo, l’etichetta era corredata da immagini tipiche del folklore sardo: come lo stemma dei quattro mori, la raffigurazione di un uomo vestito in costume tipico rappresentato nell’atto di suonare le “launeddas” e un nuraghe, simbolo delle antiche civiltà che erano insediate nell’area.
Tuttavia, nella parte inferiore dell’etichetta, anche se con un carattere di dimensione inferiore rispetto alla denominazione del prodotto, veniva riportato il luogo della produzione e dell’imbottigliamento, ovvero Chiesanuova Repubblica di San Marino.
Il “Filu e Ferru”, dunque, veniva realizzato utilizzando un distillato fornito da un produttore che non aveva sede in Sardegna e mediante l’impiego di vitigni di provenienza genericamente italiana, e non esclusivamente sarda.
L’Autorità riconobbe, quindi, alla luce di quanto detto sopra, il carattere confusorio del messaggio, considerando che l’etichetta fosse “idonea a indurre i destinatari del messaggio ad associare la provenienza del prodotto alla predetta area territoriale, sia con riferimento al trattamento utilizzato per la sua distillazione che relativamente alle materie prime utilizzate.
Contrariamente a quanto rappresentato dall’operatore pubblicitario, le indicazioni relative al luogo di produzione e imbottigliamento, presenti sull’unica etichetta frontale del prodotto e riportate con caratteri grafici ridotti, a fronte del complesso di immagini e simboli che richiamano la regione sarda, di per sé non rappresenta un elemento idoneo a rendere edotto il destinatario della circostanza che si tratta di una tipologia di acquavite priva della predetta caratterizzazione geografica.” L’Autorità riconobbe, quindi, che il messaggio in esame, pertanto, fosse da